lunedì 15 novembre 2010

“Berlusconi ha un modello per l’immigrazione”



Il Predellino intervista Antonio Maglietta, studioso delle tematiche relative al mondo del lavoro. Cresciuto alla “scuola” di don Gianni Baget Bozzo, Maglietta riflette con noi di come il governo Berlusconi sta affrontando il fenomeno dell’immigrazione.

di Andrea Camaiora

Secondo gli ultimi dati dell’Istat, tra 40 anni avremo 10 milioni di stranieri in Italia con una incidenza sulla popolazione residente pari al 17%. Che impatto potrebbero avere questi numeri sul sistema paese?
Partiamo dal presupposto che questo è un processo inevitabile e che prima prendiamo coscienza di questo dato di fatto e meglio saremo in grado di affrontare tutti i temi connessi con questo evento. Oggi nessuno è in grado di dire se questi numeri porteranno in termini generali benefici o meno. Dipende da quale modello d’integrazione saremo in grado di offrire come sistema Paese e, soprattutto, dalla personale voglia di ogni singolo immigrato di voler aderire ai valori che definiscono il nostro ordine normativo. Una cosa è certa. Questi numeri ci dicono che dobbiamo trovare alla svelta un modello alternativo all’assimilazionismo e al multiculturalismo.

Perché l’assimilazionismo e il multiculturalismo sono falliti?
In Francia l’assimilazionismo è fallito perché si fondava su un patto in cui lo Stato francese s’impegnava a concedere la «cittadinanza repubblicana», con i suoi diritti di libertà, in cambio del divieto di far valere le appartenenze religiose. Il patto è fallito perché i nuovi cittadini, comprese le nuove generazioni nate in Francia, non si sono mai sentite parte integrante della società francese e rivendicano la mancanza di pari opportunità.
Il multiculturalismo, da parte sua, attraverso le generose politiche di riconoscimento delle minoranze, invece che integrare, ha portato all’esaltazione massima dei peggiori egoismi culturali e religiosi e, di conseguenza, alla disgregazione sociale.
Paradossalmente due modelli contrapposti, non solo sono falliti, ma hanno anche prodotto le medesime cose: odio, ghettizzazione e separatismo culturale.

Esiste un modello d’integrazione alternativo a quelli già falliti?
Certo, si tratta proprio del nuovo modello italiano. Il governo Berlusconi ha presentato un piano che si chiama “Identità e Incontro” e ha tre grandi meriti: l’essere lontano dalle esperienze fallimentari del multiculturalismo e dell’assimilazionismo, l’aver responsabilizzato l’immigrato e di occuparsi dello straniero che viene a vivere nel nostro paese mettendo al centro la persona e non solo la forza-lavoro.

Recentemente la maggioranza parlamentare è stata battuta alla Camera su alcune mozioni che mettevano in discussione il rapporto bilaterale Italia-Libia in materia di immigrazione. Come giudica questo rapporto di collaborazione tra i due paesi?
Lasciamo stare le polemiche e guardiamo ai fatti. Numeri alla mano, lo giudico positivamente. Prima dell’accordo con la Libia, l’Italia era il ventre molle dell’Europa. Dopo l’accordo, com’è stato riconosciuto ultimamente anche da Frontex, l’agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea, quindi una fonte comunitaria più che autorevole, la pressione migratoria sulle nostre coste è passata dal 12% del 2009 al 4%.
Nei primi 8 mesi del 2010, inoltre, si è registrata una drastica diminuzione degli ingressi illegali, scesi dai 7.863 del primo semestre 2009 a 2.233 dello stesso periodo del 2010, pari a un -72% del totale. In conformità a questi fatti, va detto forte e chiaro che chi è contro quel trattato forse rimpiange i tempi andati in cui l’Italia era il ventre molle d’Europa e la destinazione preferita per le direttrici dell’immigrazione clandestina e della tratta degli esseri umani. Io, personalmente, non li rimpiango. Altro discorso, sempre connesso con questo, è quello dei diritti umani. Nessuno li vuole calpestare ma è chiaro che l’Italia non si può fare carico da sola di tutti i richiedenti asilo africani. Il tema è già stato portato dai nostri rappresentanti istituzionali nelle sedi comunitarie perché su quest’argomento molto delicato tutti i paesi europei si devono muovere all’unisono e parlare la stessa lingua. Non ci sono altre scelte percorribili.

A Brescia ci sono alcuni immigrati che sono saliti per protesta su una gru e non vogliono scendere perché dichiarano di avere un lavoro, di vivere da alcuni anni in Italia e, per questi motivi, chiedono di avere il permesso di soggiorno. Le autorità hanno risposto che chi è stato colpito da provvedimenti di espulsione non può accedere ad alcuna sanatoria. Come se ne esce?
Il caso particolare di questa vicenda va prima inquadrato in un contesto generale per capire meglio cosa sta succedendo e cosa si potrebbe fare. Queste persone sulla gru, ma tantissime altre insieme a loro in altre zone d’Italia, fanno parte di quella moltitudine di immigrati che viene spesso sfruttata come forza-lavoro a basso costo da alcuni sciacalli del sistema produttivo nazionale. Si tratta di una barbarie che ha attraversato sotto varie forme la storia e che ritroviamo tale e quale anche in altri paesi occidentali. Lo schema è molto semplice. Ci sono da un lato questi stranieri che partono dalla loro terra natia in cerca di lavoro e dall’altro alcuni soggetti, operanti nel mercato del lavoro nazionale (i famosi ‘caporali’ e alcuni pseudo imprenditori), che hanno bisogno delle braccia di questa gente, svendute per necessità a quattro soldi, per abbassare i costi di produzione e restare competitivi sul mercato globale. Chi ci guadagna in tutto questo sono i ‘caporali’ e alcuni pseudo imprenditori mentre chi ci perde sono tutti gli altri (istituzioni, comuni cittadini, gli stessi immigrati).
In questo quadro, il compito delle istituzioni deve essere duplice: da una parte stanare e colpire duramente chi offre lavoro e affitti in nero e dall’altra far rispettare le regole sull’ingresso e la permanenza dello straniero in Italia. A mio avviso a Brescia le istituzioni devono far rispettare la legge, avendo il massimo rispetto possibile per le vicende umane ma senza cedere ad alcuna forma di pressione. Si cerchi di risolvere la situazione vagliando con cura le singole posizioni di queste persone, cosa che comunque andrebbe sempre fatta, avendo come punto di riferimento le disposizioni vigenti in materia. E’ vero che non c’è altra strada utile se non quella del dialogo, ma uno Stato che si rispetti dopo aver dialogato deve anche prendere una decisione e agire nel rispetto delle regole.

15 novembre 2010

tratto da IL PREDELLINO

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