martedì 16 novembre 2010

Immigrazione e mercato del lavoro in Italia



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

martedì 16 novembre 2010

Secondo uno studio dell'Irpps-Cnr, molti italiani considerano positivo il ruolo svolto dagli immigrati, soprattutto se qualificati, ma c'è anche una fetta consistente di nostri connazionali che considera l'immigrazione nel nostro Paese eccessiva. La curatrice dell'indagine, Maria Carolina Brandi, ha affermato che «il 30% degli intervistati considera positivo il ruolo svolto dagli immigrati per alcuni settori della nostra economia, e il 26% circa lo ritiene tale anche per la nostra cultura, mentre il 23,7% dichiara che genera insicurezza e il 15,4 teme che aumenti la disoccupazione. Solo il 9,8% ritiene che l'immigrazione costituisca un "grave problema", mentre molti la ritengono eccessiva, specialmente le persone meno istruite (il 47%)». In questo quadro, l'atteggiamento degli italiani verso gli immigrati ad alta qualificazione è molto più favorevole rispetto a quello sull'immigrazione in generale. Secondo Brandi, lo studio conferma come il mercato del lavoro qualificato italiano sia molto meno ampio di quello della maggioranza dei Paesi Ocse, tanto che anche gli stessi laureati italiani scelgono la migrazione, mentre sono disponibili posti non qualificati per i quali la manodopera nazionale è insufficiente. Tuttavia, una volta che l'immigrato laureato occupa per necessità questa fascia del mercato del lavoro, non viene più riconosciuto come appartenente all'emigrazione di élite a cui, pure, larga parte degli italiani concede fiducia, finché non riesce a collocarsi in una posizione che lo renda riconoscibile come «intellettuale» e quindi accettato.

E' proprio quello indicato da Maria Carolina Brandi uno dei punti nevralgici nella discussione sull'immigrazione in Italia. Partiamo dai numeri. Secondo uno studio condotto dall'Istat («L'integrazione nel lavoro degli stranieri e dei naturalizzati italiani», 2009), il 38,7% degli stranieri in Italia lavora nel settore dell'industria (22,1% nell'industria in senso stretto e 16,6% nelle costruzioni), il 59% nei servizi (8,2% nel commercio, 8,8% nei servizi alle famiglie e 22,1% in alberghi e ristoranti) e il 2,3% nell'agricoltura. E ancora: solo l'8,1% degli stranieri presenti in Italia svolge una professione qualificata. Sempre secondo uno studio dell'Istat («Gli stranieri nel mercato del lavoro. I dati della rilevazione sulle forze di lavoro in un'ottica individuale e familiare», 2009) la diffusa disponibilità dell'offerta di lavoro straniera sopperisce alla continua e insoddisfatta domanda di lavoro non qualificato. Nonostante i livelli d'istruzione piuttosto elevati, la dequalificazione professionale riguarda la gran parte del lavoro degli stranieri presenti nell'industria a bassa tecnologia e innovazione e nel variegato mondo dei servizi.

I numeri a disposizione certificano con certezza che la maggior parte degli stranieri che hanno deciso di venire a vivere nel nostro Paese per motivi economici occupa, in genere, posti di lavoro non qualificati. L'offerta di questi lavori nel mercato italiano non è soddisfatta dalla manodopera nazionale e la leva dell'immigrazione è usata per coprire questo fabbisogno. Tuttavia, così com'è oggi, questa situazione favorisce soltanto alcuni «caporali» e chi assume, spesso in nero, queste persone, mentre chi ci perde sono tutti gli altri e cioè in primis gli stessi immigrati e i comuni cittadini, e poi anche le istituzioni, che devono fronteggiare una realtà incandescente dal punto di vista sociale.

La ricetta per curare questo male che affligge il mercato del lavoro nazionale potrebbe essere da un lato la modernizzazione del lavoro in Italia, attraverso la ricerca tecnologica, la formazione continua (che non può più essere quella che arricchisce solo i formatori), la flessibilità, gli incrementi salariali (solo a chi lavora di più e meglio) e la contrattazione decentrata e, dall'altro, la qualificazione dei lavoratori stranieri sul territorio di provenienza. Tutto questo, fermo restando che le istituzioni devono continuare a colpire sempre più duramente chi offre lavoro e affitti in nero. La strada da percorrere, comunque già intrapresa da questo governo attraverso l'opera meritoria del ministro Sacconi, non può che essere questa.

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