giovedì 29 novembre 2007

Welfare: «lancio degli stracci» nel centrosinistra

di Antonio Maglietta - 29 novembre 2007

Mercoledì alla Camera è andato in scena il teatrino della votazione sulla questione di fiducia sul maxi-emendamento con cui il Governo ha sostituito il testo del ddl welfare, già licenziato con modifiche dalla commissione Lavoro di Montecitorio. Ora la palla passa al Senato e l'iter del testo potrebbe rivelarsi per il governo un umiliante passaggio sotto le forche caudine. Non si tratta certo delle lance incrociate dei Sanniti di storica memoria, ma dei non meno pericolosi veti incrociati dei senatori dell'area comunista del centrosinistra e di quelli dell'area liberal-democratica del duo Dini-Bordon. E' evidente che la poco edificante operetta messa in scena dal governo, per convincere l'area comunista del centrosinistra a dare il via libera al maxi-emendamento, ha umiliato in generale le prerogative parlamentari e, nella specie, il lavoro delle Camera dei Deputati, delineando un preoccupante vulnus istituzionale tra Palazzo Chigi e Montecitorio e relegando l'attività istituzionale a mera ratifica di accordi presi altrove.
Infatti il Governo ha avuto l'ardire di mettere sotto i piedi la dignità stessa della Camera allorquando non ha tenuto conto del lavoro svolto in sede referente dalla XI Commissione. Per rispondere alle forti pressioni delle parti sociali che avevano sottoscritto il protocollo sul welfare ha presentato un maxi-emendamento, con relativa apposizione della questione di fiducia, dal punto di vista formale, integralmente sostitutivo del testo licenziato dalla commissione Lavoro ma, dal punto di vista del contenuto, una sorta di mediazione pasticciata tra testo originario e testo modificato.
Ecco le novità salienti del maxi-emendamento rispetto al testo licenziato dalla commissione Lavoro della Camera:
- Ritorna la versione originaria del tetto normativo sui lavori usuranti, con il richiamo al decreto legislativo n. 66 del 2003 e quindi la previsione delle 80 notti all'anno per qualificare un lavoro come notturno ed accedere così ai benefici previdenziali (Art. 1, comma 3, lettera b).
- Viene soppressa la novità, introdotta in commissione Lavoro, che prevedeva che dal 1° gennaio 2008, il rapporto di apprendistato nel corso del suo svolgimento potesse essere convertito in rapporto a tempo indeterminato, ferma restando l'utilizzazione del lavoratore in attività corrispondenti alla formazione conseguita e al completamento dell'obbligo formativo.
- Viene soppressa la previsione, sempre introdotta in commissione Lavoro, che prevedeva che dopo 36 mesi di attività lavorativa con contratto a termine, un ulteriore successivo contratto sempre a termine, fra gli stessi soggetti, potesse essere stipulato non solo per una sola volta ma anche per una durata non superiore a otto mesi.
- Viene confermata l'abrogazione degli istituti del job on call (Art. 1, comma 45) e dello staff leasing (Art. 1, comma 46), nonché la previsione dell'utilizzo circoscritto del lavoro a chiamata, fatto rivivere con una operazione di ingegneria giuridica, ai soli settori del turismo e dello spettacolo (Art. 1, comma 47).
Ma quale è il dato politico che emerge da questo quadretto poco confortante? Innanzitutto ora abbiamo le prove che il Pd politicamente non esiste. Non ha una base programmatica propositiva e continua a navigare a vista e senza rotta. Ed ecco allora che, grazie all'inettitudine e al vuoto programmatico della componente democratica del centrosinistra, la vera area riformista sembra essere quella dei liberal-democratici del duo Dini-Bordon.
Ma se Atene piange, Sparta non ride. Infatti ai partiti che dovrebbero dar vita alla «Cosa rossa» è andata anche peggio.«Come Romano Prodi li prende per il c ..., è semplicemente sublime». E' la conclusione ironica cui è giunto il senatore a vita, Francesco Cossiga, a proposito dell'atteggiamento di Rifondazione Comunista sulla vicenda parlamentare del protocollo sul welfare. «E così di fronte ai pericoli di crisi e del "ritorno di Berlusconi", il partito di Rifondazione Comunista batte ritirata nella sua furibonda battaglia accanto alla Cgil-Fiom e, come da copione scontato, voterà la fiducia approvando il protocollo sul welfare. "L'ultimo sacrificio!": proclama il buon Giordano».
Cossiga è convinto però che non sarà l'ultimo sacrificio quello chiesto dal presidente del Consiglio al Prc. «Il prossimo - aggiunge - sarà il voto per il rifinanziamento delle missioni all'estero, Afghanistan compreso, magari con il contentino della promessa di "un forte impegno del Governo a far rivedere alla Nato i termini dell'impegno secondo il modulo italiano: più distribuzione di scatolette di carne e tonno e di pacchi di gallette, fine della guerra ai talebani e convocazione di una conferenza di pace con la loro partecipazione, anche in rappresentanza di Al Qaeda". E poi Rifondazione passerà da sacrificio a sacrificio - è la conclusione ironica di Cossiga - fino a che Veltroni scioglierà le Camere! Ripeto: come Romano Prodi li prende per il c ..., è semplicemente sublime!». Le dichiarazioni di fuoco rese dagli esponenti dell'area comunista-antagonista del centrosinistra contro il governo e il gruppo di Lamberto Dini, dopo il passaggio alla Camera del ddl welfare, di cui sono pieni i media, palesano che i rapporti interni, e quelli con l'Esecutivo, sono oramai arrivati irrimediabilmente al fatidico «lancio degli stracci». Quanto potrà durare ancora Prodi?

Antonio Maglietta

lunedì 26 novembre 2007

Venti di crisi sul welfare


di Antonio Maglietta - 24 novembre 2007

La commissione Lavoro di Montecitorio ha terminato di votare gli emendamenti a tutti gli articoli del ddl sul welfare, apportando alcune modifiche significative che hanno provocato un terremoto all'interno del centrosinistra. L'approdo in Aula del provvedimento è previsto per lunedì ed il governo, palesando una crisi tra le varie anime del centrosinistra, ormai irreversibile, ha deciso di porre la questione di fiducia per blindare il testo. Nonostante i vari tentativi fatti nei giorni scorsi per trovare un accordo tra governo e Unione sui «nodi» del ddl, non è stato possibile raggiungere un'intesa e i partiti del centrosinistra si sono mossi in piena autonomia, cestinando il vincolo di coalizione e affrontando a muso duro l'esecutivo.
Le modifiche sui «nodi» del provvedimento, che hanno segnato una profonda ed irrimediabile spaccatura tra riformisti e massimalisti, hanno riguardato:
i lavori usuranti (art. 1, comma 3, lettera b): con un emendamento dei Comunisti Italiani è stata prevista la soppressione del riferimento al decreto legislativo n. 66 del 2003, che sostanzialmente fissava in 80 notti l'anno il dato essenziale per qualificare un lavoro come notturno (testualmente: «In difetto di disciplina collettiva è considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga lavoro notturno per un minimo di ottanta giorni lavorativi all'anno; il suddetto limite minimo è riproporzionato in caso di lavoro a tempo parziale»), delegando di fatto al governo, e in particolare alla commissione istituita presso il ministero del Lavoro, a cui partecipano anche le parti sociali, di definire meglio i benefici pensionistici che riguardano la platea degli usuranti. In sostanza è saltato il tetto sui lavori usuranti - visto che la vecchia formulazione garantiva una sorta di limite di demarcazione - con relativo aumento della spesa pubblica per sostenere l'operazione;
i contratti a termine (art. 11, comma 1, lettera b, capoverso 4-bis): rispetto al testo originario, è stato previsto che l'eventuale rinnovo contrattuale, che non farebbe scattare automaticamente il tempo indeterminato dopo 36 mesi di rapporto lavorativo, anche non continuativi, non potrà comunque avere una durata superiore agli 8 mesi;
lo staff leasing (art. 13 bis): con un articolo aggiuntivo, introdotto con un emendamento dei Comunisti Italiani, è stata prevista l'abrogazione del contratto di somministrazione di lavoro nonostante nel protocollo sottoscritto il 23 luglio non fosse previsto alcun intervento del genere;
il job on call (art. 13 ter): l'uso del «lavoro a chiamata» è stato formalmente abrogato come istituto, ma il suo contenuto di fatto continua a vivere, con una operazione di ingegneria giuridica, anche se limitatamente ai soli settori del turismo e dello spettacolo (anche se, molto probabilmente, in aula ci potrebbe essere una estensione anche a quello del commercio e dei servizi).
Altro dato fondamentale, emerso dopo che il provvedimento era stato modificato in maniera invasiva dalla commissione, è che le parti sociali, che sottoscrissero quel testo insieme al governo, si sono dichiarate profondamente insoddisfatte. Confindustria e Confcommercio hanno alzato giustamente le barricate perché le modifiche apportate al testo danneggiano profondamente il sistema produttivo. E non da meno sono stati i sindacati confederali. Basterebbe ricordare, per capire che non si tratta di una operazione di apposizione di bandierine ideologiche, ma di questioni di merito sia politiche che sostanziali, che Cisl e Uil nel 2002 avallarono tutte le novità introdotte della legge Biagi, compreso lo staff leasing, quando firmarono con il governo Berlusconi il «Patto per l'Italia». E pure chi non firmò quel documento oggi rivendica l'importanza di alcune intuizioni di quella legge, compresa la somministrazione di lavoro. Infatti, come ha ben ricordato Nerozzi della Cgil in una intervista rilasciata giovedì al Riformista, lo staff leasing è un contratto che tutela i più deboli sottraendoli dal cono d'ombra del lavoro nero e, quindi, è stato un errore colossale prevederne l'abrogazione.
Ma quello che è andato in scena in commissione Lavoro ha messo in luce anche qualcosa di più: i partiti della Cosa rossa hanno scavalcato a sinistra i sindacati, dimostrando ai lavoratori che, forse, era possibile tirare ancora di più la corda nelle trattative con il governo per il protocollo sul welfare. L'irritazione dei confederali, probabilmente, è tutta concentrata su questo dato di fatto. Non si sentono solo presi in giro; hanno anche la sensazione di non essere più gli interlocutori privilegiati del governo sui temi del lavoro e delle pensioni, visto che Prodi è disposto a concedere di più ai partiti di lotta e di governo, da cui dipende la sua stessa sopravvivenza, che a loro.

Antonio Maglietta

martedì 20 novembre 2007

Col protocollo sul welfare aumenta la spesa pubblica



di Antonio Maglietta - 20 novembre 2007

Sui lavori usuranti «è necessario garantire l'esigibilità di un diritto soggettivo, ed è evidente che sarebbe molto meglio riuscire a garantirlo grazie ad una norma prescrittiva piuttosto che ricorrendo alla delega. Anche sulla seconda questione, che riguarda il lavoro a tempo determinato, è indispensabile garantire la certezza della norma: vale a dire il rispetto dei 36 mesi come periodo di durata massima di applicazione in un rapporto tra stesso lavoratore e datore di lavoro, trascorso il quale il lavoratore deve ottenere la stabilizzazione». Le parole del presidente della commissione Lavoro della Camera, nonché esponente di spicco del partito dei Comunisti Italiani, Gianni Pagliarini, sono chiare e non lasciano adito ad alcun dubbio. Il disegno di legge che recepisce il protocollo sul welfare, già di per sé negativo sotto diversi aspetti, qualora fossero accettate le richieste dall'area comunista/antagonista del centrosinistra, che mirano a riconoscere il diritto soggettivo e a sopprimere il tetto di spesa sui lavori usuranti, rischia di aprire un pericoloso buco finanziario nell'intero sistema pensionistico, mettendo a rischio la sostenibilità dello stesso nel lungo periodo. Nel caso in cui, invece, la mediazione portasse ad un accordo nel centrosinistra e fosse riconosciuto il diritto soggettivo, ponendo però un limite di spesa per finanziare l'operazione, si porrebbero le basi giuridiche per alimentare il contenzioso con la pubblica amministrazione, con grave danno alle casse dello Stato.
In pratica, qualunque sarà la soluzione scelta per dirimere la questione tutta interna al centrosinistra, la previsione sui lavori usuranti determinerà un aumento della spesa pubblica e minerà la sostenibilità del sistema pensionistico. Così come la previsione, ferrea ed inderogabile, che sancirebbe il passaggio automatico al tempo indeterminato di un rapporto di lavoro a termine, dopo 36 mesi continuativi, non determinerebbe altro che un dannoso irrigidimento del mercato del lavoro. La questione più delicata, dal punto di vista politico, sembra essere, però, quella sui lavori usuranti. Sul tema il Ministro del Lavoro ha ribadito che «il tetto massimo di spesa è di 2,8 miliardi di euro nel decennio», bocciando senza mezzi termini, quindi, la proposta del duo Rifondazione e Comunisti Italiani, che hanno chiesto, invece, il riconoscimento di un diritto soggettivo. Tuttavia sul punto la partita è ancora aperta. Lo stesso Damiano, dopo aver chiarito che «è sparito il parametro dei circa cinquemila beneficiari perché è legato al tetto di spesa e all'individuazione delle categorie», ha aggiunto che «l'applicazione della norma parte dal primo gennaio 2008, ma i primi beneficiari saranno nel 2009 e sarà a pieno regime nel 2011».
Il ministro Damiano sta cercando di dire all'ala massimalista del centrosinistra che lui è d'accordo ad eliminare il tetto numerico dei potenziali beneficiari delle norme sui lavori usuranti (5000 persone), ma è indisponibile, anche perché mancano i soldi per farlo, ad eliminare il tetto di spesa che, per inciso, si riferisce all'esborso da sostenere nel caso in cui i lavoratori beneficiati dal provvedimento fossero 5000: se non è zuppa è pan bagnato. Si toglie un tetto numerico per inserirne uno di spesa, che in sostanza non cambia le carte in tavola. Il tutto per permettere a Prodi di dire che l'accordo è stato raggiunto senza alcun aggravio per le casse dello Stato e tentare, quindi, di convincere a votare il provvedimento chi nel centrosinistra vede l'aumento della spesa pubblica come il fumo negli occhi. Sarà curioso vedere se nell'area moderata del centrosinistra, tra quanti dichiarano di avere a cuore la sostenibilità dei conti pubblici del Paese, decideranno di votare questo provvedimento, rendendosi, così, corresponsabili dello sfascio.

Antonio Maglietta

lunedì 19 novembre 2007

La Finanziaria 2008 e i precari del pubblico impiego


di Antonio Maglietta - 17 novembre 2007

La Finanziaria 2008, dopo l'approvazione al Senato, passerà alla Camera. Durante il dibattito a Palazzo Madama è stato chiaro l'imbarazzo di molti moderati del centrosinistra nel votare sì ad alcuni articoli molto discutibili come, ad esempio, l'articolo 93 sulle norme in materia di reclutamento nel pubblico impiego. Il nucleo del citato articolo riguarda, soprattutto, alcune modifiche all'impianto della Finanziaria 2007 sulla sanatoria dei precari del pubblico impiego. E' stato pubblicizzato come un successo epocale l'aver previsto che i precari reclutati nella Pubblica Amministrazione, senza aver superato un concorso, ora avranno l'obbligo di farne uno qualora beneficiassero delle procedure di stabilizzazione, dimenticando però, colpevolmente, che senza la previsione di alcuna procedura selettiva, le norme sulle stabilizzazioni, come già asserito fin da subito da esponenti di Forza Italia, con riferimento alla Finanziaria 2007, sono palesemente incostituzionali. Infatti la sentenza n. 205 del 2004 della Corte Costituzionale sancisce che: «Anche in regime di impiego pubblico privatizzato, infatti, il collocamento in ruolo costituisce la modalità attraverso la quale si realizza l'inserimento stabile dell'impiegato in un posto della pianta organica di una pubblica amministrazione, cosicché la garanzia del concorso pubblico non può che riguardare anche l'ipotesi di mera trasformazione di un rapporto contrattuale a tempo indeterminato in rapporto di ruolo, allorché - come si è detto - l'accesso al suddetto rapporto non di ruolo non sia a sua volta avvenuto mediante una procedura concorsuale».
Ma le criticità dell'articolo 93 della Finanziaria 2008 non finiscono qui. Ad esempio si sposta alla data del 28 settembre 2007, differendola di un anno, il limite temporale prima del quale la stipula del contratto a tempo determinato permette l'acquisto, da parte del lavoratore, del beneficio di poter accedere alle procedure di stabilizzazione. In pratica, un dipendente pubblico che ha stipulato un contratto a tempo determinato, ad esempio, alla data del 27 settembre di quest'anno, si ritroverà l'impropria patente di «precario» in tasca, con solo qualche mese di anzianità lavorativa alle spalle, e la possibilità di venire stabilizzato secondo il combinato disposto Finanziaria 2007 e 2008. Una vera e propria presa in giro nei confronti dei precari storici con tanti anni di anzianità di servizio sul groppone. La formulazione dell'articolo, così come è, determinerà con tutta probabilità anche un pericoloso aumento del contenzioso con le pubbliche amministrazioni, con grave danno alle casse dello Stato. Infatti, a dispetto di un fondo esiguo (60 milioni di euro in tre anni - 20 milioni ogni anno - che si aggiungono ai 50 milioni già stanziati con la manovra 2007), con il quale sarebbero possibili solo 2/3000 stabilizzazioni, si promette il «paradiso» del posto fisso ad una potenziale platea di circa 120.000 impiegati pubblici con contratto a tempo determinato.
Insomma, dopo aver cestinato il criterio del merito, dimenticando la questione aperta dei vincitori di concorso e degli idonei non assunti, il governo sta affrontando la questione «precari del pubblico impiego» con la sindrome «dottor Jeckyll e Mr. Hyde». Infatti, si traveste da buon dottor Jeckyll quando promette il paradiso del posto fisso a circa 120.000 impiegati pubblici con contratto a tempo determinato, salvo poi assumere le sembianze del cattivo Mr. Hyde quando finanzia l'operazione con una mancia caritatevole e misericordiosa di 110 milioni di euro che in realtà ne stabilizzerebbe solo 2/3000. La «doppia faccia» è tanto paradossale quanto drammatica se si pensa che alcune persone, dopo la promessa del posto fisso, si ritroveranno con un pugno di mosche in mano. Non sarebbe stato meglio non illudere la gente e dire, sin da subito, che i soldi per le stabilizzazioni non ci sono? Invece no. Abbiamo assistito alla vittoria della demagogia dell'area comunista/antagonista del centrosinistra che non ha perso tempo nell'esprimere la propria soddisfazione: «E' una grande vittoria di tutta la sinistra» hanno affermato i capigruppo al Senato di Rifondazione Comunista, Sinistra Democratica e Comunisti Italiani, - Russo Spena, Salvi e Palermi. «Abbiamo lavorato su questo articolo e ai suoi successivi emendamenti insieme, con grande fatica e impegno comuni, avendo individuato in questo obiettivo di civiltà uno dei principali punti di avanzamento sociale che la Finanziaria ci avrebbe consentito di fare». E ancora: «Un passo importante per la lotta al precariato che si aggiunge alle prime misure approvate già dall'altr'anno e che, dopo le prime vittorie nel settore pubblico, dovrà estendersi anche al settore privato». L'avvertimento è chiaro.
Dopo la vittoria nel pubblico impiego, ora tocca al settore privato e, quindi, l'attenzione si sposta sul disegno di legge che recepisce il protocollo sul welfare del 23 luglio scorso, ora in discussione in commissione Lavoro alla Camera. Su questo provvedimento, la spaccatura tra moderati e comunisti/antagonisti è profonda e nessuna delle due parti si può permettere di cedere all'altra perché la posta in gioco è altissima: la dignità politica ed il consenso elettorale, in breve l'esistenza stessa di queste formazioni politiche. I moderati non possono cedere perché la loro linea è stata già sonoramente sconfitta al Senato, mentre l'area comunista/antagonista non può permettersi di non portare a casa l'abolizione del job on call, messo da sempre sotto accusa come classico esempio di lavoro precarizzante, o l'abolizione del tetto sui lavori usuranti, che però farebbe saltare la copertura finanziaria del provvedimento, oltre a provocare un considerevole aumento della spesa pubblica. Tuttavia l'intesa, quando ci sono di mezzo le poltrone del potere, è sempre possibile, ma è pure vero, però, che sarebbe un accordo talmente al ribasso che sancirlo porterebbe più guasti nel lungo periodo (in termini di consensi nel proprio elettorato) della scelta, invece, di far saltare il banco e quindi l'intero accordo politico sul welfare.

Antonio Maglietta

giovedì 15 novembre 2007

Welfare: rottura nel centrosinistra


di Antonio Maglietta - 15 novembre 2007

«Ci sono problemi su i tre nodi principali: l'articolo 1, l'articolo 9, l'articolo 11 dove c'è la necessità di trovare una sintesi nella maggioranza e una coerenza con lo spirito dell'accordo'». Lo ha affermato il presidente della commissione Lavoro nonché esponente di primo piano dei Comunisti Italiani, Gianni Pagliarini, spiegando che i punti «critici» del disegno di legge riguardano l'articolo 1, e cioè gli scalini previdenziali che dovrebbero sostituire lo scalone Maroni, l'articolo 9, sulle deleghe al governo per il mercato del lavoro (servizi per l'impiego, incentivi all'occupazione e apprendistato) e l'articolo 11, sulla modifica alla normativa sui lavori con contratto a termine.
Nella mattinata di mercoledì gli articoli in questione sono stati accantonati in commissione Lavoro alla camera, in attesa di essere discussi in tempi migliori, sempre se arriveranno. Non c'è accordo tra riformisti e radicali all'interno del centrosinistra e la spaccatura è molto più profonda di quello che possa apparire. I partiti della sinistra massimalista rischiano di perdere la faccia se il disegno di legge passasse così come è senza le modifiche al tetto dei lavori usuranti e alla normativa dei contratti a termine. Questo lo sanno fin troppo bene e, quindi, sul punto hanno alzato le barricate. Sui lavori usuranti «c'è un vincolo e su questo non transigo: abbiamo stanziato tre miliardi, lo stanziamento è quello, niente di più, niente di meno. In funzione del vincolo il diritto soggettivo può essere esercitato radicalmente». Così il Ministro del lavoro, Cesare Damiano, intervenendo martedì scorso al convegno Business International in svolgimento a Roma, che puntualizza che sui lavori usuranti di cui si discute all'interno del protocollo sul welfare, è previsto il vincolo dello stanziamento di tre miliardi di euro. «Non si sta facendo una trattativa sui turni, ma una trattativa tra coloro che sono usurati», spiega Damiano. Il ministro ha ricordato che sui lavori usuranti è prevista una delega e se non si trovasse «l'accordo adesso, c'è la delega così si può avere più tempo dopo» per discutere. Immediata la replica del Ministro della solidarietà sociale Paolo Ferrero: «I diritti soggettivi o ci sono o non ci sono», spiega, e quindi «fissare un tetto numerico o in questo caso di risorse da destinare ai lavori usuranti non è un modo per garantire i lavoratori».
La rottura politica è palese e a dirlo sono gli stessi esponenti del centrosinistra; il centrodestra certifica lo stato di fatto: «La maggioranza è ormai nel pallone, e cerca di sfuggire al confronto politico e parlamentare in commissione, non tanto con l'opposizione, quanto al proprio interno, dove vive spaccature drammatiche e contraddizioni al limite del ridicolo», dicono Baldelli e Fabbri, componenti del partito azzurro nella commissione Lavoro di Montecitorio. Se il vertice tra i rappresentanti della maggioranza parlamentare ed il governo, fissato per giovedì, non dovesse sciogliere i nodi sui lavori usuranti e la normativa sui contratti a termine, su cui si sono concentrati la maggior parte degli emendamenti, c'è chi, nella maggioranza, prevede che si possa arrivare all'inserimento della riforma pensionistica in Finanziaria alla Camera. Si eviterebbe così l'entrata in vigore dello scalone Maroni e si guadagnerebbe tempo per trovare un'intesa nell'Unione e sciogliere le difficoltà emerse nella traduzione in legge del protocollo. Tuttavia, sia l'onorevole Del Bono (relatore del provvedimento in commissione Lavoro) che il Ministro per i rapporti con il Parlamento Vannino Chiti hanno messo le mani avanti ed hanno già risposto con un secco no alla proposta.
Il problema però è ab origine e cioè che il disegno di legge che recepisce il protocollo sul welfare del 23 luglio scorso (A.C. 3178), così come è, non piace né al centrodestra né al centrosinistra. Infatti in commissione Lavoro alla Camera sono stati presentati 485 emendamenti poi scesi a 335 dopo la scure del vaglio di ammissibilità: 179 da parte della CdL e ben 156 da parte del centrosinistra. I numeri, meglio di tante parole, fotografano la profonda insoddisfazione degli stessi partiti della «ei fu» Unione nei confronti di un documento che nelle Istituzioni viene difeso a spada tratta solo dal ministro Damiano.

Antonio Maglietta

domenica 11 novembre 2007

Concorsi pubblici e meritocrazia


di Antonio Maglietta - 10 novembre 2007

Per i precari della pubblica amministrazione, secondo il Ministro per le riforme e le innovazioni nella Pubblica Amministrazione, Luigi Nicolais, «non esiste alcuna sanatoria. Esiste - ha chiarito il Ministro a margine di un incontro al Com-Pa di Bologna - un sistema che era già previsto nella precedente legge Finanziaria secondo cui tutti coloro che avevano fatto un concorso e che erano a tempo determinato da almeno tre anni, potevano essere assunti in servizio. Ne abbiamo - ha specificato Nicolais - già assunti circa 10mila a livello centrale e un numero non ben definito a livello periferico». Nicolais ha poi ricordato che è stato presentato, quest'anno, un emendamento in cui si continua questo processo anche pensando a «una possibilità per coloro che hanno un contratto coordinato e continuativo di avere la possibilità di utilizzare questa loro esperienza come elemento preferenziale per la partecipazione ai concorsi della pubblica amministrazione». «Nella pubblica amministrazione - ha sottolineato e concluso il Ministro - si entra per concorso rigoroso e cerchiamo di mantenere questo indirizzo».

Ma verrebbe da chiedersi: perché, allora, proprio coloro che hanno già vinto (i vincitori) o superato (gli idonei) un concorso non vengono assunti e continuano ad essere relegati nel dimenticatoio dal governo di centrosinistra? Perché non si traducono in interventi operativi gli impegni presi in Parlamento con la mozione Baldelli (n. 1/00137), nonostante siano passati oramai quasi sette mesi dall'accoglimento del dispositivo che impegna il governo: «ad adottare iniziative urgenti per prevedere anche l'assunzione dei vincitori e degli idonei dei concorsi pubblici, con riferimento alle graduatorie ancora in vigore coniugandola con il processo di stabilizzazione». Stiamo parlando di circa 140.000 giovani che hanno dimostrato, attraverso il superamento di una prova selettiva aperta, di meritare l'assunzione nella Pubblica Amministrazione. Si tratta di gente giovane e preparata e spesso altamente qualificata; in pratica stiamo parlando di una parte di quelle famose eccellenze professionali che spesso si evocano quando si discetta di modernizzazione e del futuro del nostro Paese.

Lasciare questi giovani nell'incertezza e nel dubbio di non essere mai assunti è degno di un Paese civile? E' facile parlare di meritocrazia nei convegni e nei comizi; quello che conta è la prova dei fatti e, in tema di reclutamento dei dipendenti pubblici, il governo di centrosinistra ha dimostrato di voler mortificare il criterio del merito. Purtroppo, in una situazione in cui il traballante governo Prodi è alla ricerca famelica di facili consensi nell'opinione pubblica, questi giovani sono penalizzati anche dal loro scarso appeal elettorale dovuto all'esiguità dei numeri: sono meno della metà del numero dei potenziali precari stabilizzabili con la Finanziaria 2007. Ma è un governo serio quello che inquadra i problemi del Paese nella sola ottica del consenso elettorale? Certamente no.

Le dinamiche relative al pubblico impiego non sono questioni marginali e la pantomima del governo sulla mancata assunzione di gente preparata e qualificata, come lo sono i vincitori e gli idonei dei concorsi, non è un dato di fatto senza conseguenza. L'apparato dello Stato ha bisogno di quei profili professionali per funzionare al meglio e per fornire servizi di alto livello a persone ed imprese. Nell'epoca del mercato globale, il buon andamento della Pubblica Amministrazione non è solo un importante principio dettato dalla Costituzione, ma è anche, e soprattutto, una questione essenziale nell'ambito della vita economica del Paese. Invece, ed è sotto gli occhi di tutti, con questo centrosinistra al governo la Pubblica Amministrazione nostrana viene continuamente mortificata e trattata solo come un ammortizzatore sociale ed un ufficio di collocamento di basse qualifiche professionali.

Antonio Maglietta

giovedì 8 novembre 2007

Il Governo trascura le priorità del Paese


di Antonio Maglietta - 8 novembre 2007

Il disegno di legge recante «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1 ottobre 2007, n. 159, recante interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equità sociale» (A.C. 3194), dopo l'approvazione al Senato, è stato inviato alla Camera. L'articolo 28 prevede, invece, che il personale dell'Agenzia nazionale per i giovani abbia la priorità per l'immissione in servizio, nell'ambito delle procedure di autorizzazione all'assunzione, mediante utilizzo dell'apposito fondo previsto dall'articolo 1, comma 527, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Finanziaria 2007). Considerato che il predetto fondo può essere utilizzato per superare (nel limite di un contingente complessivo di personale corrispondente ad una spesa annua lorda pari a 75 milioni di euro a regime) il blocco parziale del turnover previsto dalla Finanziaria 2007 che, per il biennio 2008-2009, prescrive due assunzioni da concorso ogni dieci cessazioni dal servizio. La ratio del fondo è quella di permettere alle amministrazioni dello Stato di assumere personale oltre il limite imposto dal blocco parziale del turnover «per fronteggiare indifferibili esigenze di servizio di particolare rilevanza».
Con tutto il rispetto per il ruolo dell'Agenzia nazionale per i giovani, in un momento storico così delicato, che vede lo Stato in sofferenza su materia fondamentali per la vita democratica di un Paese, come la sicurezza, la giustizia o il lavoro, la priorità per l'uso del citato fondo dovrebbe spettare, invece, alle amministrazioni dello Stato che operano in quei settori. Invece no, il Governo pensa che le priorità siano altre. Non contenti della priorità data all'Agenzia sulle assunzioni in deroga al blocco parziale del turnover, è stato previsto che il personale di ruolo della struttura passi da 2, dichiarati nella relazione tecnica allegata al disegno di legge che ne prevedeva l'istituzione, ai 45 attuali. Per non farsi mancare proprio niente, in attesa delle lunghe procedure per le assunzioni in ruolo, è stata prevista la più semplice e veloce assunzione di 15 persone con contratto a tempo determinato (con contratti di durata non superiore a due anni non rinnovabili, nonché il ricorso al fuori ruolo o all'assegnazione temporanea di personale secondo le modalità previste dall'articolo 17, comma 14, della legge 15 maggio 1997, n. 127), addirittura anche in deroga all'articolo 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e cioè alla norma che disciplina i limiti entro i quali poter stipulare questi tipi di contratti, onde evitare abusi da parte delle amministrazioni in ordine alle reali esigenze di assunzione.
Peraltro, sulla questione dell'Agenzia nazionale per i giovani, si sono accese polemiche anche nel recente passato. Alla Camera dei Deputati giace da sei mesi, senza ancora alcuna risposta, una interrogazione (n. 4-03580) dei giovani parlamentari della CdL Simone Baldelli (Forza Italia), Giorgia Meloni (Alleanza Nazionale) e Paolo Grimoldi (Lega Nord) al Presidente del Consiglio dei ministri, con cui gli interroganti chiedono «se il Governo non intenda rivedere le strategie in tema di cosiddette politiche giovanili e chiarire come si coordini l'operato degli organismi competenti in materia, che appaiono sostanzialmente sovrapposti», in riferimento alla non chiara distinzione delle competenze tra il Dipartimento retto da Giovanna Melandri e la citata Agenzia. Da ultimo, inoltre, un articolo di Sergio Rizzo sul Corriere della Sera del 29 ottobre scorso ha evidenziato, in maniera sarcastica, come a direttore dell'Agenzia, che si dovrebbe occupare di alcuni aspetti riguardanti le politiche giovanili, è stato nominato un 46enne. In risposta all'articolo di Rizzo, ed in difesa del direttore Bergamo, una nota dello stesso giorno del Dipartimento per le politiche giovanili recitava: «I direttori delle corrispondenti agenzie europee hanno mediamente 50 anni. Il dott. Luca Bergamo, che ha una lunga e proficua competenza in materia, risulta uno dei più giovani fra i suoi colleghi europei».
Tuttavia è legittimo chiedersi: quali sono le «indifferibili esigenze di servizio di particolare rilevanza» che dovrebbe sostenere l'Agenzia nazionale per i giovani? Non sarebbe stato meglio dare ad altre amministrazioni la priorità sull'uso del fondo che permette assunzioni in deroga al blocco parziale del turnover, previsto dalla Finanziaria 2007, in tema di reclutamento nelle pubbliche amministrazioni? Perché le assunzioni di personale con contratto a tempo determinato dovranno essere fatte anche in deroga a quella norma, che prevede dei limiti nell'uso di questi contratti, la cui ratio è quella di evitare abusi a danno della spesa pubblica e quindi delle tasche dei cittadini?

Antonio Maglietta

mercoledì 7 novembre 2007

Il protocollo sul welfare e l'abolizione del job on call

di Antonio Maglietta - 6 novembre 2007

Il disegno di legge delega che recepisce il protocollo sul welfare, all'articolo 13, prevede l'abrogazione del job on call. Il job on call (o contratto di lavoro intermittente) è il contratto mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa secondo i seguenti limiti:
Può essere concluso per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale;
in via sperimentale il contratto di lavoro intermittente può essere altresì concluso anche per prestazioni rese da soggetti in stato di disoccupazione con meno di 25 anni di età ovvero da lavoratori con più di 45 anni di età che siano stati espulsi dal ciclo produttivo o siano iscritti alle liste di mobilità e di collocamento.
E' vietato il ricorso al lavoro intermittente:
Per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
salva diversa disposizione degli accordi sindacali, presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente ovvero presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell'orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente;
da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni.
Nel corso dell'indagine conoscitiva in commissione Lavoro «Sulle cause e le dimensioni del precariato nel mondo del lavoro» è emerso che diversi rappresentanti delle categorie produttive ritengono il job on call uno strumento utile, a differenza di quello che pensano il ministro del Lavoro, Cesare Damiano, e tutta l'area comunista del centrosinistra:
Alberto Bombassei, vicepresidente per le relazioni industriali e gli affari sociali di Confindustria (audizione del 6 febbraio 2007): «I dati confermano come il part-time, così come il job sharing e il lavoro a chiamata, continuino ad essere strumenti messi a disposizione dal legislatore per rispondere a specifiche esigenze, espresse non tanto dalle imprese ma da singole persone che intendono, per propria scelta, conciliare il lavoro e, quindi, una forma di reddito, con altre attività lavorative o scelte di vita, nell'ambito della famiglia, dello studio, dello sport, della cultura o del tempo libero in generale».
Luigi de Romanis, responsabile direzione lavoro della Confcommercio (audizione del 7 febbraio 2007): «Il lavoro a chiamata è molto usato, nel comparto in generale: proprio per questa caratteristica di variabilità della domanda, è ovvio che si tratta di uno strumento utilizzabile. In particolare nel settore del turismo, dove si hanno in singole giornate dei momenti di punta (pensiamo al ristorante, alle feste e quant'altro), il lavoro a chiamata è effettivamente già utilizzato in una certa misura».
Elvira Massimiano, responsabile lavoro e relazioni sindacali della Confesercenti (audizione del 7 febbraio 2007): «L'altro istituto che, come vediamo dall'indagine, viene utilizzato soprattutto nel turismo è il lavoro a chiamata, che risponde ad alcune esigenze di flessibilità del terziario, ma in particolare del turismo. Si tratta, a nostro avviso, di un istituto che ha una sua valenza e che soprattutto, rispetto a categorie quali pensionati e lavoratori-studenti a basso rischio di elusione, deve avere una sua base di conferma. L'altro dato interessante è quello inerente ai co.co.pro, che rappresentano il 12,8% nel terziario: registriamo un calo, rispetto al co.co.co, che copriva il 18,7% nel 2003, mentre nel turismo copre il 3,9%, a fronte di un precedente 6,5%. Si assiste dunque ad un calo dell'istituto, a vantaggio di altri, quali appunto il lavoro a chiamata, che nel turismo sono maggiormente aderenti alle esigenze dell'impresa».
Marina Calderone, presidente del Consiglio nazionale dell'ordine dei consulenti del lavoro (audizione del 7 marzo 2007): «Giustamente, i commercianti hanno messo in evidenza che all'interno del terziario, dei pubblici esercizi, e del settore turistico (soprattutto in Emilia Romagna, che è una delle regioni dove si fa ricorso a quello strumento legislativo), è uno strumento utilizzato. Allora, su questa realtà possiamo eventualmente fare un'analisi. A mio avviso, se devo dare una valutazione come tecnico, dico che il personale interessato sfugge al controllo anche dei consulenti, poiché si tratta di lavoratori che operano soprattutto in piccole e piccolissime realtà, quali possono essere la pizzeria sotto casa, il bar o il ristorante, lavoratori che non hanno mai avuto una tutela contributiva. Allora, dal mio punto di vista, è meglio che, perlomeno per quella giornata di lavoro, il lavoratore abbia una copertura contributiva, assicurativa e antinfortunistica, piuttosto che nulla. Infatti, sono convinta che si tratti di forme lavorative residuali, che possono riguardare magari i giovani che vanno a lavorare il fine settimana per mantenersi gli studi e che quindi, in tal modo, hanno un contatto con il mondo del lavoro e cominciano a capire anche le norme che ne regolano i rapporti. L'alternativa è il lavoro in nero, perché di ciò si tratta».
In pratica, è emerso che il job on call, per alcuni tipi di impiego, rappresenta l'argine contro il «lavoro in nero». Perché, allora, si vuole abrogare l'istituto del lavoro intermittente? La risposta è palese: per puri scopi ideologici e per interessi politici, dettati dalla volontà di accontentare le assurde richieste dell'area comunista del centrosinistra, per mantenere stabile la maggioranza parlamentare e quindi tenere in vita il governo Prodi. Pur di mantenere la poltrona, il presidente del Consiglio e i suoi ministri sarebbero disposti a qualsiasi accordo al ribasso, noncuranti del fatto che, in questo caso, il risultato dell'operazione sarebbe quello di favorire il «lavoro in nero».

Antonio Maglietta

sabato 3 novembre 2007

Protocollo sul welfare: ancora privilegi per i sindacati



di Antonio Maglietta - 3 novembre 2007

Il famoso protocollo sul welfare, sottoscritto tra governo e parti sociali il 23 luglio scorso, è stato finalmente tradotto in un disegno di legge (A.C. 3178) ed assegnato, in sede referente, alla commissione Lavoro della Camera, prima di approdare in Aula per il voto, per poi essere successivamente trasmesso al Senato. Nel testo del disegno di legge ci sono le note questioni sugli scalini previdenziali, che dovrebbero sostituire lo scalone Maroni per la modica cifra di 10 miliardi di euro, e il provvedimento che prevede che se il rapporto di lavoro tra lo stesso lavoratore e lo stesso datore di lavoro superi la durata complessiva di 36 mesi, per effetto di successione di contratti a termine, e compresi proroghe e rinnovi, lo stesso si dovrà considerare a tempo indeterminato. A tal riguardo è prevista un'eccezione qualora la stipula avvenga, per una sola volta, presso la competente Direzione provinciale del lavoro e con l'assistenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale cui il lavoratore sia iscritto o conferisca mandato. Un vero e proprio regalo ai sindacati confederali visto che lo stesso ruolo di assistenza al lavoratore, in teoria, potrebbe essere rivestito anche da avvocati e consulenti del lavoro, che certo non hanno una sensibilità minore, rispetto ai sindacalisti, sul tema della difesa degli interessi dei lavoratori. A voler pensare male, si potrebbe scorgere nel provvedimento una sorta di aiuto governativo ai sindacati sul versante della fidelizzazione dei giovani lavoratori, i più riottosi, a ragione, a farsi la tessera sindacale. Basterebbe pensare alla questione previdenziale per capire i motivi della disaffezione, con i sindacati che difendono a spada tratta un meccanismo che vede i giovani lavoratori, inseriti nel sistema contributivo, pagare la pensione di chi è in quello retributivo, senza avere la sicurezza di avere un trattamento pensionistico decente.
Secondo i dati forniti dall'Eurobarometro (si veda il grafico), l'età media dei lavoratori italiani iscritti al sindacato è la più alta in Europa: quarantaquattro anni, ben quattro in più della media europea.


Inoltre, quasi il 50 per cento degli iscritti non è un lavoratore, mentre in Francia e Germania, la percentuale è del 20 per cento (dato tratto da Tito Boeri, Agar Brugiavini e Lars Calmfors, The Role of Unions in the Twenty-first Century, Oxford, 2001). Molti iscritti al sindacato, quindi, o sono lavoratori anziani o sono già in pensione. Alla luce di questi dati l'operazione «fonte della giovinezza» sarebbe una vera e propria manna dal cielo per i vecchi sindacati confederali: da Villa Arzilla a Gardaland. Abbiamo visto quindi che i sindacati, grazie all'aiuto del governo, potranno ringiovanire, avere più tessere e quindi ritrovare il sorriso.
Chi piange? Un po' tutti gli altri, ma secondo l'area comunista del centrosinistra a piangere dovrebbero essere i famigerati ricchi (che poi nessuno ha ancora capito a quale livello di reddito considerino una persona ricca). Detto, fatto. L'articolo 5 prevede che, per il solo anno 2008, ai trattamenti pensionistici, complessivamente superiori otto volte al trattamento minimo Inps, non sia concessa la rivalutazione automatica delle pensioni. Inoltre, sempre per il solo anno 2008, tale limite (8 volte il trattamento minimo Inps) è imposto, in generale, anche alla sommatoria del trattamento pensionistico con la rivalutazione automatica. E' un provvedimento di chiara matrice illiberale, inutile sotto il profilo del contenimento della spesa pubblica e, soprattutto, incostituzionale perché palesemente in contrasto con la previsione dell'articolo 3 della Costituzione («Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»).
Il concetto da tenere in considerazione è che, secondo la Carta Costituzionale, tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge senza distinzione di condizioni personali e sociali. La rivalutazione economica delle pensioni non è un atto discrezionale, ma un automatismo, e non rientra neanche nella previsione dell'art. 53 della Costituzione («Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività») che rappresenta, per certi versi, il limite del Legislatore nelle politiche attive di redistribuzione del reddito. Ma cosa è l'articolo 3 della Costituzione dinanzi alle richieste dei partiti dell'area comunista del centrosinistra che chiedono che anche i ricchi piangano, anziché pensare a come dare ai poveri la possibilità di essere ricchi? Nulla, carta straccia. La Costituzione viene citata, e male, solo quando serve, a proprio uso e consumo.

Antonio Maglietta
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