sabato 29 marzo 2008

Le bufale del governo Prodi



di Antonio Maglietta - 29 marzo 2008

Martedì la Commissione europea ha chiesto d'urgenza informazioni alle autorità italiane sulla possibile contaminazione da diossina delle mozzarelle di bufala, precisando che qualsiasi azione comunitaria potrà arrivare solo dopo precisi rilievi scientifici. Purtroppo le informazioni che il governo italiano ha inviato mercoledì sera alla Commissione sono state giudicate «incomplete» dagli esperti comunitari ed è stata quindi inviata una lettera alle autorità italiane che impone di inviare a Bruxelles tutte le informazioni necessarie richieste entro le ore 18 di giovedì. Nina Papadoulaki, portavoce del commissario alla Sanità, ha spiegato che le informazioni inviate da Roma «sono molto lacunose» e che entro giovedì sera «ci attendiamo dati più precisi sul blocco degli stabilimenti nei quali sono state rilevate produzioni contaminate, sulla esatta distribuzione di mozzarelle contaminate, sul richiamo di tutto il materiale non sano e sui sistemi adottati per verificare che i caseifici rispettino le norme comunitarie». Papadoulaki ha spiegato anche che la Commissione ha chiesto all'Italia «quali misure effettive sono già state prese per garantire che tutta la produzione di mozzarella rispetti le normative sanitarie», in particolare sulle modalità adottate per prevenire la contaminazione da diossina.

Insomma, il centrosinistra al governo, non domo del disastro dei rifiuti in Campania, è riuscito nella mirabolante impresa di appannare ulteriormente il prestigio e l'immagine del nostro paese, rivelandosi incapace di gestire una situazione che rischia di penalizzare fortemente le vendite di uno dei prodotti di punta della nostra industria casearia che tutto il mondo ci invidia. Mercoledì la Coldiretti era stata molto dura sullo stato di disinformazione assoluta sulla vicenda della mozzarella di bufala, che rischia di far crollare la fiducia dei mercati nazionali ed internazionali verso il prodotto. Secondo l'associazione degli agricoltori, l'allarme diossina ha portato le vendite a precipitare anche del 60% e «le barriere commerciali nei confronti della mozzarella di bufala sono il primo effetto esplicito dei danni provocati a settori importanti dell'economia dai ritardi accumulati nell'affrontare l'emergenza rifiuti in Campania, alla quale vengono strumentalmente collegate». Sempre secondo la Coldiretti, oltre al danno, potrebbe arrivare anche la beffa, visto che sono circa due milioni le tonnellate di «falsa» mozzarella made in Italy prodotta nel mondo che rischiano di sostituire sugli scaffali di vendita il prodotto originale, danneggiato dalle restrizioni commerciali e dalla psicosi che si sta diffondendo a livello internazionale.

«Bisogna intervenire con prontezza», ha avvertito la Cia (Confederazione Italiana Agricoltori), per evitare che l'allarme diossina si allarghi a macchia d'olio provocando danni incalcolabili ai produttori di mozzarella di bufala (il cui fatturato annuo supera i 300 milioni di euro). La Confederazione ha giustamente chiesto un immediato vertice con i ministri delle Politiche Agricole, della Salute, delle Attività Produttive e del Commercio Estero e con i rappresentanti delle Regioni interessate, per l'avvio di una campagna d'informazione chiara e capillare, un'adeguata iniziativa diplomatica e rigore nei controlli.

Mercoledì scorso, anche il New York Times, nella sua edizioneonline, riprendendo una agenzia di stampa della Reuters, e l'International Herald Tribune, su un lancio dell'Associated Press, hanno dato risalto alla situazione della nostrana «buffalo mozzarella», conferendo un respiro internazionale alla triste vicenda di cui avremmo fatto volentieri a meno dopo l'incalcolabile danno di immagine subito dal nostro sistema-paese a causa della vicenda dei rifiuti in Campania.

Paolo De Castro, ministro delle Politiche Agricole, nel corso di una conferenza stampa indetta ad hoc, ha affermato: «Non abbiamo aspettato le 18 di oggi pomeriggio (giovedì 27 marzo, nda), c'è stato un ulteriore contatto con il ministero della Salute e con l'Unione europea e abbiamo già fornito all'Europa le risposte che ci chiedeva». Nel frattempo, Gian Paolo Patta, sottosegretario alla Salute, ha definito «ridicole» le richieste di ulteriori chiarimenti da parte di Bruxelles. Ma qui, a quanto pare, l'unica cosa che c'è di ridicolo è il governo Prodi e la maggioranza che lo sostiene (Partito Democratico e Sinistra Arcobaleno).

Antonio Maglietta

giovedì 27 marzo 2008

I pasticci di Prodi e Ferrero



Il Fondo per l'inclusione sociale degli immigrati è incostituzionale

di Antonio Maglietta - 26 marzo 2008

Il comma 1267 dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2006 (Finanziaria 2007) dispone l'istituzione, presso il ministero della Solidarietà Sociale, del Fondo per l'inclusione sociale degli immigrati, per il quale è stanziata la somma di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009. Il Fondo è altresì finalizzato alla realizzazione di un piano per l'accoglienza degli alunni stranieri, anche per favorire il rapporto scuola-famiglia, mediante l'utilizzo, per fini non didattici, di apposite figure professionali madrelingua quali mediatori culturali.

La Regione Veneto, nell'ambito di un ricorso alla Corte Costituzionale (iscritto al n. 10 del reg. ric. 2007) che ha toccato più di una norma della Finanziaria 2007, ha obiettato che il Fondo concerne materie che riguardano le politiche sociali di stretta competenza regionale e non statale, con la conseguente violazione degli articoli 117, quarto comma, 118 e 119 della Costituzione. In subordine, comunque, la Regione ha osservato che, tenuto conto delle possibili interferenze tra la suddetta materia e le materie diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea (articolo 117, secondo comma, lettera a) e immigrazione (articolo 117, secondo comma, lettera b), attribuite alla potestà esclusiva dello Stato, vi sarebbe in ogni caso la lesione del principio di leale collaborazione, come desumibile dagli articoli 5 e 120, secondo comma, della Costituzione, nonché dall'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001. La Regione Lombardia, con ricorso depositato il 7 marzo dello scorso anno (iscritto al n. 14 del reg. ric. 2007), ha impugnato anch'essa una serie di norme della Finanziaria 2007, tra cui il comma 1267 dell'articolo 1, obiettando che non riserverebbe nessuno spazio a forme di partecipazione e collaborazione nella determinazione degli interventi in un settore in cui le Regioni hanno indubbia competenza.

La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 50, depositata il 7 marzo scorso, ha messo subito in evidenza che il legislatore ha voluto perseguire, come risulta anche dalla stessa denominazione del Fondo, una chiara finalità di politica sociale, prevedendo uno stanziamento di risorse finanziarie al fine di assicurare l'adozione di una serie di misure di assistenza. Partendo da questa premessa, i giudici della Corte Costituzionale hanno sancito che: «La norma in esame, non prevedendo un intervento pubblico connesso alla programmazione dei flussi di ingresso ovvero al soggiorno degli stranieri nel territorio nazionale, non rientra nella competenza legislativa esclusiva statale in materia di immigrazione, ma inerisce ad ambiti materiali regionali, quali quelli dei servizi sociali e dell'istruzione (sentenza n. 300 del 2005, nonché, sia pure con riferimento ad una fattispecie diversa, sentenza n. 156 del 2006). Del resto, lo stesso legislatore statale ha attribuito alle Regioni il compito di adottare misure di "integrazione sociale" nell'ambito "delle proprie competenze" secondo quanto previsto dall'articolo 42 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, recante "Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero"».

Pertanto è stata dichiarata la illegittimità costituzionale della norma impugnata per violazione degli articoli 117, quarto comma, e 119 della Costituzione. La Corte ha comunque precisato che, vista la natura sociale delle provvidenze erogate, le quali ineriscono a diritti fondamentali, dovrà essere garantita, in ossequio ai principi di solidarietà sociale, la continuità di erogazione, con conseguente salvezza degli eventuali procedimenti di spesa in corso, anche se non esauriti (sentenze n. 423 del 2004 e n. 370 del 2003). I soldi, in estrema sintesi, se ci sono, devono essere assegnati alle Regioni.

Dopo due settimane dal deposito della sentenza, un affranto Ferrero, venerdì scorso, ha così commentato: «Le risorse, che erano destinate ad interventi di aiuto agli immigrati, andranno ora alle Regioni senza vincoli di destinazione d'uso. Considero questo amaramente perché se un paese che ha bisogno di immigrati per il lavoro non ci mette le risorse il rischio è poi di avere dei problemi». Probabilmente Ferrero non ha letto bene la sentenza, visto che la stessa Corte ha precisato che dovranno essere garantiti anche i procedimenti di spesa in corso. Ma il problema è un altro ed è tutto politico. Il centrosinistra al governo, calpestando anche la Costituzione e cercando di scavalcare anche le fastidiose (per loro) competenze regionali in materia, ha tentato di usare denaro pubblico per finanziare un demagogico impianto sull'immigrazione che si basa sul principio del «porte aperte per tutti» e su un costosissimo welfare, aperto praticamente a chiunque, ma pagato esclusivamente dalle tasche dei cittadini italiani. Ed è proprio grazie a questo assurdo sistema che nascono i problemi, perché si usano i soldi degli italiani per finanziare un welfare costoso ed inefficiente, con il rischio di fomentare un pericoloso sentimento anti-immigrati, senza cercare di responsabilizzare gli stessi stranieri con l'introduzione, ad esempio, della immigration tax, fatta pagare a chi arriva per finanziare i servizi pubblici che usa, così come proposto ultimamente in Gran Bretagna dal governo laburista di Gordon Brown.

Antonio Maglietta

venerdì 21 marzo 2008

Questione sicurezza. Gli errori del governo Prodi



di Antonio Maglietta - 21 marzo 2008

«Sono stati due anni di lavoro intenso e difficile, ma con risultati che considero molto positivi». Lo scrive Giuliano Amato in un articolo, che comparirà sul primo numero della nuova serie di Amministrazione civile (la rivista del ministero dell'Interno), che il Corriere della Sera ha anticipato nell'edizione di mercoledì 19 marzo, richiamandolo in prima pagina. Il ministro, rivendicando i successi dell'azione del Viminale (dall'inedita cattura di un intero nucleo di stampo brigatista all'arresto di numeri uno della mafia palermitana e della 'ndrangheta, Salvatore Lo Piccolo e Pasquale Condello, alla decapitazione delle maggiori famiglie criminali siciliane) nota, tuttavia, che «abbiamo anche assistito all'accentuarsi, soprattutto in alcune parti del paese, di un diffuso senso di insicurezza». Una «contraddizione» alimentata - denuncia Amato - dall'opposizione «che ha deciso di avviare la sua campagna contro il governo cavalcando il sentimento di insicurezza», ma anche da una parte del centrosinistra che «non ha saputo accettare la responsabilità delle politiche per la sicurezza nel loro complesso, conservandone una visione limitata esclusivamente agli interventi sociali mirati a eliminare le cause del crimine. La maggioranza ha dato così la sensazione che sulla sicurezza più che essere sicura balbettasse».

Il ministro non nasconde l'aggravarsi di fenomeni di criminalità diffusa che hanno inciso sul comune sentire e che «solo una catalogazione vecchia e sbagliata porta a definire come minore» (dalla violenza negli stadi al crimine straniero, al problema degli incidenti causati da chi guida in stato di ebbrezza o sotto l'effetto di stupefacenti), ma ricorda anche le polemiche sorte dopo la firma dei Patti per la sicurezza con i sindaci. «Ancora una volta - denuncia - la politica ha avuto modo di dimostrare quanto possa semplificare e deformare la realtà, un po' per ignoranza vera e propria e un po' per strumentalizzazione di parte. E' quanto è accaduto, in particolare, quando abbiamo citato la dottrina per cui il disordine chiama un disordine sempre maggiore, il piccolo delitto fa da trampolino di lancio per il grande delitto. Ebbene, il solo fatto che sulla base di questa teoria alcuni sindaci americani abbiano poi attuato una politica di "tolleranza zero" ha indotto taluni ad accusare me, e soprattutto i primi cittadini che con me avevano firmato i Patti, di esserci trasformati in sceriffi, attribuendo al termine un valore profondamente negativo». E aggiunge: «Le politiche per la sicurezza hanno bisogno di una condivisione razionale. In questa legislatura la conflittualità tra maggioranza e opposizione, e all'interno della stessa maggioranza, non lo ha consentito. C'è da sperare che nella prossima si scelga una strada diversa».

Insomma, sembra che Giuliano Amato accenni ad un mezzo mea culpa. Francamente, ci aspettavamo qualcosa di più. Infatti l'attuale ministro dell'Interno avrebbe dovuto dire che le incertezze e gli errori del governo Prodi, sul tema della sicurezza, sono tutti attribuibili a beghe di cortile interne al centrosinistra. Non si può gettare la croce addosso al centrodestra se il decreto sicurezza, adottato dopo la tragica morte della signora Reggiani a Roma, è stato fatto decadere perché, all'interno di un pacchetto di disposizioni in materia di espulsioni dei cittadini comunitari, anche discutibili dal punto di vista tecnico, è stato inserito un controverso passaggio sulla discriminazione sessuale su richiesta della sinistra radicale, che nulla aveva a che fare con il provvedimento in questione e peraltro era anche errato nei riferimenti normativi. Infatti, nel decreto sulla sicurezza c'era il richiamo a un articolo sbagliato del Trattato di Amsterdam. Quello giusto, in cui si parla di discriminazioni sulla base dell'orientamento sessuale, non era l'articolo 13, effettivamente citato nel decreto, ma l'articolo 2, comma 7 («Fatte salve le altre disposizioni del presente trattato e nell'ambito delle competenze da esso conferite alla Comunità, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali»). Peraltro il Trattato non ha il valore delle delibere europee, cioè non costituisce indirizzo normativo per gli Stati membri. Il governo se n'è reso conto solo in corso d'opera, facendo orecchie da mercante anche dinanzi alle sollecitazioni in Senato di Marcello Pera, che subito evidenziò l'errore.

E vogliamo parlare delle polemiche, sempre interne al centrosinistra, sui cosiddetti sindaci «sceriffi»? Non furono proprio alcuni degli esponenti del governo Prodi a sollevare pesanti critiche nei confronti di quei sindaci, anche dello stesso centrosinistra (vedi Bologna e Firenze) che adottavano ordinanze per tentare di arginare in qualche modo l'ondata di criminalità diffusa che si era abbattuta nel giro di poco tempo nel nostro paese? E non fu un esponente dello stesso governo, il ministro Ferrero, ad attaccare l'esecutivo sull'impianto del piano sicurezza (sulla microcriminalità l'impostazione è sbagliata «su due piani: da un lato si inverte la causa e l'effetto, questi fenomeni vanno affrontati con la logica dell'integrazione, in secondo luogo si sceglie una gerarchia insolita, si parte dai graffittari, che sarebbero più pericolosi degli speculatori»?

Insomma, capiamo che il finto nuovo corso di Veltroni, che sa tanto di vecchio, ha la necessità di annacquare e far dimenticare il tragicomico biennio prodiano, ma addirittura tentare di sorvolare con non chalanche sull'incapacità manifesta del centrosinistra in tema di sicurezza ci sembra un po' troppo. Ma la migliore risposta da dare a chi ha la memoria corta nel centrosinistra (Amato) e a chi promette mari e monti (Veltroni), è quella di portare alla loro attenzione la dichiarazione del ministro degli Esteri rumeno, Adrian Cioroianu, che martedì scorso, nel corso di un incontro con i giornalisti italiani, ha seraficamente affermato: «Credo che lo Stato italiano abbia interpretato in modo sbagliato la permissività. Quelle baracche a Roma (riferendosi alle baraccopoli dei rom, nda) non le vedete in Romania». Capito il messaggio?

Antonio Maglietta

martedì 18 marzo 2008

Lavori usuranti. I nodi vengono al pettine


di Antonio Maglietta - 18 marzo 2008

Si lavora per portare nel Consiglio dei ministri di mercoledì il decreto attuativo sui lavori usuranti, della legge-delega che recepisce il protocollo sul welfare, per la parte pensionistica, che scade a marzo. Nell'imbarazzato silenzio del Partito Democratico, che non vuole urtare troppo i vertici di Confindustria, e nella bellicosità della Sinistra Arcobaleno che, al contrario, cerca lo scontro con i maggiorenti di viale dell'Astronomia dopo i tanti rospi ingoiati per rispettare il vincolo di fedeltà al governo Prodi, si racchiude tutto il dato politico dell'intera faccenda.

Per capire meglio i termini della questione, occorre fare qualche passo indietro. Attualmente la lista dei lavori usuranti è contenuta nel decreto del ministro del Lavoro del 19 maggio 1999 (cosiddetto «decreto Salvi»). Ora coloro che, con il decreto legislativo che potrebbe essere emanato nei prossimi giorni, saranno riconosciuti nel dettaglio come lavoratori che svolgono una attività particolarmente usurante, al momento del pensionamento di anzianità potranno conseguire su domanda, entro certi limiti, il diritto alla pensione con requisito anagrafico ridotto di tre anni rispetto a quello previsto (con il requisito minimo di 57 anni) purché abbiano svolto tale attività a regime per almeno la metà del periodo di lavoro complessivo o (nel periodo transitorio) per almeno 7 anni negli ultimi 10 di attività lavorativa. Per tali tipologie lavorative sono state individuate risorse massime disponibili su base annua, ed una cifra complessiva nel decennio 2008-2017 pari a 10 miliardi di euro (vedi anche circolare Inps del 17 gennaio 2008).

Nello stesso protocollo sul welfare del 23 luglio scorso la platea dei destinatari è stata così individuata:

* lavoratori impegnati nelle attività previste dal decreto del ministro del Lavoro del 1999;
* lavoratori considerati notturni secondo i criteri definiti dal decreto legislativo n. 66 del 2003;
* lavoratori addetti a linea catena individuati sulla base di questi tre criteri:

1. lavoratori dell'industria addetti a produzioni di serie;
2. lavoratori vincolati all'osservanza di un determinato ritmo produttivo collegato a lavorazioni o a misurazioni di tempi di produzione con mansioni organizzate in sequenza di postazioni;
3. lavoratori che ripetono costantemente lo stesso ciclo lavorativo su parti staccate di un prodotto finale, che si spostano a flusso continuo o a scatti con cadenze brevi determinate dall'organizzazione del lavoro o della tecnologia. Sono esclusi gli addetti a lavorazioni collaterali a linee di produzione, alla manutenzione, al rifornimento materiali e al controllo di qualità;

* conducenti di mezzi pubblici pesanti.

Nei prossimi giorni il governo dovrà decidere se lo schema messo a punto dal ministero del Lavoro rappresenti un compromesso accettabile tra le richieste di Confindustria, il cui ex leader dei giovani oggi è uno dei candidati «foglia di fico» del Partito Democratico, e quelle della Sinistra Arcobaleno. Tecnicamente il dato che più sta suscitando problemi è quello legato al criterio per qualificare un lavoro come notturno. Il problema non è di poco conto, visto che la copertura è limitata a solo 5 mila lavoratori. In estrema sintesi, allargare la platea dei potenziali beneficiari significherebbe allargare anche i cordoni della borsa. La delega prevedeva almeno 80 giorni l'anno di lavoro notturno affinché un lavoratore potesse usufruire della pensione anticipata concessa a chi svolge attività usuranti. Andare sotto quella soglia vorrebbe dire aumentare la spesa pubblica e, con una crisi economica dai risvolti ancora imprecisati che ci sta bussando alla porta di casa, non sembra proprio una scelta nell'interesse del paese.

Antonio Maglietta

lunedì 17 marzo 2008

Precariato: le colpe del centrosinistra



di Antonio Maglietta - 16 marzo 2008

Mercoledì scorso, durante la trasmissione «Punto di vista» del Tg2, una ragazza aveva chiesto a Silvio Berlusconi come possano farsi una famiglia i giovani precari. Pronta la battuta di Berlusconi: «Lei mi dice dei problemi delle giovani coppie di precari. Io, da padre - ha risposto il Cavaliere sorridendo - le consiglio di cercare di sposare il figlio di Berlusconi o qualcun altro del genere; e credo che, con il suo sorriso, se lo può certamente permettere». Subito dopo la battuta, Berlusconi ha elencato le proposte contenute nel programma del Pdl per aiutare i giovani, dalle agevolazioni sui mutui al piano-casa. Apriti cielo. L'innocente battuta, che ha divertito la stessa diretta interessata («Probabilmente voterò per il Pdl, ma certamente non sono stata convinta dai complimenti di Berlusconi sul mio sorriso. Ho motivazioni più profonde. Ieri è stato uno scherzo, un gioco. Tuttavia, se andrà al governo, mi aspetto che mantenga le promesse fatte a me e a tutti i precari che ieri ho rappresentato») ha invece fatto esplodere i livori dei finti perbenisti radical-chic della sinistra di lotta e salotto e di falce e secchiello di champagne. Le agenzie di stampa sono state inondate da fiumi di dichiarazioni di esponenti del Pd e della Sinistra Arcobaleno che hanno messo a dura prova i poveri giornalisti, costretti a sorbirsi una polemicuccia nata per nascondere il vuoto pneumatico del programma dell'hollywoodiano Walter e gli errori, orrori ed omissioni fatte dal centrosinistra proprio sul tema del precariato.

Lavoro Pubblico. A chi oggi dalle parti del centrosinistra parla di lotta al precariato, andrebbe ricordato, semmai ce ne fosse bisogno, che il governo in carica, con ben due Finanziarie (2007 e 2008), è riuscito, con l'operazione «stabilizzazione», nella mirabolante impresa di soffocare quel briciolo di meritocrazia ancora esistente nel pubblico impiego con la doppia penalizzazione dei vincitori di concorso e degli idonei, che da anni aspettano l'assunzione, prima scavalcati dai lavoratori con contratti flessibili nell'accesso in pianta stabile nella Pa e poi beffati da chi aveva già il posto fisso, perché il decreto per le assunzioni in deroga al blocco ha previsto quest'anno solo 2.135 vere assunzioni su un totale di circa 4.497 autorizzazioni concesse, su una platea di circa 140.000 persone; il resto è andato tutto alle progressioni interne che formalmente risultano come nuove assunzioni. La stessa sanatoria, poi, così come è stata strutturata, ha paradossalmente penalizzato anche gli stessi lavoratori della Pa con un contratto flessibile, perché la promessa del governo di centrosinistra del paradiso del posto fisso per tutti si è alla fine concretizzata con una semplice stabilizzazione per pochi intimi, a causa dell'esiguità del fondo che avrebbe dovuto finanziare la sanatoria (50 milioni di euro). Come a dire: prima sedotti e poi abbandonati.

Lavoro privato. Nel privato il centrosinistra ha dato il meglio di sé. Il primo governo Prodi, di cui Veltroni era il vice (http://www.governo.it/Governo/Governi/prodi1.html), ha introdotto nell'ordinamento italiano il lavoro interinale (Legge 24 giugno 1997, n. 196 - http://www.parlamento.it/leggi/97196l.htm. Precedentemente vietato dalla Legge n. 1369 del 1960 (Divieto di intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro - http://www.italgiure.giustizia.it/nir/1960/lexs_36635.html), che è stato poi abolito poi con la legge Biagi a favore della somministrazione di lavoro a tempo determinato. Lo stesso governo, non domo, ha avuto anche il merito, si fa per dire, di tirare fuori dal cilindro i co.co.co. (poi sostituiti con i co.co.pro. dalla Legge Biagi per evitare abusi) ma, soprattutto, i lavori socialmente utili (decreto legislativo n. 468 del 1997 - http://www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/testi/97468dl.htm), per i quali una sentenza del Consiglio di Stato (n. 3664/2007), ricalcando oramai una giurisprudenza costante (vedi da ultimo la sentenza del Consiglio di Stato n. 1253/2007), ha sottolineto che si tratta di un impegno lavorativo certamente precario: «le caratteristiche dei lavori socialmente utili non ne consentono la qualificazione come rapporto di impiego; e ciò per la considerazione che il rapporto dei lavoratori socialmente utili trae origine da motivi assistenziali (rientrando nel quadro dei c.d. ammortizzatori sociali); e riguarda un impegno lavorativo certamente precario; non comporta la cancellazione dalle liste di collocamento; presenta caratteri del tutto peculiari quali l'occupazione per non più di ottanta ore mensili, il compenso orario uguale per tutti (sostitutivo della indennità di disoccupazione) versato dallo Stato e non dal datore di lavoro, la limitazione delle assicurazioni obbligatorie solo a quelle contro gli infortuni e le malattie professionali. (in tal senso Cons. St. VI, 10.3. 2003, n. 1301-1307; 18.3.2003, n. 1424; 17.9. 2003, n. 5278; 31.8.2004 n. 5726)».

Dulcis in fundo, gli stessi esponenti del centrosinistra (Pd ed attuale Sinistra Arcobaleno) dopo aver fortemente voluto in commissione Lavoro alla Camera, nel corso dell'attuale legislatura, una indagine conoscitiva sulle cause e le dimensioni del precariato nel mondo del lavoro (http://www.camera.it/_dati/lavori/bollet/chiscobollt.asp?content=/_dati/lavori/stencomm/11/indag/precariato/elenco.htm) , con la convinzione di reperire dati che confermassero la loro assurda equazione flessibilità = precariato, appena si sono resi conto che i lavori stavano dando indicazioni esattamente opposte alle loro idee, hanno deciso di non redigere una relazione finale conclusiva di tutta l'attività. Insomma, capiamo che dopo aver esaurito gli effetti speciali, un po' opachi a dire il vero, sulle liste dei candidati, l'unico modo per risollevare gli animi tra le fila un po' depresse del Partito Democratico sia quello di provocare una gazzarra, ma proprio su un tema come quello del precariato dovrebbero avere almeno il buon senso di fare un bel mea culpa per gli errori del passato prima di parlare.

Antonio Maglietta

venerdì 14 marzo 2008

Veltroni contro la legge Bossi-Fini. Come Prodi e Ferrero


di Antonio Maglietta - 14 marzo 2008

«Braccia aperte per chi viene a lavorare, ma chi viene per favorire la prostituzione o per spacciare droga deve essere messo in condizioni di non farlo». E' il doppio binario indicato dal leader del Pd, Walter Veltroni, durante la manifestazione, svoltasi mercoledì a Verona per presentare il programma sicurezza del Partito democratico. «La Bossi-Fini - sostiene Veltroni - non ha assolutamente funzionato e si è imbarcata una quantità altissima di immigrazione clandestina». Durezza, dunque, con chi sbaglia ma integrazione «degli immigrati onesti che vengono a lavorare, come noi sappiamo perché siamo stati un popolo di emigranti».

E' curioso, però, che proprio Veltroni parli di porre un freno al flusso migratorio clandestino e di essere duri con chi sbaglia. Forse non ricorda che il governo del presidente del suo stesso partito, Romano Prodi, sotto la spinta emotiva del tragico omicidio della signora Reggiani, avvenuto proprio nella città amministrata da Veltroni, prima adottò un decreto sicurezza e poi lo fece decadere per grossolani errori tecnici e beghe di cortile interne al centrosinistra.

Sul lato dell'immigrazione clandestina, poi, Veltroni, come Prodi e Ferrero, pensa che la panacea ai problemi sia l'istituto della «sponsorizzazione» (ossia garanti pubblici e privati per gli immigrati che vengono sul nostro territorio per motivi di lavoro pur non avendo un contratto) e quello dell'«autosponsorizzazione» (immigrati che vengono in Italia per gli stessi motivi senza avere un contratto ma in possesso di adeguate risorse finanziarie). Insomma, due strumenti giuridici in grado di trasformare l'Italia nella «più grande lavanderia mondiale del denaro sporco» e nella direttrice preferita per la tratta degli esseri umani. Infatti è molto probabile che, per quanto riguarda la sponsorizzazione, le organizzazioni criminali sfruttino semplici prestanome incensurati o società di comodo che, facendo da garanti agli immigrati, legalizzerebbero di fatto la tratta degli esseri umani.

L'autosponsorizzazione, invece, potrebbe diventare ben presto per le organizzazioni criminali un comodo strumento per riciclare il denaro sporco: l'organizzazione, infatti, presterebbe del denaro all'immigrato che, agli occhi della legge italiana, sarebbe perfettamente in regola, salvo poi farselo restituire con le buone o con le cattive all'arrivo dello stesso nel nostro Paese, magari inducendolo anche a delinquere pur di ripagare il debito. Per il candidato premier del Pd, inoltre, «la sicurezza va coniugata con una politica di riduzione delle diseguaglianze e delle ingiustizie e una politica di integrazione per impedire che chi ha di meno resti ai margini». Ma da che pulpito viene la predica, verrebbe da dire. Ma Veltroni, in qualità di sindaco di Roma, che iniziative concrete ha preso in tema di politiche d'integrazione? Ha dato qualche impulso in materia negli organi nei quali siede in virtù della carica istituzionale che ha ricoperto fino a pochissimo tempo fa? Occorre premettere che in tema di programmi concreti per l'integrazione degli stranieri in Italia va segnalato il ruolo del Consiglio Territoriale per l'Immigrazione, che è un organismo collegiale che opera nel territorio provinciale, come previsto dall'art. 57 del DPR n. 394/99 (regolamento di attuazione del Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero). Il Prefetto è responsabile della formazione e del funzionamento del Consiglio, che ha il compito di analizzare le problematiche dell'immigrazione e di promuovere interventi finalizzati all'inserimento dell'immigrato nel contesto sociale locale. Nel Consiglio, oltre a varie figure pubbliche e private, siede anche il sindaco del Comune capoluogo di Provincia.

Tra gli interventi più significativi che dovrebbero essere promossi dai Consigli, che vengono sostenuti da protocolli d'intesa o da accordi di programma, troviamo l'istituzione di sportelli polifunzionali attivati per orientare gli stranieri, per indirizzarli sulle procedure, per informarli su diritti e doveri, per favorire il loro accesso ai pubblici servizi, o anche per dare visibilità a corsi di formazione professionale. Ora, il Consiglio Territoriale della Provincia di Roma, in cui siede anche il sindaco di Roma, non si è certo contraddistinto per il lavoro svolto. La sua inerzia è palese se si scorre il sito che pubblica le iniziative dei consigli territoriali del Lazio: quelle della Provincia di Roma non ci sono. Scorrendo, invece, il sito della Prefettura di Roma, scopriamo che il consiglio in questione, dalla data di istituzione (1 febbraio 2007 - http://www.prefettura.roma.it/index.php/fd=news/ff=read/id=37.html) si è riunito in tutto 2 volte: il 5 marzo 2007 per la discussione rispettivamente del problema «abitativo» e della «mutilazione genitale femminile» (http://www.prefettura.roma.it/index.php/fd=news/ff=read/id=42.html) e il 30 novembre 2007 per discutere delle nuove procedure di inoltro telematico delle domande di nulla osta al lavoro per cittadini extracomunitari e della gestione dei procedimenti di competenza dello Sportello Unico per l'immigrazione (http://www.prefettura.roma.it/index.php/fd=news/ff=read/id=78.html). Insomma, un pò poco per un consiglio fondamentale come quello della provincia di Roma (53/mo posto tra le province per i servizi in tema di integrazione secondo gli ultimi dati del Cnel), soprattutto se si pensa che nell'ultimo rapporto del Cnel sull'immigrazione c'è scritto chiaramente che: sulla provincia di Roma è d'obbligo dire che la lettura negativa di determinati indicatori (devianza, ospedalizzazione) andrebbe riferita a una popolazione ben più ampia di quella registrata come regolare dal momento che, essendo l'area della capitale un centro metropolitano di primaria importanza, attira di fatto un numero di presenze ben più alto di quello ufficiale, mentre, al contrario, la popolazione di riferimento dovrebbe essere ridotta, essendo presente in provincia un numero oltremodo considerevole di religiosi (V Rapporto degli [link="http://www.interno.it/mininterno/export/sites/default/it/assets/files/15/0834_V_Rapporto_indici_di_integrazione.pdf - pag. 35" ext]Indici di integrazione degli immigrati in Italia [/link]).

Insomma, dove era Veltroni quando in qualità di sindaco di Roma aveva il potere di intervenire concretamente sulle politiche di integrazione degli stranieri? E come fa a parlare di sicurezza se, come Prodi e Ferrero, ripropone gli istituti della sponsorizzazione e dell'autosponsorizzazione?

Antonio Maglietta

mercoledì 12 marzo 2008

Gli italiani chiedono sicurezza, ma il Pd non può rispondere



di Antonio Maglietta - 11 marzo 2008

La sicurezza personale va considerata una priorità del nuovo governo - addirittura al primo o al secondo posto - per otto persone su dieci: il dato emerge da una ricerca di Confcommercio con riferimento ai programmi degli schieramenti politici per le prossime elezioni. L'83,6% degli italiani, secondo la ricerca, si sente esposto a tutti i tipi di reati «comuni» (rapina, furto, scippo e borseggio); la stragrande maggioranza, tra il 70 e l'80%, ritiene che l'aumento del fenomeno della criminalità sia legato all'aumento dell'immigrazione. Ma, allo stesso tempo, il 54% ritiene che il modo migliore per contrastare l'immigrazione clandestina sia quello di agevolare la regolarizzazione (anche se a questo dato fa in qualche modo da contrappeso quel 38,6% che ritiene l'intensificazione delle espulsioni la migliore «medicina» per curare l'immigrazione clandestina).

Se si vuole sottolineare un dato politico, il programma del Partito Democratico (pagina 22), che ripropone il progetto del governo Prodi (pagine 5, 7 e 15) sull'introduzione della figura dello sponsor (garanti pubblici o privati per gli immigrati che vengono in Italia per motivi di lavoro senza avere un contratto pregresso) e dell'autosponsorizzazione (immigrati che vengono in Italia per gli stessi motivi senza avere un contratto ma in possesso di adeguate risorse finanziarie), non soddisfa né il bisogno di migliorare il canale della regolarizzazione sicura e né quello della lotta al riciclaggio del denaro sporco che ruota intorno al fenomeno dell'immigrazione. Infatti, i due istituti non danno alcuna garanzia in merito perché i garanti privati potrebbero essere facilmente infiltrati da prestanome e servire da vere e proprie lavanderie del denaro frutto dell'economia criminale.

Quali gli strumenti per combattere la criminalità? Secondo la ricerca, circa il 26% degli intervistati mette al primo posto l'aumento delle forze dell'ordine, al quale si aggiunge un 6% che individua nel poliziotto di quartiere uno strumento ulteriormente utile (questo dato va comunque interpretato alla luce del fatto che l'80% del campione intervistato risiede in centri con meno di 200 mila abitanti). Da considerare, poi, che quasi un italiano su due (43,5%) pensa che la ricetta giusta sia mettere al primo posto la certezza della pena. Pena che sempre uno su due (51,1%) considera adeguata per furto, borseggio e scippo (ora fino a tre anni). Per tutti gli altri reati la maggioranza chiede un aumento, a volte anche rilevante, degli anni di carcere. Sul fronte delle reazioni e delle pene da comminare, si assiste peraltro ad una certa moderazione: due italiani su tre (63,2%) non ritengono utile armarsi (anche se un significativo 29,5% ritiene necessario farlo); e la pena di morte è vista con favore da appena il 9,4%.

Un ultimo dato sulla violenza sessuale: mentre il 61% è favorevole all'inasprimento della pena e quasi il 18% addirittura all'ergastolo, circa il 14% chiede la castrazione chimica per gli stupratori. Aumenti che schizzano alle stelle quando la violenza sessuale è perpetrata sui minori: a chiedere il semplice inasprimento della pena è il 35,5%, mentre la castrazione chimica la invoca il 25,7%, l'ergastolo ben il 26,6% e quasi il 10% addirittura la pena di morte. Sulla castrazione chimica per gli stupratori va rilevato che Veltroni, che si è espresso ultimamente a favore della stessa, dovrebbe pagare i diritti d'autore al leghista Calderoli, che l'ha proposta con quasi tre anni di anticipo rispetto all'ex sindaco di Roma. Nel frattempo aspettiamo che Piero Fassino e Antonio Di Pietro prendano posizione anche questa volta e che alla proposta di Veltroni rispondano come fecero qualche anno con Calderoli. Fassino: «Castrazione? Sciocchezze». Antonio Di Pietro: «Un'Italia da Medioevo». Lo faranno?

Mettendo a confronto, infine, le risposte dei commercianti e quelle dei privati si registrano alcune differenze: l'immigrazione, clandestina e non, è vista come la principale causa della microcriminalità per il 79% dei commercianti contro il 75% dei privati; nel contrasto all'immigrazione, oltre la metà dei cittadini privati (53,6%) si schiera per un'agevolazione della regolarizzazione, mentre i commercianti mettono quasi sullo stesso piano agevolazione (44%) ed espulsione (46,6%); tra i reati più temuti, l'aggressione fisica è al primo posto per entrambi i campioni, ma nel caso dei commercianti si riscontra un timore altrettanto elevato anche per la rapina (22,1%); l'autodifesa armata, infine, non è ritenuta necessaria da oltre il 60% degli intervistati di entrambi i campioni, anche se il 35,5% dei commercianti, a differenza del 29,5% dei privati, ritiene utile detenere un'arma.

Insomma, una cosa è chiara: la questione sicurezza è un problema ineludibile e molto sentito dagli italiani e certamente il Partito Democratico non è in grado di dare una risposta sul tema, sia per il recente passato (legato alla famosa vicenda del decreto sicurezza prima strombazzato dopo la morte della signora Reggiani a Roma e poi lasciato decadere per beghe di cortile all'interno della coalizione di centrosinistra) che per il presente (riproposizione della figura dello sponsor e dell'autosponsorizzazione in tema di immigrazione).

Antonio Maglietta

lunedì 10 marzo 2008

Immigrazione. I dati del Cnel



di Antonio Maglietta - 8 marzo 2008

Nel 1970 gli immigrati stranieri regolari nel nostro Paese erano meno di 150.000, alla fine del 2007 hanno superato i 4 milioni. L'integrazione viaggia a due velocità (bene al Nord, molto male al Sud) e l'Italia, in questi ultimi anni, si è imposta come uno tra i più grandi paesi europei di immigrazione con un ritmo superiore, in proporzione, a quello degli Stati Uniti. E' questa la stringente analisi che emerge dalla fotografia scattata dal Cnel, nel V Rapporto degli Indici di integrazione degli immigrati in Italia, presentato venerdì a Roma.

Il Trentino Alto Adige è la regione italiana più attiva e più ben disposta all'integrazione sociale. E ciò è testimoniato da alcuni indicatori che riguardano la polarizzazione, la stabilità sociale e l'inserimento lavorativo degli immigrati, sulla base dei quali il Cnel ha svolto la sua indagine e ha stilato una classifica di regioni e province. Altre regioni a massimo potenziale d'integrazione sono nell'ordine, il Veneto, la Lombardia e l'Emilia Romagna.

Le regioni che, invece, denotano un basso o minimo potenziale d'integrazione sono quelle meridionali e insulari. Le ragioni di quest'ultimo dato sono varie. In genere l'integrazione si coniuga con la possibilità di trovare un posto di lavoro e con la volontà dello straniero di risiedere in maniera stanziale nella realtà territoriale. Il Sud, invece, è interessato da un flusso migratorio di passaggio (le mete sono altre: Nord Italia e Nord Europa) proprio per le scarse possibilità che ha un immigrato di trovare un lavoro stabile. Se a questo aggiungiamo che, tolti i Centri di permanenza temporanea (Cpt), c'è carenza di strutture di accoglienza, di formazione ed di indirizzo, ecco spiegato il motivo per cui il Sud, per un immigrato in cerca di lavoro (ma anche, purtroppo, di delinquere), è meno accogliente del Nord.

Per quanto riguarda le province, la medaglia d'oro in tema di integrazione va a Trento, mentre all'ultimo posto c'è Siracusa. Napoli è al 83/mo posto, Roma al 53/mo e Milano al 12/mo. Per quanto riguarda il numero di presenze degli immigrati, ai vertici del Rapporto Cnel si trovano le regioni Lombardia e Lazio, con rispettivamente quasi un quarto e un sesto del totale di presenze, tanto che si parla di Milano e Roma come delle capitali dell'immigrazione in Italia. Un'incidenza del 10% si registra, invece, in Veneto e in Emilia Romagna.

Le province con la più alta incidenza di immigrati sono Roma, Milano, Firenze, Prato, Brescia e Modena. Tra il 1994 e il 2004 il numero di immigrati presenti in Umbria e Marche sono quadruplicati, in Veneto ed Emilia Romagna sono triplicati. A livello provinciale Prato ha registrato un aumento della popolazione immigrata di ben 31 volte. Per quanto riguarda l'inserimento occupazionale si segnalano ai vertici il Trentino Alto Adige e il Friuli Venezia Giulia. E proprio in merito al dato regionale friulano va registrato che, giovedì scorso, il giorno prima della presentazione dei dati del Cnel, un profetico Renzo Tondo, candidato per il centrodestra alla presidenza della Regione Friuli Venezia Giulia, ha denunciato che «si assumono a tempo indeterminato gli extracomunitari, mentre per gli italiani ci sono soltanto contratti a termine». Intervenendo ad una trasmissione televisiva, Tondo ha sottolineato che nelle assunzioni gli italiani sono spesso discriminati, mentre sarebbe necessaria una normativa che favorisse «l'accoglienza alla pari». In questo senso Tondo ha affermato che la legge sull'immigrazione del Friuli Venezia Giulia «apre la porta a tutti». E meno male che è caduto il governo del presidente del Pd, Romano Prodi, aggiungiamo noi, perché in caso contrario il tana libera tutti avrebbe interessato tutta la nazione.

Antonio Maglietta

venerdì 7 marzo 2008

La balcanizzazione del Pd



di Antonio Maglietta - 7 marzo 2008

L'operazione «Isola dei Famosi» nella scelta dei candidati delle liste del Pd sta portando ad una vera e propria balcanizzazione della piattaforma programmatica del partito di Veltroni. I candidati del Pd, quelli che dovevano essere uno dei migliori biglietti da visita del nuovo soggetto, rappresentano tutto ed il contrario di tutto: un vero melting pot di storie, tradizioni e, soprattutto, idee profondamente discordanti tra loro. Oggi nella formazione politica guidata da Prodi e Veltroni non solo è possibile trovare per ogni candidato ed idea il loro perfetto opposto all'interno dello stesso partito, ma anche i candidati «foglie di fico» (quelli che dovrebbero far dimenticare agli italiani le sciagurate scelte di Romano Prodi e del suo governo).

Lavoro pubblico e privato: il governo Prodi, nei quasi due anni di attività, si è contraddistinto per le politiche di gestione del personale della Pubblica Amministrazione tendenti al rigonfiamento delle basse qualifiche professionali ed alla mortificazione degli asset dirigenziali. A livello locale, poi, una recente inchiesta giornalistica de Il Sole24 Ore ha assegnato le palme di leaders della classifica degli Enti locali con il maggior tasso di assenteismo tra i loro dipendenti a tre amministrazioni rette dal centrosinistra: il Comune di Roma, la Provincia di Brindisi e la Regione Lazio. La foglia di fico in questo caso si chiama Pietro Ichino, il giuslavorista dell'Università Statale di Milano, ex Cgil, padre mediatico della lotta al fenomeno della nullafacenza nel pubblico impiego, candidato nelle liste del Pd in Lombardia. Ma il professore è anche uno dei sostenitori dell'abolizione dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. E a questo punto viene spontaneo chiedersi: dove erano gli esponenti dei Ds e della Margherita, oggi uniti nel Pd, quando la Cgil fece lo sciopero generale nel 2002 proprio contro quello che oggi vorrebbe fare Ichino dalle file del partito di Veltroni? Con la Cgil. Dopo 6 anni Veltroni ed il suo partito hanno cambiato idea? Bene. Aspetteremo pazientemente che arrivi il mea culpa per le scelte passate.

Sicurezza sul lavoro: per un Matteo Colaninno, ex presidente dei giovani di Confindustria (organizzazione che in questi giorni, attraverso la sua dirigenza, si oppone duramente all'emanazione dei decreti attuativi della legge in materia di sicurezza sul lavoro - legge 3 agosto 2007, n. 123 - perché giudica la legge-delega troppo punitiva), c'è un Antonio Boccuzzi, l'unico operaio superstite del rogo delle acciaierie ThyssenKrupp a Torino del 6 dicembre scorso. Indipendentemente dal merito del contendere, come ha recentemente sottolineato Fausto Bertinotti, uno è di troppo.

Temi etici: i problemi del Partito Democratico in materia erano già grossi. Ma c'è stato il salto di qualità: ora sono diventati enormi e laceranti da quando nelle liste sono stati imbarcati anche i Radicali di Marco Pannella. Poi è arrivata anche la candidatura di Umberto Veronesi, noto non solo per la sua encomiabile attività professionale, ma anche per le sue posizioni a favore dell'eutanasia (Umberto Veronesi, Il diritto di morire. La libertà del laico di fronte alla sofferenza, Milano, 2005). Nel frattempo, forse per marcare le differenze, la teodem Paola Binetti scrive nel suo sito che nel suo personale programma c'è «la tutela della vita e della salute, dal concepimento fino alla morte naturale».

Dulcis in fundo, la delicata gestione mediatica, in campagna elettorale, del rapporto tra il Pd ed il governo Prodi: fino ad ora i maggiorenti del partito, compreso Veltroni, hanno tenuto una posizione morbida, con toni soft che promuovevano velatamente l'operato del Professore e, soprattutto, l'azione del viceministro Visco. Ma ecco che nell'ultima puntata di Ballarò Massimo Calearo, ex presidente di Federmeccanica e candidato «foglia di fico» di Veltroni per le relazioni industriali, ha sparato a zero sia su Prodi che su Visco («San Clemente Mastella ha fatto bene al Paese, perché ha fermato il governo», e sul viceministro dell'Economia: «Per carità di Dio, spero non lo ricandidino».

Il 26 gennaio scorso Walter Veltroni aveva dichiarato: «E' tempo della chiarezza, della governabilità, della serenità». Bene, allora storicamente non è il suo momento.

Antonio Maglietta

mercoledì 5 marzo 2008

Assenteismo record negli enti governati dal centrosinistra



di Antonio Maglietta - 5 marzo 2008

Il Sole 24 Ore torna a parlare di assenteismo e, in una inchiesta richiamata in prima pagina, denuncia che cresce negli enti locali. «Secondo le ultime rilevazioni riferite al 2006 del ministero dell'Economia - scrive il quotidiano economico -, il tasso di assenza è cresciuto del 9,3 per cento nei Comuni e del 13,8 nelle Province», evidenziando come «in vetta alla graduatoria degli uffici vuoti si trova il Comune di Roma, dove sono totalizzati 39 giorni di assenza per dipendente, escluse le ferie e permessi non retribuiti». Roma capitale d'Italia e dell'assenteismo nel pubblico impiego. Con una media di quasi 39 diserzioni pro capite, ferie escluse, i dipendenti del Campidoglio sono quelli che in Italia mancano di più dal posto di lavoro.

Nel 2006 ogni impiegato del Comune capitolino è rimasto a casa 38,9 giorni, quasi due settimane in più rispetto alla media nazionale di 25,6 giorni. Un vero boom, se confrontato con i dati del 2005, inferiori del 40 per cento. Come confermato recentemente dall'assessore al Personale Lucio D'Ubaldo, l'assenteismo costa ogni anno alle casse del Comune di Roma oltre cento milioni di euro.

Lo scorso anno (i dati si riferivano al 2005), in una analoga classifica pubblicata sempre dallo stesso quotidiano, l'amministrazione romana era al 15° posto, con 28,1 giorni di assenza pro capite dei suoi dipendenti. In un anno c'è stato un bel balzo in classifica e circa 10 giorni di assenza in più per ogni dipendente. Tutto compreso, in generale, le giornate senza scrivania di un dipendente comunale medio sono 56, il 22 per cento delle giornate lavorative di un anno. Il suo alter ego in Provincia arriva fino 50 giorni. Ma la palma assoluta spetta ai dipendenti degli enti di ricerca, che evitano di recarsi sul posto di lavoro per 58 giorni all'anno.

Se consideriamo le province, il primo posto in classifica spetta all'amministrazione brindisina, retta da una coalizione di centrosinistra, che registra un tasso di assenteismo tra i suoi dipendenti del 32,4 per cento. Sul piano regionale, invece, il Lazio si conferma in cima alla classifica delle assenze facili. Negli uffici dell'ente amministrato da Piero Marrazzo (Partito Democratico) i dipendenti mancano in media 32,5 giorni l'anno, con un leggero miglioramento rispetto al 2005 (- 4 per cento). Secondo gli ultimi dati Istat, relativi però al 2005, il tasso di assenze nel comparto pubblico si attesta sul 20,1%, in pratica il 54% in più rispetto alla media nelle grandi aziende (fermo al 13.1). Un rapporto di cinque a uno. Nonostante i sindacati confederali neghino anche l'evidenza, è chiaro che i conti non tornano.

Ma c'è anche un dato politico da sottolineare. Le amministrazioni locali che conquistano il poco invidiabile primato nella classifica sul tasso di assenteismo dei propri impiegati (il Comune di Roma,la Provincia di Brindisi e la Regione Lazio) sono rette tutte e tre dal centrosinistra. E' questa la buona politica di gestione del personale pubblico del Partito Democratico di Veltroni?

Antonio Maglietta

lunedì 3 marzo 2008

Le scelte demagogiche di Veltroni


di Antonio Maglietta - 1 marzo 2008

E' risaputo che Walter Veltroni sia un amante del cinema. Forse lo è anche degli effetti speciali. Sicuramente ha una voglia matta di stupire gli italiani, di intontirli con trovate a sorpresa per far dimenticare le pessima gesta del governo Prodi, presidente e padre nobile riconosciuto del Partito Democratico. Ogni giorno il mago Walter tira fuori la sua personale mandrakata: una candidatura a sorpresa spacciata come la panacea dei mali che affliggono l'Italia. Ma venghino siore e siori! Ecco a voi il candidato che risolverà il problema! Il nostro Paese è diventato una repubblica politicamente gerontoiatrica, nel senso che il nostro Parlamento è pieno zeppo di persone che ricoprono ininterrottamente incarichi politici da almeno quarant'anni, peraltro con risultati alquanto discutibili? Nessun problema: Veltroni candida alle elezioni politiche Marianna Madia, ventisettenne dal viso angelico, come capolista del Partito Democratico nel Lazio. Problema risolto. Gli infortuni e le morti sul lavoro sono diventati una piaga insopportabile che sta assumendo i contorni di una vera e propria vergogna? Ecco che spunta la candidatura di Antonio Boccuzzi, uno degli operati sopravvissuti al tragico incidente alla fabbrica della ThyssenKrupp di Torino. In Italia c'è un problema di salari troppo bassi che colpisce soprattutto i giovani che, oltre alla frustrazione del non poter andare a vivere fuori dalla casa dei genitori, perché pagarsi un affitto porterebbe via i 2/3 dello stipendio, si devono sentire anche chiamare «bamboccioni» dal ministro dell'Economia del governo di centrosinistra? No problem, direbbe l'hollywoodiano Walter: ecco la candidatura di Loredana Ilardi, operatrice di un call center di Palermo, che a 33 anni guadagna 700 euro al mese. La piattaforma programmatica del centrosinistra è storicamente carente sul lato dello sviluppo del tessuto imprenditoriale italiano e poco attenta alle richieste di quel mondo che a gran voce chiede meno tasse per essere più competitivo? Direttamente dalla poltrona della presidenza dei giovani di Confindustria arriva Matteo Colannino. Il mercato del lavoro italiano è troppo ingessato, stretto come è nella morsa soffocante delle tasse e della burocrazia? Il pubblico impiego italiano ha bisogno di una scossa all'insegna di una maggiore produttività? Walter Veltroni per tutta risposta candida in Lombardia il professor Pietro Ichino, promotore della campagna contro i nullafacenti del pubblico impiego nonché, udite udite, uno dei sostenitori dell'abolizione dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Questo è in contrasto con la politica degli ultimi 60 anni del centrosinistra italiano e Ichino è un paravento, una voce fuori dal coro nel Partito Democratico su questi temi? Nessun problema, al massimo se ne parlerà in futuro.

Dopo le decisioni di candidare il professor Umberto Veronesi e di dare il via libera all'ingresso dei Radicali di Emma Bonino e Marco Pannella nel Partito Democratico, che hanno sollevato pubbliche critiche da parte di alcuni esponenti dell'area cattolica dello stesso partito e l'attacco frontale del periodico «Famiglia Cristiana», c'è un problema sul come affrontare determinati temi etici che rischiano di minare il mai trovato equilibrio tra ex Ds ed ex della Margherita? La soluzione alle polemiche suscitate da alcune candidature è un'altra candidatura: quella di Andrea Sarubbi, popolare conduttore della trasmissione televisiva Rai «A Sua Immagine».

Insomma, a furia di stupire Veltroni sta imbarcando nelle liste del Partito Democratico tutto ed il contrario di tutto, con il risultato che oggi la piattaforma programmatica del suo partito è un frullato di proposte contraddittorie potenzialmente indigeste per il nostro Paese che, invece, ha bisogno di scelte precise. Indipendentemente dalle qualità di questi candidati, per carità tutti rispettabilissimi, non è così che si affrontano i problemi.

Da tempo ci sono segnali negativi sull'andamento dell'economia mondiale. Servono scelte di polso, chiare e realistiche. «La situazione è molto, molto difficile e gli italiani devono essere consapevoli di questo»: così Silvio Berlusconi che ospite di Maurizio Belpietro venerdì su Canale 5, nella trasmissione «Panorama del giorno», ha spiegato che, una volta al governo, sarà difficile fare miracoli. «Nel programma c'è una frase precisa - ha detto il cavaliere - ossia che non promettiamo e non facciamo miracoli». Parole sacre.

Antonio Maglietta
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