mercoledì 24 dicembre 2008

Più sicurezza con il sì al Trattato di Prüm



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

martedì 23 dicembre 2008

Con voto unanime, il Senato lunedì 22 dicembre ha approvato e trasmesso alla Camera il ddl sull'adesione del nostro paese al Trattato di Prüm sulla lotta al terrorismo, alla criminalità transfrontaliera e all'immigrazione illegale. Tale Convenzione, denominata «Schengen 2», è stata firmata a Prüm (Germania) il 27 maggio 2005 da 7 paesi dell'Unione Europea (Belgio, Francia, Germania, Spagna, Lussemburgo, Paesi Bassi, Austria) ed è aperta all'adesione e ratifica di altri membri dell'Ue. Rappresenta un valore aggiunto rispetto agli accordi di Schengen, poiché è volta a rafforzare la cooperazione transfrontaliera nella lotta al terrorismo, all'immigrazione clandestina, alla criminalità internazionale e transnazionale.

Le disposizioni del Trattato permettono di migliorare notevolmente lo scambio di informazioni concernenti dati informatici, relativi anche a impronte digitali e dati genetici (Dna) - con correlativa predisposizione di un livello adeguato di protezione dei dati medesimi da parte del paese contraente - attraverso il reciproco accesso, con lettura diretta ed on line, ai dati dei registri di immatricolazione dei veicoli, nonché degli archivi d'analisi del Dna e dei dati dattiloscopici (impronte digitali), secondo specifiche modalità. In tale modo si avrà direttamente, e per via informatica, l'informazione sull'esistenza o meno del dato richiesto nello schedario del paese partner. Allo scopo di migliorare la cooperazione tra le forze di polizia il Trattato prevede, oltre allo scambio di informazioni su potenziali terroristi: la possibilità di istituire pattuglie comuni e di delegare competenze di forza pubblica a Forze di polizia appartenenti alle altre parti contraenti, nonché l'assistenza in occasione di eventi di grande portata; lo svolgimento di operazioni oltre frontiera su richiesta (o anche senza, in casi di urgenza) con la possibilità di esercitare alcuni poteri di polizia; meccanismi di cooperazione in materia di attività di contrasto dei documenti falsi, di impiego di guardie armate a bordo degli aerei ed in materia di espulsione.

Il ddl istituisce la banca dati nazionale del Dna e il laboratorio centrale per la banca dati nazionale del Dna. Si dà inoltre delega al governo per l'istituzione dei ruoli tecnici del corpo di polizia penitenziaria. E' un passo molto importante, non soltanto ai fini del potenziamento degli strumenti relativi alle indagini per i reati di criminalità organizzata e di terrorismo, sempre più a connotazione transnazionale, perché la banca dati del Dna diventerà fondamentale anche per stabilire l'identità dei cadaveri, ricostruendo i profili del Dna dei familiari, nonché per rintracciare persone scomparse e per scoprire gli autori di reati, come ad esempio furti e rapine, che oggi, in larga parte, rimangono ignoti. A tal riguardo, anche il primo presidente della Corte di Cassazione, in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario 2006, ha rimarcato che, nel 2005, sono stati ben 2.855.372 i delitti denunciati, di cui poco più della metà rimasti impuniti perché ignoti gli autori; mentre, con particolare riguardo ai furti, è stato ricordato che ne sono stati denunciati, sempre nel 2005, un milione e mezzo, la cui quasi totalità è rimasta impunita per essere rimasti ignoti gli autori (Nicola Marvulli, Relazione sull'attività Giudiziaria nell'anno 2005 - Considerazioni generali sulla giustizia penale). In occasione della inaugurazione dell'anno giudiziario per l'anno 2007, il primo presidente della Corte di Cassazione ha riferito, con riguardo al periodo 1º luglio 2005-30 giugno 2006, che, pur essendo considerevolmente diminuito il numero dei reati denunciati (da 2.855.372 a 2.526.486, con una riduzione dell'11,51%), rimane eccessiva la percentuale di quelli ad opera di ignoti (1.992.943) - (Gaetano Nicastro, Relazione sull'attività Giudiziaria nell'anno 2006, pag. 22).

Insomma, si tratta di un pacchetto di interventi molto importante perché permette agli Stati di avere un elemento di identificazione pressoché certo, visto che negli altri strumenti a disposizione c'è sempre un margine di incertezza. L'idea di istituire una banca dati del Dna non è certo nuova, ma finalmente si è passati dalle parole ai fatti, grazie alla volontà politica del governo e della maggioranza di centrodestra, che hanno trovato spazio nel calendario dei lavori delle Camere e, soprattutto, i mezzi finanziari per coprire l'iniziativa.

lunedì 22 dicembre 2008

Meritocrazia e lavoro pubblico: i primi passi del governo Berlusconi



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

venerdì 19 dicembre 2008


La Pubblica Amministrazione assume un ruolo centrale in qualsiasi politica di sviluppo dell'economia e si sostanzia in persone che esercitano materialmente le funzioni che gli competono ed esprimono, con i loro atteggiamenti nei confronti dell'utenza, l'orientamento comunicativo complessivo dell'Ente stesso.

Le risorse umane operanti nel pubblico impiego, la qualità e la quantità del loro operato, il rapporto di fiducia tra PA e cittadini-consumatori ed imprese sono i punti essenziali sui quali intervenire per una riforma del settore pubblico all'insegna della meritocrazia e per questo occorrerebbe motivare i lavoratori pubblici, anche sotto il profilo economico, creare degli indicatori di performance con degli obiettivi da raggiungere e comunicarli adeguatamente all'esterno in modo che siano monitorabili e giudicabili dal mercato e cioè da parte di coloro che usufruiscono del servizio.

Il ministro Brunetta, sin dall'inizio del suo mandato, ha adottato dei provvedimenti concreti per rendere più trasparente e meritocratico il settore pubblico: redazione dei 34 punti della Riforma della PA; definizione delle «Linee programmatiche sulla Riforma della Pubblica Amministrazione»; operazione trasparenza su incarichi, emolumenti, distacchi e permessi sindacali; introduzione di nuove norme sulle assenze per malattia e per permesso retribuito dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni e monitoraggio e rilevazione delle stesse (articolo 71 della legge 6 agosto 2008, n. 133 e circolari n. 7 e 8 del 2008); redazione del Piano industriale dell'innovazione del 2 ottobre 2008, il cui piano operativo prevede 60 iniziative ben precise e cioè 12 convenzioni con le amministrazioni centrali, 42 convenzioni con le Regioni e i comuni capoluogo, 2 programmi infrastrutturali, 2 progetti speciali, oltre a norme e standard; concorso «Premiamo i risultati», finalizzato a premiare i risultati e l'impegno a migliorare le performance nonché a valorizzare gli esempi di buona amministrazione.

Occorre ricordare, inoltre, che nel pubblico impiego è stata ereditata la scottante questione delle stabilizzazione dei precari e la grana ormai storica dei vincitori di concorso non assunti. L'articolo 7, comma 7, del progetto di legge «Delega al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, nonché misure contro il lavoro sommerso e norme in tema di lavoro pubblico, di controversie di lavoro e di ammortizzatori sociali», già approvato dalla Camera ed in discussione al Senato, prevede al riguardo che le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, dovranno comunicare il numero delle graduatorie ancora vigenti, indicando le qualifiche cui esse si riferiscono, la data di approvazione delle graduatorie stesse e il numero dei vincitori eventualmente ancora da assumere. I vincitori di concorsi appartenenti alle suddette graduatorie hanno priorità per l'assunzione rispetto al personale assunto a tempo determinato.

Un altro problema storico nel settore pubblico sono i salari standardizzati che non premiano il merito, mortificano le eccellenze e mettono sullo stesso piano nullafacenti e meritevoli. L'articolo 67, comma 9, della legge 6 agosto 2008, n. 133 ha disposto che d'intesa con la Corte dei conti e la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica, il Ministero economia e finanze - Dipartimento della ragioneria generale dello Stato integra le informazioni annualmente richieste con il modello di cui all'articolo 40-bis comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, predisponendo un'apposita scheda con le ulteriori informazioni di interesse della Corte dei conti volte tra l'altro ad accertare, oltre il rispetto dei vincoli finanziari previsti dalla vigente normativa in ordine alla consistenza delle risorse assegnate ai fondi per la contrattazione integrativa ed all'evoluzione della consistenza dei fondi e della spesa derivante dai contratti integrativi applicati, anche la concreta definizione ed applicazione di criteri improntati alla premialità, al riconoscimento del merito ed alla valorizzazione dell'impegno e della qualità della prestazione individuale, con riguardo ai diversi istituti finanziati dalla contrattazione integrativa, nonché a parametri di selettività, con particolare riferimento alle progressioni economiche.

Il 30 ottobre scorso, inoltre, è stato firmato il protocollo di intesa tra Governo e sindacati (Cisl, Uil, Confsal, Usae e Ugl) sul rinnovo dei contratti di lavoro del pubblico impiego per il biennio economico 2008-2009. L'aumento previsto dal protocollo per il comparto dei ministeri è pari a 70 euro medie mensili. Il protocollo prevede che le risorse recuperate per i trattamenti accessori dovranno essere destinate all'incentivazione della produttività dei dipendenti mediante l'individuazione nei Ccnl di criteri rigorosamente selettivi, con particolare riferimento all'introduzione di meccanismi premiali dei profili qualitativi e quantitativi della prestazione lavorativa.

Il ministro Brunetta ha già fatto tanto e bene e sarebbe opportuno che i sindacati, anche quelli che oggi rifiutano qualsiasi tipo di accordo, partecipassero con spirito collaborativo all'opera del titolare del dicastero di palazzo Vidoni perché è nell'interesse di tutti avere una pubblica amministrazione moderna, più efficiente, più trasparente, più vicina agli interessi dei cittadini e delle imprese e che finalmente valorizzi le tante eccellenze che tutti i giorni fanno funzionare gli uffici, penalizzando al contempo nullafacenti ed assenteisti.

martedì 16 dicembre 2008

Meritocrazia e lavoro privato. Le iniziative del governo



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

lunedì 15 dicembre 2008


Il ministro Sacconi, sin dall'inizio del suo mandato, per fronteggiare l'emergenza riguardante i redditi da lavoro dipendente, segnalata da tempo da diversi studi autorevoli, ha cercato di far crescere i salari collegandoli alla produttività, detassando gli straordinari e i premi aziendali, così come promesso in campagna elettorale. In pratica ha creato un meccanismo che determina un aumento del salario in chiave meritocratica: chi ha il merito di lavorare di più deve essere pagato di più.

L'articolo 2 della legge 4 luglio 2008, n. 126, «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, recante disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie», ha introdotto infatti delle misure sperimentali per l'incremento della produttività del lavoro privato. Ha previsto che, salva espressa rinuncia scritta del prestatore di lavoro, nel periodo dal 1° luglio 2008 al 31 dicembre 2008 sono soggetti a un'imposta sostitutiva dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e comunali pari al 10%, entro il limite di importo complessivo di 3.000 euro lordi, le somme erogate a livello aziendale «per prestazioni di lavoro straordinario, ai sensi del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, effettuate nel periodo suddetto; per prestazioni di lavoro supplementare ovvero per prestazioni rese in funzione di clausole elastiche effettuate nel periodo suddetto e con esclusivo riferimento a contratti di lavoro a tempo parziale stipulati prima della data di entrata in vigore del presente provvedimento; in relazione a incrementi di produttività, innovazione ed efficienza organizzativa e altri elementi di competitività e redditività legati all'andamento economico dell'impresa». Le disposizioni sono rivolte ai titolari di reddito da lavoro dipendente non superiore, nell'anno 2007, a 30.000 euro.

La crisi dell'economia mondiale, però, ha ridisegnato il quadro economico ed ha imposto nuove scelte, che non potevano non andare nella direzione del sostegno ai consumi e, quindi, dell'aumento dei salari e dell'incremento del potere di acquisto dei cittadini. L'articolo 5 («Detassazione contratti di produttività») del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, recante misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale (il cosiddetto «decreto anticrisi»), in corso di conversione in legge, ha disposto quindi che, per il periodo dal 1° gennaio 2009 al 31 dicembre 2009, saranno prorogate le misure sperimentali per l'incremento della produttività del lavoro, previste dall'articolo 2 comma 1, lettera c), del decreto legge 27 maggio 2008, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126. Tali misure troveranno applicazione, entro il limite di importo complessivo di 6.000 euro lordi, con esclusivo riferimento al settore privato e per i titolari di reddito di lavoro dipendente non superiore, nell'anno 2008, a 35.000 euro, al lordo delle somme assoggettate nel 2008 all'imposta sostitutiva di cui all'articolo 2 del citato decreto legge. Se il sostituto d'imposta tenuto ad applicare l'imposta sostitutiva in tale periodo non è lo stesso che ha rilasciato la certificazione unica dei redditi per il 2008, il beneficiario dovrà attestare per iscritto l'importo del reddito da lavoro dipendente conseguito nel medesimo anno 2008.

Il governo Berlusconi ha intrapreso con i fatti ed a suon di provvedimenti concreti la difficile ma virtuosa strada della meritocrazia, legando il salario a dinamiche improntate al merito ed alla gratificazione economica dei meritevoli e coniugando, quindi, la doppia esigenza dell'innalzamento della produttività del lavoro con quella dell'aumento dei salari.

venerdì 12 dicembre 2008

Scuola e meritocrazia. L'impegno del governo Berlusconi


di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

martedì 09 dicembre 2008

Il termine «meritocrazia» è stato usato per la prima volta da Michael Young (Lord Young di Dartington) nel titolo di un libro, The Rise of Meritocracy, in cui l'autore immaginava il merito come la risultante di due componenti, l'intelligenza e lo sforzo (IQ plus effort) con l'aggiunta della certificazione data dal titolo di studio. La meritocrazia è nata nel 1933 ad Harvard quando il presidente di allora, J. Bryant Conant, concepì l'ETS (Education Testing Service), grazie al quale venne introdotto il SAT (Scholastic Aptitude Test) che rivoluzionò il sistema di ammissioni, che fino ad allora privilegiava i figli delle famiglie ricche, e permise da quel momento di selezionare i migliori studenti indipendentemente dall'estrazione sociale e dal conto in banca dei genitori, permettendo loro di accedere senza alcuna restrizione ad una delle migliori università del mondo. La meritocrazia nasce, quindi, con l'idea di modificare i criteri di accesso ad una delle migliori università del mondo e viene formalizzata con un termine specifico («meritocracy» appunto) sempre con riferimento al sistema scolastico. In pratica, la culla della meritocrazia è la scuola.

Il termine, come sappiamo, è spesso inflazionato e quasi mai tradotto in interventi specifici. Con il governo Berlusconi c'è stata finalmente una significativa inversione di tendenza. Diamo dunque uno sguardo a quello che è stato già fatto dall'attuale esecutivo sul tema della scuola e della meritocrazia, perché le opinioni e le buone intenzioni sono sempre rispettabili ma quello che conta è ciò che viene messo nero su bianco e tradotto in interventi concreti. Pur essendo in carica da pochi mesi, attraverso l'azione del ministro Gelmini, il governo Berlusconi ha già compiuto alcuni passi significativi per valorizzare il merito e migliorare, semplificare e rendere più trasparenti i sistemi di valutazione degli studenti, dei ricercatori e dei professori. Ecco l'elenco:

* Decreto ministeriale del ministro Gelmini del 28 luglio 2008, con l'aggiunta della nota prot. n. 11715 del 10 novembre 2008, per l'individuazione delle iniziative per la valorizzazione delle eccellenze conseguite dagli studenti delle scuole di istruzione secondaria superiore, statali e paritarie, con particolare riferimento agli articoli 3 (Proposte per l'individuazione delle eccellenze per gli studenti frequentanti i corsi di istruzione superiore delle scuole statali e paritarie) e 4 (Informazione sul monitoraggio delle iniziative di valorizzazione delle eccellenze);
* Articolo 3, comma 1, della legge 30 ottobre 2008, n. 169, che ha previsto che nella scuola primaria la valutazione periodica ed annuale degli apprendimenti degli alunni e la certificazione delle competenze da essi acquisite debba essere effettuata mediante l'attribuzione di voti espressi in decimi e illustrata con giudizio analitico sul livello globale di maturazione raggiunto dall'alunno;
* Articolo 3, comma 3, della legge 30 ottobre 2008, n. 169: nella scuola secondaria di primo grado sono ammessi alla classe successiva, ovvero all'esame di Stato a conclusione del ciclo, gli studenti che hanno ottenuto, con decisione assunta a maggioranza dal Consiglio di classe, un voto non inferiore a sei decimi in ciascuna disciplina o gruppo di discipline;
* Articolo 3, comma 4, della legge 30 ottobre 2008, n. 169: l'esito dell'esame conclusivo del primo ciclo è espresso con valutazione complessiva in decimi e illustrato con una certificazione analitica dei traguardi di competenza e del livello globale di maturazione raggiunti dall'alunno; conseguono il diploma gli studenti che ottengono una valutazione non inferiore a sei decimi;
* Articolo 1, commi 4 e 5, del decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180, recante disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca, in corso di conversione in legge, che ha previsto l'introduzione di meccanismi più trasparenti per la definizione della composizione delle commissioni giudicatrici per le procedure di valutazione comparativa per il reclutamento dei professori universitari di I e II fascia (art. 1, comma 4) e di quelle per la valutazione comparativa dei candidati di cui all'articolo 2 della legge 3 luglio 1998, n. 210 (art. 1, comma 5);
* Articolo 1, comma 7, del decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180, che ha disposto che nelle procedure di valutazione comparativa per il reclutamento dei ricercatori bandite successivamente alla data di entrata in vigore del decreto, la valutazione comparativa è effettuata sulla base dei titoli, illustrati e discussi davanti alla commissione, e delle pubblicazioni dei candidati, ivi compresa la tesi di dottorato, utilizzando parametri, riconosciuti anche in ambito internazionale, individuati con apposito decreto del ministro dell'istruzione;
* Articolo 1-bis del disegno di legge di conversione del decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180, già approvato dal Senato ed ora in discussione alla Camera, che incentiva il cosiddetto «rientro dei cervelli»;
* Articolo 3 del decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180 che ha integrato di 65 milioni di euro il fondo per il finanziamento dei progetti volti alla realizzazione degli alloggi e residenze di cui alla legge 14 novembre 2000, n. 338 e di 135 milioni di euro il fondo di intervento integrativo di cui all'articolo 16 della legge 2 dicembre 1991, n. 390, al fine di garantire la concessione agli studenti capaci e meritevoli delle borse di studio;
* Articoli 3-ter e 3-quater del progetto di legge di conversione del decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180, che legano maggiormente la valutazione dell'attività di ricerca alle pubblicazioni effettuate e l'attribuzione delle risorse finanziarie alle università in base alla relazione concernente i risultati delle attività di ricerca, che dovrà essere pubblicata sul sito internet dell'ateneo e trasmessa al ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca.

Qualcuno dirà che non basta o che gli interventi non sono ancora esaustivi, oppure che c'è da fare ancora molto. Ma certamente non si può affermare che non ci si è mossi per portare un po' di meritocrazia all'interno del nostro sistema scolastico.

venerdì 5 dicembre 2008

Immigrazione. Stretta sugli ingressi e più arrivi di alte professionalità



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

mercoledì 03 dicembre 2008


Libération torna ad attaccare l'Italia per la sua politica in tema di immigrazione. Partendo dalle ultime previsioni dell'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, secondo cui «l'immigrazione clandestina potrebbe aumentare come conseguenza della crisi economica», il quotidiano francese ha affermatoche «la destra più populista cerca di cavalcare il rifiuto dell'immigrazione, come hanno dimostrato le ultime elezioni in Italia e in Austria». Libération ha ricordato, inoltre, che il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, «ha consigliato una moratoria di due anni per l'accoglienza di lavoratori provenienti da paesi extra-Ue» e ha sostenuto che questa misura «può proteggere gli immigrati già presenti in Italia dagli effetti della crisi economica».

Ci risiamo con le leggende metropolitane spacciate per verità assolute. A sinistra (e i cugini francesi confermano la tesi secondo cui «tutto il mondo è paese») ancora credono che il centrodestra abbia vinto le elezioni in Italia cavalcando il rifiuto dell'immigrazione. I signori della gauche parlano e scrivono senza neanche tenere conto del fatto che le elezioni sono state vinte da Berlusconi semplicemente perché le proposte per governare il paese presentate dal centrodestra sono state più credibili rispetto a quelle del centrosinistra, soprattutto alla luce della disastrosa prova dei fatti data dal governo Prodi.

Quanto al merito della questione, va detto che lunedì scorso il ministro Sacconi ha indicato un percorso virtuoso in materia di immigrazione. Un percorso che, finalmente, andrebbe a segnare una positiva inversione di tendenza rispetto ad uno dei difetti storici dell'entrata di nuovi lavoratori nel nostro paese: la mancanza di alte professionalità e l'ingresso massiccio di lavoratori non qualificati. Il ministro del Welfare ha infatti dichiarato che il governo punta a una gestione separata per facilitare il rilascio di permessi di soggiorno a immigrati con professionalità alte. «Queste domande - ha detto - risultavano molto inferiori alle quote, ma le pratiche rimanevano immerse nel volume complessivo delle domande di permesso. Avranno quindi un percorso e una modulistica separate». Secondo Sacconi, per questo tipo di professionalità «l'apertura deve essere massima quanto deve essere forte il contenimento dei flussi di altre professionalità». Per quanto riguarda il complesso delle norme sull'immigrazione, il ministro ha precisato che da parte del governo «c'è una stretta sugli ingressi. Solo così daremo maggiori opportunità a quegli immigrati che perdono, a causa della crisi, un lavoro, e non li metteremo in competizione - ha concluso - con altri nuovi ingressi».

Ben venga, quindi, il doppio canale nel sistema degli ingressi per motivi di lavoro nel nostro paese, perché proprio così si arricchisce, e non si svilisce, la qualità del nostro sistema produttivo che - è bene ricordare - è il pilastro fondamentale del successo del made in Italy nel mondo. E ben venga anche la stretta sui nuovi ingressi, perché è una scelta obbligata e di buon senso limitare gli arrivi in una fase non certo positiva dell'economia mondiale, anche e soprattutto per meglio salvaguardare gli immigrati che già lavorano nel nostro paese. Proprio in quest'ottica andrebbe stimolato il ruolo di alcuni istituti già attivi, ma ancora poco produttivi, come ad esempio il Consiglio Territoriale dell'Immigrazione , organismo fondamentale per monitorare in sede locale la presenza degli stranieri sul territorio e la capacità di assorbire i flussi migratori nelle singole province del nostre paese.

lunedì 1 dicembre 2008

Così il governo sostiene l'economia



di Flavio Mannini e Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

venerdì 28 novembre 2008

Sebbene nel gergo comune si parli spesso di «modello sociale europeo», tale definizione non è corretta, in quanto fa riferimento a Stati e modelli diversi. Nel sistema europeo si possono riconoscere quattro modelli: scandinavo, continentale, anglosassone e sud europeo. Il primo si basa su un alto tasso di fiscalità, che porta ingenti quantità di denaro nelle casse dello Stato ma al contempo mette le mani nelle tasche dei cittadini in maniera invasiva. Il denaro viene utilizzato in modo trasparente per sostenere sia i datori di lavoro (finanziamenti, incentivi, infrastrutture, ecc...) che i lavoratori (servizi pubblici: sanità, educazione, mobilità). Nel modello sud europeo la pressione fiscale è medio-alta, l'erogazione del servizio è frammentata e talvolta non efficace. A sostegno di questo modello entra in gioco la famiglia, che tutela i giovani, i quali, di conseguenza, riescono ad ottenere la loro indipendenza economica molto più tardi dei coetanei dell'Europa settentrionale. Il modello continentale, tipicamente francese e tedesco, abbastanza simile a quello sud-europeo, presenta una pressione fiscale media, una gestione abbastanza efficace delle politiche sociali ed un ruolo limitato della famiglia. Infine il modello anglosassone, che ha una pressione fiscale bassa, un ruolo pubblico contenuto e schemi di protezione limitati.

In Italia, con un sistema che risponde al modello tipicamente sud-europeo, la spesa per le politiche sociali è superiore al 25% del prodotto interno lordo, segno evidente che il paese investe ingenti somme nell'erogazione dei servizi sociali, che andrebbero però sostenuti da un'economia forte, in grado di far fronte al debito pubblico ed al deficit.

I modelli devono essere adattati anche alla situazione economica del momento: in un periodo di crisi risulta difficile equilibrare le scelte di politica sociale con le esigenze di bilancio. La situazione diventa assai più complessa in un uno Stato come l'Italia, il cui governo eredita dal passato il terzo debito pubblico del mondo senza essere la terza economia mondiale; il debito è addirittura maggiore del prodotto interno lordo, stando ai dati della Banca d'Italia, mentre i parametri di Maastricht richiederebbero un rapporto pari al 60%. Il nostro paese si trova in una condizione particolare rispetto al passato, in quanto ora non gode più di autonomia monetaria. E' vero che ha un debito pubblico enorme, ma è anche vero che questa crisi colpisce l'accesso al debito privato e, quindi, i paesi più a rischio sono quelli la cui somma complessiva del debito (pubblico e privato) è più alta. Il debito aggregato in Italia ammonta circa al 135% del Pil nel 2008 mentre ad esempio negli Usa si arriva al 170%.

Le crisi economiche del passato si sono risolte in diversi modi, facendo ripartire la fiducia da parte di chi deve investire e di chi deve consumare, nonché aumentando la spesa pubblica. Tradizionalmente le maggiori scuole di economia insegnano che abbassando i tassi d'interesse si favoriscono gli investimenti ed abbassando la pressione fiscale si favoriscono i consumi, o meglio si favorisce la propensione marginale al consumo; aumentando quindi la capacità di spesa delle famiglie, il cittadino medio è più propenso a consumare, contribuendo di fatto ad aumentare il prodotto interno lordo. La spesa pubblica non può crescere in maniera incontrollata per evidenti esigenze di bilancio, ma il governo si sta muovendo per sbloccare consistenti somme di denaro già stanziate e per accorciare il più possibile i passaggi tra il momento dello stanziamento delle risorse per le infrastrutture da quello dell'effettivo utilizzo, anche per favorire in tempi brevi lo sviluppo del territorio ed incentivare le esportazioni per le sue imprese. E proprio per quanto riguarda il sostegno concreto dato dal governo al nostro sistema produttivo va ricordato da ultimo il provvedimento sulla internazionalizzazione delle imprese, già approvato alla Camera il 4 novembre scorso ed ora in discussione al Senato.

Per quanto riguarda gli interventi in favore delle famiglie, si vedano i provveddimenti adottati dall'esecutivo venerdì. Tali provvedimenti favoriscono la propensione al consumo; hanno quindi sia una funzione sociale che una più marcatamente economica, al fine di far ripartire un'economia che ha incontrato negli ultimi tempi troppi ostacoli.

Con gli interventi mirati del governo si può creare una base solida per la ripresa economica e per il benessere sociale del paese. La crisi può essere adeguatamente affrontata e combattuta, anche e soprattutto, con la leva dei consumi, che rappresentano, insieme ad investimenti e spesa pubblica (si pensi soprattutto allo sblocco di più di 16 miliardi di euro per le infrastrutture ed ai 600 milioni di euro del pacchetto di misure a sostegno del reddito), le principali variabili macroeconomiche di cui si compone il prodotto interno lordo.

mercoledì 26 novembre 2008

L'International Migration Outlook 2008



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

lunedì 24 novembre 2008

È stato presentato lunedì mattina presso la sede del Cnel, a Roma, il rapporto Ocse-Sopemi International migration outlook. Esso rileva come si sia ormai consolidata la presenza in Italia degli immigrati: 3.432.651 persone e 1.684.906 famiglie con almeno un componente straniero, pari al 6,9% del totale. Dal rapporto emerge in primo luogo la crescente stabilizzazione che caratterizza la presenza immigrata: di pari passo con l'aumento della popolazione residente (+246,1% negli ultimi 10 anni) e regolarmente soggiornante (+144,9%), nell'arco di due lustri sono triplicati i matrimoni con almeno un coniuge straniero, che sono 34.396, pari al 14% del totale, ed è cresciuto il numero delle nascite di figli da genitori stranieri, che nell'ultimo anno sono state oltre 64.000, l'11,4% del totale. Gli alunni stranieri iscritti nell'anno scolastico 2007/08 erano 574.133, il 6,4% degli studenti. È cresciuto del 136% dal 2001 ad oggi il numero dei lavoratori stranieri, che al 2007 sono 1.502.419. Spia di un processo lento ma virtuoso di integrazione economica è anche la crescita delle imprese costituite da immigrati, che nel 2008 sono oltre 165 mila.

Dal rapporto emergono anche elementi di criticità, come ad esempio la tendenza sempre più evidente ad accostare l'immigrazione alla sicurezza, sino al diffondersi nella società di un razzismo «silente». Indicativo, a questo proposito, secondo il rapporto, è che il 30% di chi vive nei Comuni con oltre 10 mila abitanti consideri l'immigrazione un problema di ordine pubblico, mentre il 10,8% arriva a considerarla una minaccia.

Ma perché questi dati? Gli italiani sono diventati razzisti? Certamente no. Gli ingressi degli immigrati sono legati oggi solo ai posti di lavoro disponibili, mentre non vengono presi realmente in considerazione altri aspetti fondamentali come l'impatto sul welfare State (assistenza all'anzianità, disoccupazione, assistenza sanitaria, istruzione), quello sulle politiche abitative e l'andamento dell'economia nostrana nel medio-lungo periodo. In Italia, come nel resto del mondo occidentale, la leva dell'immigrazione viene spesso usata dal sistema produttivo solo per rispondere in maniera impropria alle sfide del mercato globale e cioè attraverso i bassi salari pagati ai lavoratori stranieri con basse qualifiche professionali. L'International Migration Outlook 2008 segnala che, in materia di immigrazione, l'Italia «resta in gran parte orientata verso la bassa qualifica professionale», ma anche che in tutto il mondo gli stranieri vengono sottopagati rispetto ai lavoratori-cittadini.

Questa visione limitata determina una situazione nella quale il lavoratore immigrato (regolare o meno) viene considerato solo come manodopera e non come una persona che, alla pari del cittadino, vive nella società e che, quindi, ha bisogno di un appartamento, di servizi, di mangiare, in molti casi di mandare i soldi alla sua famiglia nel paese di origine, ecc... I benefici economici di tale deprecabile operazione vanno esclusivamente ai pochi che sfruttano questa situazione nel sistema produttivo, mentre i costi economici e sociali si riversano tutti sulle spalle dello Stato e, quindi, di tutti i cittadini. Se a questo aggiungiamo che la convivenza è qualcosa di per sé difficile e che, anche se l'immigrato non lavora, deve pur vivere, allora riusciremo a dare una qualche risposta razionale ai dati del Rapporto Ocse-Sopemi.

Quanto al legame tra immigrazione e criminalità, nel Rapporto sulla criminalità in Italia, presentato il 20 giugno dello scorso anno dal ministro dell'Interno dell'ultimo governo di centrosinistra, Giuliano Amato, si legge chiaramente che «negli ultimi vent'anni è cresciuto sensibilmente il contributo fornito dagli stranieri di determinate nazionalità alla diffusione di alcuni reati, in particolare quelli contro la proprietà (i furti e le rapine), i reati violenti, i reati connessi ai mercati illeciti della droga e della prostituzione. Tale contributo appare sproporzionato per eccesso rispetto alla quota di stranieri residenti nel nostro paese, anche se si tiene conto della presenza di stranieri non documentata». E ancora: «È importante sottolineare che la netta maggioranza di questi reati viene commessa da stranieri irregolari, mentre quelli regolari hanno una delittuosità non molto dissimile dalla popolazione italiana... Nel complesso gli stranieri regolari denunciati sono stati nel 2006 quasi il 6% del totale dei denunciati in Italia». E' chiaro, quindi, che il problema del rapporto tra immigrazione e criminalità si riconduce in gran parte al contrasto del fenomeno dell'immigrazione clandestina (stranieri entrati in Italia senza regolare visto di ingresso) e, soprattutto, di quella irregolare (stranieri che hanno perduto i requisiti necessari per la permanenza sul territorio nazionale, di cui erano però in possesso all'ingresso in Italia).

I timori degli italiani, come quelli dei cittadini di tutti i paesi occidentali, non sono quindi frutto di un becero razzismo (neanche «silente», come viene scritto nel Rapporto Ocse-Sopemi), ma rappresentano una risposta spontanea della società all'approccio sbagliato delle istituzioni mondiali rispetto al fenomeno dell'immigrazione. E questo dato trova conforto nella crescente stabilizzazione, nel nostro paese, della componente straniera, che certo non metterebbe radici in un paese tendenzialmente ostile alla sua presenza. Liquidare tutto come razzismo sarebbe troppo semplice, anche perché guardando a quello che succede in tutto il mondo, dagli Stati Uniti alla Francia, dall'Australia alla Spagna, dalla Francia all'Inghilterra, dovremmo arrivare all'assurda conclusione che i cittadini di tutti questi paesi ed i loro governi sono razzisti.

mercoledì 19 novembre 2008

L’Ue deve incentivare lo sviluppo dei paesi di origine degli immigrati



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

martedì 18 novembre 2008

L'Unione europea aiuterà l'Africa a realizzare una sua rete di trasporto trans-africana per contribuire alla stabilità del Continente e frenare l'immigrazione verso il Nord. Lo ha annunciato il vice-presidente della Commissione europea e commissario europeo ai Trasporti Antonio Tajani.

«L'Europa ha interesse a lavorare per la stabilità dell'Africa» - ha spiegato Tajani ai giornalisti a Tunisi, riferendo di alcuni colloqui in vista di un accordo con la Commissione dell'Ua (Unione africana). Tajani, intervenuto a margine di una riunione ministeriale euro-maghrebina sul trasporto sulle rive occidentali del Mediterraneo, ha annunciato la partenza di una prima missione di esperti europei giovedì prossimo ad Addis Abeba. «Non si può risolvere la questione dell'immigrazione solamente con la polizia, serve anche lo sviluppo e la stabilità dell'Africa», ha dichiarato, assegnando un ruolo importante alla Banca europea per gli investimenti e alla Banca africana dello sviluppo. «Ci sono milioni di persone che spingono verso Nord e anche gli stessi paesi del Nord-Africa hanno interesse a risolvere questo problema», ha proseguito, parlando di un «impegno politico» della Commissione europea. Questo impegno si tradurrà, secondo Tajani, in un piano di tre fasi, che comincerà con il trasferimento di conoscenze su richiesta dell'Ua, seguito da un'assistenza tecnica e alla mobilitazione di fondi per dei progetti concreti.

Finalmente l'Europa si muove. I problemi relativi all'immigrazione non possono risolversi solo con misure rivolte alla regolamentazione interna del fenomeno (ingresso, permanenza, naturalizzazione, espulsione) perché significherebbe non prendere in considerazione una questione fondamentale, e cioè che i processi migratori rispondono a logiche transnazionali. Nell'analisi delle motivazioni di chi emigra, bisogna considerare il fattore economico come il principale e, quindi, se si valuta il fatto che paesi confinanti con il sud dell'Europa vivono nella povertà, sarà automatico prevedere un flusso continuo dei cittadini di quelle realtà verso i nostri territori. Un singolo Stato da solo può fare poco laddove, invece, l'Europa unita può intervenire con maggiore efficacia. Il Libro Verde «Sull'approccio dell'Unione Europea alla gestione della migrazione economica», nel segnalare anche il problema della fuga dei cervelli dai paesi di origine dei flussi, aveva anche indicato alcuni provvedimenti concreti da adottare: fornire informazioni aggiornate sulle condizioni di ingresso e di soggiorno nell'Unione europea; fondare centri di assunzione e formazione nei paesi d'origine per le qualifiche richieste a livello Ue, nonché per la formazione culturale e linguistica; creare banche dati per qualifica/occupazione/settore (portafoglio di competenze) dei potenziali migranti; agevolare il trasferimento delle rimesse; offrire compensazioni ai paesi terzi per i costi dell'istruzione di coloro che lasciano il paese per lavorare nell'Ue.

Anche e soprattutto per questi motivi non si può accettare la tesi del segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, che, spostando il tema sul piano ideologico, chiede in maniera semplicistica la sospensione della legge Bossi-Fini per due anni per fronteggiare e cercare di limitare gli effetti della crisi economica che ricadranno sui lavoratori immigrati. Quello chiesto da Epifani è un intervento sbagliato, perché il vuoto normativo genererebbe il caos, e non proiettato sul lungo periodo, perché non tiene conto della complessità del fenomeno. Inoltre, sarebbe opportuno ricordare quello che dice la legge Bossi-Fini sul punto toccato dal leader della Cgil: «La perdita del posto di lavoro non costituisce motivo di revoca del permesso di soggiorno al lavoratore extracomunitario ed ai suoi familiari legalmente soggiornanti. Il lavoratore straniero in possesso del permesso di soggiorno per lavoro subordinato che perde il posto di lavoro, anche per dimissioni, può essere iscritto nelle liste di collocamento per il periodo di residua validità del permesso di soggiorno, e comunque, salvo che si tratti di permesso di soggiorno per lavoro stagionale, per un periodo non inferiore a sei mesi. Il regolamento di attuazione stabilisce le modalità di comunicazione ai centri per l'impiego, anche ai fini dell'iscrizione del lavoratore straniero nelle liste di collocamento con priorità rispetto a nuovi lavoratori extracomunitari» (art. 18, comma 11, legge n. 189 del 2002).

Il fenomeno, quindi, deve essere affrontato nella sua complessità e non solo con lo sguardo rivolto al semplice dato nazionale perché in questo modo verrebbero poste solo le basi di un sicuro fallimento con risvolti tutti negativi.

giovedì 13 novembre 2008

Stabilizzazioni nel pubblico impiego. Le novità di Brunetta



di Antonio Maglietta - 13 novembre 2008
maglietta@ragionpolitica.it

Secondo l'ultimo conto annuale della Ragioneria Generale dello Stato, relativo al 2007, il numero dei dipendenti pubblici in Italia è pari ad un totale di 3.572.746. Rispetto agli anni precedenti si registra un calo sul totale degli impiegati pubblici: -0,72% rispetto al 2005 e -1,19% rispetto al 2006. Diminuiscono i lavoratori con contratto a tempo indeterminato (-0,68% rispetto al 2005 e -0,35% rispetto al 2006) e di contro aumentano quelli con contratto flessibile (116.804 nel 2007: +7,81% rispetto al 2005 e + 2,48% rispetto al 2006). Il personale stabilizzato nel 2007 (in base alla Finanziaria del governo Prodi), che nel conto annuale rientra nella voce «personale a tempo indeterminato» ed in parte in quella «lavoratori dipendenti con contratti flessibili», è pari a 10.982 unità. Poco rispetto alle enormi aspettative alimentate irresponsabilmente dalla propaganda di sinistra che - è bene ricordare - voleva far credere all'opinione pubblica che l'intervento normativo, come una bacchetta magica, avrebbe posto fine al precariato nel pubblico impiego.

Oggi, purtroppo, quella stessa propaganda attacca l'ottimo ministro Brunetta, reo di aver previsto solamente un anticipo di sei mesi del termine entro il quale procedere con le stabilizzazioni; termine che è stato posto proprio dal governo di centrosinistra. «Il ministro Brunetta nega il licenziamento di 60 mila lavoratori, definendo la nostra "cattiva e fuorviante informazione", ma il Ddl 1167, ora in discussione al Senato, è chiaro: le amministrazioni pubbliche, dal prossimo 30 giugno, dovranno fare a meno di 60 mila lavoratori precari», ha dichiarato il responsabile del dipartimento dei Settori Pubblici della Cgil Nazionale, Michele Gentile. Fa bene Brunetta a definirla «cattiva e fuorviante informazione». Infatti il predecessore di Brunetta, l'ex ministro Nicolais, nella direttiva n. 5/2008, aveva prima candidamente ammesso il pasticcio fatto con la questione delle stabilizzazioni («Le disposizioni speciali in materia di "stabilizzazione" dettate dalla legge 26 dicembre 2006, n. 296 - legge finanziaria 2007 - derogando al principio costituzionale del concorso pubblico come modalità di accesso all'impiego nelle pubbliche amministrazioni, hanno segnato significativamente la normativa sul reclutamento ordinario del personale nelle amministrazioni pubbliche») e poi, a pagina 4, aveva chiarito che «la normativa in argomento ha carattere transitorio ed eccezionale». E' stato il governo di centrosinistra, con le sue Finanziarie, a circoscrivere agli anni 2008 e 2009 la possibilità di ammettere alle procedure di stabilizzazione il personale in possesso dei requisiti prescritti dalla legge. Senza contare, poi, che lo stesso governo ha coperto l'intervento con una somma risibile e comunque inadeguata rispetto all'impegno preso.

Cosa ha fatto, invece, il ministro Brunetta? Il disegno di legge citato dall'esponente della Cgil, grazie ad alcuni emendamenti inseriti nel passaggio del testo alla commissione Lavoro della Camera, prevede l'avvio di un monitoraggio capillare su tutte le tipologie di contratto a tempo determinato vigenti e le relative modalità di assunzione adottate dalle singole amministrazioni, nonché sul numero di vincitori di concorso in attesa di assunzione. Le amministrazioni, inoltre, dovranno comunicare al Dipartimento della Funzione Pubblica tali dati entro il mese di maggio (art. 7, comma 7 del ddl 1167 in discussione al Senato). Una eccellente disposizione, che va a sanare un grave errore commesso dal governo di centrosinistra, che aveva fatto la norma senza sapere nel dettaglio il numero dei possibili beneficiari (il personale con i requisiti di legge) e di coloro i quali rischiavano di essere scavalcati ed ulteriormente penalizzati (i vincitori di concorso in attesa di assunzione che, grazie ad un emendamento dell'onorevole Simone Baldelli inserito nel passaggio del testo in questione alla Camera, avranno priorità per l'assunzione rispetto al personale assunto a tempo determinato). Infatti, nel corso dell'audizione del 30 maggio 2007, l'allora ministro Nicolais, nell'ambito dei lavori della XI Commissione della Camera «Sulle cause e le dimensioni del precariato nel mondo del lavoro», a precisa domanda, aveva risposto: «Il numero è difficile da definire, innanzitutto perché non tutti intendono il precariato allo stesso modo: molti si considerano precari all'interno della pubblica amministrazione anche se, ad esempio, hanno avuto un contratto a progetto di un anno».

Insomma, il centrosinistra, con le sue norme pasticciate, ha solo irresponsabilmente stabilizzato le aspettative dei precari, e non il loro posto di lavoro, e creato il caos nelle modalità di accesso al pubblico impiego, calpestando, tra le altre cose, su sua stessa indiretta ammissione certificata dalla citata direttiva n. 5/2008, l'articolo 97 della Costituzione, il quale recita chiaramente: «Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge».

mercoledì 12 novembre 2008

In ricordo dei caduti di Nassiriya

ON. GIANFRANCO PAGLIA (intervento nell’Aula della Camera dei Deputati a nome del gruppo del Popolo della Libertà ): Signor Presidente, ricordare non è mai facile, è molto più semplice dimenticare. Noi tutti, però, non possiamo dimenticare, abbiamo il dovere di ricordare chi giura fedeltà alla patria. Tale giuramento è sinonimo di lealtà, di onore, di sacrificio e di amor di patria e noi tutti abbiamo il dovere di ricordare chi, in quel giuramento, crede ed è pronto a sacrificare la propria vita, sempre e comunque. Per fare ciò bisogna essere uniti nel ricordo perché, a mio avviso, è solo grazie al nostro ricordo che la memoria dei nostri caduti rimarrà sempre viva in tutti noi. Abbiamo quindi un dovere che è quello di non dimenticare.
È importante dimostrarci uniti quando si parla di Forze armate anche perché i nostri soldati, indipendentemente dalle rispettive ideologie, fanno il proprio dovere, sempre e comunque, e noi dobbiamo dimostrarci uniti per contrastare la convinzione di chi crede che mettendo bombe, facendo saltare in aria i nostri soldati ci possa indebolire. Dobbiamo dimostrare invece, che siamo uniti come lo sono i nostri soldati che fanno il proprio dovere, sempre e comunque, fino all'estremo sacrificio.
Allora, signor Presidente rivolgo una richiesta a lei personalmente. Ieri, qualche collega della maggioranza ha pensato di proporre al Governo di istituire il 12 novembre una giornata per il ricordo, non solo per i caduti in Nassirya, ma per tutti. Ritengo che questa richiesta non debba partire, né dalla maggioranza né dall'opposizione ma da lei, signor Presidente della Camera, terza carica dello Stato anche perché la conosco, conosco la sua integrità e so che lei crede a certi valori.
Abbiamo il dovere di fare tutto ciò, perché ritengo che chi parte in missione con un ideale leale, pulito, debba farlo con la consapevolezza che, rientrando in Italia in una bara avvolta dal tricolore, non debba mai essere dimenticato, mai.

lunedì 10 novembre 2008

Sindacati e immigrazione



di Antonio Maglietta - 8 novembre 2008
maglietta@ragionpolitica.it

«La legge Bossi-Fini è moralmente e socialmente una schifezza». Così si è espresso mercoledì il leader della Cgil, Guglielmo Epifani, a Roma, dal palco dell'assemblea dei quadri e dei delegati sull'attuale legge sull'immigrazione. «Chi ti ha aiutato in anni buoni paga due volte per la crisi perché perde il lavoro ed è costretto a tornare a casa», ha aggiunto, ribadendo la richiesta del sindacato di «sospendere per due anni, per il tempo necessario a che passi la bufera, la legge Bossi-Fini». Insomma, Epifani ha insistito con la sua proposta e l'ha inquadrata in un pacchetto di richieste da fare al governo: riduzione del prelievo fiscale sui salari e sulle pensioni nel prossimo biennio, immediata agevolazione nella ricontrattazione dei mutui, utilizzo delle risorse destinate alla detassazione degli straordinari sul fronte del lavoro precario ed infine, appunto, congelamento della legge Bossi-Fini per due anni.

Ma perché tutta questa agitazione sull'immigrazione? Secondo il Dossier Statistico Immigrazione Caritas-Migrantes 2008 gli stranieri iscritti ai sindacati confederali sono 814.311, ossia il 5% del totale degli iscritti ed il 12% degli iscritti attivi (senza cioè tenere conto dei pensionati). Nel 2003 i sindacati confederali contavano 334.000 iscritti stranieri (131.000 la Cgil, 128.000 la Cisl e 75.000 la Uil) e questo vuol dire che nell'arco di soli 5 anni l'incidenza degli stranieri sul totale degli iscritti è più che raddoppiata.

Quanti soldi portano gli stranieri nelle casse della «Triplice»? Il tema è scivoloso: non può essere data una informazione certa visto che, come tutti sappiamo, i sindacati non sono tenuti a rendere pubblici i propri bilanci. Tuttavia, contando trattenute sindacali e attività di Caaf e Patronati rimborsate dallo Stato, secondo una inchiesta fatta da Stranieri in Italia (importante ed autorevole casa editrice specializzata in prodotti e servizi editoriali per gli stranieri residenti in Italia), nel 2005 i sindacati confederali avrebbero incassato circa 55 milioni di euro grazie agli iscritti immigrati, contando però su una platea di 334.000 persone. Visto che, secondo gli ultimi dati ufficiali, le iscrizioni degli stranieri alla «Triplice» sono più che raddoppiate rispetto a quelle su cui si basava il calcolo fatto da Stranieri in Italia, il flusso di denaro oggi dovrebbe superare ampiamente i 100 milioni di euro all'anno. C'è da segnalare, tuttavia, che la citata inchiesta del 2005 portò ad una replica dei sindacati e ad una controreplica di Stranieri in Italia.

Ma non c'è, ovviamente, solo il tema degli introiti a giustificare il sempre maggior peso delle tematiche relative all'immigrazione nell'ambito delle iniziative sindacali. Un'altra questione di fondo è data dal fatto che gli immigrati potrebbero rappresentare per i confederali, vista la loro presenza sempre più massiccia nella società italiana e la loro crescente incidenza negli iscritti ai sindacati, una risorsa su cui investire per le future lotte di piazza, per continuare ad avere visibilità e potere di incidere sulle dinamiche relative allo sviluppo del paese. Non a caso, in uno studio redatto da Franco Bentivogli e Maria Immacolata Macioti, pubblicato sul sito della Uil, si segnalava che «naturalmente questa accresciuta presenza pone anche problemi nuovi al sindacato, sia sul piano organizzativo, per quanto riguarda le risorse, sia su quello politico, per quanto riguarda la composizione delle rappresentanze e le modalità di formazione della decisioni».

mercoledì 5 novembre 2008

Sinistra di nuovo all'attacco della Bossi-Fini



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

In una intervista rilasciata al Corriere della Sera il leader della Cgil, Guglielmo Epifani, ha proposto il congelamento della Bossi-Fini per due anni: «Nessuno si chiede che cosa succede ai lavoratori stranieri nel momento in cui perdono il lavoro. Sono quattro milioni, sono stati assunti per fare lavori che nessuno avrebbe fatto, e producono il 10% del reddito nazionale. In base alle norme attuali perderebbero, insieme al lavoro, anche il titolo per restare in Italia. Siccome sono persone che hanno lavorato, e lavorato bene, non avrebbe alcun senso mandarle via per poi richiamarle quando l'economia dovesse riprendere. Né per loro né per il nostro paese. Allora la Cgil proporrà di sospendere l'efficacia della legge Bossi-Fini per due anni, allo scopo di consentire a queste persone di trovare una nuova occupazione». Quanti si troverebbero in questa condizione? «Sicuramente decine di migliaia».

Innanzitutto Epifani sbaglia quando chiede a testa bassa una sospensione della legge e non alcune modifiche migliorative. Parte con il piede sbagliato perché il suo intento sembra più quello di voler attaccare l'intero impianto normativo in tema di immigrazione e non, invece, rilevare alcune sue criticità per arrivare ad un miglioramento del testo. Pensiamo al caos prodotto dal vuoto normativo e soprattutto al messaggio sbagliato che arriverebbe fuori dai nostri confini qualora la richiesta di Epifani venisse accolta. Ricordiamo, a riguardo, che già la Corte di Cassazione aveva di recente rimarcato l'esigenza di evitare che l'Italia fosse considerata il «ventre molle dell'immigrazione clandestina» e di tutelare, con la linea dura alle nostre frontiere, anche «gli altri Stati dell'Unione Europea» (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 8 febbraio 2008, n. 6398).

Guardiamo poi al merito della questione. L'impianto della Bossi-Fini si regge sul collegamento tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro. Lo scorso anno, nel corso di una audizione presso la Commissione agricoltura della Camera, l'allora ministro del Lavoro del governo di centrosinistra, Cesare Damiano, aveva criticato la legge proprio su questo punto: «Sarebbe assai utile, a mio avviso, una revisione della legge Bossi-Fini per quanto attiene al troppo stretto legame tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro. Ciò infatti non riduce ma anzi aumenta l'immigrazione clandestina, facendo apparire come irregolare anche chi, sostanzialmente, tale non è... Lo stesso "decreto flussi" si è dimostrato un sistema troppo vincolante».

Tuttavia è dai tempi del Consiglio Europeo di Tampere dell'ottobre 1999 che si mira a lanciare in ambito europeo una discussione approfondita proprio sull'immigrazione per cause economiche. Nel Libro Verde della Commissione Europea del 2005 «Sull'approccio dell'Unione Europea alla gestione della migrazione economica» si segnalava che «la Commissione ritiene che l'ammissione dei migranti per motivi economici sia la pietra miliare della politica in materia di immigrazione e che sia pertanto necessario affrontarla a livello europeo nel quadro di una progressiva evoluzione di una coerente politica comunitaria dell'immigrazione». Ma, soprattutto, si prendeva atto che «nella maggioranza degli Stati membri i cittadini di paesi terzi devono essere già in possesso di un permesso di lavoro prima che la loro domanda di permesso di soggiorno possa essere esaminata». Questo vuol dire che il venir meno di quel legame non farebbe altro che allontanarci dall'Europa. E quale sarebbe poi l'alternativa? L'impianto proposto dal centrosinistra con il disegno di legge a firma Amato-Ferrero, presentato nella scorsa legislatura, con l'istituto della «sponsorizzazione» (ossia garanti pubblici e privati per gli immigrati che vengono sul nostro territorio per motivi di lavoro pur non avendo un contratto) e quello dell'«autosponsorizzazione» (immigrati che vengono in Italia per motivi di lavoro senza avere un contratto ma in possesso di adeguate risorse finanziarie)? In pratica, l'alternativa alla legge Bossi-Fini sarebbe o il caos prodotto dal vuoto normativo oppure due strumenti giuridici in grado di trasformare involontariamente l'Italia nella più grande lavanderia mondiale del denaro sporco e nella direttrice preferita per la tratta degli esseri umani.

Insomma, una cosa è cercare di trovare nuove forme per meglio integrare chi già lavora in Italia, evitando che la leva dell'immigrazione venga sfruttata per un cinico gioco al ribasso dei salari e della qualità del lavoro nel mercato, e tutt'altra è parlare di sospensione della legge.

venerdì 31 ottobre 2008

I flussi migratori e l'impatto sul welfare state



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

«Gli immigrati regolari in Italia sono tra i 3,5 e i 4 milioni. Lo dice il XVIII rapporto sull'immigrazione della Caritas/Migrantes, facendo notare anche che nel 2007 il numero è cresciuto di diverse centinaia di migliaia rispetto all'anno precedente (dato peraltro confermato dall'Istat ) -. Più di 2 milioni (62,5%) sono al Nord, circa 1 milione (25%) al Centro e quasi mezzo milione (12,5%) al Sud.

Le regioni con il maggior numero di immigrati stranieri sono Lombardia (815.000 residenti e circa 910.000 presenze regolari) e Lazio (391.000 residenti e 423.000 presenze regolari). La presenza straniera è in media di 1 ogni 15 residenti, 1 ogni 15 studenti, quasi 1 ogni 10 lavoratori occupati. Su 1/10 dei matrimoni celebrati in Italia è coinvolto un partner straniero (24.020 matrimoni su 245.992 totali), così come 1/10 delle nuove nascite va attribuito a entrambi i genitori stranieri. Gli immigrati sono una popolazione giovane: l'80% ha meno di 45 anni, mentre sono pochi quelli che superano i 55; 800.000 di loro sono minori, più di 600.000 studenti, più di 450.000 persone nate sul posto. Concorrono per il 9% alla creazione del Pil, coprono abbondantemente le spese sostenute per i servizi e l'assistenza con 3,7 miliardi di euro utilizzati come gettito fiscale (secondo la stima Dossier). Insomma, sono una presenza significativa e producono ricchezza. Si legge nel rapporto: «Tra gli italiani e gli immigrati la connessione sta diventando sempre più stretta, gli uni non possono andare avanti senza gli altri, sebbene accanto a innegabili vantaggi si pongano anche problemi da superare. Conviene soffermarsi su tre aspetti, che attestano l'esistenza di legami sempre più forti e mostrano quanto non sia ragionevole ipotizzare una netta «separazione» tra popolazione italiana e popolazione immigrata». Cadono, semmai ci fosse ancora bisogno di fatti e non chiacchiere campate per aria, tutte quelle accuse scomposte da parte della sinistra che paventava in maniera irresponsabile una sorta di deriva razzista nel nostro Paese.

Si legge ancora nel Rapporto: «Le denunce presentate contro cittadini stranieri da 89.390 nel 2001 sono diventate 130.458 nel 2005, su un totale di 550.990 (ultimo dato Istat disponibile). L'aumento complessivo delle denunce nel quinquennio è stato del 45,9% e nello stesso periodo l'incidenza della criminalità straniera (regolare e non) è passata dal 17,4% al 23,7%, mentre la presenza straniera regolare è raddoppiata (da 1.334.889 a 2.670.514 residenti stranieri). Solitamente si afferma che gli stranieri abbiano un più alto tasso di delinquenza degli italiani, senza tenere conto che la "popolazione straniera" coinvolta nelle denunce include anche gli immigrati irregolari e le persone di passaggio, dai turisti agli uomini d'affari, non quantificabili con esattezza».

Già il Rapporto sulla criminalità dal Ministero dell'Interno segnalava che «nel complesso gli stranieri regolari denunciati sono stati nel 2006 quasi il 6% del totale dei denunciati in Italia. E gli stranieri regolari sono meno del 5% della popolazione residente. (...) Del resto la quota di stranieri regolari denunciati sul totale degli stranieri regolari in Italia si ferma al 2% circa». E' chiaro, quindi, che il nodo da sciogliere in tema di sicurezza e quello sull'ingresso e la permanenza regolare degli stranieri nel nostro paese: gli immigrati sono una ricchezza se vengono rispettate le regole.

Ma quello che l'interessante dossier non dice è che un Paese, che ha a cuore il suo futuro, non può perseguire la politica del porte aperte per tutti e dell'assistenzialismo indiscriminato. Pena la crescita della paura e della diffidenza nei confronti dello straniero, con tutto il carico negativo che questo porta, soprattutto con una crisi economica sul groppone che complica e non poco la situazione. Intervenire sui flussi, in maniera che gli ingressi siano modulati in base alle reali forze di un Paese in tema accoglienza (cosa che non comporta solo la valutazione delle richieste da parte dei datori di lavoro ma anche il tipo di impatto sul nostro walfere state) sembra essere l'unica strada perseguibile se si vuole evitare di alimentare pericolose tensioni sociali.

lunedì 27 ottobre 2008

Sì al lavoro qualificato, no allo sfruttamento dei clandestini



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

Possono arrivare fino a 10.000 dollari le «tariffe» per il trasporto in Italia degli immigrati clandestini da parte delle organizzazioni criminali. A fornire le cifre è stato il sottosegretario all'Interno, Alfredo Mantovano, nel corso del convegno Le schiavitù del XXI secolo: tratta degli esseri umani e lavoro forzato, organizzato dall'Unione forense per la tutela dei diritti dell'uomo. «Solo nell'ultimo tratto, cioè tra il Nord Africa e le coste europee, ad esempio Lampedusa, le tariffe - ha detto Mantovano - si aggirano sui 1.000-1.200 dollari. Dalla Cina si arriva a 8.000, 10.000 dollari». Un imponente giro d'affari, col quale le organizzazioni criminali sfruttano i clandestini, «spesso costretti al lavoro nero, alla prostituzione o all'accattonaggio solo per ripagarsi il debito contratto». «E' un dato acquisito - ha aggiunto il sottosegretario - il collegamento tra la tratta di esseri umani e i flussi di clandestini: i confini sono labili». E in un quadro di lotta a questi fenomeni, anche le ordinanze dei sindaci in tema di sicurezza, se «non sono la bacchetta magica, rappresentano un tassello non secondario, un contributo non privo di risultati concreti, perché impongono agli sfruttatori di cambiare strategia». E' proprio questo il punto. Non ci sono bacchette magiche ed occorrono azioni di buon senso che siano di lungo respiro.

Se c'è immigrazione clandestina vuol dire anche che vi sono una domanda ed una offerta di lavoro nero relativo alle basse qualifiche professionali. Gli immigrati non possono essere visti solo come manodopera a basso costo, utile soltanto per alcuni datori di lavoro senza scrupoli, che se ne servono per rimanere competitivi sul mercato globale e che si disinteressano totalmente dei costi sociali di questa operazione - costi che si riversano sugli stessi immigrati, ma anche sui cittadini. Questa via non può essere perseguita, oltre che per questioni di carattere umano, anche perché essa impoverisce il tessuto produttivo del paese, che invece dovrebbe puntare con decisione sull'innovazione tecnologica e la formazione professionale. Nel nostro paese dobbiamo creare le condizioni per uno sviluppo produttivo sostenibile nel lungo periodo e non riprodurre entro i nostri confini delle enclavi di sfruttamento del lavoro nero che certo non fanno parte del bagaglio culturale di un paese civile. Il governo, sia con il pacchetto sicurezza che con gli interventi per liberare il mercato del lavoro dall'opprimente burocrazia, s'è adoperato in maniera concreta, dimostrando di voler percorrere la strada dello sviluppo virtuoso del nostro sistema produttivo.

Ma anche dall'Europa arrivano notizie positive, che fanno ben sperare per il futuro. I rappresentanti permanenti dei ventisette Stati membri dell'Unione Europea hanno trovato un'intesa sulla blue card, quella che nelle intenzioni della Commissione Ue dovrebbe essere la risposta alla green card Usa per attirare lavoratori stranieri altamente qualificati nel Vecchio Continente. La direttiva dovrebbe avere il via libera finale nella riunione dei ministri degli Interni Ue di novembre.

Il segnale che viene dal governo e dall'Europa è molto positivo: c'è l'intenzione politica di voler intraprendere la via del lavoro qualificato come strumento per rispondere alle sfide dettate dal mercato globale in tema di competitività, anziché quella dello sfruttamento della manodopera a basso costo (e spesso e volentieri in nero) dei cittadini-lavoratori e degli extracomunitari. Il lavoro qualificato rappresenta il modello ideale per aumentare la produttività dei lavoratori, perché punta sullo sviluppo delle capacità professionali, attraverso il continuo aggiornamento delle proprie conoscenze, su un giusto salario, sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, su una corretta informazione dei lavoratori sui pericoli del proprio impiego.

lunedì 13 ottobre 2008

Aumento record degli stranieri sotto il governo di centrosinistra



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

I cittadini stranieri residenti in Italia al 1° gennaio 2008 sono 3.432.651; rispetto al 1° gennaio 2007 sono aumentati di 493.729 unità (+16,8%). Si tratta dell'incremento più elevato mai registrato nel corso della storia dell'immigrazione nel nostro Paese, da imputare al forte aumento degli immigrati di cittadinanza rumena che sono cresciuti nell'ultimo anno di 283.078 unità (+82,7%). Lo ha reso noto mercoledì scorso l'Istat. Complessivamente i paesi europei contribuiscono con un aumento di 391.000 persone (79,3% dell'incremento totale). In particolare, l'incremento registrato nel corso del 2007 è dovuto ai «Paesi Ue di nuova adesione» i cui residenti sono aumentati di 319.000 unità. Sono i cittadini rumeni i principali responsabili di questo incremento, essendo passati, nel corso del 2007, da 342.000 a 625.000 residenti, arrivando quasi a raddoppiare la loro presenza nel nostro paese. Il restante 20,7 % dell'incremento, pari a 102.000 persone, è dovuto invece all'aumento dei cittadini provenienti dai paesi extra-europei.

Anche in Italia sono sempre più numerosi gli stranieri che diventano italiani «per acquisizione di cittadinanza». In base ai dati del Ministero dell'Interno e della rilevazione sulla popolazione straniera residente dell'Istat, si stima che fino al 2007 un totale di 261.000 cittadini stranieri hanno ottenuto la cittadinanza italiana (ad esempio in Francia nel solo biennio 2005-2006 sono state concesse complessivamente 303.000 cittadinanze). Il ministro dell'Interno Roberto Maroni, intervenendo giovedì in Aula alla Camera per le comunicazioni urgenti del governo sugli ultimi episodi di violenza a carico di cittadini stranieri, ha reso noto che: «Nel 2003 erano 27.093 nel 2007 sono state 46.518». Secondo l'Istat, la maggior parte delle acquisizioni avviene ancora oggi per matrimonio mentre sono limitate, rispetto alla platea dei potenziali beneficiari (circa 630.000 persone), quelle per naturalizzazione (che prevede il requisito essenziale della residenza decennale). In particolare, ha sottolineato Maroni, nel periodo 2003-2007 «c'è stato un 17% in più di richieste di cittadinanza per matrimonio e un 173% in più di richieste per motivi di residenza». Nel 2003 le richieste accolte sono state 13.443, nel 2007 38.466 con «un incremento del 171% di conferimenti per motivi di matrimonio e del 195% per motivi di residenza». I dati, secondo il ministro, sottolineano che «l'Italia non è un Paese razzista». Il ministro ha difeso anche l'operato del governo in materia di politiche d'integrazione e quello delle forze dell'ordine nel controllo delle attività criminali. «L'analisi dei dati statistici, dei comportamenti delle forze dell'ordine, delle politiche d'integrazione - ha detto Maroni - attesta che l'Italia manifesta un'elevata capacità di accoglienza degli immigrati: alcuni episodi di violenza che si sono verificati negli ultimi tempi restano del tutto marginali e sono socialmente rifiutati». «Al contrario di quanto affermano taluni in maniera strumentale e non documentata, l'esame dei dati in possesso del Ministero dell'Interno relativi agli ultimi 4 anni - ha aggiunto - dimostra per il 2008 un'inversione di tendenza del numero degli atti di violenza ispirati alla discriminazione e all'intolleranza. Numero di episodi che invece nel triennio 2005-2007 aveva registrato un progressivo aumento».

Quando la sinistra strumentalizza a fini politici alcuni brutti e isolati episodi di violenza contro gli stranieri residenti nel nostro Paese, paventando una deriva razzista ed attribuendo la colpa di tutto questo alle politiche del governo, non solo palesa la mancanza di idee alternative a quelle del centrodestra ma, soprattutto, arreca un danno alla pacifica convivenza civile perché cerca in tutti i modi di alzare il livello dello scontro. Non hanno ancora capito che quello che serve sono i pompieri intelligenti e non gli incendiari barricaderi anche perché, con 30.000 clandestini arrivati nel nostro Paese solo nel 2008, serve un giusto equilibrio tra rigore e accoglienza se non si vuole stimolare irresponsabilmente il clima di tensione nel Paese. La politica del governo di centrosinistra, in quest'ottica, rischiava di mettere realmente fuoco alle polveri con il lassismo dimostrato sul fronte della sicurezza ed il parallelo attivismo nel cercare in tutti i modi di aprire in maniera indiscriminata le nostre frontiere. Quindi se ora il Governo di centrodestra agisce con rigore in materia è solo perché chi c'era prima si è dimostrato lassista.

giovedì 9 ottobre 2008

Lavoro. Dal Pd accuse grottesche al governo



di Antonio Maglietta – 9 ottobre 2008
maglietta@ragionpolitica.it

Secondo l’ex ministro del lavoro del governo Prodi, Cesare Damiano, il governo starebbe mettendo in atto ''una vera e propria controriforma'' contro il mondo del lavoro. Damiano e Giuseppe Berretta, in una conferenza stampa svoltasi martedì a Montecitorio, hanno puntato il dito in particolare contro il ddl sul lavoro del governo collegato alla Finanziaria (A.C. 1441 – quater – A) che modifica il processo del lavoro, e che, secondo i due esponenti del Pd, andrebbe a danno dei lavoratori ''che dovranno affrontare una procedura molto più complessa e farraginosa'' per far valere i propri diritti. ''E' poi in atto, sempre da parte del governo - prosegue Berretta - il tentativo di limitare i poteri del giudice. Si toglie anche il tentativo di conciliazione obbligatorio e si favorirà il ricorso all'arbitrato che è una giustizia privata a pagamento''. Bene hanno fatto Stefano Saglia e Giuliano Cazzola, rispettivamente presidente e vicepresidente della commissione lavoro della Camera (Cazzola è anche il relatore del provvedimento), a ribattere alle accuse grottesche degli esponenti del Partito Democratico: ''i provvedimenti del governo non hanno ridotto le tutele per i lavoratori, ma prevedono misure di semplificazione e di deregolazione del rapporto di lavoro, liberando le imprese e i lavoratori da vincoli ed adempimenti burocratici e formali predisposti dal precedente governo, in conseguenza di un pregiudizio nei confronti del sistema produttivo''.
Tralasciando la falsità secondo cui si toglie anche il tentativo obbligatorio di conciliazione, visto che all’art. 66, comma 1, del testo uscito dalla commissione lavoro è scritto testualmente: “Ferma restando l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione” (A.C. 1441-quater-A; pag. 32), è paradossale che gli esponenti del Pd attacchino a testa bassa l’arbitrato, un istituto giuridico che offre oggettivi vantaggi in termini di speditezza (con regole chiare e semplici) nella risoluzione delle controversie e che permette di evitare il ricorso al giudice del lavoro, con conseguente risparmio di tempo e soldi. In pratica il Governo, con il ddl sul lavoro collegato alla Finanziaria, è intervenuto per allargare le maglie della conciliazione e dell’arbitrato, riformare alcuni poteri dei giudici nel processo del lavoro, con l’obiettivo di ridurre il contenzioso giudiziale e dare così piena e veloce soddisfazione alle parti, soprattutto ai lavoratori che spesso vedevano deluse le loro aspettative a causa delle lungaggini processuali (senza contare il denaro speso). Si parla spesso, poi, del gravoso problema dell’appesantimento della macchina giudiziaria civile ed ora che il governo ha cercato di dare ai lavoratori degli strumenti (facoltativi) alternativi al ricorso al tribunale, per risolvere le loro controversie lavorative, il Pd grida allo scandalo? E di quale giustizia a pagamento parla Berretta, facendo intendere che il ricorso alla conciliazione e all’arbitrato sarebbe roba da ricchi? Vediamo per grandi linee di cosa si tratta e come funziona. Le commissione di conciliazione è istituita presso la direzione provinciale del lavoro. E’ composta dal direttore dell’ufficio stesso o da un suo delegato o da un magistrato collocato a riposo, in qualità di presidente, da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei datori di lavoro e da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei lavoratori, designati dalle rispettive organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. La richiesta del tentativo di conciliazione, sottoscritta dall’istante, deve essere consegnata o spedita mediante raccomandata con avviso di ricevimento. Copia della richiesta del tentativo di conciliazione deve essere consegnata o spedita con raccomandata con ricevuta di ritorno a cura della stessa parte istante alla controparte. Dinanzi alla commissione il lavoratore può farsi rappresentare o assistere anche da un’organizzazione cui aderisce o conferisce mandato. In qualunque fase del tentativo di conciliazione, o al suo termine in caso di mancata riuscita, le parti possono indicare la soluzione anche parziale sulla quale concordano, riconoscendo, quando è possibile, il credito che spetta al lavoratore, e possono accordarsi per la risoluzione della lite, affidando alla commissione di conciliazione il mandato a risolvere in via arbitrale la controversia. Il lodo emanato a conclusione dell’arbitrato, sottoscritto dagli arbitri e autenticato, produce tra le parti gli effetti di cui all’articolo 1372 e all’articolo 2113, quarto comma, del codice civile e ha efficacia di titolo esecutivo ai sensi dell’articolo 474 del codice a seguito del provvedimento del giudice su istanza della parte interessata ai sensi dell’articolo 825.
Per Berretta e Damiano è meglio ricorrere al giudice del lavoro, e perdersi in lungaggini processuali e soldi spesi per gli avvocati, oppure tentare la via della conciliazione e dell’arbitrato ed avere tempi certi per la risoluzione della controversia al costo di una raccomandata con ricevuta di ritorno?

martedì 30 settembre 2008

Il Pd attacca il Governo, ma sbaglia mira



di Antonio Maglietta – 30 settembre
maglietta@ragionpolitica.it

Lunedì l’Istat ha reso noto alcuni dati relativi al mercato del lavoro. Nel secondo trimestre 2008 il numero di occupati è risultato pari a 23.581.000 unità, manifestando un aumento su base annua dell’1,2 per cento (+283.000 unità), soprattutto grazie alla forza lavoro straniera. Nello stesso periodo, il numero delle persone in cerca di occupazione è nuovamente aumentato portandosi a 1.704.000 unità (+291.000 unità, pari al +20,6 per cento, rispetto al secondo trimestre 2007).
Il tasso di disoccupazione è aumentato di un punto percentuale rispetto ad un anno prima, posizionandosi al 6,7 per cento. In pratica aumentano sia gli occupati che i disoccupati. Un dato interessante che può essere spiegato con la diminuzione del numero degli inattivi, e cioè coloro che pur essendo in età da lavoro non cercano una occupazione. Si legge, infatti, nel testo dell’Istat: “Nel secondo trimestre 2008 il numero di inattivi in età compresa tra 15 e 64 anni è sceso nel Mezzogiorno (-1,8 per cento, pari a -117.000 unità) e in misura ancora più evidente nel Nord (-2,4 per cento, pari a -129.000 unità). Nel Centro il calo degli inattivi è stato più contenuto (-1,4 per cento, pari a -35.000 unità) e dovuto alla sola componente femminile”. La crescita occupazionale, invece, è dovuta soprattutto all’exploit registrato dal lavoro a tempo parziale (+ 10 per cento, mentre quello a tempo peno registra – 0,2 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno).
Insomma, come è possibile notare, i dati diffusi dall’Istat devono essere attentamente valutati nella loro complessità. Tuttavia, nella gara aperta da Veltroni dalle colonne del Corriere della Sera a chi la spara più grossa contro il governo e la sua maggioranza, due esponenti di spicco del Pd, Dario Franceschini e Cesare Damiano, hanno dato fondo a tutta la loro fantasia usando in maniera distorta i citati dati dell’Istituto nazionale di statistica.
Franceschini: “Dopo cinque mesi di governo, i risultati sono questi: l'inflazione è ai livelli più alti dal 1996; Confindustria lancia l'allarme perché il Paese è in piena recessione; l'Istat certifica, proprio questa mattina (lunedì 29/09/2008), 291 mila disoccupati in più rispetto allo scorso anno”.
Damiano: Il dato relativo agli occupati, pur essendo in aumento, rallenta nella crescita rispetto alla situazione precedente ed incorpora i lavoratori stranieri neocomunitari. A questo dato fa purtroppo riscontro la crescita dei lavoratori in cerca di occupazione che si portano a 1.703.000. Si tratta del peggiore risultato da due anni a questa parte. Il dato è costituito, oltreché dall'aumento degli inattivi, dall'incremento di coloro che avevano una occupazione. Si sentono i primi segnali che derivano dalla stagnazione dell'economia, dall'aumento delle situazioni di crisi e dal rallentamento delle politiche di stabilizzazione voluto dal governo”.
E vada per la crisi economica ma, se il rilevamento Istat fa riferimento al periodo intercorrente tra il 31 marzo ed il 29 giugno del corrente anno (con comparazione dei dati rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente), cosa c’entra il governo Berlusconi che è entrato in carica solo l’8 maggio? L’impressione è che la voglia di attaccare a tutti i costi l’esecutivo di centrodestra e la sua maggioranza, per non dare l’impressione che l’unica opposizione sia quella di Di Pietro, annebbi la vista e la capacità di analisi del vice di Veltroni e del ministro ombra del lavoro del Pd. Lo stesso Damiano, tra le altre cose, boccia il suo stesso operato perché afferma che il dato delle persone in cerca di occupazione è il peggiore degli ultimi due anni senza ricordare che fino al 6 maggio di quest’anno è stato lui il ministro del lavoro.
Google