giovedì 19 aprile 2012

RIFORMA GOVERNO MONTI SU ART. 18 DELLO STATUTO DEI LAVORATORI IN MATERIA DI LICENZIAMENTI INDIVIDUALI

1. PREMESSA
I licenziamenti individuali possono avvenire per:

a) giusta causa quando avviene un inadempimento del lavoratore talmente grave da non consentire la prosecuzione, anche solo provvisoria, di quel vincolo fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore che costituisce il presupposto fondamentale per la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato. Il licenziamento per giusta causa costituisce l'ipotesi estrema di licenziamento alla quale è legittimo fare ricorso solo come "extrema ratio": quando, cioè, nessun altro rimedio tutelerebbe adeguatamente gli interessi del datore. Non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto il fallimento dell'imprenditore (art. 2221 c.c.) o la liquidazione coatta amministrativa dell'azienda (art. 2111 c.c.);

b) giustificato motivo:
- licenziamento c.d. economico per ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa (c.d. giustificato motivo oggettivo);
- licenziamento c.d. disciplinare nel caso in cui ci sia un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del prestatore di lavoro (c.d. giustificato motivo soggettivo).


2. OGGETTO DELLA RIFORMA
I punti salienti della bozza di riforma del governo Monti riguardano soprattutto i licenziamenti per giustificato motivo e l’area di applicazione dell’art.18 dello Statuto dei Lavoratori, che interviene nel momento in cui non ci sono i presupposti previsti dalla legge per qualificare un licenziamento individuale come ‘giustificato’ e dispone il reintegro del lavoratore attraverso l’intervento del giudice.
Ecco come cambierebbe la normativa con la riforma:

a) Nel caso di licenziamento discriminatorio il giudice dispone la reintegrazione nel posto di lavoro quale che sia la dimensione di impresa.
Oggi la normativa è la stessa e, quindi, non cambia nulla di rilevante.

b) Nel caso di licenziamento disciplinare il giudice può scegliere tra reintegrazione, in caso di licenziamento manifestamente infondato, e indennizzo tra 12 e 24 mensilità.
Oggi se non ci sono violazioni gravi scatta l'obbligo di reintegro.

c) Nel caso di licenziamento per motivi economici ritenuto illegittimo dal giudice il datore di lavoro sarà condannato al pagamento di un'indennità. Nel caso di ''manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento'' per motivo economico il giudice potrà prevedere anche la reintegrazione.
Oggi se il lavoratore ricorre al giudice, e questo verifica che la ragione economica del licenziamento non c'è, si precede al reintegro.

d) E' obbligatorio indicare i motivi del licenziamento e tentare la conciliazione.
Oggi la motivazione arriva su esplicita richiesta da parte del lavoratore oggetto del licenziamento.

e) E' prevista l'introduzione di un processo speciale abbreviato per le controversie in materia di licenziamento.
Oggi si passa prima dal tentativo di conciliazione presso la Direzione provinciale del lavoro e poi, se questa non va a buon fine, si va in tribunale (con tutto quello che ne consegue in termine di lunghezza del giudizio).

giovedì 12 aprile 2012

Serve una vera riforma del mercato del lavoro

di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
giovedì 12 aprile 2012

La bozza di riforma del mercato del lavoro proposta dal governo Monti, trasmessa nei giorni scorsi al Senato per l’inizio dell’iter parlamentare, oltre che sul tavolo istituzionale dei componenti della commissione lavoro di Palazzo Madama, sta passando anche su altri tavoli (extraparlamentari), ed è oggetto di frenetiche trattative tra lo stesso governo, le parti sociali e i partiti.

Tutti hanno una richiesta da fare e nessuno, almeno al momento, è disposto a fare un passo indietro. Per capire bene qual è la situazione e quale potrebbe essere lo sbocco di queste trattative, bisogna analizzare la posizione dei soggetti in campo: governo, sindacati, confindustria, partiti. Il governo, cui va comunque dato atto di aver definito una bozza di riforma abbastanza innovativa su un tema non certo facile come quello della riforma del mercato del lavoro, ha già fatto un mezzo passo indietro sui licenziamenti individuali per motivi economici, laddove ha reintrodotto la possibilità per il giudice, a certe condizioni, di disporre il reintegro del lavoratore. A tutto questo, va aggiunta la questione fondamentale della flessibilità in entrata poiché il testo arrivato al Senato è fortemente carente su questo punto. I sindacati, da parte loro, scenderanno in piazza venerdì 13 per denunciare la questione degli esodati e per chiedere una soluzione sulle ricongiunzioni onerose. La Cgil, inoltre, ha evidenziato anche il problema della modifica della normativa sui licenziamenti individuali.

In pratica il mezzo passo indietro del Governo non gli sta bene e chiede il ripristino integrale della vecchia formulazione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Il segretario della Fiom, Maurizio Landini ha già posto dei paletti ben precisi a tal riguardo e, ammonendo senza mezzi termini la Camusso, ha già dichiarato che sull’articolo 18 la Fiom farà da sola nel caso in cui la Cgil dovesse piegarsi. La Fiom non ha intenzione di fermarsi, ha detto Landini, aggiungendo che servono tutte le iniziative, compreso lo sciopero generale, e che non si esclude alcuno strumento per ripristinare l'articolo 18, compreso il referendum.

La Confindustria, come dimostrano le uscite pubbliche del presidente Emma Marcegaglia, ha mosso ampie critiche al governo sul tema della poca flessibilità in entrata e sul passo indietro in materia di licenziamenti individuali per motivi economici. In pratica è stato fatto presente all’esecutivo che un mercato del lavoro poco flessibile sia in entrata sia in uscita, anche alla luce dell’eccessiva burocratizzazione del sistema italiano e di una congiuntura economica internazionale non certo favorevole, non avrebbe certamente effetti positivi sul sistema occupazionale nazionale. I numeri forniti dall’Istat sono chiari e, come dimostrano, sia i dati congiunturali sia quelli tendenziali, il tasso di disoccupazione è in costante e preoccupante aumento.

La pozione dei partiti maggiori, Pdl e Pd, merita un discorso a parte. Bersani ha il problema di mantenere i rapporti integri con la Cgil e, fatti alla mano, ha dimostrato che non ha alcuna intenzione di recidere il filo rosso che lega il suo partito al sindacato guidato da Susanna Camusso. Il problema è che se la Cgil decidesse di cavalcare le idee regrediste che arrivano dalla pancia del movimento (Fiom su tutte), in materia di licenziamenti e di flessibilità in entrata, si scatenerebbe un effetto domino che paralizzerebbe il Pd e porrebbe seri problemi al percorso parlamentare della riforma del mercato del lavoro.

Angelino Alfano, invece, ha scelto responsabilmente la strada del dialogo con tutti quelli che hanno a cuore la modernizzazione di questo Paese e sta definendo un pacchetto di modifiche da portare in Parlamento. L’obiettivo dichiarato dal segretario del Pdl è quello di migliorare il provvedimento del governo soprattutto sul tema delle assunzioni, agevolando la flessibilità in entrata, in modo da perseguire politiche che contrastino in modo efficace il problema dell’aumento del tasso di disoccupazione, con particolare riguardo a quello dei giovani, e dei bassi livelli di occupazione delle donne (i due elementi storicamente negativi del mercato italiano). Alla luce di quanto detto, quindi, il percorso parlamentare del provvedimento relativo alla riforma del mercato del lavoro rischia di essere abbastanza accidentato. Le varianti sono essenzialmente tre e sono tutte importanti: la volontà del Governo di rischiare una sorta di passaggio sotto le forche caudine nel caso arrivassero proposte di modifica irricevibili (come quelle della Fiom); l’effetto domino derivante dall’esito del confronto interno alla Cgil tra Susanna Camusso e Maurizio Landini; un possibile accordo in Parlamento su alcune modifiche qualificanti proposte dal Pdl per modernizzare il mercato del lavoro sul tema delle assunzioni e il contrasto al fenomeno della disoccupazione.

giovedì 5 aprile 2012

Giovani e lavoro: più diritti e meno assistenza

di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
mercoledì 04 aprile 2012

Negli ultimi tempi il dibattito politico si è focalizzato sulle varie ipotesi di riforma del mercato del lavoro. E’ chiaro che quando si tocca un argomento così vasto e complesso, l’attenzione spesso rischia di incentrarsi sugli aspetti che generano maggiore conflitto politico, com’è avvenuto ad esempio in merito alla volontà da parte del governo di riformare l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori in materia di licenziamenti individuali.

Tutti i riflettori sono stati puntati su quest’aspetto e poco o niente su altri che, peraltro, non sono certo secondari per la modernizzazione di questo Paese. Uno degli argomenti rimasti nascosti nell’ombra è certamente quello della riforma degli ammortizzatori sociali e cioè di quel complesso di misure e prestazioni a sostegno del reddito dei lavoratori che si trovano nella condizione di disoccupati o sospesi dal lavoro. Sappiamo da qualche tempo oramai, perché ci sono studi, statistiche e ricerche di ogni tipo, e per ognuno il proprio vissuto e la percezione di quello che avviene nella vita di tutti i giorni ad amici, parenti o semplici conoscenti, che i giovani lavoratori italiani siano in genere fuori dalle maglie del sistema di protezione sociale garantito dallo Stato.

Il direttore generale di Bankitalia, Anna Maria Tarantola, ha affermato nel suo intervento nel convegno a Genova ‘La famiglia un pilastro per l'economia del Paese’ che «nel nostro paese nel 2009 il tasso di occupazione è diminuito di 1,2 punti percentuali rispetto a un anno prima; nel 2010 di ulteriori 0,6 punti; nel 2011 ha ristagnato. In assenza di un sistema di ammortizzatori sociali estesi anche a chi ha storie lavorative discontinue, il ruolo della famiglia è divenuto essenziale». Secondo Bankitalia, infatti, «il reddito dei genitori è stato in molti casi l'unico sostegno per i componenti più giovani. Se si distinguono gli occupati in base alla loro posizione all'interno della famiglia, nel luglio del 2011 il tasso di occupazione dei figli conviventi con i propri genitori era inferiore di 5,8 punti percentuali al valore precedente la crisi; quello dei genitori di mezzo punto. Si stima che nella tarda primavera del 2009, nel momento di massimo impatto della crisi sul mercato del lavoro italiano, circa 480 mila famiglie abbiano sostenuto almeno un figlio convivente che aveva perso il lavoro nei dodici mesi precedenti. Le risorse impiegate in questa forma di sostegno familiare sono venute non solo dai redditi da lavoro dei genitori, ma spesso anche da quelli da pensione».

L’ipotesi di riforma in materia di ammortizzatori sociali, proposta dal governo Monti, quindi, doveva tra le altre cose dare ai giovani quelle garanzie che oggi non hanno ed eliminare quegli sprechi di sistema di cui tutti parlano, ma che nessuno tocca. In attesa di leggere il testo che arriverà in Parlamento, al momento possiamo solo analizzare quanto trapelato ufficialmente da Palazzo Chigi. Sappiamo che la riforma si articola su tre pilastri: assicurazione sociale per l’impiego (ASpI), a carattere universale; tutele in costanza di rapporto di lavoro (Cigo, Cigs, fondi di solidarietà); strumenti di gestione degli esuberi strutturali. Diciamo subito che si tratta di una riforma abbastanza innovativa per il panorama italiano e che le note positive sono il primo e il terzo pilastro perché sono strumenti che vengono incontro alle esigenze reali dei giovani lavoratori che hanno bisogno di diritti universali e non di un sistema fatto di garanzie riconosciute solo ad alcuni. Tuttavia andrebbe rivisto il sistema di protezione dei collaboratori coordinati e continuativi, esclusi dall’ambito di applicazione dell’ASpI. Nelle dichiarazioni del governo, infatti, si fa riferimento al rafforzamento e alla messa a regime del meccanismo una tantum previsto oggi ma resta ancora un mistero quali saranno le coperture economiche di un provvedimento del genere poiché attualmente questa forma di protezione viene concessa, a certe specifiche condizioni, nei limiti delle risorse disponibili e non certo a tutti. Molto meno soddisfacente, invece, è il secondo pilastro in merito alla cassa integrazione perché è vero che il nuovo sistema potrebbe essere in grado di prevenire usi impropri perché le tutele scatterebbero in costanza di rapporto di lavoro, ma è altrettanto noto che lo strumento della cassa integrazione, così com’è, non tutela appieno il lavoratore.
Il sistema dovrebbe mettere al centro della tutela la persona. La politica passiva degli incentivi economici dovrebbe essere sostituita, quindi, da forme attive ossia da strumenti per il ricollocamento come forme di riqualificazione o servizi di ricerca del lavoro.
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