lunedì 22 settembre 2008

NOTE ALL'A.C. 1441-quater

Note sul disegno di legge “Delega al Governo in materia di lavori usuranti e di riorganizzazione di enti, misure contro il lavoro sommerso e norme in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro (A.C. 1441-quater)”.

di Antonio Maglietta – 22 settembre 2008

Il testo disciplina diverse questioni sia in materia di lavoro privato che pubblico.
Innanzitutto il Governo si impegna ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi sul pensionamento anticipato dei lavoratori usuranti (art. 23), rispondendo quindi con i fatti a chi dalle parti del centrosinistra lamentava le dimenticanze dell’esecutivo sul tema.
Inoltre, entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, il governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi finalizzati alla riorganizzazione di una miriade di enti vigilati dal Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali (Istituto superiore di sanità, Agenzia nazionale per i servizi sanitari, regionali, Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro, Istituti zooprofilattici sperimentali, Croce rossa italiana, Lega italiana per la lotta contro i tumori, Agenzia italiana del farmaco, Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori, Istituto per gli affari sociali e di Italia Lavoro Spa) con l’obiettivo di semplificare e snellire l’organizzazione e la struttura amministrativa di questi enti, razionalizzare e ottimizzare le spese e i costi di funzionamento, oltre a prevedere la possibilità per il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali di emanare indirizzi e direttive nei confronti degli enti o istituti sottoposti alla sua vigilanza (art. 24). Una scelta sensata, soprattutto alla luce del ginepraio che si era venuto a creare negli anni, tra duplicazioni organizzative e funzionali e strutture ed organici poco produttivi e molto onerosi; insomma, una situazione insostenibile che aveva portato tali istituti ad essere più dei centri di spesa improduttiva che di attività scientifica.
L’art. 32 del disegno di legge, invece, riguarda il lavoro sommerso e nella specie, fermo restando le sanzioni previste dalla normativa in vigore, dispone l’introduzione di una sanzione amministrativa per l’impiego di lavoratori senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro, da parte del datore di lavoro privato, con la sola esclusione del datore di lavoro domestico (nel dettaglio: da euro 1.500 a euro 12.000 per ciascun lavoratore, maggiorata di euro 150 per ciascuna giornata di lavoro effettivo. L’importo della sanzione è da euro 1.000 a euro 8.000 per ciascun lavoratore, maggiorato di euro 30 per ciascuna giornata di lavoro irregolare nel caso in cui il lavoratore risulti regolarmente occupato per un periodo lavorativo successivo. L’importo delle sanzioni civili connesse all’evasione dei contributi e dei premi riferiti a ciascun lavoratore di cui ai periodi precedenti è aumentato del 50 per cento). Tuttavia, le sanzioni non trovano applicazione qualora, dalle registrazioni effettuate sul libro unico del lavoro nel mese precedente all’accertamento ispettivo oppure da altri adempimenti obbligatori precedentemente assolti, si evidenzi comunque la volontà di non occultare il rapporto, anche se trattasi di differente qualificazione. Si tratta di una giusta previsione che depura l’aspetto sanzionatorio da inutili giacobinismi ideologici che tendono solo a colpire il datore di lavoro senza alcun vantaggio per il lavoratore.
Gli articoli 37, 38 e 39 disciplinano in maniera innovativa alcuni aspetti del lavoro pubblico e mirano a legare le assunzioni al territorio, a promuovere la mobilità dei dipendenti pubblici e a dare la possibilità agli stessi di intraprendere attività professionali o imprenditoriali usando lo strumento dell’aspettativa.
L’art.37 prevede la territorializzazione delle procedure concorsuali, disponendo, tra le altre cose, che <>, oltre al fatto che anche i vincitori delle procedure di progressione verticale, al pari dei vincitori di concorso, dovranno permanere nella sede di destinazione per un periodo non inferiore a cinque anni.
L’art. 38 si occupa di mobilità del personale delle pubbliche amministrazioni e prevede, tra le altre, che il personale che oppone un reiterato rifiuto, pari a due volte in cinque anni, per giustificate e obiettive esigenze di organizzazione dell’amministrazione, si considera in posizione di esubero, con conseguente applicazione di quanto previsto dall’articolo 33 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 che disciplina le situazioni riguardanti le eccedenze di personale e la mobilità collettiva.
L’art. 39 dispone la possibilità per i dipendenti pubblici di essere collocati in aspettativa, senza assegni e senza decorrenza dell’anzianità di servizio, per un periodo massimo di dodici mesi, anche per avviare attività professionali e imprenditoriali, dando quindi una opportunità a coloro i quali vorrebbero intraprendere la via del lavoro privato senza rischiare pericolosi salti nel vuoto.
Per quanto riguardo l’art. 65 è importante sottolineare l’intervento per promuovere ed incentivare l’istituto della certificazione dei contratti di lavoro, introdotto dalla riforma Biagi (artt. 75-84 del decreto legislativo n.276/2003 ), allo scopo di ridurre il contenzioso in materia di rapporti di lavoro, prevedendo che, nel valutare le motivazioni a base del licenziamento, il giudice faccia riferimento alle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti non solo nei contratti collettivi, ma anche nei contratti di lavoro individuali, ove stipulati con l’assistenza e consulenza delle commissioni di certificazione.
L’art. 66, in materia di conciliazione ed arbitrato nelle controversie di lavoro, è il più corposo dal punto di vista normativo e sostituisce gli artt. 410 (tentativo di conciliazione), 411 (processo verbale di conciliazione), 412 (risoluzione arbitrale della controversia), 412–ter (Altre modalità di conciliazione previste dalla contrattazione collettiva), 414-quater (Altre modalità di conciliazione e arbitrato) del codice di procedura civile. L’obiettivo è quello di rendere più semplice il tentativo di conciliazione, cercando di evitare il ricorso all’autorità giudiziaria e di addivenire alla risoluzione della controversia in tempi rapidi.
Nel comma 1, relativamente alla sostituzione dell’attuale contenuto dell’art. 410 c.p.c. (tentativo obbligatorio di conciliazione), si specifica che anche chi intende proporre in giudizio le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane. e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300), incluse le controversie concernenti l'assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale, nonché quelle concernenti le indennità di fine rapporto, può promuovere un previo tentativo di conciliazione presso una apposita commissione istituita presso la direzione provinciale del lavoro. Inoltre, rispetto alla vecchia formulazione, si tipicizza la richiesta del tentativo di conciliazione e tale tentativo diventa una facoltà e non un obbligo.
Il comma 2, relativamente alla sostituzione dell’attuale contenuto dell’art. 411 c.p.c. (processo verbale di conciliazione), dispone che se la conciliazione riesce anche limitatamente viene redatto separato processo verbale che costituisce titolo esecutivo, a seguito di provvedimento del giudice su istanza della parte interessata (in pratica viene riformulata una parte del contenuto del vecchio art. 412 c.p.c. relativo al verbale di mancata conciliazione). Inoltre, si investe la commissione di conciliazione del potere di formulare una proposta per la bonaria definizione della controversia, che se non accettata sarà comunque riassunta nel verbale con l’indicazione delle valutazioni delle parti. La commissione, quindi, rispetto alla vecchia formulazione dell’articolo, che la poneva in una posizione passiva, viene formalmente investita di un potere che la rende giustamente parte attiva nel procedimento.
Il comma 3, relativo alla risoluzione arbitrale della controversia di lavoro, sostituisce l’art. 412 c.p.c. (verbale di mancata conciliazione) e dispone che, in qualunque fase del tentativo di conciliazione o al suo termine in casi di mancata riuscita, le parti possono decidere di dare mandato alla commissione per la risoluzione arbitrale della controversia. Anche questo comma, quindi, amplia il potere di intervento della commissione, sempre più parte attiva del procedimento. Il lodo emanato a conclusione dell’arbitrato produce effetti tra le parti (di cui agli artt. 1372 e 2113 del codice civile) e ha efficacia di titolo esecutivo a seguito del provvedimento del giudice su istanza della parte interessata.
Il comma 4, che sostituisce l’art. 412-ter c.p.c. (arbitrato irrituale previsto dai contratti collettivi), dispone che la conciliazione può essere svolta altresì presso le sedi previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative. Rispetto alla vecchia formulazione dell’art.412-ter, che era molto farraginoso e subordinato alla mancata conciliazione ex art. 410 c.p.c., la nuova disposizione rende più facile il tentativo di conciliazione attraverso l’arbitrato irrituale previsto dai contratti collettivi.
Il comma 5 sostituisce l’art. 412-quater (impugnazione ed esecutività del lodo arbitrale) e disciplina altre modalità di conciliazione ed arbitrato ampliando la possibilità per le parti di addivenire ad una risoluzione della controversia senza investire l’autorità giudiziaria.
L’art. 67, invece, interviene sui termini di decadenza e sulle modalità di impugnazione del licenziamento ai sensi dell’articolo 6 della legge n. 604 del 1966. Si dispone che il licenziamento deve essere impugnato entro centoventi giorni (prima erano sessanta) a pena di decadenza dalla comunicazione, o dalla comunicazione dei motivi ove non contestuale, con ricorso depositato nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro. Viene concesso quindi un termine più lungo e l’unico atto con cui è possibile l’impugnazione è rappresentato dal ricorso al giudice del lavoro, laddove in precedenza era possibile esperire l’azione con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso.

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