giovedì 5 aprile 2012

Giovani e lavoro: più diritti e meno assistenza

di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
mercoledì 04 aprile 2012

Negli ultimi tempi il dibattito politico si è focalizzato sulle varie ipotesi di riforma del mercato del lavoro. E’ chiaro che quando si tocca un argomento così vasto e complesso, l’attenzione spesso rischia di incentrarsi sugli aspetti che generano maggiore conflitto politico, com’è avvenuto ad esempio in merito alla volontà da parte del governo di riformare l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori in materia di licenziamenti individuali.

Tutti i riflettori sono stati puntati su quest’aspetto e poco o niente su altri che, peraltro, non sono certo secondari per la modernizzazione di questo Paese. Uno degli argomenti rimasti nascosti nell’ombra è certamente quello della riforma degli ammortizzatori sociali e cioè di quel complesso di misure e prestazioni a sostegno del reddito dei lavoratori che si trovano nella condizione di disoccupati o sospesi dal lavoro. Sappiamo da qualche tempo oramai, perché ci sono studi, statistiche e ricerche di ogni tipo, e per ognuno il proprio vissuto e la percezione di quello che avviene nella vita di tutti i giorni ad amici, parenti o semplici conoscenti, che i giovani lavoratori italiani siano in genere fuori dalle maglie del sistema di protezione sociale garantito dallo Stato.

Il direttore generale di Bankitalia, Anna Maria Tarantola, ha affermato nel suo intervento nel convegno a Genova ‘La famiglia un pilastro per l'economia del Paese’ che «nel nostro paese nel 2009 il tasso di occupazione è diminuito di 1,2 punti percentuali rispetto a un anno prima; nel 2010 di ulteriori 0,6 punti; nel 2011 ha ristagnato. In assenza di un sistema di ammortizzatori sociali estesi anche a chi ha storie lavorative discontinue, il ruolo della famiglia è divenuto essenziale». Secondo Bankitalia, infatti, «il reddito dei genitori è stato in molti casi l'unico sostegno per i componenti più giovani. Se si distinguono gli occupati in base alla loro posizione all'interno della famiglia, nel luglio del 2011 il tasso di occupazione dei figli conviventi con i propri genitori era inferiore di 5,8 punti percentuali al valore precedente la crisi; quello dei genitori di mezzo punto. Si stima che nella tarda primavera del 2009, nel momento di massimo impatto della crisi sul mercato del lavoro italiano, circa 480 mila famiglie abbiano sostenuto almeno un figlio convivente che aveva perso il lavoro nei dodici mesi precedenti. Le risorse impiegate in questa forma di sostegno familiare sono venute non solo dai redditi da lavoro dei genitori, ma spesso anche da quelli da pensione».

L’ipotesi di riforma in materia di ammortizzatori sociali, proposta dal governo Monti, quindi, doveva tra le altre cose dare ai giovani quelle garanzie che oggi non hanno ed eliminare quegli sprechi di sistema di cui tutti parlano, ma che nessuno tocca. In attesa di leggere il testo che arriverà in Parlamento, al momento possiamo solo analizzare quanto trapelato ufficialmente da Palazzo Chigi. Sappiamo che la riforma si articola su tre pilastri: assicurazione sociale per l’impiego (ASpI), a carattere universale; tutele in costanza di rapporto di lavoro (Cigo, Cigs, fondi di solidarietà); strumenti di gestione degli esuberi strutturali. Diciamo subito che si tratta di una riforma abbastanza innovativa per il panorama italiano e che le note positive sono il primo e il terzo pilastro perché sono strumenti che vengono incontro alle esigenze reali dei giovani lavoratori che hanno bisogno di diritti universali e non di un sistema fatto di garanzie riconosciute solo ad alcuni. Tuttavia andrebbe rivisto il sistema di protezione dei collaboratori coordinati e continuativi, esclusi dall’ambito di applicazione dell’ASpI. Nelle dichiarazioni del governo, infatti, si fa riferimento al rafforzamento e alla messa a regime del meccanismo una tantum previsto oggi ma resta ancora un mistero quali saranno le coperture economiche di un provvedimento del genere poiché attualmente questa forma di protezione viene concessa, a certe specifiche condizioni, nei limiti delle risorse disponibili e non certo a tutti. Molto meno soddisfacente, invece, è il secondo pilastro in merito alla cassa integrazione perché è vero che il nuovo sistema potrebbe essere in grado di prevenire usi impropri perché le tutele scatterebbero in costanza di rapporto di lavoro, ma è altrettanto noto che lo strumento della cassa integrazione, così com’è, non tutela appieno il lavoratore.
Il sistema dovrebbe mettere al centro della tutela la persona. La politica passiva degli incentivi economici dovrebbe essere sostituita, quindi, da forme attive ossia da strumenti per il ricollocamento come forme di riqualificazione o servizi di ricerca del lavoro.

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