giovedì 29 aprile 2010

Salute e sicurezza sul lavoro



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

mercoledì 28 aprile 2010

Mercoledì 28 aprile si è celebrata la Giornata mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro promossa dall'Ilo (International Labour Organization). L'evento ha rappresentato un momento utile per riflettere sulle azioni più efficaci da compiere per migliorare la materia. Guardiamo qual è la situazione a riguardo in Italia. Nel nostro Paese, secondo i dati Inail, siamo passati dai 1.176.491 infortuni denunciati nel 1990 (2.417 morti) ai 874.940 infortuni del 2008 (1.120 mortali). Nella serie storica delle statistiche Inail, il picco degli infortuni denunciati è stato registrato nel 1970 (1.601.061), mentre quello delle morti nel 1963 (4.644).

Secondo gli ultimi dati dello stesso Istituto, inoltre, nel primo semestre 2009 gli infortuni e le morti sul lavoro sono diminuiti rispettivamente dell'11,1% e del 13,1% rispetto allo stesso periodo del 2008. Secondo l'Anmil (Associazione Nazionale Mutilati ed Invalidi del Lavoro), l'obiettivo fissato dall'Ue di ridurre gli infortuni sul lavoro del 25% nel periodo 2007-2012, se si prosegue su questa strada, sarà raggiungibile dal nostro Paese con un confortante anticipo.

L'attuale Governo è intervenuto in materia con il decreto legislativo 5 agosto 2009, n. 106, con il quale sono state individuate le disposizioni normative ad integrazione e correzione del testo unico (decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81). Il decreto ha introdotto un sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi in settori a particolare rischio infortunistico e il superamento di un approccio meramente formalistico e burocratico al tema della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, prestando maggiore attenzione ai profili sostanziali e agli obiettivi da raggiungere. Come spiegato in una nota del Governo, la finalità è di rendere maggiormente effettiva la tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro secondo queste linee di azione:

* integrazione tra le attività del Servizio Sanitario Nazionale e dell'Inail finalizzata all'assistenza e alla riabilitazione dei lavoratori vittime d'infortuni, in modo da garantirne il migliore e più rapido recupero dell'integrità psicofisica e della capacità lavorativa;

* rivisitazione del potere di sospensione dell'impresa, in modo da perfezionare tale importante procedura rendendo maggiormente certi sia i requisiti che ne legittimano l'adozione sia i casi nei quali la sospensione possa essere imposta (ad esempio, per evitare che l'applicazione della norma produca risultati abnormi e vessatori nelle microimprese);

* integrale ricezione delle proposte avanzate in sede tecnica dalle parti sociali;

* definizione di un corpo normativo coerente anche con la realtà e le caratteristiche delle piccole e medie imprese e con le peculiarità delle forme di lavoro atipico e temporaneo;

* valorizzazione del ruolo degli enti bilaterali quali strumenti di ausilio alle imprese e ai lavoratori per il corretto adempimento degli obblighi in materia di salute e sicurezza sul lavoro e per l'innalzamento dei livelli di tutela negli ambienti di lavoro.

Insomma la strada deve essere quella della tutela reale del lavoratore e non quella della burocratizzazione del sistema che nulla aggiunge in termini di sicurezza e molto toglie alle dinamiche economiche delle attività produttive. La questione degli infortuni sul lavoro e delle morti bianche, sui cui mai e poi mai si dovrà abbassare la guardia, dovrà continuare a essere affrontata da questo governo in modo concreto, così come fatto finora dal ministro Sacconi, e non su basi astratte, antieconomiche e confusionarie come in passato, quando si aveva la sensazione che le varie disposizioni fossero introdotte più per complicare inutilmente il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore che per tutelare quest'ultimo.

giovedì 22 aprile 2010

Le deboli proposte del Pd in tema di immigrazione



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

mercoledì 21 aprile 2010

La crisi economica colpisce duramente anche i lavoratori stranieri in Italia e sulla base di questo semplice ragionamento il Pd ha presentato martedì 20 aprile al Senato, in una conferenza stampa organizzata in collaborazione con il Comitato immigrati in Italia, un disegno di legge, firmato da 36 senatori, che propone di consentire una proroga biennale del permesso di soggiorno agli immigrati che perdono il lavoro. «Questa proposta - ha spiegato Roberto Della Seta, primo firmatario del ddl - nasce dalla sollecitazione delle associazioni dei cittadini e dei lavoratori stranieri in Italia». Il fine del ddl, ha spiegato un altro senatore democratico, Francesco Ferrante, è «dare loro il tempo di trovare un altro lavoro. Evitare che al danno della disoccupazione se ne sommi uno più grave, quello di dover lasciare il Paese dove vivono, magari con le loro famiglie da anni». La proposta «è una cosa urgente - ha detto a sua volta Edgar Galiano del Comitato immigrati - risponde a un bisogno vero: c'è gente che sta qua da trentacinque anni e rischia di diventare clandestina nel giro di sei mesi. L'esplosione sociale che potrebbe venire sarebbe responsabilità del Governo o di chi non accettasse di firmare questa proposta».

Innanzitutto bisogna chiarire alcuni punti ben precisi, e cioè che se un immigrato vive da 35 anni in Italia può benissimo chiedere la cittadinanza e che la crisi colpisce tutti indistintamente, italiani ed immigrati. Fatta questa premessa, va detto che alcuni studi molto autorevoli, come ad esempio l'International Migration Outlook Occse/Sopemi 2009, segnalano che «i paesi in cui la crisi ha colpito prima mostrano un significativo incremento dei tassi di disoccupazione e una certa diminuzione del tasso di occupazione degli immigrati, sia in termini assoluti che relativi, rispetto alla popolazione nativa. Gli immigrati tendono a essere colpiti più duramente rispetto ai nativi per diverse ragioni, tra le quali un'eccessiva presenza in settori ciclicamente sensibili, una minore tutela contrattuale e assunzioni e licenziamenti selettivi. Inoltre, sia gli immigrati in arrivo, sia coloro che hanno perso il lavoro durante la crisi sembrano avere particolari difficoltà a entrare o a rientrare tra le fila degli occupati, a tempo indeterminato».

Questa deplorevole situazione è stata creata in maniera irresponsabile dal circuito produttivo che usa la leva dell'immigrazione per rispondere impropriamente alle sfide dettate dalla globalizzazione. Il sistema economico tende ad abbattere selvaggiamente il costo del lavoro e a comprimere sostanzialmente i diritti dei lavoratori alimentando la concorrenza nel mercato tra immigrati e autoctoni. I lavoratori immigrati, quindi, sono prima sfruttati a fini economici e poi lasciati al loro destino nei momenti di crisi. Questa situazione, com'è ovvio che sia, crea tensioni sociali perché ingenera nella popolazione un forte senso d'insicurezza (con certi salari non si arriva alla fine del mese e, con i miseri contributi versati, non si riesce a creare una pensione sufficiente per guardare alla vecchiaia con serenità) e mira all'arricchimento improprio di pochi a discapito dei molti che devono invece sostenere i costi sociali di quest'operazione. Oltre al danno, quindi, la beffa.

La risposta a questa situazione indecente, che ripetiamo, colpisce seppur con forme diverse tanto gli stranieri quanto gli autoctoni, non può essere certamente quella avanzata da alcuni senatori del Partito democratico. Innanzitutto non si capisce con quali mezzi economici si potrebbero mantenere queste persone giacché si propone l'allungamento del permesso di soggiorno senza prevedere al contempo alcuna copertura economica. Le disposizioni comunitarie, inoltre, già prevedono che addirittura il periodo tra la decisione di rimpatrio e la partenza volontaria (dai sette ai trenta giorni) possa essere prorogato dagli Stati membri tenendo conto delle circostanze specifiche del singolo caso, quali la durata del soggiorno, l'esistenza di figli che frequentano la scuola e l'esistenza di altri legami familiari e sociali. Senza considerare, inoltre, che in alcuni paesi, come la Spagna ad esempio, ai lavoratori stranieri che avevano perso il posto di lavoro a causa della crisi economica, è stato offerto una sorta di bonus per incentivare il loro rientro nella terra natia, mentre in altri, come il Regno Unito, intendono rimpatriare anche gli immigrati comunitari se questi non hanno mezzi di sostentamento. Per la cronaca è opportuno aggiungere che il piano del governo spagnolo è miseramente fallito giacché solo 1.000 immigrati disoccupati extracomunitari in Spagna hanno aderito al piano di rientro volontario nei paesi di origine promosso alla fine del 2008, mentre il progetto del Regno Unito è partito in forma sperimentale e al momento è circoscritto alla sola cittadina di Peterborough.

Questi esempi concreti di come viene affrontato all'estero lo stesso problema inerente il tema dell'impatto della crisi economica sulla forza lavoro straniera ci mostrano come non esiste una via maestra da seguire. Il problema, in linea teorica, potrebbe essere affrontato in due modi e cioè applicando da un lato, con buon senso e raziocinio, le vigenti disposizioni in materia di proroga del periodo di permanenza sul territorio nazionale e di allontanamento (e respingimento alla frontiera - cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, decisione 31.03.2009 n. 1887) dal territorio nazionale degli stranieri privi di sufficienti mezzi di sostentamento e inserendo nell'ambito della riforma del welfare state nazionale il tema della creazione di un sistema universale di ammortizzatori sociali dove ognuno si paga il proprio paracadute sociale.

giovedì 15 aprile 2010

Continua la campagna di articoli del «Times» in chiave anti-italiana



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

mercoledì 14 aprile 2010

Il tanto applaudito (a sinistra) The Times, senza tanti giri di parole e operando un'irresponsabile pressione mediatica sulle autorità afghane, ha accusato Emergency di Gino Strada di collusione con i terroristi talebani, senza aspettare l'esito dell'inchiesta in corso e infischiandosene delle ripercussioni di queste parole sparate come proiettili. Indipendentemente dalle posizioni espresse nel corso degli ultimi anni da Gino Strada su alcune questioni di politica estera, su cui si può essere d'accordo o meno (io non lo sono), le accuse di collusione con i terroristi mosse ai tre italiani, in queste ore nelle mani delle autorità afghane, meritano il beneficio del dubbio fino a prova contraria, con la speranza che siano davvero estranei ai fatti contestati. Il Ministro degli esteri, Franco Frattini, ha chiesto che sia accettato un avvocato per i tre italiani di Emergency arrestati in Afghanistan. «E' un tentativo doveroso, ha aggiunto il titolare della Farnesina spiegando che il Codice transitorio attualmente in vigore in Afghanistan «non prevede l'obbligo e quindi il diritto di nominare un difensore» nei quindici giorni che possono trascorrere dal momento dell'arresto al momento della formalizzazione dell'accusa.

Tuttavia, trattando la questione con tutta la prudenza possibile e immaginabile, sembra francamente poco credibile che medici e paramedici che dedicano la loro vita a svolgere azioni umanitarie in territori devastati dalla guerra improvvisamente diventino dei bombaroli al servizio del terrorismo internazionale. Non a caso su tutta la vicenda c'è un'enorme cautela sia da parte del governo afgano sia da parte della Farnesina, perché si deve capire nel più breve tempo possibile di cosa si tratta esattamente. Proprio alla luce di questa situazione, ancora nebulosa per le stesse autorità, sembra ancora più irresponsabile ed inconcepibile l'attacco portato dal The Times.

Quando nel recente passato lo stesso giornale lanciò altre accuse false e ignobili contro i nostri militari impegnati in Afghanistan nella zona di Surubi, rei secondo The Times di pagare i talebani per non essere attaccati, qualcuno in Italia ebbe qualcosa da ridire sull'impegno delle nostre truppe all'estero, peraltro riconosciuto ed apprezzato da tutti gli operatori impegnati sul campo, e colse l'occasione al volo per chiedere il ritiro di tutti i nostri contingenti operanti all'estero. Quando sempre lo stesso giornale, intervistando la madre di Noemi, fece una traduzione palesemente sbagliata di un passaggio fondamentale di una risposta, prendendo fischi per fiaschi (furono costretti a rettificare facendo l'ennesima figuraccia), nessuno a sinistra osò criticare questo monumento della disinformazione in chiave anti-italiana. Purtroppo qualcuno in Italia, o troppo ingenuo o troppo stupido o troppo fazioso (a voi la scelta), pensa ancora che i giornalisti stranieri siano puri e illibati e riempiano le pagine dei loro giornali di articoli mossi dal sacro fuoco dell'informazione libera ed indipendente. Qui, prove alla mano, ci sono solo parole in libertà scritte senza un minimo di responsabilità con l'aggravante del cinico menefreghismo delle ripercussioni che queste indebite pressioni mediatiche potrebbero avere sulla vita delle persone coinvolte. Il dovere di ogni singolo cittadino di questo paese, investito dall'odio di questi signori che tanto disprezzano l'italianità, dovrebbe essere quantomeno quello di accogliere con una sana e italica pernacchia tutte le news-bufala spacciate per clamorosi scoop contro il nostro Paese e i nostri concittadini.

giovedì 8 aprile 2010

Immigrazione: giro di vite nel Regno Unito



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

mercoledì 07 aprile 2010

Secondo il tabloid britannico Daily Mail, il Regno Unito intende rimpatriare anche gli immigrati comunitari che vivono sul territorio di Sua Maestà, se questi non hanno mezzi di sostentamento. Il progetto pilota partirà dalla cittadina di Peterborough, dove sembra che ci siano diversi gruppi di persone provenienti dall'Est Europa che vivono in accampamenti di fortuna; per il momento sono questo tipo di situazioni estreme che riceveranno attenzione da parte delle autorità. Nell'articolo si fa notare che a rendere possibile il progetto è l'applicazione di alcune disposizioni comunitarie: secondo la Ue, infatti, chiunque può viaggiare e risiedere in qualsiasi paese membro ma non ha diritto di restare in uno di questi paesi per più di tre mesi se non lavora, non studia, o non ha mezzi di sostentamento autonomi.

In Italia, l'ex ministro Livia Turco del Partito democratico, in una mozione in discussione alla Camera, concernente iniziative in materia di politiche migratorie e di integrazione, ha chiesto al Governo di «riconoscere nel piano nazionale alcune azioni prioritarie: contrasto del degrado urbano e del disagio abitativo; estensione dell'educazione e della formazione interculturale; sostegno ai bambini e alle famiglie per l'apprendimento della lingua e della cultura italiana anche da parte degli adulti; accesso ai servizi sociali e sanitari, con particolare attenzione ai gruppi più vulnerabili; sviluppo della figura dei mediatori culturali, anche attraverso l'istituzione di un albo nazionale dei mediatori culturali e delle associazioni di mediazione culturale; inserimento di tempi certi per il rinnovo dei permessi di soggiorno».

Dal punto di vista concettuale l'idea della Turco potrebbe anche essere condivisibile. La lotta alla povertà e il rispetto della dignità umana devono essere i capisaldi di qualsiasi seria politica in materia d'immigrazione. Tuttavia la questione centrale è come si affrontano questi problemi. Semplificando al massimo si potrebbe dire che l'opposizione di centrosinistra vorrebbe aprire le porte del nostro Paese ai flussi d'immigrati, allentando un po' di vincoli, e poi creare un sistema d'assistenza sul territorio per combattere le ricadute sociali di quest'azione; poiché nella maggior parte dei casi si tratta di persone povere, le ricadute sociali non potranno che essere appunto degrado urbano, disagio abitativo e scolastico, uso distorto delle strutture sanitarie (uso improprio del pronto soccorso: «una delle modalità di accesso alle prestazioni sanitarie più diffuse nella popolazione straniera rispetto a quella italiana è rappresentata dal ricorso ai servizi di emergenza, in particolare quello al pronto soccorso» - Istat, Salute e ricorso ai servizi sanitari della popolazione straniera residente in Italia - Anno 2005, 11 dicembre 2008) ecc. E' evidente che una politica del genere porta nel medio-lungo periodo alla creazione di realtà di estremo degrado e disagio, con il rischio che la situazione diventi ancora più incandescente a causa dei malumori della popolazione autoctona. E' proprio in questo quadro, inoltre, che diventano funzionali al sistema quelle politiche di contenimento dei fenomeni distorsivi, provocati da una cattiva gestione dei flussi d'immigrati economici, come quelle del progetto pilota della cittadina di Peterborough nel Regno Unito.

Una sana e razionale politica dei flussi d'immigrati economici, invece, mettendo al centro la persona e non solo il suo lato legato all'economia (la forza-lavoro), dovrebbe valutare l'impatto dell'immigrato ad ampio raggio, prendendo in considerazione le politiche abitative, la sanità, il sistema scolastico ancor prima che lo stesso arrivi sul territorio nazionale. Solo in questo modo, attraverso uno studio preventivo sull'impatto dell'immigrato economico sulla realtà territoriale, si potrà avere un quadro delle reali possibilità del paese ospitante di dare una prospettiva di vita migliore a chi va via dalla propria terra natia per un motivo economico. Allo stesso tempo, inoltre, si potrebbe prevenire in questo modo il crearsi della maggior parte di quelle situazioni di contrasto tra immigrati stanziali e autoctoni, provocate dalle varie forme di disagio che investono sia gli uni che gli altri.

martedì 6 aprile 2010

Iniziative europee e nazionali a favore delle piccole e medie imprese



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

venerdì 02 aprile 2010

Internazionalizzazione delle piccole e medie imprese, auto verde, turismo: questi alcuni dei principali fronti su cui si concentrerà nei prossimi mesi la politica industriale europea sotto la guida del vicepresidente della Commissione Ue, Antonio Tajani. Le priorità dell'azione europea sono state fissate nel programma di lavoro appena approvato dall'esecutivo comunitario. Toccherà proprio a Tajani e al suo team presentare una comunicazione su politica industriale e globalizzazione in cui saranno indicate le azioni prioritarie da portare avanti per favorire lo sviluppo delle imprese, in particolar modo quelle di piccole e medie dimensioni, e per sostenere un tessuto industriale capace di reggere alla concorrenza.

E proprio le iniziative della Commissione europea in favore delle piccole e medie imprese (Pmi) sono state al centro dell'incontro svoltosi nei giorni scorsi a Bruxelles tra il vicepresidente Tajani e il presidente di Eurochambres (l'associazione europea che rappresenta oltre 1200 Camere di commercio di 45 paesi), Alessandro Barberis. Nel corso dei colloqui è stata sottolineata l'importanza dell'innovazione al fine di aumentare la competitività delle imprese sui mercati internazionali. In questo contesto, Tajani e Barberis hanno convenuto sull'importanza del ruolo della Commissione nel creare le condizioni per il successo delle Pmi europee, proseguendo nella creazione di nuovi European Business Center fuori dall'Europa, in grado fornire il necessario supporto. Altri temi dell'incontro sono stati l'importanza dell'implementazione rapida dello Small Business Act e la richiesta, da parte di Eurochambres, che le iniziative della Commissione sui ritardi di pagamento e sulla società privata europea vengano adottate il più rapidamente possibile.

Se l'Europa si muove, l'Italia non resta certo ferma a guardare, e dopo le tante iniziative già messe in campo dall'attuale governo per sostenere le piccole e medie imprese ecco arrivare, grazie al ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, che ne ha firmato mercoledì scorso il decreto istitutivo, il «Tavolo tecnico consultivo permanente di monitoraggio congiunturale e individuazione dei fabbisogni e criticità delle Pmi». «La costituzione di un Tavolo specifico per le Pmi riconferma la costante attenzione che il governo Berlusconi riserva a questa fondamentale componente dell'economia nazionale, rappresentando il 99,8% delle imprese italiane, il 25% di quelle europee e il 50% dell'occupazione nazionale», ha detto Scajola spiegando poi che «l'organismo tecnico ha l'obiettivo di acquisire dati e analisi nei vari settori riguardanti le Pmi italiane e di rappresentare un punto di riferimento e di ascolto atto a rilevare esigenze e fenomeni di cambiamento delle micro, piccole e medie imprese nel nostro paese, in un'ottica di consolidamento e di sviluppo del sistema delle Pmi». Il Tavolo attua i principi contenuti nella comunicazione della Commissione dell'Unione europea «Small Business Act» e nella direttiva del presidente del Consiglio dei ministri sullo SBA, approvata in prima lettura dal Consiglio dei ministri del 27 novembre 2009. L'insieme delle attività svolte nell'ambito del Tavolo faranno da contenuto e da supporto alle decisioni e alle iniziative che il ministero dello Sviluppo economico deciderà di adottare per le Pmi.

Sempre sul tema dello sviluppo delle piccole e medie imprese, inoltre, va segnalata la meritevole iniziativa parlamentare dell'onorevole Raffaello Vignali (Pdl), che ha presentato alla Camera dei deputati un disegno di legge sullo Statuto delle imprese, che introduce nell'ordinamento, per la prima volta, diritti delle imprese verso le Amministrazioni statali e verso il Fisco, una serie di interventi di semplificazione ad ogni livello per le Pmi, sulla base dello «Small Business Act» dell'Unione Europea, e semplifica l'avvio delle nuove imprese eliminando per i primi cinque anni ogni fardello burocratico (in pratica valgono solo Codice civile e Codice penale) e fiscale. Inoltre lo Statuto prevede la costituzione di un'Agenzia per le Pmi e di una Commissione bicamerale che valuti in via preliminare l'impatto di norme e regolamenti sulle Pmi, prevedendo oneri minori e tempi di adeguamento più lunghi; si chiede in pratica che in questi casi non si parta da norme pensate per le grandi imprese, ma per le piccole.

Insomma, sembra che finalmente qualcosa si muova a favore delle piccole e medie imprese, sia a livello europeo che nazionale. Il governo Berlusconi deve proseguire nel percorso intrapreso, continuando a guardare con grande attenzione a queste fondamentali realtà produttive e lavorative, e il parlamento dovrebbe cercare di fare la sua parte, magari approvando in tempi rapidi le proposte di buon senso come quelle sullo Statuto delle imprese. Più forti saranno le piccole e medie imprese italiane, più forte, di conseguenza, sarà il nostro sistema produttivo ed il nostro mercato del lavoro. Sostenere queste realtà è nell'interesse di tutti.
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