venerdì 30 settembre 2011

Buone notizie sul lavoro dall’Istat



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
venerdì 30 settembre 2011

Secondo gli ultimi dati diffusi dall'Istat, nel secondo trimestre del 2011 il numero degli occupati è cresciuto rispetto allo stesso periodo dello scorso anno dello 0,4% (+87.000 unità). Questo risultato è dovuto esclusivamente allo sviluppo dell'occupazione femminile. Gli occupati a tempo pieno tornano a diminuire su base annua (-0,2%, pari a -32.000 unità) mentre quelli a tempo parziale (involontari) continuano ad aumentare (+3,4%, 119.000 unità). Il tasso di disoccupazione è pari al 7,8% (era 8,3% nel secondo trimestre 2010), in diminuzione su base annua per gli uomini (-0,6 punti percentuali) e, in misura di poco inferiore, per le donne (-0,5 punti). Il tasso di disoccupazione dei giovani sotto i 24 anni scende dal 27,9% del secondo trimestre 2010 al 27,4%. Purtroppo si registra una crescita della popolazione inattiva. Il fenomeno, secondo quanto riferito dall'istituto nazionale di statistica, interessa sia coloro che cercano lavoro non attivamente (+38.000 unità) e quelli che non cercano ma sono disponibili a lavorare (+17.000 unità), sia, e soprattutto, quanti non cercano e non sono disponibili a lavorare (+184.000 unità). Il tasso di inattività si è attestato al 37,9%, registrando una variazione positiva dello 0,4% rispetto a un anno prima.

Ad agosto 2011 gli occupati sono stati 23.003 unità, in aumento dello 0,1% (26 mila unità) rispetto a luglio e dello 0,8% (191 mila unità) nel confronto con lo stesso periodo dell'anno precedente. Il tasso di occupazione si è attestato al 57%, in aumento di 0,1 punti percentuali nel confronto congiunturale e di 0,3 punti in termini tendenziali. Il numero dei disoccupati, pari a 1.965 mila, diminuisce dell'1,8% (-36 mila unità) rispetto a luglio. La flessione riguarda sia la componente maschile sia quella femminile. Il tasso di disoccupazione è al 7,9%, e registra un confortante -0,1% rispetto a luglio e -0,4 punti su base annua. Il tasso di disoccupazione giovanile è pari al 27,6%, con un aumento congiunturale di 0,1 punti percentuali. Gli inattivi tra i 15 e i 64 anni non hanno registrato variazioni rispetto al mese precedente e anche il tasso di inattività è rimasto stabile al 38%.
Guardiamo le cose positive:
* il tasso di disoccupazione è in continua diminuzione dopo il picco raggiunto a ottobre del 2010 e registra delle performance che stanno smentendo le previsioni, seppur in parte positive se confrontate con gli altri paesi europei, fatte da ultimo dal Fondo monetario internazionale, secondo cui il dato si sarebbe attestato all'8,2% a fine 2011;
* i disoccupati sono tornati sotto la soglia dei 2 milioni;
* il tasso di disoccupazione dei giovani è sceso di 0.5 punti percentuali tra il secondo trimestre 2010 e lo stesso periodo del 2011;
* aumenta il numero degli occupati e si registra un dato positivo che è il migliore degli ultimi 2 anni;
* aumentano le donne occupate;
* il tasso di inattività è rimasto stabile tra luglio e agosto.
Gli aspetti negativi:
* diminuiscono gli occupati a tempo pieno e aumenta il part time involontario;
* il tasso di inattività è aumentato di 0,4 punti percentuali tra il secondo trimestre 2010 e lo stesso periodo del 2011;
* il tasso di disoccupazione giovanile è in lieve aumento ad agosto (+0,1%) rispetto a luglio.
I numeri dell'Istat sono molto confortanti e rappresentano una boccata d'ossigeno per il mercato del lavoro italiano, che sta rispondendo in maniera positiva alle sollecitazioni negative derivanti dalla crisi economica mondiale. Se mettiamo su un piatto della bilancia i dati positivi e negativi dell'ultima rilevazione dell'Istituto nazionale di statistica, appare evidente che siamo dinanzi ad un trend positivo e i pochi aspetti negativi che emergono sono consolidamenti di situazioni storiche (il tasso di disoccupazione giovanile e quello degli inattivi) o questioni legate direttamente alla crisi (la diminuzione del tempo pieno e l'aumento del part time involontario). Resta la questione fondamentale dell'alto livello del tasso di disoccupazione giovanile che, certamente, non può essere un problema perenne, ma è altrettanto vero che, nonostante le iniziative del governo per combattere il fenomeno, non si può aspettare un rilevante miglioramento del dato in un momento in cui la crisi sta ancora mordendo.

martedì 27 settembre 2011

Ilo e Ocse indicano la strategie contro la disoccupazione



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
martedì 27 settembre 2011

Secondo l'Ilo (Organizzazione internazionale del lavoro) e l'Ocse (l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), la crisi economica ha bruciato più di 20 milioni di posti di lavoro nei Paesi del G20 e, se persisterà il ritmo di bassa crescita dell'occupazione come in molti di essi, sarà impossibile nel breve periodo recuperare il gap accumulato. L'occupazione dovrebbe crescere almeno dell'1,3% l'anno perché si possa tornare al tasso pre-crisi nel 2015. Se così fosse, si creerebbero circa 21 milioni di posti aggiuntivi per anno, tali da assorbire la disoccupazione accumulata dal 2008 e l'aumento dell'età lavorativa.

Nel mondo ci sono duecento milioni di persone senza lavoro, un dato vicino al picco raggiunto nel periodo della Grande depressione del 1929, e la persistente crisi dell'occupazione si sta traducendo in un cambiamento strutturale caratterizzato da una sempre più alta e crescente disoccupazione giovanile e di lungo-termine. Il segretario generale dell'Ocse, Angel Gurria, e il direttore generale dell'Ilo, Juan Somavia, alla luce di questi dati, hanno lanciano un appello all'attuale presidenza francese del G20 affinché ponga l'occupazione e la tutela sociale al centro delle discussioni politiche globali, insistendo sulla cruciale importanza di fare della creazione di posti di lavoro una priorità.

Secondo il rapporto Ilo/Ocse, i paesi che hanno ancora margini di bilancio dovrebbero dare priorità agli investimenti nel settore delle infrastrutture, mentre laddove le risorse pubbliche sono scarse, ci si dovrebbe concentrare su misure economicamente efficaci per incentivare da un lato l’offerta di lavoro e, dall’altro, per rafforzare i sistemi di protezione per i più deboli. Per quanto riguarda la componente giovanile del mercato del lavoro, occorre puntare sull’apprendistato e l’assistenza nella ricerca di lavoro, onde ridurre il rischio di cadere nel tunnel della disoccupazione di lunga durata e di perdere contatto con il mercato. Bisognerebbe, inoltre, incentivare gli strumenti a sostegno del reddito dei disoccupati cercando di coniugarli efficacemente con i programmi di reimpiego.

Ricapitoliamo. Secondo questi organismi internazionali, le linee guida che dovrebbero seguire i governi per combattere gli effetti negativi della crisi economica sui livelli di occupazione sarebbero: aumentare e stimolare i canali di ingresso nel mercato del lavoro; rafforzare le tutele per i più deboli; mantenere in vita i posti già occupati e legare gli strumenti di protezione del reddito con i programmi di reinserimento nel mondo del lavoro.

La via indicata dall’Ilo e dall’Ocse è con tutta evidenza quella già intrapresa con decisione dal governo italiano in carica sin dalla seconda metà del 2008, che ha rafforzato il nostro sistema di protezione sociale: con interventi normativi (ricordiamo, tra le altre cose, quello a favore dei lavoratori che svolgono attività usuranti) e investendo diversi miliardi di euro per gli ammortizzatori sociali, a tutela dei più deboli, per le imprese dei settori più colpiti e sul fondo strategico; ha puntato anche ad allargare i canali di ingresso nel mercato del lavoro con una serie d’iniziative, come la riforma dell’apprendistato, rientranti nel Piano triennale per il lavoro e nei Piani di azione per l’inclusione delle donne nel mercato del lavoro, per l'occupabilità dei giovani e per l’integrazione delle persone immigrate; ha rivisto il modello nazionale di welfare to work per le politiche di reimpiego con un nuovo piano di intervento.

Altra questione fondamentale è quella del mantenimento dei posti di lavoro già occupati e, in questo ambito la direzione giusta non può che essere quella della cosiddetta «flessibilità contrattata» con le parti sociali, uno strumento utile per combattere la disoccupazione, il lavoro nero e la precarietà. Si tratta di estendere il più possibile quei modelli di accordo già sperimentati per i casi degli stabilimenti Fiat di Pomigliano d’Arco, Mirafiori e Grugliasco che, al momento, sono l’unica via possibile da intraprendere con forza poiché coniuga al meglio la necessaria richiesta di maggiore flessibilità da parte del mercato con la garanzia della salvaguardia dei diritti fondamentali dei lavoratori e, inoltre, nel campo delle relazioni industriali riduce il rischio di innalzare il livello della conflittualità.

mercoledì 21 settembre 2011

Le misure del Governo a sostegno del mercato del lavoro


di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
mercoledì 21 settembre 2011

Secondo le stime del Fondo Monetario Internazione, il tasso di disoccupazione in Italia si attesterà all'8,2% nel 2011 e all'8,5% nel 2012, sotto la media europea. Si tratta di una previsione con luci (il tasso in Italia, secondo la stima, sarà sotto la media europea) e ombre (il +0,3% in un anno) che va presa con le molle, ma certamente non sottogamba, e che comunque non sembra tenere conto dell'andamento del nostro mercato del lavoro nell'ultimo anno.


Come dimostra il grafico dell'Istat, il tasso di disoccupazione in Italia, salvo il picco registrato a ottobre del 2010, è in discesa. L'impatto relativamente basso della crisi economica sul nostro mercato del lavoro, se confrontato con quanto è avvenuto negli altri paesi, è stato certificato da ultimo anche dall'Ocse. Questo non vuol dire che la situazione è tutta rose e fiori, ma solo che previsioni come quelle del Fondo Monetario Internazionale vanno analizzate nella loro complessità.
Secondo l'ultima rilevazione dell'istituto nazionale di statistica, a luglio il tasso di disoccupazione si è attestato all'8,0%, non facendo registrare variazioni rispetto al mese precedente; su base annua il tasso è calato di 0,3 punti percentuali. Il tasso di disoccupazione giovanile, invece, è sceso al 27,6%, con una diminuzione congiunturale di 0,2 punti percentuali.
E' un fatto noto che, soprattutto in una fase delicata come quella che stiamo vivendo, con una crisi che attanaglia tutte le economie dei paesi del mondo e che riversa i suoi pesanti effetti negativi sul mondo del lavoro, i soggetti più deboli siano i primi a essere colpiti. In Italia, ma non solo, i soggetti storicamente deboli sono i giovani, le donne e gli immigrati. Se il nostro sistema riuscirà da un lato a proteggere soprattutto i loro posti di lavoro e, dall'altro, rilanciare la dinamicità del mercato creando le condizioni per aumentare l'offerta di lavoro, allora vorrà dire che avremo risolto gran parte dei problemi.
Il Piano triennale del governo per il lavoro e i Piani di azione per l'inclusione delle donne nel mercato, per l'occupabilità dei giovani e per l'integrazione delle persone immigrate è una risposta concreta che va proprio in quella direzione. Molto importanti sono stati due recenti interventi normativi come:
la riforma dell'apprendistato, che ha semplificato la materia e ha trasformato espressamente questo strumento in un contratto di lavoro a tempo indeterminato con finalità formative e occupazionali;
la riforma dei tirocini formativi, che ha definito i livelli essenziali di tutela dei tirocinanti e ricondotto l'utilizzo dei tirocini alla loro caratteristica principale, e cioè quella di favorire un'importante occasione di formazione e orientamento dei giovani che entrano a contatto con il mondo del lavoro, fornendo al contempo ai servizi ispettivi gli strumenti necessari per contrastare con forza l'utilizzo fraudolento di questo strumento.
Non si tratta di due bacchette magiche, ma certamente di strumenti utili per combattere concretamente, e non a chiacchiere, l'alto tasso di disoccupazione dei giovani e il basso livello di occupazione delle donne. Se qualcuno critica questi interventi, come spesso fanno alcuni esponenti dei partiti di opposizione, bontà vuole che facciano sapere all'universo mondo quali sarebbero le loro proposte alternative, perché dire semplicemente «no» senza aggiungere cosa farebbero loro è solo un inutile giochetto di cui nessuno sente il bisogno, soprattutto in questo momento.

sabato 17 settembre 2011

La crisi e la disoccupazione giovanile



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
venerdì 16 settembre 2011

Secondo i dati del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, elaborati da Elan International, società di executive search, l'occupazione giovanile, tra i 15-34 anni, è per il 77% di contratti a tempo indeterminato, mentre il 23% è a tempo determinato. Per quanto riguarda il tasso di disoccupazione giovanile tra i 15-24 anni a livello europeo, tra il 2008-2009, è stato registrato un forte aumento (dal 21,2% al 25,3%), mentre in Italia negli ultimi 10 anni c'è stata una graduale diminuzione.
Secondo l'Employment Outlook 2011 dell'Ocse, «l'impatto della crisi recente sul mercato del lavoro italiano è stato fino a oggi moderato, ma la ripresa è stata lenta». Per l'organizzazione parigina il mercato del lavoro italiano è sempre più duale, con lavoratori in età matura in impieghi stabili e protetti e molti giovani senz'altro sbocco immediato che posti più precari, e la crisi ha colpito duramente i giovani (compresi tra i 15 e i 25 anni): il tasso di disoccupazione giovanile si è attestato al 27,6% nel luglio 2011, uno dei più alti tassi nell'area Ocse. Il tasso di disoccupazione italiano (nella definizione dell'Ilo), ricorda l'Ocse, è cresciuto di 2,5 punti percentuali tra l'inizio della crisi (nel secondo trimestre del 2007) e il primo trimestre del 2010 quando ha raggiunto l'8,5%. «Questo incremento rimane tuttavia inferiore all'aumento medio osservato nell'intera area Ocse - si legge nel rapporto - da allora, però, la ripresa occupazionale è stata alquanto moderata. Il tasso di disoccupazione italiano è sceso di solo mezzo punto percentuale, in linea con l'evoluzione media degli altri paesi Ocse e il recente rallentamento della ripresa economica nell'area euro suggerisce che la disoccupazione italiana rimarrà sopra i livelli precedenti alla crisi per un certo tempo».
Secondo l'organizzazione di Parigi, «nella fase di recessione il tasso di disoccupazione giovanile aumentato di 9,7 punti percentuali, raggiungendo il 28,9% (tasso destagionalizzato) nell'aprile 2010. Da allora i segni di ripresa sono timidi». Inoltre, rileva il rapporto, «il declino della disoccupazione appare dovuto interamente alla creazione di posti di lavoro con contratti a termine o atipici (inclusi i cosiddetti collaboratori), mentre il numero di posti con contratto indeterminato tende ancora a contrarsi».
Insomma la situazione italiana, per quanto riguarda la disoccupazione giovanile, non ha quelle tinte fosche che molti vorrebbe dipingere per soli interessi legati all'opportunità politica del momento. La questione è molto complessa e bisogna valutarla tenendo ben presente alcuni aspetti, in primis il rispetto per tutte le persone, le loro storie e le loro sofferenze legate alla disoccupazione che stanno dietro i numeri e le statistiche. Perché è proprio questo rispetto che deve spingere chi si cimenta nell'analisi di questi temi a cercare di dare un contributo ragionato al dibattito per focalizzare sempre meglio il problema. Sappiamo che il mercato del lavoro italiano ha storicamente e per motivi diversi tre soggetti deboli: giovani, donne e immigrati. Parliamo dei giovani: in questo caso il problema è che nel momento in cui la crisi economica riversa i suoi effetti negativi sul mercato del lavoro, i primi a saltare sono stati i contratti a termine o atipici che, nella stragrande maggioranza dei casi, riguardano i giovani lavoratori. Per quanto riguarda il fatto, invece, che il mercato del lavoro italiano è sempre più duale (da un lato lavoratori anziani superprotetti e dall'altro giovani con poche tutele), sarebbe bene ricordare che la flessibilità è l'unico strumento utile per combattere la disoccupazione. Il passaggio dalla flessibilità al precariato avviene quando non c'è un sistema di ammortizzatori sociali e un mercato del lavoro dinamico.
Il governo, pur zavorrato dal terzo debito pubblico del mondo, si è mosso da un lato tutelando queste persone proprio con gli ammortizzatori sociali con l'istituzione, tra le altre cose, della cassa integrazione in deroga e dall'altro con l'introduzione di misure a sostegno dell'occupazione rientranti nel «Piano di azione per l'occupabilità dei giovani attraverso l'integrazione tra apprendimento e lavoro». Una strategia che, come certificato anche dai dati ufficiali dell'Ocse e del Ministero del Lavoro, relativamente all'impatto della crisi sulle dinamiche occupazionale, ha dato certamente i suoi frutti positivi.
Coloro che criticano sempre a prescindere tutto quello che di buono è stato fatto in questi anni sono gli stessi esponenti del conservatorismo rosso che hanno sempre contestato con durezza qualsivoglia riforma del mercato del lavoro, delle prestazioni a sostegno del reddito e delle pensioni, andata in porto o meno, che aveva l'obiettivo di dare un minimo di serenità ai giovani lavoratori. Quali sono le loro proposte alternative? Nessuno ne sa nulla. Un motivo ci sarà.

lunedì 12 settembre 2011

Il polverone rosso contro l’art. 8 della manovra



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
lunedì 12 settembre 2011

La manovra economica è all'attenzione della Camera dei Deputati e tra i punti fondamentali del testo si annovera sicuramente il tanto citato articolo 8 recante «Sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità». Prima di analizzare la questione, bisogna vedere cosa c'è scritto nel disegno di legge: «I contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, compreso l'accordo interconfederale del 28 giugno 2011, possono realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati, a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali, finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all'adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all'avvio di nuove attività».
Cosa c'è scritto di così terribile da scatenare la reazione scomposta della Cgil e del Partito democratico? Secondo il segretario del sindacato rosso, Susanna Camusso, «la nostra Costituzione è basata sull'uguaglianza dei diritti e l'articolo 8 deroga a tutto questo. Non è mai successo nella storia italiana che un governo agisse così violentemente contro libera contrattazione delle parti e contro i sindacati. È una vendetta contro i lavoratori da parte del ministro del Lavoro». E il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, ha aggiunto che l'articolo 8 della manovra, che, di fatto, «cancella i contratti nazionali di lavoro» deve essere abrogato, se necessario, anche con un referendum. Non è stato tenero neanche il capogruppo democratico del Pd nella commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, che ha dichiarato che «la vergogna dell'articolo 8 va cancellata. Più passa il tempo e più appare chiaro il tentativo del governo e del ministro Sacconi di destabilizzare le relazioni industriali e impedire ogni percorso unitario dei sindacati. Togliere di mezzo questa norma è la condizione di partenza per poter ricostruire, su basi nuove, il modello contrattuale e della rappresentanza, come delineato dall'accordo di Cgil, Cisl, Uil e Confindustria del 28 giugno scorso».
Innanzitutto va chiarito che non c'è alcuna libertà di licenziamento perché, come riporta la stessa diposizione in esame, le specifiche intese potranno riguardare, tra le altre cose, le modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite Iva, la trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e le conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio, il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonché fino ad un anno di età del bambino, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di adozione o affidamento. Il testo, insomma, mette una serie di paletti la cui presenza è certamente in contrasto con la vulgata che vuol far credere che questa disposizione dia il via libera ai licenziamenti selvaggi.
Seconda questione. E' verissimo che queste specifiche intese operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie in questione e alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro, fermo restando ovviamente il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro. E' altrettanto vero, però, che la disposizione definisce in maniera chiara i requisiti necessari al contratto collettivo aziendale per derogare alla legge e, com'è giusto che sia, esclude le materie coperte da garanzie costituzionali.
Terza questione. Non è vero, come afferma l'ex ministro del lavoro del governo Prodi, Cesare Damiano, che in questo modo si destabilizzano le relazione industriali perché solo la Cgil nel mondo dei sindacati maggiormente rappresentativi è contraria a questa disposizione e, come è ampiamente noto, l'organizzazione guidata dalla Camusso è da tempo su posizione isolate su tutto quello che riguarda la riforma del mercato del lavoro. E anche nel partito di Damiano ci sono voci, come quella del senatore Pietro Ichino, in parte favorevoli (anche se comunque critiche su alcuni punti) a questa disposizione.
Quarta questione. Non si capisce bene se i vertici della Cgil si fidino o no dei propri rappresentanti territoriali e aziendali o pensino che gli stessi non possano essere in grado di salvaguardare adeguatamente i diritti dei lavoratori. Oppure se la deroga in questione, dando più spazio alle figure sindacali locali, non sia vista come una perdita di potere da parte degli apparati centrali.
Un'altra cosa è certa, oltre al fatto che non ci sarà alcun licenziamento selvaggio: quando si parla di modernizzare il mercato del lavoro, la Cgil e il Partito democratico sono sempre contrari.
Google