martedì 30 settembre 2008

Il Pd attacca il Governo, ma sbaglia mira



di Antonio Maglietta – 30 settembre
maglietta@ragionpolitica.it

Lunedì l’Istat ha reso noto alcuni dati relativi al mercato del lavoro. Nel secondo trimestre 2008 il numero di occupati è risultato pari a 23.581.000 unità, manifestando un aumento su base annua dell’1,2 per cento (+283.000 unità), soprattutto grazie alla forza lavoro straniera. Nello stesso periodo, il numero delle persone in cerca di occupazione è nuovamente aumentato portandosi a 1.704.000 unità (+291.000 unità, pari al +20,6 per cento, rispetto al secondo trimestre 2007).
Il tasso di disoccupazione è aumentato di un punto percentuale rispetto ad un anno prima, posizionandosi al 6,7 per cento. In pratica aumentano sia gli occupati che i disoccupati. Un dato interessante che può essere spiegato con la diminuzione del numero degli inattivi, e cioè coloro che pur essendo in età da lavoro non cercano una occupazione. Si legge, infatti, nel testo dell’Istat: “Nel secondo trimestre 2008 il numero di inattivi in età compresa tra 15 e 64 anni è sceso nel Mezzogiorno (-1,8 per cento, pari a -117.000 unità) e in misura ancora più evidente nel Nord (-2,4 per cento, pari a -129.000 unità). Nel Centro il calo degli inattivi è stato più contenuto (-1,4 per cento, pari a -35.000 unità) e dovuto alla sola componente femminile”. La crescita occupazionale, invece, è dovuta soprattutto all’exploit registrato dal lavoro a tempo parziale (+ 10 per cento, mentre quello a tempo peno registra – 0,2 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno).
Insomma, come è possibile notare, i dati diffusi dall’Istat devono essere attentamente valutati nella loro complessità. Tuttavia, nella gara aperta da Veltroni dalle colonne del Corriere della Sera a chi la spara più grossa contro il governo e la sua maggioranza, due esponenti di spicco del Pd, Dario Franceschini e Cesare Damiano, hanno dato fondo a tutta la loro fantasia usando in maniera distorta i citati dati dell’Istituto nazionale di statistica.
Franceschini: “Dopo cinque mesi di governo, i risultati sono questi: l'inflazione è ai livelli più alti dal 1996; Confindustria lancia l'allarme perché il Paese è in piena recessione; l'Istat certifica, proprio questa mattina (lunedì 29/09/2008), 291 mila disoccupati in più rispetto allo scorso anno”.
Damiano: Il dato relativo agli occupati, pur essendo in aumento, rallenta nella crescita rispetto alla situazione precedente ed incorpora i lavoratori stranieri neocomunitari. A questo dato fa purtroppo riscontro la crescita dei lavoratori in cerca di occupazione che si portano a 1.703.000. Si tratta del peggiore risultato da due anni a questa parte. Il dato è costituito, oltreché dall'aumento degli inattivi, dall'incremento di coloro che avevano una occupazione. Si sentono i primi segnali che derivano dalla stagnazione dell'economia, dall'aumento delle situazioni di crisi e dal rallentamento delle politiche di stabilizzazione voluto dal governo”.
E vada per la crisi economica ma, se il rilevamento Istat fa riferimento al periodo intercorrente tra il 31 marzo ed il 29 giugno del corrente anno (con comparazione dei dati rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente), cosa c’entra il governo Berlusconi che è entrato in carica solo l’8 maggio? L’impressione è che la voglia di attaccare a tutti i costi l’esecutivo di centrodestra e la sua maggioranza, per non dare l’impressione che l’unica opposizione sia quella di Di Pietro, annebbi la vista e la capacità di analisi del vice di Veltroni e del ministro ombra del lavoro del Pd. Lo stesso Damiano, tra le altre cose, boccia il suo stesso operato perché afferma che il dato delle persone in cerca di occupazione è il peggiore degli ultimi due anni senza ricordare che fino al 6 maggio di quest’anno è stato lui il ministro del lavoro.

lunedì 29 settembre 2008

Immigrazione. Evitare gli abusi nei ricongiungimenti familiari



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

Secondo Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio per i migranti, il governo Berlusconi, con gli ultimi provvedimenti presi in materia di immigrazione, restrittivi sui ricongiungimenti familiari e sui richiedenti asilo, «si allontana sempre di più, e non solo nel tempo, dallo spirito della lettera di quei diritti umani che trovarono possibilità di essere espressi perché si proveniva forse dagli orrori di una guerra mondiale. Eppure l'uomo e la donna sono gli stessi, hanno bisogno di protezione, specialmente nei casi in questione». Marchetto aveva già criticato a più riprese la politica verso gli immigrati dell'attuale governo e dell'Unione europea. E qualche giorno fa, parlando ai microfoni della Radio Vaticana, il presule ha affermato che: «E' in corso in Europa una riflessione al fine di conseguire una politica comune in relazione ai richiedenti asilo e ai rifugiati. Purtroppo la tendenza è al ribasso rispetto agli impegni internazionali a suo tempo assunti in favore della protezione di persone perseguitate, e i cui diritti umani non sono stati rispettati».

Marchetto prende di mira i due decreti legislativi approvati dall'ultimo Consiglio dei ministri su proposta di Roberto Maroni e Andrea Ronchi in materia di riconoscimento e revoca della qualifica di rifugiato (teso ad evitare strumentalizzazioni nella presentazione della domanda di asilo attraverso l'introduzione della categoria della manifesta infondatezza per eliminare domande chiaramente strumentali) e diritto al ricongiungimento familiare (prevede che il coniuge non debba essere separato e debba avere più di diciotto anni, nonché requisiti più stringenti). Tali decreti modificano la disciplina di recepimento di direttive comunitarie (rispettivamente il decreto legislativo n. 25 del 2008 e n. 5 del 2007).

Il governo vuole ridurre i tempi per l'acquisizione dello status di rifugiato, sfoltendo le domande pervenute e cassando le richieste palesemente strumentali, e rendere più stringenti i requisiti per il ricongiungimento familiare, onde evitare che l'abuso di questo strumento diventi un modo per aggirare la legge sull'immigrazione. E allora dove è questa tendenza al ribasso cui fa riferimento monsignor Marchetto? L'unica tendenza palese, anche per quanto riguarda gli ultimi interventi comunitari in materia di immigrazione (vedi ad esempio, da ultimo, il Patto europeo per l'immigrazione e l'asilo, che dovrebbe essere approvato definitivamente al vertice dei capi di Stato e di governo dell'Ue che si terrà a Bruxelles il prossimo 15 ottobre), è quella di evitare abusi e cercare di mettere delle regole chiare in materia. Il buonismo delle porte aperte per tutti porterebbe solo danni, in primis agli immigrati che vengono nel nostro paese (o comunque in Europa). Come giustamente segnalato dal vicepresidente della Camera, Maurizio Lupi: «Sbaglia chi pensa che garantire la sicurezza e combattere l'immigrazione clandestina significhi violare i diritti. E' invece proprio quando non esistono più regole e tutto diventa possibile che si finisce per compromettere la libertà e la dignità di ciascuno di noi».

Da sottolineare che il provvedimento prevede che coniugi, figli maggiorenni e genitori di immigrati dovranno essere sottoposti al test del Dna per ottenere il ricongiungimento (nel caso i consolati non siano in grado di accertare l'effettiva parentela); che le spese saranno a carico del richiedente; che il ricongiungimento non verrà più concesso automaticamente per decorrenza dei termini. Il test è già in uso in Inghilterra, Francia, Danimarca e Belgio e rappresenta un ottimo strumento nell'ottica del miglioramento delle politiche di sicurezza connesse alla gestione del fenomeno dell'immigrazione di massa.

giovedì 25 settembre 2008

Immigrazione clandestina: migliorare la cooperazione tra gli Stati Ue



di Antonio Maglietta – 25 settembre 2008
maglietta@ragionpolitica.it

Il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha presentato un decreto-legge per la costruzione immediata di dieci nuovi Centri di Identificazione ed Espulsione e di due o tre centri per ospitare in strutture chiuse i clandestini che richiedono asilo e che attualmente sono liberi di muoversi in attesa che la loro pratica venga esaminata. Maroni lo aveva già anticipato a Bruno Vespa nel corso di una lunga conversazione sullo stato dell'immigrazione che sarà pubblicato nel nuovo libro del giornalista "Un'Italia diversa. Viaggio nella rivoluzione silenziosa" in uscita da Mondadori- Rai Eri il 3 ottobre prossimo.
"La costruzione dei nuovi centri, uno per regione –aveva detto Maroni a Vespa - era prevista nel disegno di legge approvato a maggio e in esame ora al Senato. Ma l'aggravarsi dell'emergenza nazionale impone di accelerare la scelta". "Per quanto riguarda i richiedenti asilo – aveva aggiunto Maroni - l'anno scorso su quattordicimila domande, ne sono state accolte ottomila, divise tra profughi politici e persone inabili a tornare nel loro paese. I richiedenti oggi sono ospiti di centri speciali e sono liberi di muoversi. Noi prevediamo che invece vi restino chiusi in attesa del provvedimento della commissione. Se il provvedimento è negativo, attualmente i clandestini presentano ricorso al Tar e restano liberi in Italia in attesa che venga esaminato. Noi invece prevediamo che si proceda alla loro immediata espulsione, a meno che il prefetto non ritenga il ricorso fondato e ordini che i richiedenti restino nel centro, chiuso e controllato, ad aspettare l'esito del ricorso".
Il problema degli sbarchi dei clandestini va visto in una ottica più ampia perché non è un problema solo italiano ma europeo. In una intervista pubblicata domenica scorsa sul Sunday Times di Malta, il finlandese Illka Laitinen, capo della Frontex, l’Agenzia europea che coordina la cooperazione operativa tra gli Stati membri in materia di gestione delle frontiere esterne, ha affermato che i pattugliamenti non stanno rendendo i risultati desiderati. Secondo Laitinen ''la situazione è allarmante'' e ''più pattugliamenti della Ue nel Mediterraneo hanno fallito l'obiettivo di ridurre l'afflusso di immigrati verso l'Italia, Malta e la Grecia''. Gli arrivi a Lampedusa, spiega, sono cresciuti del 190% durante i primi sei mesi del 2008. E anche Malta ha registrato un incremento del 32%. Secondo informazioni raccolte dall'intelligence, i trafficanti impongono gli immigrati di affondare i loro barconi appena sono vicini alle coste di Malta o di Lampedusa, perché cosi devono essere soccorsi immediatamente dalle motovedette e portati a terra. Questo è il terzo anno consecutivo che la Ue coordina i pattugliamenti nel Mediterraneo con il contributo delle forze armate maltesti, italiane, francesi, tedesche e greche. In tutto, la Frontex ha stanziato circa otto milioni di euro per l'operazione. Dal maggio scorso, quando sono iniziati i pattugliamenti, 12.641 immigrati hanno raggiunto Lampedusa, mentre 2.300 hanno raggiunto le coste maltesi.
E’ facile intuire che non basta organizzare pattugliamenti coordinati tra gli Stati rivieraschi della frontiera sud dell’Europa per combattere l’immigrazione clandestina (nella specie quella delle cosiddette ‘carrette del mare’). Questo tipo di operazioni hanno bisogno di un nuovo impulso e di un quadro organico di ulteriori azioni entro il quale porsi. La gestione dell’immigrato clandestino già arrivato sul suolo europeo diventa sempre più difficile se il flusso di queste persone aumenta in maniera esponenziale, incontrollata ed imprevedibile anche perché ogni Paese è costretto a fare da se. Ed allora, ad esempio, sarebbe opportuno migliorare la cooperazione tra gli Stati membri non solo per quanto riguarda l’organizzazione delle operazioni di rimpatrio congiunte ma anche di quelle relative alla gestione del problema sul territorio (in primis lo scambio di informazioni sulle identificazioni). Altra strada, che sarebbe opportuno percorrere con maggiore decisione, è quella della cooperazione, anche e soprattutto economica, con gli Stati da cui arrivano i maggiori flussi di immigrati. In tal senso, non bastano più i rapporti bilaterali tra Stati ma un maggiore impegno da parte dell’Unione Europa, anche perché le problematiche relative ai flussi incontrollati di clandestini riguardano quasi tutti gli Stati membri. Non bisogna dimenticare, però, che qualunque azione non è mai risolutiva di per se e che non esistono bacchette magiche.

lunedì 22 settembre 2008

NOTE ALL'A.C. 1441-quater

Note sul disegno di legge “Delega al Governo in materia di lavori usuranti e di riorganizzazione di enti, misure contro il lavoro sommerso e norme in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro (A.C. 1441-quater)”.

di Antonio Maglietta – 22 settembre 2008

Il testo disciplina diverse questioni sia in materia di lavoro privato che pubblico.
Innanzitutto il Governo si impegna ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi sul pensionamento anticipato dei lavoratori usuranti (art. 23), rispondendo quindi con i fatti a chi dalle parti del centrosinistra lamentava le dimenticanze dell’esecutivo sul tema.
Inoltre, entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, il governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi finalizzati alla riorganizzazione di una miriade di enti vigilati dal Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali (Istituto superiore di sanità, Agenzia nazionale per i servizi sanitari, regionali, Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro, Istituti zooprofilattici sperimentali, Croce rossa italiana, Lega italiana per la lotta contro i tumori, Agenzia italiana del farmaco, Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori, Istituto per gli affari sociali e di Italia Lavoro Spa) con l’obiettivo di semplificare e snellire l’organizzazione e la struttura amministrativa di questi enti, razionalizzare e ottimizzare le spese e i costi di funzionamento, oltre a prevedere la possibilità per il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali di emanare indirizzi e direttive nei confronti degli enti o istituti sottoposti alla sua vigilanza (art. 24). Una scelta sensata, soprattutto alla luce del ginepraio che si era venuto a creare negli anni, tra duplicazioni organizzative e funzionali e strutture ed organici poco produttivi e molto onerosi; insomma, una situazione insostenibile che aveva portato tali istituti ad essere più dei centri di spesa improduttiva che di attività scientifica.
L’art. 32 del disegno di legge, invece, riguarda il lavoro sommerso e nella specie, fermo restando le sanzioni previste dalla normativa in vigore, dispone l’introduzione di una sanzione amministrativa per l’impiego di lavoratori senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro, da parte del datore di lavoro privato, con la sola esclusione del datore di lavoro domestico (nel dettaglio: da euro 1.500 a euro 12.000 per ciascun lavoratore, maggiorata di euro 150 per ciascuna giornata di lavoro effettivo. L’importo della sanzione è da euro 1.000 a euro 8.000 per ciascun lavoratore, maggiorato di euro 30 per ciascuna giornata di lavoro irregolare nel caso in cui il lavoratore risulti regolarmente occupato per un periodo lavorativo successivo. L’importo delle sanzioni civili connesse all’evasione dei contributi e dei premi riferiti a ciascun lavoratore di cui ai periodi precedenti è aumentato del 50 per cento). Tuttavia, le sanzioni non trovano applicazione qualora, dalle registrazioni effettuate sul libro unico del lavoro nel mese precedente all’accertamento ispettivo oppure da altri adempimenti obbligatori precedentemente assolti, si evidenzi comunque la volontà di non occultare il rapporto, anche se trattasi di differente qualificazione. Si tratta di una giusta previsione che depura l’aspetto sanzionatorio da inutili giacobinismi ideologici che tendono solo a colpire il datore di lavoro senza alcun vantaggio per il lavoratore.
Gli articoli 37, 38 e 39 disciplinano in maniera innovativa alcuni aspetti del lavoro pubblico e mirano a legare le assunzioni al territorio, a promuovere la mobilità dei dipendenti pubblici e a dare la possibilità agli stessi di intraprendere attività professionali o imprenditoriali usando lo strumento dell’aspettativa.
L’art.37 prevede la territorializzazione delle procedure concorsuali, disponendo, tra le altre cose, che <>, oltre al fatto che anche i vincitori delle procedure di progressione verticale, al pari dei vincitori di concorso, dovranno permanere nella sede di destinazione per un periodo non inferiore a cinque anni.
L’art. 38 si occupa di mobilità del personale delle pubbliche amministrazioni e prevede, tra le altre, che il personale che oppone un reiterato rifiuto, pari a due volte in cinque anni, per giustificate e obiettive esigenze di organizzazione dell’amministrazione, si considera in posizione di esubero, con conseguente applicazione di quanto previsto dall’articolo 33 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 che disciplina le situazioni riguardanti le eccedenze di personale e la mobilità collettiva.
L’art. 39 dispone la possibilità per i dipendenti pubblici di essere collocati in aspettativa, senza assegni e senza decorrenza dell’anzianità di servizio, per un periodo massimo di dodici mesi, anche per avviare attività professionali e imprenditoriali, dando quindi una opportunità a coloro i quali vorrebbero intraprendere la via del lavoro privato senza rischiare pericolosi salti nel vuoto.
Per quanto riguardo l’art. 65 è importante sottolineare l’intervento per promuovere ed incentivare l’istituto della certificazione dei contratti di lavoro, introdotto dalla riforma Biagi (artt. 75-84 del decreto legislativo n.276/2003 ), allo scopo di ridurre il contenzioso in materia di rapporti di lavoro, prevedendo che, nel valutare le motivazioni a base del licenziamento, il giudice faccia riferimento alle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti non solo nei contratti collettivi, ma anche nei contratti di lavoro individuali, ove stipulati con l’assistenza e consulenza delle commissioni di certificazione.
L’art. 66, in materia di conciliazione ed arbitrato nelle controversie di lavoro, è il più corposo dal punto di vista normativo e sostituisce gli artt. 410 (tentativo di conciliazione), 411 (processo verbale di conciliazione), 412 (risoluzione arbitrale della controversia), 412–ter (Altre modalità di conciliazione previste dalla contrattazione collettiva), 414-quater (Altre modalità di conciliazione e arbitrato) del codice di procedura civile. L’obiettivo è quello di rendere più semplice il tentativo di conciliazione, cercando di evitare il ricorso all’autorità giudiziaria e di addivenire alla risoluzione della controversia in tempi rapidi.
Nel comma 1, relativamente alla sostituzione dell’attuale contenuto dell’art. 410 c.p.c. (tentativo obbligatorio di conciliazione), si specifica che anche chi intende proporre in giudizio le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane. e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300), incluse le controversie concernenti l'assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale, nonché quelle concernenti le indennità di fine rapporto, può promuovere un previo tentativo di conciliazione presso una apposita commissione istituita presso la direzione provinciale del lavoro. Inoltre, rispetto alla vecchia formulazione, si tipicizza la richiesta del tentativo di conciliazione e tale tentativo diventa una facoltà e non un obbligo.
Il comma 2, relativamente alla sostituzione dell’attuale contenuto dell’art. 411 c.p.c. (processo verbale di conciliazione), dispone che se la conciliazione riesce anche limitatamente viene redatto separato processo verbale che costituisce titolo esecutivo, a seguito di provvedimento del giudice su istanza della parte interessata (in pratica viene riformulata una parte del contenuto del vecchio art. 412 c.p.c. relativo al verbale di mancata conciliazione). Inoltre, si investe la commissione di conciliazione del potere di formulare una proposta per la bonaria definizione della controversia, che se non accettata sarà comunque riassunta nel verbale con l’indicazione delle valutazioni delle parti. La commissione, quindi, rispetto alla vecchia formulazione dell’articolo, che la poneva in una posizione passiva, viene formalmente investita di un potere che la rende giustamente parte attiva nel procedimento.
Il comma 3, relativo alla risoluzione arbitrale della controversia di lavoro, sostituisce l’art. 412 c.p.c. (verbale di mancata conciliazione) e dispone che, in qualunque fase del tentativo di conciliazione o al suo termine in casi di mancata riuscita, le parti possono decidere di dare mandato alla commissione per la risoluzione arbitrale della controversia. Anche questo comma, quindi, amplia il potere di intervento della commissione, sempre più parte attiva del procedimento. Il lodo emanato a conclusione dell’arbitrato produce effetti tra le parti (di cui agli artt. 1372 e 2113 del codice civile) e ha efficacia di titolo esecutivo a seguito del provvedimento del giudice su istanza della parte interessata.
Il comma 4, che sostituisce l’art. 412-ter c.p.c. (arbitrato irrituale previsto dai contratti collettivi), dispone che la conciliazione può essere svolta altresì presso le sedi previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative. Rispetto alla vecchia formulazione dell’art.412-ter, che era molto farraginoso e subordinato alla mancata conciliazione ex art. 410 c.p.c., la nuova disposizione rende più facile il tentativo di conciliazione attraverso l’arbitrato irrituale previsto dai contratti collettivi.
Il comma 5 sostituisce l’art. 412-quater (impugnazione ed esecutività del lodo arbitrale) e disciplina altre modalità di conciliazione ed arbitrato ampliando la possibilità per le parti di addivenire ad una risoluzione della controversia senza investire l’autorità giudiziaria.
L’art. 67, invece, interviene sui termini di decadenza e sulle modalità di impugnazione del licenziamento ai sensi dell’articolo 6 della legge n. 604 del 1966. Si dispone che il licenziamento deve essere impugnato entro centoventi giorni (prima erano sessanta) a pena di decadenza dalla comunicazione, o dalla comunicazione dei motivi ove non contestuale, con ricorso depositato nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro. Viene concesso quindi un termine più lungo e l’unico atto con cui è possibile l’impugnazione è rappresentato dal ricorso al giudice del lavoro, laddove in precedenza era possibile esperire l’azione con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso.

CLICCA QUI PER LEGGERE IL TESTO DEL DISEGNO DI LEGGE “Delega al Governo in materia di lavori usuranti e di riorganizzazione di enti, misure contro il lavoro sommerso e norme in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro (A.C. 1441-quater)

venerdì 19 settembre 2008

Innovare il pubblico impiego e ridurre il contenzioso giudiziale



di Antonio Maglietta

AntonioMaglietta@ragionpolitica.it

giovedì 18 settembre 2008

In questi giorni è in discussione nella commissione Lavoro di Montecitorio il disegno di legge del Governo recante «Delega al Governo in materia di lavori usuranti e di riorganizzazione di enti, misure contro il lavoro sommerso e norme in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro (A.C. 1441-quater)» . Il testo introduce una serie di disposizioni organiche ed innovative con l'obiettivo di snellire la burocrazia che incrosta e reprime il nostro mercato del lavoro.

Innanzitutto il Governo si impegna ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi sul pensionamento anticipato dei lavoratori usuranti (art. 23), questione rimasta in sospeso dalla precedente legislatura, rispondendo quindi con i fatti a chi dalle parti del centrosinistra lamentava le dimenticanze dell'esecutivo sul tema.

Inoltre, il governo ha deciso di mettere mano alla riorganizzazione della miriade di enti sottoposti alla vigilanza del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali (Istituto superiore di sanità, Agenzia nazionale per i servizi sanitari, regionali, Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro, Istituti zooprofilattici sperimentali, Croce rossa italiana, Lega italiana per la lotta contro i tumori, Agenzia italiana del farmaco, Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori, Istituto per gli affari sociali e di Italia Lavoro Spa). Una scelta sensata, soprattutto alla luce del ginepraio che si era venuto a creare negli anni, tra duplicazioni organizzative e funzionali e strutture ed organici poco produttivi e molto onerosi; insomma, una situazione insostenibile che aveva portato tali istituti ad essere più dei centri di spesa improduttiva che di attività scientifica.

Ma la parte più interessante è quella sul lavoro pubblico (artt. 37-38-39) e sulla conciliazione e l'arbitrato nelle controversie nei rapporti di lavoro (art. 66). In Italia, pur avendo 3,5 milioni di dipendenti pubblici, ci sono paradossalmente uffici con carenze di organico. In un paese normale la questione si risolverebbe facendo leva sullo strumento della mobilità. Purtroppo la sindacalizzazione esasperata del comparto pubblico e norme poco incisive, che certo non invogliavano a spostarsi altrove, hanno fatto in modo che una azione molto semplice sulla carta divenisse un qualcosa di irrealizzabile. E allora il governo ha pensato bene di introdurre nel disegno di legge in questione una disposizione che prevede che il personale che oppone un reiterato rifiuto, pari a due volte in cinque anni, per giustificate e obiettive esigenze di organizzazione dell'amministrazione, si considera in posizione di esubero. Quando il provvedimento arriverà ad ottobre in aula ci saranno sicuramente delle rimostranze sul punto da parte dell'opposizione, anche perché forzare la mano sul pubblico impiego significa svegliare il can che dorme, desideroso di salvaguardare le inefficienze dell'ultima corposa enclave del sindacalismo nostrano e quindi un potenziale bacino elettorale.

Molto innovative le disposizioni riguardanti la conciliazione e l'arbitrato nei rapporti di lavoro che tendono a snellire le procedure, aumentare i poteri delle commissioni di conciliazione ed allargare le maglie dell'arbitrato irrituale. L'obiettivo è quello di incentivare la via della conciliazione e dell'arbitrato per la risoluzione di queste controversie, al posto della via giudiziale, al fine di alleggerire il lavoro dei tribunali e dare comunque soddisfazione alle parti in tempi brevi, senza aspettare appesi al filo, quindi, le decisioni giudiziali da tempi biblici. Da segnalare la novità che specifica che il tentativo di conciliazione potrà essere esperito anche dai dipendenti delle amministrazioni dello Stato (art. 66, comma 1).

In pratica il governo ha deciso di introdurre una serie di disposizioni organiche in materia di lavoro pubblico e privato per sopperire ad una serie di carenze e sprechi inutili che negli anni hanno solo imbrigliato le energie dei lavoratori ed hanno intasato all'inverosimile la macchina della giustizia civile. Un paese moderno non può assolutamente più permettersi sprechi ed inefficienze. Il governo lo ha capito. Speriamo che sia lo stesso anche per l'opposizione.

mercoledì 17 settembre 2008

Il problema della forza lavoro straniera non qualificata e sottopagata

di Antonio Maglietta – 17 settembre 2008

Secondo l’ International Migration Outlook 2008 dell’OECD (Organisation for Economic Cooperation and Development), “l’immigrazione legale permanente di cittadini stranieri (circa 4 milioni) è continuata a crescere nel 2006, determinando un incremento di circa il 5% rispetto al 2005 e un rallentamento rispetto agli ultimi anni. Il numero di immigrati è notevolmente aumentato negli Stati Uniti, in Corea e in Spagna. I maggiori incrementi in percentuale si sono registrati in Portogallo, Svezia, Irlanda e Danimarca, mentre l’immigrazione è diminuita in Austria e Germania” e che “il motivo principale per l’immigrazione è il ricongiungimento familiare, in tutti i paesi escluso il Giappone. La migrazione per motivi familiare predomina negli Stati Uniti (70%) dove la politica sull'immigrazione è ampiamente basata sulla famiglia, e in Francia (60%), e sta crescendo in Portogallo, con l’arrivo dei congiunti dei lavoratori immigrati, provenienti soprattutto dall’Ucraina. In molti paesi europei, tra i quali l’Italia, l’Irlanda, la Spagna e il Regno Unito, predomina invece la migrazione economica”.
Secondo il primo rapporto del ministero dell’interno sull’immigrazione in Italia “dal 1992 al 2007 gli stranieri presenti in Italia per motivi di famiglia fanno registrare una crescita costante. Negli ultimi quindici anni, infatti, il peso relativo di tale componente sul totale delle presenze con permesso di soggiorno è più che raddoppiato (dal 14,2% al 31,6%), a testimonianza dell'importanza assunta da tali ingressi sul totale dell'immigrazione”. Insomma, seppur in Italia predomina l’immigrazione economica, nel giro di 15 anni quella per motivi di famiglia è più che raddoppiata; segno che anche nel nostro Paese l’immigrazione tende ad essere un fenomeno che sviluppa caratteri di stanzialità al pari di quello che succede in tutti i grandi paesi occidentali.
Nel rapporto dell’OECD si legge ancora che: “tra i paesi dell’OCSE c’è molta competitività per attrarre e trattenere lavoratori altamente qualificati, ma aumenta anche la richiesta di lavoratori meno qualiticati. La domanda di lavoratori scarsamente qualificati è stata in parte soddisfatta grazie all’immigrazione. Gestire la migrazione di lavoratori scarsamente qualificati è un compito impegnativo per i paesi dell’OCSE. Il problema maggiore è rappresentato dalla possibilità di garantire un impiego a lungo termine ai lavoratori meno qualificati e dalla loro integrazione nei paesi ospiti”. Il rapporto informa anche che gli immigrati guadagnano meno dei lavoratori nazionali, eccetto in Australia. Il segnale non è confortante perché significa che la forza lavoro straniera sottopagata e scarsamente qualificata viene utilizzata per la competitività nel mercato globale. Anziché investire soldi in ricerca e qualità del lavoro, aumentando la produttività, si cerca la scorciatoia del lavoro mal pagato e poco qualificato. Tuttavia, risulta che alcuni paesi stanno affrontando con successo il problema del lavoro temporaneo degli immigrati scarsamente qualificati con alcuni programmi di migrazione temporanea. Il buco nero è rappresentato, però, dall’immigrazione irregolare e dal lavoro nero, che sono due fenomeni strettamente correlati. Lo studio segnala che per arginare tali problemi servirebbe “un controllo accurato al fine di garantire il rispetto dei diritti dei lavoratori, ma è anche indispensabile fornire incentivi ai datori di lavoro affinché rispettino la legalità”. Tutto giusto, ma nello specifico se qualche datore di lavoro disonesto sfrutta la forza lavoro straniera (tenendola in nero e sottopagandola) per essere competitivo nel mercato globale, potrebbe essere incentivato ad intraprendere la via della legalità solo se diventasse conveniente investire in ricerca tecnologica e formazione professionale, e cioè nel modello sano di competitività, fermo restando la validità della proposta fatta dal ministro Maroni a luglio a Bruxelles di punire con maggior vigore chi sfrutta i clandestini con il lavorare in nero e l’ospitalità a prezzi esorbitanti ed in condizioni disumane.

giovedì 11 settembre 2008

Si riducono le distanze tra potere e cittadini


di Antonio Maglietta
AntonioMaglietta@ragionpolitica.it

martedì 09 settembre 2008

I politici che hanno speculato sulle paure della gente e i telegiornali che hanno spettacolarizzato la violenza e l'indifferenza contro accattoni, mendicanti, poveri, hanno dimostrato di essere spietati. E' questo l’atto d'accusa del direttore della Caritas italiana, mons. Vittorio Nozza, contenuto nell'editoriale del numero di settembre di Italia Caritas, mensile dell'organizzazione ecclesiale italiana. «La battaglia messa in atto in alcune città d'Italia – afferma il direttore della Caritas - per sanzionare l'elemosina, l'accattonaggio, il lavaggio dei vetri, è stata accolta da una sorta di consenso silenzioso, come se fosse diventato all'improvviso normale interdire ai poveri città che possono essere un patrimonio dell'umanità, mentre lo sono solo di quella parte che se lo può permettere». «Ma a colpire di più - è il j'accuse di mons. Nozza - è stato il carosello di cittadini interpellati dalle tv, che senza imbarazzo parevano unanimi nel bollare i mendicanti come un "fastidio", quasi fosse un termine neutrale o del galateo, e non contenesse invece una sottile, perversa e inconfessabile carica di violenza». Quindi, afferma mons. Nozza: «intristisce poi, che il mondo politico, per mitigare le frustrazioni di un popolo che vede riflesse nei poveri le proprie paure, predichi il federalismo e pratichi un'autosufficienza, che combinandosi con la crisi economica, ci rende tutti più sbrigativi, superficiali, spietati».
Ma è meglio cercare di agire in modo tale che non si costringa la gente a rovistare nei cassonetti o lasciare le cose così come stanno? E quale è il nesso tra gli interventi in materia di sicurezza ed il federalismo? Incominciamo col dire che spesso dietro l’elemosina, l’accattonaggio, il lavaggio dei vetri et similia si nasconde un vero e proprio racket che arricchisce pochi sfruttatori e annienta l’umanità di tantissimi sfortunati, tra cui molte donne e bambini. Intervenire per cercare di rompere questo circuito è doveroso proprio per dare una mano concreta a coloro che vengono sfruttati con la coercizione. E sicuramente l’animo di tutti i provvedimenti in materia di sicurezza è stato quello di «combattere il racket dell'elemosina senza ledere il diritto di chiedere aiuto», così come chiesto dal cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace e della pastorale per i Migranti e gli Itineranti, in un’intervista al Corriere della Sera.
Il pacchetto sicurezza del governo Berlusconi, dando più potere ai sindaci per intervenire in queste particolari situazioni secondo le esigenze di ciascun territorio, va in questa direzione. Nessuno, tanto meno il governo o i sindaci di vario colore politico del nostro Paese, vuole certo interdire ai poveri le nostre città, ma solo attivarsi per fare in modo che le città abbiano sempre meno poveri e sfruttati. Le ricette dell’immobilismo o dell’aiuto incondizionato, senza la volontà di capire i motivi di quel gesto, servono solo ad alimentare involontariamente la forza dei carnefici e peggiorare la condizione delle loro vittime.
Ricordiamo anche che questa posizione era stata fatta propria anche dal direttore della Caritas romana, don Guerino Di Tora, secondo cui «non si deve dare l’elemosina. Specialmente ai bambini. Deve essere combattuto il fenomeno dell’accattonaggio. Non possiamo contribuire a perpetuare questo sistema. Prendiamo il caso dei bambini che chiedono l’elemosina per strada. Il loro vero bene è di inserirli in un contesto educativo, non di farli restare in una condizione di schiavitù. Bisogna imporre loro di andare a scuola, devono essere inseriti in ben altra progettualità che possa favorire il loro recupero. Oltre alla scuola, c’è anche il discorso sanità con relative vaccinazioni per questi bambini». E ancora: «L’elemosina non risolve nulla, a maggior ragione se c’è dietro una situazione di sfruttamento e di racket. Dare l’elemosina, in tal caso, vuol dire soltanto protrarre questa situazione di schiavitù. Gli interventi devono avvenire in maniera organizzata. I problemi di queste persone possono essere risolti soltanto da organizzazioni che le aiutino ad uscire dalla loro situazione di emarginazione. Come quelli che sono aiutati dalla Caritas, dalla S. Vincenzo, dalla Comunità di S. Egidio e da altre organizzazioni. L’elemosina spicciola protrae soltanto la loro condizione».
E quale è il nesso tra alcune misure del pacchetto sicurezza e il federalismo? Certamente non il menefreghismo e l’autosufficienza, così come evidenziato da mons. Nozza, ma quello di una maggiore responsabilizzazione delle classi dirigenti locali che non potranno più nascondersi dietro il facile paravento del centralismo. Sia il pacchetto sicurezza che la bozza sul federalismo, delocalizzando il potere, permettono agli elettori di avere minori gradi di separazione con chi amministra la cosa pubblica e di controllare meglio l’operato dei loro eletti, dando piena applicazione all’art. 1 della nostra Carta Costituzionale: «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione».

lunedì 8 settembre 2008

Ok dalla Commissione Europea al pacchetto sull'immigrazione



di Antonio Maglietta - 6 settembre 2008

Porte chiuse, o quasi, per l'immigrazione in Spagna. Non stiamo parlando di clandestini ma di quella legale: il governo spagnolo di José Luis Zapatero, infatti, ha annunciato di voler stringere le maglie della contrattazione diretta nei paesi di origine. L'obiettivo è contrastare l'aumento della disoccupazione, che con la crisi economica ha ormai raggiunto il 10,5% della popolazione attiva ed è prevista in aumento fino al 12,5% entro l'anno prossimo. Gli immigrati nella penisola iberica sono più di quattro milioni e rappresentano ormai il 10% della popolazione spagnola.

«Rivedremo la lista delle contrattazioni in origine», ha spiegato il ministro del lavoro e dell'immigrazione Celestino Corbacho, che ha anticipato di non voler più presentare liste così «generose» come quelle approvate fino all'anno scorso, e che anzi cercherà di far sì che la cifra «si avvicini allo zero» a partire dal 2009. «Non sembra ragionevole che in un mercato del lavoro come quello spagnolo, dove abbiamo 2,5 milioni di disoccupati, si continui a reclutare lavoratori nei loro paesi d'origine», ha detto Corbacho. Uniche eccezioni, i paesi con cui sono vigenti accordi specifici (per lo più africani) e casi di alta specializzazione. Fra gennaio e luglio di quest'anno gli immigrati assunti a distanza, direttamente nei paesi d'origine, sono stati 88.000, mentre l'anno scorso sono stati 200.000. L'esecutivo spera che l'offerta lavorativa sia coperta dagli spagnoli e dagli immigrati già presenti sul suolo iberico che hanno perso il lavoro nell'ultimo anno: questi ultimi rappresentano un'alta percentuale dei nuovi disoccupati, soprattutto a causa del crollo del settore delle costruzioni in cui sono spesso impiegati come operai.

Corbacho, è bene ricordarlo, è lo stesso ministro del governo Zapatero che, sulla scia della collega Bibiana Aido, aveva attaccato a maggio l'esecutivo italiano, per la presunta durezza della nostra politica in materia di immigrazione che, nei giorni scorsi, ha colto l'ok di Bruxelles proprio su quel pacchetto di norme oggetto della contestazione dei due ministri spagnoli e del centrosinistra italiano. Infatti, come affermato da Michele Cercone, portavoce del commissario europeo per giustizia, libertà e sicurezza, Jacques Barrot, il pacchetto di misure adottato dal governo italiano per far fronte all'emergenza dei nomadi nel nostro paese non viola le norme Ue. Rispondendo ai giornalisti che chiedevano se la Commissione europea avesse concluso la valutazione del rapporto che il governo italiano ha inviato a Bruxelles lo scorso 1 agosto, il portavoce ha sottolineato che «né ordinanze, né le linee direttrici, né le condizioni di esecuzione, autorizzano la raccolta di dati relativi all'origine etnica o religiosa delle persone censite». In questo contesto, ha aggiunto Cercone, in Italia «non c'è nessuna raccolta sistematica delle impronte digitali» nei campi nomadi. E soprattutto «la presa di impronte digitali ha il solo fine di identificare le persone quando non sono in possesso di un documento e comunque come extrema ratio». «Questo è valido in particolare per i minori, nei confronti dei quali il riscorso alla raccolta di dati dattiloscopici è limitato ai soli casi strettamente necessari per l'identificazione, quando questa non è possibile con altri documenti», ha detto ancora Cercone a Bruxelles, aggiungendo, inoltre, che «Barrot apprezza la volontà dichiarata del governo di rispettare le norme comunitarie» e lo ringrazia della buona collaborazione e che proprio «la buona collaborazione ha permesso di verificare la situazione e di correggere tutte le misure che potevano essere contestabili». Insomma, un vero successo per il governo, l'ennesimo, che fa giustizia di tutte le parole inutili e scomposte dell'opposizione di centrosinistra, e di qualche ministro straniero semplicemente alla ricerca della tutela dei propri interessi nazionali, usate per apostrofare in malo modo una serie di interventi di semplice buon senso in una materia complessa come è quella dell'immigrazione.

La verità è che il centrosinistra alza inutili polveroni perché non solo non ha una linea condivisa in materia, visto che tra loro c'è chi parla addirittura di superamento dei Cpt, istituiti dalla legge che porta il nome di Turco-Napolitano e cioè di un esponente di spicco del Pd e dell'attuale Presidente della Repubblica, ma non è in grado di opporre alcuna idea organica e concreta in alternativa a quella del governo. La loro aridità intellettuale viene coperta dai polveroni sollevati a suon di inutili polemiche. Chiacchiere che lasciano il tempo che trovano e che nulla portano al dibattito su come meglio regolare i flussi in entrata e la gestione degli immigrati sul territorio in un'ottica di vera integrazione. Fino a quando il centrosinistra si barcamena all'opposizione, il giochetto di nascondere la propria aridità intellettuale può anche funzionare, ma non appena viene investito dalle responsabilità di governo, come abbiamo visto anche nel recente passato, viene inesorabilmente alla luce la mancanza di idee e al posto dell'azione prevale l'immobilismo.

Antonio Maglietta
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