giovedì 16 dicembre 2010

La violenza è un sentiero già esplorato, che porta dritti verso il precipizio



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
giovedì 16 dicembre 2010

Le persone che hanno messo a ferro e fuoco Roma durante le manifestazioni di protesta del 14 dicembre sono solo dei teppisti e come tali vanno trattati. Roma si ama, non si distrugge. Chi ha divelto i sampietrini e imbrattato i muri della Capitale non ha alcun rispetto per questa città, per la sua storia, per quello che rappresenta in Italia e nel mondo e per tutti i suoi abitanti. Le persone perbene di questo paese, indipendentemente dalle posizioni politiche o dalle idee personali, dovrebbero dare piena solidarietà a chi il 14 dicembre era sicuramente dalla parte del giusto.
Solidarietà, quindi, alle forze dell'ordine, che per poco più di mille euro al mese hanno preso insulti, botte e quant'altro. Quanto è maledettamente attuale, a riguardo, la poesia «Il Pci ai giovani!» di Pier Paolo Pasolini del 1968! Solidarietà a tutti i commercianti che dovranno fare la conta dei danni subiti. Solidarietà ai proprietari delle macchine incendiate e danneggiate e dei motorini distrutti. Solidarietà a tutte le persone pacifiche che hanno manifestato perché ostaggi di questi teppisti. Solidarietà a tutti gli abitanti di Roma stanchi di queste situazioni.
La condanna della violenza deve essere netta, chiara e precisa. Senza se e senza ma. Non si può avallare l'idea che i malesseri della società si risolvano rompendo tutto e aggredendo le forze dell'ordine. Ci attenderà un futuro nero e luttuoso se passa il concetto che la violenza possa essere in qualche modo un mezzo di redenzione.
Fanno rabbrividire le parole di tutti quelli che, in un certo senso, fanno i furbetti parlando d'infiltrati tra i manifestanti, alludendo forse subdolamente al fatto che ci sarebbero stati dei veri e propri agenti provocatori tra i protagonisti degli scontri. La società delle immagini, in tal senso, ha prodotto le sue incontrovertibili verità. Le due immagini controverse che, secondo gli accusatori, sarebbero la prova dell'accusa si sono rivelate sin da subito delle patacche.
La foto che ritrae un manifestante a terra, braccato dai poliziotti, con le stesse scarpe di questi ultimi è stata scattata nel 2007 in Canada e non certo a Roma. Le sequenze video che immortalano un giovane attivo negli scontri che, a un certo punto, ha in mano un manganello e delle manette hanno fatto gridare anche qui alla prova provata. In realtà, com'è emerso poco dopo, si tratta di un sedicenne con una militanza in gruppi della sinistra estrema e con qualche precedente alle spalle.
Fanno rabbrividire anche le immagini delle continue aggressioni subite dal leader della Cisl, Raffaele Bonanni, cui dovrebbe andare una solidarietà ancor maggiore di quella che già sicuramente gli è arrivata. Chi aggredisce fisicamente chi la pensa diversamente, chi vuole zittire con la forza chi dissente deve capire che un domani potrebbe subire la stessa violenza da parte di qualcun altro per lo stesso e identico motivo. Una spirale pericolosa che porterebbe solamente alla perdita della pace sociale, all'odio come sentimento diffuso e alla violenza come mezzo di affermazione delle proprie idee. E' questo il mondo che vogliamo? Rivogliamo i morti e i feriti degli anni '70? Rivogliamo quel clima? La storia purtroppo non ha insegnato nulla a questa gente. Quali benefici collettivi hanno portato quelle violenze? Nessuno. E allora perché qualcuno ha deciso di intraprendere un sentiero già esplorato e che già si sa che porta solamente dritti in un precipizio?

lunedì 13 dicembre 2010

Possibili scenari in tema d’immigrazione



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
lunedì 13 dicembre 2010

Secondo il XVI rapporto sulle migrazioni 2010 della Fondazione Ismu ci sono due scenari possibili in un futuro prossimo venturo: rallentamento dei flussi migratori e possibile boom della presenza africana in Italia nel 2030. Se le aree di origine dell'immigrazione verso l'Italia rimarranno quelle di adesso, e cioè se più della metà degli immigrati stranieri continuerà a provenire dall'Est Europa, in tal caso nei prossimi 20 anni i residenti stranieri aumenterebbero a una media di 187mila unità annue, cifra notevolmente inferiore rispetto ai 431mila mediamente registrate negli ultimi sette anni.
Il secondo scenario introduce l'eventualità che la caduta dei flussi provenienti dai paesi dell'est sia interamente compensata da quelli provenienti dall'Africa Sub-sahariana. D'altra parte le premesse per un boom d'immigrati da tale area non mancano, se si considera che gli scenari demografici più accreditati (United Nations, 2008) calcolino che l'Africa Sub-sahariana tra il 2010 e il 2030 avrà un surplus annuo di 15-20 milioni di potenziali lavoratori. Se non saranno pienamente assorbiti dai mercati locali, potranno farsi tentare dalla scelta migratoria ed emigrare, almeno in parte, tanto in Italia quanto nel resto d'Europa.
Tra i due scenari prospettati dal rapporto Ismu quello più realistico sembra essere proprio il secondo. I motivi sono diversi. E' naturale che lo sviluppo economico, seppur tra mille difficoltà, dei paesi dell'Est Europa porterà nel tempo a una riduzione rilevante dei flussi migratori provenienti da quelle zone. E' altrettanto prevedibile, però, che questo vuoto sia riempito velocemente, magari anche con numeri superiori, dai flussi provenienti dall'Africa.
In questo quadro le istituzioni comunitarie e tutti i governi europei dovranno decidere se mettere in piedi da subito un piano per evitare di essere sommersi da questi flussi o se vorranno continuare a vivacchiare pensando che gli eventuali problemi di questi scenari siano solo dei paesi rivieraschi del sud e, quindi, dell'Italia, della Spagna e della Grecia.
A fine novembre il terzo vertice Africa-Unione europea a Tripoli si era chiuso tra qualche divisione e possibili rilanci in tema di cooperazione. Le parole-guida erano state: investimenti, crescita economica, posti di lavoro. Tranne il leader sudanese erano presenti tutti i capi di stato e di governo africani mentre da parte europea ci furono le pesanti assenze politiche dei leader di Francia, Germania e Gran Bretagna, che parteciparono solamente a livello ministeriale. Non si è trattato certamente di un buon segnale.
Oggi l'Africa ha il più grande potenziale mondiale in termini di crescita e questo è un motivo in più che dovrebbe spingere tutti i paesi europei a partecipare in maniera più attiva allo sviluppo economico di quella parte del mondo. Si tratterebbe di una scelta lungimirante e strategica. Lungimirante perché lo sviluppo economico dell'Africa ridurrebbe il numero delle persone pronte a partire verso l'Europa in cerca di un futuro migliore. Sappiamo tutti che il Vecchio Continente, e in primis l'Italia, non si può permettere di essere l'approdo d'imponenti flussi migratori che rischierebbero di far affogare il nostro territorio in un mare di problemi.
Strategica perché l'Europa non può assolutamente lasciare alla Cina e, in parte, anche agli Stati Uniti, di fare la parte del leone nelle partnership commerciali con i paesi africani. I paesi del Vecchio Continente si muovono divisi e questo non è certamente un bene nella concorrenza serrata in corso in Africa con il colosso asiatico e quello americano. Le istituzioni comunitarie dovrebbero organizzare il prima possibile una cabina di regia che indirizzi gli sforzi dei singoli paesi nell'ambito di un piano strategico sul lungo periodo che veda coinvolti sia soggetti istituzionali che privati. La cooperazione allo sviluppo, così come la conosciamo, non va più bene perché spesso ha portato più risultati negativi che positivi. Occorre un maggior coinvolgimento delle imprese che vogliono investire in quei territori su progetti di lungo periodo evitando che i soldi della cooperazione vadano a finire su cose di corto respiro o, peggio ancora, in qualche buco nero.

lunedì 6 dicembre 2010

Dati positivi dal mondo del lavoro



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
lunedì 06 dicembre 2010

Nel mese di novembre 2010 le ore autorizzate di cassa integrazione sono diminuite rispetto allo stesso mese del 2009: -8%. Ancora più sensibile il calo tendenziale, cioè rispetto al mese precedente (ottobre 2010): -10%. A novembre sono stati autorizzate 90,7 milioni di ore di Cig, contro i 100,8 milioni di ottobre 2010 e contro i 98,6 milioni di novembre 2009. La flessione tendenziale è generalizzata: le ore autorizzate di cassa integrazione ordinaria si sono fermate a 20,8 milioni (-12,7% rispetto a ottobre); le ore di cassa integrazione straordinaria sono state 38,9 milioni (-8,6%); le ore di cassa integrazione in deroga sono state poco meno di 31 milioni (-9,9%).

«È una frenata forse inattesa per le dimensioni - ha commentato il presidente dell'Inps, Antonio Mastrapasqua - ma che era stata anticipata, attraverso alcuni segnali più deboli, da maggio, quando il valore delle autorizzazioni ha cominciato a diminuire. A novembre, per la prima volta, le ore autorizzate sono addirittura meno di quelle richieste nel novembre 2009». È nell'industria che si registra il maggior decremento negli interventi ordinari (-64,3%) rispetto allo stesso mese dell'anno precedente. La forte diminuzione si evidenzia anche nel periodo gennaio-novembre rispetto agli stessi undici mesi del 2009: -44,4%. Dato negativo tendenziale per Cigs (Cassa integrazione guadagni straordinaria) e Cigd (Cassa integrazione in deroga), che rimangono invece in crescita rispetto al novembre 2009 (rispettivamente del 36,1% e del 56,6%).

Il dato sulla diminuzione delle ore autorizzate di cassa integrazione ordinaria, sia su base mensile che annuale, e quello su base mensile di Cigs e Cigd, dimostrano che c'è una ripresa in atto, soprattutto nel mondo dell'industria. La situazione poteva essere anche peggiore senza il ruolo attivo e positivo svolto dal ministero del Lavoro e da quello dello Sviluppo Economico per contenere gli effetti della crisi mondiale sul mercato del lavoro italiano. Bisogna ricordare che già lo scorso anno l'allora ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, mise in piedi una task force che aprì più di 150 tavoli di confronto tra imprenditori, rappresentanze sindacali e istituzioni, per gestire crisi aziendali in settori che, nel corso di quell'anno, coinvolsero oltre 300 mila lavoratori. E questo lavoro è stato portato avanti con profitto anche nell'anno in corso.

Insomma, la flessione tendenziale delle ore autorizzate di cassa integrazione è un segnale inequivocabile del fatto che la ripresa, seppur con segnali timidi ma confortanti, stia iniziando a prendere forma. Anche l'aumento su base annuale delle ore autorizzate di cassa integrazione in deroga può essere letto in chiave positiva. Questa forma di sostegno al reddito è una tra le migliori cose ideate dal governo Berlusconi per fronteggiare la crisi economica mondiale. Una vera e propria breccia nel muro dell'iniquo welfare State italiano, visto che per la prima volta anche alcuni soggetti esclusi dal cosiddetto «paracadute sociale» (i lavoratori subordinati, compresi gli apprendisti, lavoratori con contratto di somministrazione e lavoranti a domicilio, dipendenti da aziende che operino in determinati settori produttivi o specifiche aree regionali, individuate in specifici accordi governativi) sono riusciti ad avere il loro posto al sole.

In conclusione si può dire che gli ultimi dati dell'Inps sulle ore autorizzate di cassa integrazione sono certamente positivi e segnalano una ripresa ancora debole ma che, seppur tra tante difficoltà, sta prendendo forma. I problemi non sono certamente risolti, ma è bene guardare al futuro con una certa dose di ottimismo. All'ottimo lavoro svolto dalle prestazioni a sostegno del reddito dovrà necessariamente affiancarsi un rilancio delle politiche occupazionali attraverso l'investimento sulle competenze e la diffusione dei contratti di apprendistato.

mercoledì 1 dicembre 2010

Libera impresa e sostegno del reddito. Intervista all'on. Antonino Foti



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
mercoledì 01 dicembre 2010

E' in discussione alla Camera il disegno di legge recante interventi per agevolare la libera imprenditorialità e per il sostegno del reddito. Ne parliamo con il relatore del provvedimento, l'onorevole Antonino Foti (Pdl).


Onorevole Foti, innanzitutto qual è l'obiettivo di questo disegno di legge?
La proposta di legge 2424 («Interventi per agevolare la libera imprenditorialità e per il sostegno del reddito») si pone l'obiettivo di definire una serie di rilevanti interventi per il sostegno dei lavoratori che, fruendo dei trattamenti di sostegno al reddito, in seguito alla perdita del posto di lavoro, abbiano intenzione di avviare in proprio un'attività d'impresa. Ho sempre osservato con preoccupazione il problema dell'elevato numero dei cassintegrati nel nostro Paese, numero che sembra, purtroppo, non dover diminuire nell'immediato futuro. Dei lavoratori interessati - oggi quasi 700.000 - so e sappiamo quali grandi difficoltà si porranno per coloro che non potranno rientrare nella «loro» azienda, nel trovare un nuovo lavoro nel settore pubblico, o nel settore della media-grande impresa, vista la tendenza di queste realtà a ridurre, da anni e, in special modo in questi ultimi tempi, la mano d'opera.

Qual è l'elemento d'innovazione e di maggior interesse in questo provvedimento?
L'elemento d'innovazione e di maggior interesse della proposta di legge in esame è quello di trasferire parte delle risorse attualmente destinate agli ammortizzatori sociali a favore di specifici interventi idonei ai fini dell'avvio di nuova imprenditorialità e di nuova occupazione, soprattutto nel settore delle imprese artigiane e delle micro-imprese. In relazione a questi obiettivi, proprio nell'articolo 1 si definiscono le specifiche agevolazioni ai lavoratori che fruiscano di determinati strumenti di sostegno al reddito, prevedendo che i lavoratori in cassa integrazione che abbiano l'intenzione di iniziare un'attività imprenditoriale possano, a tal fine, utilizzare subito una parte dell'importo complessivo messo a disposizione dall'istituto della cassa integrazione guadagni, come incentivo, continuando comunque a beneficiare del 50% dell'emolumento mensile previsto da tale importante ammortizzatore sociale, ed usufruendo, per un breve e determinato periodo, di una sorta di «percorso protetto». Durante questo periodo, pur tenendo ferme le regole sulla sicurezza sul lavoro e sull'esercizio delle attività imprenditoriali, viene applicata una «legislazione leggera», basata su agevolazioni, incentivi e sgravi, prevenendo, in tal modo, la possibile totale illegalità del sommerso.

Quali sono le forme imprenditoriali ammesse in questa proposta?
L'attività di impresa, di cui alla presente legge, può essere svolta in forma individuale o di impresa familiare, ai sensi dell'articolo 230-bis del Codice civile, nelle forme di società in nome collettivo o in accomandita semplice, ovvero in forma di società cooperativa di cui all'articolo 2522 del citato Codice civile.

Il testo interviene anche sul tema sempre delicato degli ammortizzatori sociali. Ci può spiegare in quali termini?
Come sappiamo, gli ammortizzatori sociali consistono in misure di sostegno al reddito finalizzate ad evitare che i lavoratori, che nella normalità dei casi traggono dall'attività lavorativa il sostentamento per sé e per le proprie famiglie, rimangano privi di retribuzione quando il datore di lavoro non sia in grado, per motivi legittimi, definiti anche «cause integrabili», di ricevere la prestazione lavorativa e di conseguenza non abbia più l'obbligo di corrispondere la retribuzione. La cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria, la mobilità, gli ammortizzatori sociali in deroga, l'indennità di disoccupazione, sono misure importantissime affinchè i lavoratori e le loro famiglie possano far fronte ad esigenze urgenti ed immediate, ma l'intento di questo disegno di legge è di renderli strumenti, sì protettivi, ma allo stesso tempo produttivi, attraverso cui si alimenti la creatività, l'autodeterminazione e la realizzazione di un nuovo tessuto sociale costituito da quegli artigiani, operai e dipendenti, capaci, preparati, ma in difficoltà, che abbiano l'opportunità di scoprirsi micro-imprenditori, alimentando così l'economia e le opportunità di lavoro e prevenendo, in tal modo, la crescita dell'illegalità del sommerso.

In che modo questo disegno di legge può dare un contributo concreto in tema di modernizzazione delle politiche sociali e rilancio economico e produttivo del Paese?
Ritengo possa ripetersi quanto già successo nel nostro Paese nel primo dopoguerra, quando, a seguito della chiusura di grandi fabbriche e di massicci licenziamenti, molti operai, esperti e capaci nel loro lavoro, fecero nascere una miriade di piccole imprese, in gran parte all'inizio individuali e, in seguito, con pochi dipendenti, fenomeno attraverso il quale si è affermato un sistema economico polverizzato che ha tanto positivamente inciso nello sviluppo economico e sociale del nostro Paese, esempio studiato e tuttora invidiato nel mondo. Certo, tutto ciò non nacque per caso, il processo fu accompagnato e agevolato. Gli enti locali, specie nel centro-nord, indipendentemente dal tipo di amministrazione, disposero gli insediamenti produttivi, i vari villaggi artigianali ed industriali, accompagnando così la creatività dei nostri operai, della nostra gente. La volontà e la speranza della mia proposta è quella di ripristinare, per quanto possibile, quel momento storico-economico del primo dopoguerra, quando era più semplice e veloce e, conseguentemente, produttivo, iniziare e continuare un'attività imprenditoriale.

lunedì 29 novembre 2010

Decreto sicurezza. Intervista all'onorevole Jole Santelli



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

lunedì 29 novembre 2010

E' in discussione alla Camera il disegno di legge di conversione del decreto del governo recante misure urgenti in materia di sicurezza. Ne parliamo con uno dei due relatori del provvedimento, l'onorevole Jole Santelli, vicepresidente della commissione Affari Costituzionali della Camera e vicepresidente del gruppo del Popolo della Libertà di Montecitorio.

Secondo una recente indagine Istat, relativa al biennio 2008-2009, il 77,9% della popolazione definisce la zona dove abita poco o per niente a rischio di criminalità. Tuttavia, secondo lo stesso studio, la paura individuale è un fenomeno che coinvolge un'elevata percentuale di cittadini. Il 28,9% prova un senso di forte insicurezza. Come risponde il governo a queste paure e a queste ansie dei cittadini?

Da qualche anno ha acquistato rilevanza un fenomeno nuovo e diverso dalla semplice lettura dei dati statistici rispetto ai reati: quello che viene definito «sicurezza percepita». La cosiddetta «sicurezza percepita» è parte di ciascun cittadino perché ovviamente le sue azioni sono condizionate dal senso di paura che egli stesso prova. E' profondamente mutato l'effetto che i cambiamenti sociali hanno sulla nostra vita quotidiana e pertanto sono emerse nuove problematiche cui la politica è chiamata a dare risposta.

Le mafie si combattono anche toccandole nel portafoglio. Ma non basta solo sequestrare e confiscare i beni: occorre anche amministrarli bene. Il decreto legge 4 febbraio 2010, n. 4, poi convertito dal parlamento nella legge 31 marzo 2010, n. 50, ha istituito l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Nel nuovo decreto ci sono provvedimenti che potenziano l'attività dell'Agenzia. Quali sono, a suo avviso, quelli più significativi?

Uno degli aspetti più significativi del provvedimento è il potenziamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità. Si è inteso eliminare gli inconvenienti che si sono verificati nella gestione e nell'assegnazione di tali beni, oltre che consentire un finanziamento diretto che permetta all'Agenzia di operare in modo sempre più efficace. In tal modo il governo dà un chiaro segnale di voler proseguire nella dura lotta alla criminalità organizzata e di volerne colpire i patrimoni illecitamente accumulati.

La cooperazione con le forze di polizia degli altri Paesi è diventato uno strumento strategico per combattere le nuove mafie del crimine transnazionale. Cosa si può fare per migliorare quest'attività?

Il crimine ha trovato delle forme di cooperazione naturali e delle sinergie immediate. Ciò ha reso più che mai necessaria una forma di difesa comune nei confronti della criminalità e soprattutto delle cosiddette «nuove mafie», che ha necessitato una collaborazione molto più forte fra i vari Stati. Questo ha ovviamente una immediata ricaduta nelle misure adottate a livello comunitario, ma ne ha altrettanta nella cooperazione di polizia, che ha avuto la necessità di rafforzarsi anche al di fuori della Ue. Il decreto legge, all'articolo 5, prevede un ulteriore strumento di programmazione strategica che viene istituito all'interno della Direzione centrale della polizia criminale, direzione all'interno del dipartimento di pubblica sicurezza che ha il compito di coordinare la cooperazione fra diverse forze di polizia anche nazionali.

Le mafie si alimentano economicamente anche attraverso le infiltrazioni negli appalti pubblici. Che cosa prevede il testo in questa delicata materia?

L'articolo 6 dispone la tracciabilità di tutte le operazioni economiche, quindi ha un doppio risvolto: sia dal punto di vista investigativo, volto al controllo di possibili infiltrazioni, sia da un punto di vista economico-finanziario a fini tributari. Il decreto sostanzialmente prevede l'identificazione di ciascuna operazione economica e il collegamento di questa allo specifico rapporto contrattuale. Più specificamente in relazione ai lavori pubblici la cosiddetta «tracciabilità» delle operazioni legate tanto ai lavori di appalto quanto a quelli di subappalto.

Le ordinanze dei sindaci in materia di sicurezza spesso sono dei «vorrei ma non posso». I primi cittadini lamentano di avere le mani legate e di poter fare poco dinanzi alle richieste dei cittadini. Che cosa dispone il decreto a riguardo?

L'articolo 8 dispone un rafforzamento della collaborazione fra il sindaco e il prefetto come autorità di governo. L'ordinanza del sindaco che già a norma della legge vigente deve essere trasmessa al prefetto ai fini della valutazione di legittimità, dopo essere varata viene ritrasmessa affinchè, ove sia necessario l'intervento di altre forze di polizia rispetto a quelle della polizia locale, il prefetto ne disponga l'utilizzo ai fini della concreta attuazione dei principi fissati nell'ordinanza dei sindaci.

martedì 23 novembre 2010

Sicurezza: il governo risponde con i fatti a paure e ansie dei cittadini



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
martedì 23 novembre 2010

Secondo il rapporto Istat «Reati, vittime, percezione della sicurezza», riguardante gli anni 2008-2009 e presentato lunedì a Roma, il 48,5% degli italiani è influenzato dalla criminalità, il 25,2% non esce mai di casa da solo la sera per paura di esserne vittima. I più insicuri di tutti sono i cittadini del Sud (33,2%), in particolare quelli campani, e ad avvertire più paura sono le donne (37%), soprattutto le giovanissime tra i 14 e i 24 anni (addirittura il 60,3%). Nel corso dei 12 mesi precedenti l'intervista, nel biennio 2008-2009 i cittadini rimasti vittime sono stati il 5,7 per cento del totale. Per quanto riguarda i reati contro la proprietà si è trattato in primo luogo di furti di oggetti personali (2,2%), seguiti dai borseggi (1,6%) e dagli scippi (0,5%). Tra i reati violenti al primo posto si collocano le minacce (0,9 per cento), seguite dalle aggressioni (0,6 per cento) e dalle rapine (0,4 per cento). Le paure e le ansie dei cittadini quando si parla di criminalità non si affrontano, come spesso si sente dire da alcuni esponenti di sinistra, dicendo che sono solo frutto di una percezione e, quindi, non motivate da quella che è la realtà dei fatti. La risposta deve essere la lotta senza quartiere al crimine. E' questa la grande differenza che crea un abisso, sul tema di come affrontare la questione, tra la sinistra e il centrodestra.

Gli indubbi successi messi a segno dallo Stato in quest'ambito non sono arrivati certo per caso. Sono il frutto di una serie di fattori tra cui lo straordinario impegno di tutti gli uomini delle istituzioni che lavorano quotidianamente nell'ombra, lontano dalle luci della ribalta, e la produzione normativa del Governo, frutto dell'adempimento dell'impegno preso in campagna elettorale per le politiche del 2008 dal Popolo della Libertà, ha approvato, su proposta del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e del Ministro dell'interno, Roberto Maroni, un altro pacchetto di disposizioni in materia di sicurezza pubblica e contrasto alla criminalità organizzata che va ad arricchire la ricca produzione normativa di questo governo in queste delicate materie.
Dall'inizio di questa legislatura si contano ben 26 provvedimenti (considerando solo quelli approvati definitivamente e attualmente in vigore) da parte del Governo Berlusconi in questo ambito. Quasi un intervento normativo al mese da quando è entrato in carica. L'elenco:

Decreto-Legge 23 maggio 2008, n. 92, recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica, poi convertito dal Parlamento nella Legge 24 luglio 2008, n. 125;

Decreto-Legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, poi convertito dal Parlamento nella Legge 6 agosto 2008, n. 133;

Decreto del ministro dell'Interno 5 agosto 2008 - Incolumità pubblica e sicurezza urbana. Interventi del sindaco;

Decreto-Legge 2 ottobre 2008, n. 151 - Misure urgenti in materia di prevenzione e accertamento di reati, di contrasto alla criminalità organizzata e all'immigrazione clandestina, poi convertito dal Parlamento nella Legge 28 novembre 2008, n. 186;

Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento della Gioventù - Decreto 30 dicembre 2008 - Bando di concorso per la sicurezza stradale;

Direttiva del Ministro dell'Interno per le manifestazioni nei centri urbani e nelle aree sensibili 26 gennaio 2009 - Circolare ai Prefetti della Repubblica;

Decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 - Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori, poi convertito dal Parlamento nella Legge 23 aprile 2009, n. 38;

Decreto legislativo 11 maggio 2009, n. 54 - Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 22 giugno 2007, n. 109, recante attuazione della direttiva 2005/60/CE, concernente misure per prevenire, contrastare e reprimere il finanziamento al terrorismo e l'attività di Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale;

Decreto-legge 15 giugno 2009, n. 61 - Disposizioni urgenti in materia di contrasto alla pirateria, convertito dal Parlamento nella Legge 22 luglio 2009, n. 100;

Legge 30 giugno 2009, n. 85 (il disegno di legge è stato deliberato nel Consiglio dei Ministri del 21 maggio 2008) - Adesione della Repubblica italiana al Trattato concluso il 27 maggio 2005 tra il Regno del Belgio, la Repubblica federale di Germania, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, il Granducato di Lussemburgo, il Regno dei Paesi Bassi e la Repubblica d'Austria, relativo all'approfondimento della cooperazione transfrontaliera, in particolare allo scopo di contrastare il terrorismo, la criminalità transfrontaliera e la migrazione illegale (Trattato di Prum). Istituzione della banca dati nazionale del Dna e del laboratorio centrale per la banca dati nazionale del Dna. Delega al Governo per l'istituzione dei ruoli tecnici del Corpo di polizia penitenziaria. Modifiche al codice di procedura penale in materia di accertamenti tecnici idonei ad incidere sulla libertà personale;

Legge 15 luglio 2009, n. 94 - Disposizioni in materia di sicurezza pubblica (il disegno di legge è stato deliberato dal Consiglio dei Ministri del 21 maggio 2008);

Decreto ministro dell'Interno 8 agosto 2009 - Determinazione degli ambiti operativi delle associazioni di osservatori volontari, requisiti per l'iscrizione nell'elenco prefettizio e modalità di tenuta dei relativi elenchi, di cui ai commi da 40 a 44 dell'articolo 3 della legge 15 luglio 2009, n. 94;

Direttiva del ministro dell'Interno 14 agosto 2009 - Disposizioni per la stagione calcistica 2009/2010;

Direttiva del ministro dell'Interno 14 agosto 2009 - Direttiva per garantire un'azione coordinata di prevenzione e contrasto dell'eccesso di velocità sulle strade;

Decreto ministro dell'Interno 15 agosto 2009 - Accertamento, da parte delle questure, della sussistenza dei requisiti ostativi al rilascio di accesso ai luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive;

Decreto ministro dell'Interno 15 settembre 2009, n. 154 - Regolamento recante disposizioni per l'affidamento dei servizi di sicurezza sussidiaria nell'ambito dei porti, delle stazioni ferroviarie e dei relativi mezzi di trasporto e depositi, delle stazioni delle ferrovie metropolitane e dei relativi mezzi di trasporto e depositi, nonché nell'ambito delle linee di trasporto urbano, per il cui espletamento non è richiesto l'esercizio di pubbliche potestà, adottato ai sensi dell'articolo 18, comma 2, del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155;

Decreto del ministro dell'Interno 6 ottobre 2009 - Determinazione dei requisiti per l'iscrizione nell'elenco prefettizio del personale addetto ai servizi di controllo delle attività di intrattenimento e di spettacolo in luoghi aperti al pubblico o in pubblici esercizi, le modalità per la selezione e la formazione del personale, gli ambiti applicativi e il relativo impiego, di cui ai commi da 7 a 13 dell'articolo 3 della legge 15 luglio 2009, n. 94;

Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 ottobre 2009 - Autorizzazione ad assumere, a tempo indeterminato, personale dei Vigili del fuoco, dell'Arma dei carabinieri, del Corpo di polizia penitenziaria, della Polizia di Stato e del Corpo della guardia di finanza, ai sensi dell'articolo 66, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133;

Decreto-legge 4 febbraio 2010, n. 4 - Istituzione dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, convertito dal Parlamento nella Legge marzo 2010, n. 50;

Decreto del ministro dell'Interno 4 febbraio 2010 - Modifica al decreto del Ministro dell'interno 8 agosto 2009, concernente la determinazione degli ambiti operativi delle associazioni di osservatori volontari, requisiti per l'iscrizione nell'elenco prefettizio e modalità di tenuta dei relativi elenchi;

Decreto-Legge 12 febbraio 2010 , n. 10 - Disposizioni urgenti in ordine alla competenza per procedimenti penali a carico di autori di reati di grave allarme sociale, convertito dal Parlamento nella Legge 6 aprile 2010, n. 52;

Decreto del ministro dell'Interno 24 febbraio 2010 - Modifiche al decreto 8 agosto 2007 in materia di organizzazione e servizio degli assistenti sportivi, denominati «steward», negli impianti sportivi;

Legge 2 luglio 2010, n. 108 - Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani, fatta a Varsavia il 16 maggio 2005, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno (il disegno di legge è stato deliberato nel Consiglio dei Ministri del 4 febbraio 2010);

Decreto del ministro dell'Interno 6 luglio 2010 - Modalità di funzionamento del registro delle persone senza fissa dimora, a norma dell'articolo 2, della legge 24 dicembre 1954, n. 1228, come modificato dall'articolo 3, comma 39, della legge 15 luglio 2009, n. 94;

Legge 13 agosto 2010, n. 136 - Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia (il disegno di legge è stato deliberato nel Consiglio dei Ministri del 28 gennaio 2010);

Decreto legge 12 novembre 2010, n. 187 - Misure urgenti in materia di sicurezza.

A tutto questo vanno aggiunti tutti i decreti sul carcere duro per i criminali firmati dal ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ai sensi dell'art. 41 bis della Legge n. 354 del 1975. Atti, questi ultimi, che oltre a confermare che la lotta al crimine si fa con i fatti, diventano ancora più rilevanti dopo la notizia che l'ex ministro della giustizia del governo Ciampi, Giovanni Conso, nell'audizione alla Commissione Antimafia dell'11 novembre scorso, ha dichiarato di non aver rinnovato, il 4 novembre 1993, il 41-bis per 140 mafiosi detenuti nel carcere palermitano dell'Ucciardone dopo l'offensiva stragista della mafia nel biennio 92-93.

sabato 20 novembre 2010

Si faccia luce sulla lotta alla mafia negli anni '90


di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
sabato 20 novembre 2010

Nel silenzio assordante delle star mediatiche dell’Antimafia delle chiacchiere, ci sono stati due fatti ultimamente che il grande pubblico sicuramente non conosce. Il primo. L’ex ministro della giustizia del governo Ciampi, Giovanni Conso, nell’audizione alla Commissione Antimafia dell’11 novembre scorso, ha dichiarato di non aver rinnovato, il 4 novembre 1993, il 41-bis per 140 detenuti del carcere palermitano dell’Ucciardone. Conso, guardasigilli nei governi Amato e Ciampi, ha precisato, davanti alla Commissione che indaga sulle stragi del ’92 e ’93, che questa decisione non fu frutto di alcuna trattativa con Cosa Nostra, ma di un provvedimento preso in assoluta solitudine per evitare che la mafia avesse motivi per riprendere le stragi. Nel gennaio del 1994 Conso invece rinnovò il 41 bis per un gruppo di boss di Cosa Nostra. Il secondo. L’allora direttore del Dap, Nicolò Amato, è stato sentito venerdì dalla procura di Palermo su questi stessi fatti e ha ricordato che nella riunione al Viminale, del 12 febbraio del 1993, del Comitato per l'Ordine e la Sicurezza pubblica, in particolare l'allora capo della polizia Vincenzo Parisi, espresse pesanti riserve sull'eccessiva durezza delle misure carcerarie restrittive introdotte d'urgenza tra le stragi di Capaci e via D'Amelio e trasformate in legge dopo l'assassinio del giudice Borsellino. E sempre dal Viminale, ha ricordato Amato, arrivarono «pressanti insistenze» per la revoca dei decreti che imponevano il 41-bis a proposito degli istituti di pena di Secondigliano e Poggioreale.
Lasciamo perdere tutte le dichiarazioni di contorno e gli sviluppi giudiziari e facciamo delle semplici considerazioni pratiche e di natura strettamente politica. Venerdì 18 novembre, il ministro Alfano ha firmato il decreto di 41-bis (il così detto carcere duro) per il boss della camorra Antonio Iovine, arrestato mercoledì scorso. Si tratta dell’ultimo atto di una serie di fatti concreti che hanno visto il governo Berlusconi impegnato con successo nella lotta alla criminalità organizzata. E a questo punto va fatta una prima considerazione pratica. L'Antimafia dei fatti è firmare il 41-bis per mafiosi, camorristi e ‘ndranghetisti, sequestrare i beni e arrestare i latitanti. L'antimafia delle chiacchiere è omettere di dire che nel 1993 un governo tecnico con dentro uomini di centrosinistra non rinnovò 140 decreti di 41-bis. La verità che sta emergendo, dopo l'audizione in commissione antimafia dell'ex ministro Conso e la deposizione resa alla Procura di Palermo dall'ex direttore del Dap Nicolò Amato, sulla presunta trattativa tra Stato e mafia nel 1993, è sconvolgente. In estrema sintesi: lo Stato cedette all'offensiva stragista dei primi anni '90 e non rinnovò il carcere duro a 140 mafiosi per dare un segnale di distensione alla mafia.
In pratica si sta materializzando all’orizzonte una supposta gigantesca per le anime belle di sinistra che hanno sempre cavalcato queste vicende per motivi di lotta politica. Dove sono i Santoro? Dove sono i Travaglio? Dove sono i Saviano? Dove sono i Caselli e gli Ingroia? Dove sono i Ciampi, allora Presidente del Consiglio, i Mancino, allora Ministro dell'Interno, e gli Scalfaro, allora Presidente della Repubblica? Dove è il Veltroni novello conoscitore del biennio 92-93? Dove sono tutti quelli che nel 1992 e nel 1993 contavano qualcosa in ambito istituzionale e che solo dopo 17-18 anni iniziano a balbettare qualche frase e a ricordare a sprazzi? In attesa di una qualche risposta da parte di questi signori, le persone oneste e perbene dovrebbero ricordare tutti coloro che morirono a causa di quelle bombe e tutti quelli, uomini delle istituzioni e non, che sono morti per non essersi coraggiosamente calati le braghe davanti alla inaccettabile prepotenza dei criminali. Detto questo, è necessaria anche un’altra breve considerazione.
Al di là delle eventuali responsabilità dei singoli e di tutto quello che verrà fuori in questa vicenda, è possibile affermare, alla luce delle dichiarazioni dell’ex ministro Conso, che un governo tecnico, molto debole perché non sorretto dalla forza del consenso ma solo da un accordo di palazzo, non è stato in grado di rispondere in maniera efficace all’offensiva mafiosa. Non stiamo parlando di un governicchio qualsiasi ma proprio il governo tecnico per eccellenza, quello Ciampi, quello preso a modello (pronto all’uso) da molte belle anime della sinistra nostrana per risolvere le crisi dei governi politici. Ecco proprio quel governo, stando alle parole dell’ex ministro Conso, o meglio quel tipo di governo, ha fatto calare le braghe allo Stato davanti alla prepotenza assassina dei mafiosi e ha calpestato la memoria di chi per quello stesso Stato ha sacrificato i propri affetti e spesso addirittura la propria vita.

giovedì 18 novembre 2010

L'Ocse promuove l'Italia



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

giovedì 18 novembre 2010

Secondo l'Ocse Italia è in moderata ripresa e ha imboccato un sentiero di recupero che dovrebbe in qualche misura rafforzarsi nei prossimi due anni. Nel suo ultimo rapporto semestrale di previsioni, l'Economic Outlook, sul 2010 l'ente parigino prevede un più 1% del Pil italiano, cui seguirà un più 1,3% nel 2011 e un più 1,6% nel 2012. La ripresa dell'Italia è trainata da export e investimenti - si legge nella scheda dedicata al nostro Paese - laddove i consumi delle famiglie restano deboli. La disoccupazione, invece, potrebbe aver raggiunto il picco; è stimata all'8,6% quest'anno, all'8,5% nel prossimo e all'8,3% nel 2012. L'utilizzo della cassa integrazione, secondo l'organizzazione, ha consentito di evitare che aumentasse di più, ma restano incognite su che cosa accadrà quando i cassintegrati vedranno esaurirsi il tempo limite. Per quanto riguarda l'area euro, la maglia nera in fatto di disoccupazione spetta alla Spagna, che quest'anno chiuderà con un tasso del 19,8%, per poi scendere al 19,1% nel 2011 e al 17,4% nel 2012. Quest'anno Francia, Germania e Gran Bretagna registreranno un tasso di disoccupazione, rispettivamente, del 9,3%, 6,9% e 7,9%. Nell'Eurozona il tasso di disoccupazione sarà al 9,9% quest'anno al 9,6% nel 2011 e al 9,2% nel 2012.

Il giudizio positivo dell'Ocse sul nostro Paese si aggiunge a quello altrettanto positivo espresso solo poco più di un paio di settimane fa da Standard & Poor's, la principale delle tre agenzie di valutazione del debito degli Stati. Ricordiamo anche che l'agenzia aveva accompagnato il proprio giudizio tecnico con una nota di natura prettamente politica, in cui puntualizzava espressamente che «le prospettive stabili sull'Italia riflettono le aspettative che il governo proseguirà nel biennio 2011-2013 con il programma di consolidamento del debito incentrato sul contenimento della spesa pubblica». In pratica si promuoveva quanto già fatto dal governo, esortandolo a continuare sulla strada intrapresa.

Tutto questo vuol dire che, al netto degli interessati profeti di sventura, autorevoli organismi sovranazionali hanno riconosciuto la bontà dell'azione del governo Berlusconi e hanno dipinto un quadro dove le luci, almeno per il momento, sono più delle ombre. E non è una cosa da poco, vista la difficile situazione generale e quella addirittura pessima in cui versano alcuni nostri partner europei.

L'Ocse ha riconosciuto il grande ruolo svolto dalla cassa integrazione e non c'è alcun dubbio che questo strumento, insieme ai contratti di solidarietà, abbia mantenuto vivo un tessuto occupazionale in un momento difficile per tutta l'economia mondiale. Se il nostro Paese ha un tasso di disoccupazione inferiore a quello della media dell'Eurozona, oltre la metà di quello spagnolo, poco meno di quello francese e sostanzialmente in linea con quello britannico, non è certo frutto del caso. Se oggi possiamo vantare un dato positivo lo dobbiamo certamente ad una serie di fattori come l'azione meritoria portata avanti dal governo in tema di ammortizzatori sociali, fondo di sostegno alle imprese, messa in sicurezza del sistema creditizio, e dai tanti imprenditori e lavoratori italiani che hanno stretto e continuano a stringere i denti e a reagire con forza e coraggio alla crisi economica mondiale.

Un tasso di disoccupazione di poco superiore all'8% non può ovviamente far fare dei salti di gioia, perché vuol dire che in giro c'è gente senza lavoro che soffre, e con loro soffrono non solo le loro famiglie ma anche il sistema-Paese. C'è anche un lato umano che spesso si perde nelle pieghe delle analisi sul mercato del lavoro, ma che dobbiamo tenere sempre presente quando si parla di disoccupazione. Dietro i numeri ci sono le persone e per questo motivo bisogna avere massima cautela e massimo rispetto quando si parla di questi argomenti. Tuttavia quello stesso dato sulla disoccupazione deve farci sperare in un futuro migliore, proprio perché, seppur tra tante sofferenze, il nostro Paese ha reagito bene agli effetti negativi della crisi economica mondiale. Ogni decimale di punto percentuale in meno rispetto agli altri Paesi significa persone che altrove sono disoccupate e che qui da noi, invece, lavorano.

martedì 16 novembre 2010

Immigrazione e mercato del lavoro in Italia



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

martedì 16 novembre 2010

Secondo uno studio dell'Irpps-Cnr, molti italiani considerano positivo il ruolo svolto dagli immigrati, soprattutto se qualificati, ma c'è anche una fetta consistente di nostri connazionali che considera l'immigrazione nel nostro Paese eccessiva. La curatrice dell'indagine, Maria Carolina Brandi, ha affermato che «il 30% degli intervistati considera positivo il ruolo svolto dagli immigrati per alcuni settori della nostra economia, e il 26% circa lo ritiene tale anche per la nostra cultura, mentre il 23,7% dichiara che genera insicurezza e il 15,4 teme che aumenti la disoccupazione. Solo il 9,8% ritiene che l'immigrazione costituisca un "grave problema", mentre molti la ritengono eccessiva, specialmente le persone meno istruite (il 47%)». In questo quadro, l'atteggiamento degli italiani verso gli immigrati ad alta qualificazione è molto più favorevole rispetto a quello sull'immigrazione in generale. Secondo Brandi, lo studio conferma come il mercato del lavoro qualificato italiano sia molto meno ampio di quello della maggioranza dei Paesi Ocse, tanto che anche gli stessi laureati italiani scelgono la migrazione, mentre sono disponibili posti non qualificati per i quali la manodopera nazionale è insufficiente. Tuttavia, una volta che l'immigrato laureato occupa per necessità questa fascia del mercato del lavoro, non viene più riconosciuto come appartenente all'emigrazione di élite a cui, pure, larga parte degli italiani concede fiducia, finché non riesce a collocarsi in una posizione che lo renda riconoscibile come «intellettuale» e quindi accettato.

E' proprio quello indicato da Maria Carolina Brandi uno dei punti nevralgici nella discussione sull'immigrazione in Italia. Partiamo dai numeri. Secondo uno studio condotto dall'Istat («L'integrazione nel lavoro degli stranieri e dei naturalizzati italiani», 2009), il 38,7% degli stranieri in Italia lavora nel settore dell'industria (22,1% nell'industria in senso stretto e 16,6% nelle costruzioni), il 59% nei servizi (8,2% nel commercio, 8,8% nei servizi alle famiglie e 22,1% in alberghi e ristoranti) e il 2,3% nell'agricoltura. E ancora: solo l'8,1% degli stranieri presenti in Italia svolge una professione qualificata. Sempre secondo uno studio dell'Istat («Gli stranieri nel mercato del lavoro. I dati della rilevazione sulle forze di lavoro in un'ottica individuale e familiare», 2009) la diffusa disponibilità dell'offerta di lavoro straniera sopperisce alla continua e insoddisfatta domanda di lavoro non qualificato. Nonostante i livelli d'istruzione piuttosto elevati, la dequalificazione professionale riguarda la gran parte del lavoro degli stranieri presenti nell'industria a bassa tecnologia e innovazione e nel variegato mondo dei servizi.

I numeri a disposizione certificano con certezza che la maggior parte degli stranieri che hanno deciso di venire a vivere nel nostro Paese per motivi economici occupa, in genere, posti di lavoro non qualificati. L'offerta di questi lavori nel mercato italiano non è soddisfatta dalla manodopera nazionale e la leva dell'immigrazione è usata per coprire questo fabbisogno. Tuttavia, così com'è oggi, questa situazione favorisce soltanto alcuni «caporali» e chi assume, spesso in nero, queste persone, mentre chi ci perde sono tutti gli altri e cioè in primis gli stessi immigrati e i comuni cittadini, e poi anche le istituzioni, che devono fronteggiare una realtà incandescente dal punto di vista sociale.

La ricetta per curare questo male che affligge il mercato del lavoro nazionale potrebbe essere da un lato la modernizzazione del lavoro in Italia, attraverso la ricerca tecnologica, la formazione continua (che non può più essere quella che arricchisce solo i formatori), la flessibilità, gli incrementi salariali (solo a chi lavora di più e meglio) e la contrattazione decentrata e, dall'altro, la qualificazione dei lavoratori stranieri sul territorio di provenienza. Tutto questo, fermo restando che le istituzioni devono continuare a colpire sempre più duramente chi offre lavoro e affitti in nero. La strada da percorrere, comunque già intrapresa da questo governo attraverso l'opera meritoria del ministro Sacconi, non può che essere questa.

lunedì 15 novembre 2010

“Berlusconi ha un modello per l’immigrazione”



Il Predellino intervista Antonio Maglietta, studioso delle tematiche relative al mondo del lavoro. Cresciuto alla “scuola” di don Gianni Baget Bozzo, Maglietta riflette con noi di come il governo Berlusconi sta affrontando il fenomeno dell’immigrazione.

di Andrea Camaiora

Secondo gli ultimi dati dell’Istat, tra 40 anni avremo 10 milioni di stranieri in Italia con una incidenza sulla popolazione residente pari al 17%. Che impatto potrebbero avere questi numeri sul sistema paese?
Partiamo dal presupposto che questo è un processo inevitabile e che prima prendiamo coscienza di questo dato di fatto e meglio saremo in grado di affrontare tutti i temi connessi con questo evento. Oggi nessuno è in grado di dire se questi numeri porteranno in termini generali benefici o meno. Dipende da quale modello d’integrazione saremo in grado di offrire come sistema Paese e, soprattutto, dalla personale voglia di ogni singolo immigrato di voler aderire ai valori che definiscono il nostro ordine normativo. Una cosa è certa. Questi numeri ci dicono che dobbiamo trovare alla svelta un modello alternativo all’assimilazionismo e al multiculturalismo.

Perché l’assimilazionismo e il multiculturalismo sono falliti?
In Francia l’assimilazionismo è fallito perché si fondava su un patto in cui lo Stato francese s’impegnava a concedere la «cittadinanza repubblicana», con i suoi diritti di libertà, in cambio del divieto di far valere le appartenenze religiose. Il patto è fallito perché i nuovi cittadini, comprese le nuove generazioni nate in Francia, non si sono mai sentite parte integrante della società francese e rivendicano la mancanza di pari opportunità.
Il multiculturalismo, da parte sua, attraverso le generose politiche di riconoscimento delle minoranze, invece che integrare, ha portato all’esaltazione massima dei peggiori egoismi culturali e religiosi e, di conseguenza, alla disgregazione sociale.
Paradossalmente due modelli contrapposti, non solo sono falliti, ma hanno anche prodotto le medesime cose: odio, ghettizzazione e separatismo culturale.

Esiste un modello d’integrazione alternativo a quelli già falliti?
Certo, si tratta proprio del nuovo modello italiano. Il governo Berlusconi ha presentato un piano che si chiama “Identità e Incontro” e ha tre grandi meriti: l’essere lontano dalle esperienze fallimentari del multiculturalismo e dell’assimilazionismo, l’aver responsabilizzato l’immigrato e di occuparsi dello straniero che viene a vivere nel nostro paese mettendo al centro la persona e non solo la forza-lavoro.

Recentemente la maggioranza parlamentare è stata battuta alla Camera su alcune mozioni che mettevano in discussione il rapporto bilaterale Italia-Libia in materia di immigrazione. Come giudica questo rapporto di collaborazione tra i due paesi?
Lasciamo stare le polemiche e guardiamo ai fatti. Numeri alla mano, lo giudico positivamente. Prima dell’accordo con la Libia, l’Italia era il ventre molle dell’Europa. Dopo l’accordo, com’è stato riconosciuto ultimamente anche da Frontex, l’agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea, quindi una fonte comunitaria più che autorevole, la pressione migratoria sulle nostre coste è passata dal 12% del 2009 al 4%.
Nei primi 8 mesi del 2010, inoltre, si è registrata una drastica diminuzione degli ingressi illegali, scesi dai 7.863 del primo semestre 2009 a 2.233 dello stesso periodo del 2010, pari a un -72% del totale. In conformità a questi fatti, va detto forte e chiaro che chi è contro quel trattato forse rimpiange i tempi andati in cui l’Italia era il ventre molle d’Europa e la destinazione preferita per le direttrici dell’immigrazione clandestina e della tratta degli esseri umani. Io, personalmente, non li rimpiango. Altro discorso, sempre connesso con questo, è quello dei diritti umani. Nessuno li vuole calpestare ma è chiaro che l’Italia non si può fare carico da sola di tutti i richiedenti asilo africani. Il tema è già stato portato dai nostri rappresentanti istituzionali nelle sedi comunitarie perché su quest’argomento molto delicato tutti i paesi europei si devono muovere all’unisono e parlare la stessa lingua. Non ci sono altre scelte percorribili.

A Brescia ci sono alcuni immigrati che sono saliti per protesta su una gru e non vogliono scendere perché dichiarano di avere un lavoro, di vivere da alcuni anni in Italia e, per questi motivi, chiedono di avere il permesso di soggiorno. Le autorità hanno risposto che chi è stato colpito da provvedimenti di espulsione non può accedere ad alcuna sanatoria. Come se ne esce?
Il caso particolare di questa vicenda va prima inquadrato in un contesto generale per capire meglio cosa sta succedendo e cosa si potrebbe fare. Queste persone sulla gru, ma tantissime altre insieme a loro in altre zone d’Italia, fanno parte di quella moltitudine di immigrati che viene spesso sfruttata come forza-lavoro a basso costo da alcuni sciacalli del sistema produttivo nazionale. Si tratta di una barbarie che ha attraversato sotto varie forme la storia e che ritroviamo tale e quale anche in altri paesi occidentali. Lo schema è molto semplice. Ci sono da un lato questi stranieri che partono dalla loro terra natia in cerca di lavoro e dall’altro alcuni soggetti, operanti nel mercato del lavoro nazionale (i famosi ‘caporali’ e alcuni pseudo imprenditori), che hanno bisogno delle braccia di questa gente, svendute per necessità a quattro soldi, per abbassare i costi di produzione e restare competitivi sul mercato globale. Chi ci guadagna in tutto questo sono i ‘caporali’ e alcuni pseudo imprenditori mentre chi ci perde sono tutti gli altri (istituzioni, comuni cittadini, gli stessi immigrati).
In questo quadro, il compito delle istituzioni deve essere duplice: da una parte stanare e colpire duramente chi offre lavoro e affitti in nero e dall’altra far rispettare le regole sull’ingresso e la permanenza dello straniero in Italia. A mio avviso a Brescia le istituzioni devono far rispettare la legge, avendo il massimo rispetto possibile per le vicende umane ma senza cedere ad alcuna forma di pressione. Si cerchi di risolvere la situazione vagliando con cura le singole posizioni di queste persone, cosa che comunque andrebbe sempre fatta, avendo come punto di riferimento le disposizioni vigenti in materia. E’ vero che non c’è altra strada utile se non quella del dialogo, ma uno Stato che si rispetti dopo aver dialogato deve anche prendere una decisione e agire nel rispetto delle regole.

15 novembre 2010

tratto da IL PREDELLINO

giovedì 11 novembre 2010

Immigrazione. I dati Istat impongono un nuovo modello d'integrazione



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
giovedì 11 novembre 2010

Tra quarant'anni in Italia ci saranno 61,6 milioni di abitanti, dai 60 milioni attuali, e di questi circa dieci milioni saranno stranieri. E' uno dei dati che Enrico Giovannini, presidente dell'Istat, ha riferito a Bassano del Grappa (Vicenza) al convegno «Benevenuti al capodanno 2050: ecco l'anteprima». Per Giovannini la componente straniera dovrebbe aumentare dal 7% al 17% della popolazione, trasformando l'Italia in un Paese sempre più multietnico. Un dato disomogeneo, però, per quanto riguarda le aree geografiche, con un'incidenza di cittadini stranieri, pari a quasi un quarto dei residenti, nel Nord-Ovest e ad appena il 3% in Sicilia e in Sardegna. In un futuro non lontano, quindi, la componente straniera arriverà ad avere una percentuale di incidenza molto forte sulla popolazione residente in Italia, con punte, in alcune zone del Paese, mai viste prima d'ora. Questo significa che prima prenderemo coscienza dei pro e dei contro di questa situazione e meglio saremo in grado di affrontare tutti i temi connessi con questo dato di fatto.

La crescente presenza stanziale di stranieri in Italia ci obbliga a confrontarci con temi complessi come l'accoglienza e l'integrazione, e con questioni culturalmente interessanti come la ricerca di un saggio e razionale punto di equilibrio tra l'irresponsabile radicalismo dell'apertura senza limiti delle frontiere e la cupa utopia isolazionista delle frontiere sigillate.

Partiamo da un dato di fatto. I grandi modelli d'integrazione fin qui conosciuti (assimilazionismo e multiculturalismo) sono miseramente falliti e sono stati solo in grado di produrre odio, ghettizzazioni e separatismo culturale. La politica dell'assimilazionismo non solo è fallita perché fondata su un do ut des insostenibile nella realtà (la concessione della cittadinanza in cambio della negazione della propria identità culturale e religiosa), ma ha creato in Francia cittadini di serie A e di serie B e un risentimento diffuso da parte di questi ultimi, che spesso è sfociato nel separatismo culturale e nell'avversione contro la stessa nazione di cui, almeno sulla carta, sono cittadini a tutti gli effetti. Il multiculturalismo è fallito, invece, perché le politiche di riconoscimento delle minoranze non hanno portato all'integrazione ma, al contrario, all'esaltazione degli egoismi, al separatismo culturale e alla disgregazione sociale.

La via italiana, invece, si chiama «Identità e Incontro». E' il piano per l'integrazione del governo Berlusconi, che parte già con un presupposto positivo poiché propone un modello lontano dall'assimilazionismo e dal multiculturalismo. Il piano si fonda su cinque principi basilari (la scuola come primario luogo di intervento; programmazione dei flussi misurata con le effettive capacità di assorbimento della forza lavoro; attenzione alle politiche abitative e al governo del territorio; accesso ai servizi essenziali; priorità all'integrazione dei minori stranieri presenti sul territorio e loro tutela piena ed incondizionata) e su una sorta di scambio dove l'immigrato è responsabilizzato e si impegna ad intraprendere un percorso d'integrazione, e lo Stato ad agevolare questo cammino riconoscendo l'immigrato come persona e non più come semplice forza-lavoro.

Il piano non è ovviamente una bacchetta magica in grado di risolvere tutte le problematiche concernenti il fenomeno dell'immigrazione, ma sicuramente è un ottimo strumento che, in prospettiva, può aiutare il nostro sistema-Paese ad integrare più facilmente i 10 milioni di stranieri che vivranno in Italia nel 2050.

martedì 9 novembre 2010

I fatti contro le parole al vento



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

martedì 09 novembre 2010

L'ottimo rapporto dell'ufficio studi della Confcommercio, pubblicato oggi, può essere utile per riportare la discussione politica su temi concreti. Secondo Confcommercio non è più possibile posticipare ulteriormente la riforma fiscale, la piena attuazione del federalismo, la ridefinizione del perimetro dell'output pubblico e quindi della relativa spesa, la riforma dell'istruzione e dell'università in particolare, la revisione del sistema di ammortizzatori sociali. Tranne che su quest'ultimo punto, il governo si è già mosso su tali temi e sarebbe utile per tutti confrontarsi proprio su questi punti, invece che perdere tempo con le chiacchiere o il fango.

Federalismo e riforma fiscale. Come annunciato dal ministro Tremonti, una volta approvati i decreti attuativi del federalismo fiscale il governo chiederà la delega per la riforma fiscale. La riforma è stata annunciata e si farà, ma è ovvio che un provvedimento così importante, per certi versi rivoluzionario, necessità di numeri certi, di dialogo con le parti sociali e di passaggi istituzionali. Il ministro dell'Economia ha già fatto sapere che ci saranno tre fasi: la raccolta di dati e la loro analisi, una legge delega in parlamento, una serie organica di decreti allegati. Oggi si contano 242 balzelli tra agevolazioni, detrazioni e deduzioni, con un costo complessivo di 142 miliardi. Si punterà sull'erosione di questa cifra per arrivare all'abbassamento delle aliquote. La priorità della riforma è la famiglia e l'obiettivo è di concentrare gli aiuti lasciando la scelta agli stessi nuclei di come allocare le risorse. I sostegni oggi non mancano, ma sono dispersi tra Fisco e Inps.

Riduzione degli oneri amministrativi. Questo tema, è bene ricordarlo, rappresenta uno dei pilastri della politica di «Better Regulation» promossa nell'ambito della Strategia di Lisbona. Con l'art. 25 della Legge 6 agosto 2008, n. 133, il Governo ha messo a regime il processo di misurazione e di riduzione degli oneri. Il piano di semplificazione amministrativa 2010-2012 presentato dal ministro per la Pubblica Amministrazione, Renato Brunetta, al Consiglio dei ministri del 7 ottobre, ha come obiettivo di ridurre di almeno il 25%, entro il 2012, gli oneri gravanti sulle imprese, con un risparmio atteso di almeno 17 miliardi di euro l'anno. Il piano per tagliare i costi della burocrazia, liberando risorse per lo sviluppo e la competitività delle imprese, prevede il completamento delle attività di misurazione nelle materie di competenza statale, con una riduzione di oneri che nel 2011 comporterebbero un risparmio di 11,6 miliardi. A quest'attività si aggiunge l'estensione della misurazione degli oneri anche alle regioni e agli enti locali, per altri 5,3 miliardi di euro di risparmi attesi, cui va aggiunta la semplificazione mirata per le Pmi prevista dallo «Small business act».

Riforma dell'istruzione e dell'università in particolare. Il disegno di legge in materia è già stato licenziato dal Senato poco prima della pausa estiva, dopo una discussione durata più di 7 mesi, e ora è all'esame dell'altro ramo del parlamento. Dopo vent'anni di tentativi di riforme dell'università, il più delle volte effettuate in maniera discontinua e frammentaria, forse arriveremo ad averne una che abbia una visione d'insieme. Questa ipotesi di riforma ha il merito di avere come principi ispiratori principalmente il merito e la responsabilità e di affrontare temi strategici per lo sviluppo del sistema universitario quali il governo e la struttura degli atenei (titolo I), la valorizzazione del merito di studenti e docenti, la valutazione e la responsabilizzazione degli atenei, i meccanismi di finanziamento del sistema universitario (titolo II), lo stato giuridico di docenti e ricercatori, il reclutamento, i contratti di insegnamento e ricerca (titolo III).

Ammortizzatori sociali. Secondo Confcommercio il basso tasso di disoccupazione italiano è dovuto al fatto che l'alta protezione dei posti di lavoro compensa la bassa partecipazione al mercato del lavoro. Quindi, in questa situazione, qualora non fosse rifinanziata la Cig in deroga, si avrebbe un effetto negativo immediato sul tasso di disoccupazione. Proprio a tal riguardo il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, ha affermato con chiarezza che il governo prorogherà la cassa integrazione in deroga e gli altri strumenti di protezione per tutto il 2011 con un provvedimento che sarà adottato alla fine dell'anno. Detto questo, la vera sfida non potrà che essere quella di stimolare il tasso di attività attraverso l'implementazione dei canali di ingresso nel mercato del lavoro che, in un Paese civile, non possono essere più strettamente legati, come avviene oggi nella maggior parte dei casi, all'appartenenza famigliare o alla conoscenza giusta.

Questi sono alcuni dei temi sui quali è necessario confrontarsi. Troppo spesso il fango gettato nell'agone ha impantanato la dialettica politica su questioni che nulla hanno a che vedere con il futuro del nostro Paese. Chi ha qualcosa da dire su cose concrete come il federalismo, la riforma fiscale, la riduzione degli oneri amministrativi, la riforma dell'istruzione, gli ammortizzatori sociali, le dinamiche occupazionali, la famiglia e quant'altro, lo faccia. Chi ha voglia ancora di giocare alla lotta nel fango, invece, abbia almeno il buon gusto di non gettarlo addosso a tutto e a tutti. Qualora le persone che si contrappongono oggi all'azione del governo non avanzassero su questi temi alcuna proposta alternativa, fatta di analisi e cifre, ma si limitassero a criticare per distruggere tutto o, peggio ancora, a gettare fango per tentare di impantanare gli avversari politici, vorrà dire che non avranno niente da dire sul futuro dell'Italia. Le parole al vento servono anche per coprire questa evidente mancanza di idee concrete.

venerdì 5 novembre 2010

Da una parte il fango, dall’altra la politica del fare

di Antonio Maglietta – 5 novembre 2010

I media italiani, e non solo, sono pieni di gossip. Quello che in genere era relegato nelle ultime pagine, ora diventa tema di dibattito politico. Non è certo la prima volta che avviene nella storia recente o remota. Alcuni giornalisti spesso dicono che la colpa di tutto questo è dell’agone politico e non la loro perché il loro mestiere è anche quello di raccontare e spiegare. Se la politica si occupa di chi entra o esce dalle stanze da letto, loro non possono fare altro che annotare e riferire al grande pubblico. Ora, in parte, quest’analisi è vera. Da qualche tempo, una parte politica, quella che una volta si poteva definire la sinistra, oramai incapace di fare proposte concrete condivisibili da almeno un numero di persone pari a quelle che in genere partecipano a un’assemblea di condominio, ha deciso di portare la lotta politica sul piano delle questioni private. Non si parla quasi più di proposte sul lavoro, sull’immigrazione, sulla politica estera, sulla sicurezza. A una certa parte della sinistra, oramai, piace parlare solo di quello che avviene nella vita privata delle persone. Questa pruriginosa attenzione è rilanciata e amplificata da alcuni media che, è bene dirlo, cavalcano l’onda per questioni politiche e commerciali. Il gossip è usato come arma di lotta politica contro gli avversari ma anche come uno strumento per stimolare la morbosità delle persone e convincerle a recarsi in edicola o a guardare un programma televisivo. Non c’è alcuna novità a riguardo perché questa tecnica non è certo nuova e non è usata solo nel nostro paese. La differenza è che altrove si parla anche di contenuti politici. Qui da noi assolutamente no.
Quello che più fa ridere, però, perché dimostra la pochezza di questa gente, è l’accusa che alcuni commentatori muovono alle televisioni commerciali, ree a loro supremo giudizio di essere la causa di tutto questo fango. Il teorema sinistro è che se il dibattito politico si occupa di queste cose, e non dei bisogni della gente, è a causa delle emittenti televisive create dal Berlusconi-imprenditore che hanno imbarbarito questa società e calpestato la morale. Il Berlusconi-politico, sempre a loro supremo e incontestabile giudizio, non ha fatto altro che cogliere i frutti del lavoro svolto dal Berlusconi-imprenditore. Questi ridicoli discendenti di Catone il Censore si cullano nell’idea che la fonte del male sia tutta lì. Le televisioni commerciali sono portatrici di un verbo che ha corrotto la società italiana, sono il nuovo ellenismo da combattere e contro cui scagliarsi con forza. Un po’ lo stesso quadro dipinto dal grande Dino Risi nel 1962 nel celebre film ‘Il Sorpasso’, dove, secondo il regista, il materialismo del boom economico aveva sedotto e corrotto la società italiana. L’onestà e l’ingenuità con il tempo avevano ceduto il passo in maniera traumatica all’individualismo, all’arroganza, alla furbizia.
Insomma, alcuni commentatori e certi politici, non sapendo a che santo rivolgersi per liberarsi di Berlusconi, usano il fango per cercare di impantanarlo e, per restare con le mani pulite, affermano che chi ha portato la melma nell’agone politico è stato lo stesso Berlusconi e non certo loro. La ricerca e l’individuazione del capro espiatorio o dell’untore è diventata oggi, per certi versi, una forma di rassicurazione in Italia. Con la scusa dell’influenza negativa della televisione commerciale si coprono fallimenti personali, politici e culturali. E’ molto più semplice incolpare dell’insuccesso qualcun altro invece che se stessi, la propria carriera o la propria visione del mondo. E più questo insuccesso è grande e più è veemente la furia cieca con cui ci si scaglia contro il presunto colpevole di tutti i mali.
Dall’altra parte, la risposta a quest’ondata di fango non può che essere la politica del fare spesso evocata da Berlusconi. Ezra Pound diceva “credo nelle idee che diventano azioni”. La fiducia di tanta gente si conquista così. In quest’ottica è stato fatto un passo positivo da parte del governo quando giovedì si è deciso di voler anticipare i contenuti del decreto per lo sviluppo che, comunque, sarebbe stato varato il 16 novembre, inserendoli all’interno della legge di stabilità. In Parlamento, quindi, si discuterà di mezzi di intervento e finanziamento fondamentali sugli ammortizzatori sociali, proroga dei contratti di produttività, università, interventi per il fabbisogno residenziale nel 2011 e piano per il sud. Una certa sinistra, quindi, avrà ampio materiale su cui confrontarsi con la controparte politica e, se ne ha le capacità, anche di fare proposte alternative che siano credibili e condivisibili. Se, però, sceglieranno di continuare a concentrare i loro sforzi sul piano del gossip, sarà ancora più chiaro che queste persone non hanno niente da dire sul futuro di questo paese. Dall’altro canto, inoltre, i media avranno un bel po’ di atti concreti da analizzare e spiegare al grande pubblico. Qualora invece dovessero cimentarsi ancora in quello che già fanno benissimo alcune riviste specializzare nel settore del pettegolezzo, allora sarà chiaro che avranno scelto la strada dello stimolo della morbosità e della curiosità pruriginosa delle persone per continuare ad attaccare il governo su un piano extrapolitico e cercare di vendere di più.

martedì 26 ottobre 2010

Il dossier Caritas-Migrantes sull'immigrazione conferma la bontà dell'azione del governo



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
martedì 26 ottobre 2010

Piace, agli organismi della Cei Caritas e Migrantes, il piano per l'integrazione nella sicurezza denominato «Identità e Incontro», proposto dal governo Berlusconi come modello italiano d'integrazione, perché lontano dall'assimilazionismo e dal multiculturalismo. «Nel documento - sottolinea il dossier statistico sull'immigrazione - vengono individuati percorsi imperniati su diritti e doveri, responsabilità e opportunità, in una visione di relazione reciproca, facendo perno sulla persona e sulle iniziative sociali piuttosto che sullo Stato e individuando cinque assi di intervento: l'educazione e l'apprendimento, dalla lingua ai valori; il lavoro e la formazione professionale; l'alloggio e il governo del territorio; l'accesso ai servizi essenziali; l'attenzione ai minori e alle seconde generazioni». Il rapporto critica però il fatto che «al di là della ricorrente insistenza, tanto nel documento governativo come in ambito comunitario, sulle migrazioni a carattere rotatorio», gli aiuti allo sviluppo che potrebbero favorire i ritorni in patria e fermare l'esodo siano arrivati a collocarsi nel frattempo «a livello veramente minimo».

Secondo lo studio, nel 2009 sono state allontanate dall'Italia ben 18.361 persone: 4.298 respingimenti e 14.063 rimpatri forzati. Mentre le persone rintracciate in posizione irregolare, ma non ottemperanti all'intimazione di lasciare il territorio italiano, sono state 34.462. Nel rapporto si sottolinea, inoltre, che risulterà inefficace il controllo delle frontiere se non si incentiveranno i percorsi regolari dell'immigrazione e che non è in discussione la necessità di regole, bensì la loro funzionalità.

Insomma, il dossier Caritas-Migrantes promuove a grandi linee il progetto del governo in materia di immigrazione e, cosa più importante, non si scaglia ferocemente contro respingimenti e rimpatri. Non usa, come hanno fatto alcuni, parole davvero improprie, ma cerca di porre l'accento in modo razionale e costruttivo sulle criticità presenti nella gestione degli ingressi regolari e non. Lo stesso Benedetto XVI, nel suo messaggio sul tema «Una sola famiglia umana» per la 97esima Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato, che sarà celebrata domenica 16 gennaio 2011, ha affermato che «accogliere i rifugiati e dare loro ospitalità è per tutti un doveroso gesto di umana solidarietà, affinché essi non si sentano isolati a causa dell'intolleranza e del disinteresse». Ha aggiunto, però, che gli immigrati «hanno il dovere di integrarsi nel Paese di accoglienza, rispettandone le leggi e l'identità nazionale».
La doverosa accoglienza e la necessaria solidarietà si possono conciliare benissimo con la salvaguardia effettiva delle frontiere e con il contrasto, anche duro, all'immigrazione clandestina. E' giusto confrontarsi sulla gestione dei rifugiati, ma questa è una questione che l'Italia non può risolvere da sola: è un problema di cui si devono far carico obbligatoriamente tutti e 27 gli Stati Ue. Il nostro Paese, insomma, deve fare la sua parte, ma non può fare tutto in solitudine, perché la massa di persone con cui ci si dovrebbe confrontare, giacché l'Italia è una delle porte d'ingresso per l'Europa, rischierebbe di far saltare il principio dell'accoglienza sostenibile, che è la base per iniziare un virtuoso cammino per l'integrazione, e di conseguenza - cosa ancora più rischiosa - la pace sociale sul territorio.

Per quanto riguarda inoltre l'integrazione, la via italiana sembra aver trovato, almeno dal punto di vista delle linee generali, il giusto equilibrio tra quello che possono fare le istituzioni (servizi, canali per l'accesso al mondo del lavoro, formazione professionale, priorità all'integrazione dei minori stranieri presenti sul territorio e loro tutela piena e incondizionata) e quello che deve fare l'immigrato. Il processo d'integrazione è anche, e soprattutto, un percorso personale, spesso difficile e complicato, in cui è decisiva la volontà, da parte dello straniero, di aderire ai valori che definiscono l'ordine normativo del Paese in cui ha scelto di vivere. Non c'è altra via diversa da quella della piena responsabilizzazione dell'immigrato e lo abbiamo visto con il fallimento di modelli, come quello assimilazionista o multiculturalista, che partivano da presupposti totalmente sbagliati e che non hanno fatto altro che condurre in un vicolo cieco. In Francia immigrati di seconda generazione e giovani cittadini figli degli assimilati di origine maghrebina sposano il separatismo culturale contro l'appartenenza francese e arrivano polemicamente a fischiare la Marsigliese durante le partite di calcio della nazionale transalpina contro Marocco, Tunisia e Algeria. In Gran Bretagna, invece, le politiche di riconoscimento proprie del modello multiculturalista hanno creato ghettizzazioni, separatismo culturale e tensioni nella società. Mentre in Germania il fallimento è stato ammesso pubblicamente nei giorni scorsi dal cancelliere Angela Merkel.

Ben venga, quindi, un modello sperimentale italiano lontano anni luce da queste esperienze osannate negli anni scorsi e anche in tempi recenti. Qualche commentatore nostrano poco accorto, sulla scia dei successi della nazionale di calcio francese tra il 1998 e il 2002 e della buona prova offerta da quella tedesca nell'ultimo mondiale, entrambe piene di «nuovi cittadini», aveva esaltato il modello d'integrazione francese e tedesco dimenticando colpevolmente che il mondo dorato del calcio è cosa ben diversa dalla vita di tutti i giorni.
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