giovedì 11 novembre 2010

Immigrazione. I dati Istat impongono un nuovo modello d'integrazione



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
giovedì 11 novembre 2010

Tra quarant'anni in Italia ci saranno 61,6 milioni di abitanti, dai 60 milioni attuali, e di questi circa dieci milioni saranno stranieri. E' uno dei dati che Enrico Giovannini, presidente dell'Istat, ha riferito a Bassano del Grappa (Vicenza) al convegno «Benevenuti al capodanno 2050: ecco l'anteprima». Per Giovannini la componente straniera dovrebbe aumentare dal 7% al 17% della popolazione, trasformando l'Italia in un Paese sempre più multietnico. Un dato disomogeneo, però, per quanto riguarda le aree geografiche, con un'incidenza di cittadini stranieri, pari a quasi un quarto dei residenti, nel Nord-Ovest e ad appena il 3% in Sicilia e in Sardegna. In un futuro non lontano, quindi, la componente straniera arriverà ad avere una percentuale di incidenza molto forte sulla popolazione residente in Italia, con punte, in alcune zone del Paese, mai viste prima d'ora. Questo significa che prima prenderemo coscienza dei pro e dei contro di questa situazione e meglio saremo in grado di affrontare tutti i temi connessi con questo dato di fatto.

La crescente presenza stanziale di stranieri in Italia ci obbliga a confrontarci con temi complessi come l'accoglienza e l'integrazione, e con questioni culturalmente interessanti come la ricerca di un saggio e razionale punto di equilibrio tra l'irresponsabile radicalismo dell'apertura senza limiti delle frontiere e la cupa utopia isolazionista delle frontiere sigillate.

Partiamo da un dato di fatto. I grandi modelli d'integrazione fin qui conosciuti (assimilazionismo e multiculturalismo) sono miseramente falliti e sono stati solo in grado di produrre odio, ghettizzazioni e separatismo culturale. La politica dell'assimilazionismo non solo è fallita perché fondata su un do ut des insostenibile nella realtà (la concessione della cittadinanza in cambio della negazione della propria identità culturale e religiosa), ma ha creato in Francia cittadini di serie A e di serie B e un risentimento diffuso da parte di questi ultimi, che spesso è sfociato nel separatismo culturale e nell'avversione contro la stessa nazione di cui, almeno sulla carta, sono cittadini a tutti gli effetti. Il multiculturalismo è fallito, invece, perché le politiche di riconoscimento delle minoranze non hanno portato all'integrazione ma, al contrario, all'esaltazione degli egoismi, al separatismo culturale e alla disgregazione sociale.

La via italiana, invece, si chiama «Identità e Incontro». E' il piano per l'integrazione del governo Berlusconi, che parte già con un presupposto positivo poiché propone un modello lontano dall'assimilazionismo e dal multiculturalismo. Il piano si fonda su cinque principi basilari (la scuola come primario luogo di intervento; programmazione dei flussi misurata con le effettive capacità di assorbimento della forza lavoro; attenzione alle politiche abitative e al governo del territorio; accesso ai servizi essenziali; priorità all'integrazione dei minori stranieri presenti sul territorio e loro tutela piena ed incondizionata) e su una sorta di scambio dove l'immigrato è responsabilizzato e si impegna ad intraprendere un percorso d'integrazione, e lo Stato ad agevolare questo cammino riconoscendo l'immigrato come persona e non più come semplice forza-lavoro.

Il piano non è ovviamente una bacchetta magica in grado di risolvere tutte le problematiche concernenti il fenomeno dell'immigrazione, ma sicuramente è un ottimo strumento che, in prospettiva, può aiutare il nostro sistema-Paese ad integrare più facilmente i 10 milioni di stranieri che vivranno in Italia nel 2050.

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