lunedì 29 giugno 2009

Accoglienza sostenibile e cooperazione allo sviluppo


di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

venerdì 26 giugno 2009

Nella Basilica romana di Santa Maria in Trastevere il nuovo ministro dell'Immigrazione della Santa Sede, monsignor Antonio Maria Vegliò, ha ribadito che «l'accoglienza è doverosa» verso chi cerca una vita migliore. In una delle sue prime apparizioni pubbliche dopo la nomina, il monsignore ha guidato una veglia di preghiera in ricordo di quanti sono morti nei loro viaggi della speranza verso l'Italia: 2312 dal 2005 ad oggi, per lo più nel Canale di Sicilia. «Mentre ricordiamo con amore e dolore coloro che sono morti mentre speravano di approdare ad una terra accogliente - ha detto - stasera vogliamo pregare particolarmente per chi in questo momento si trova in viaggio, sperando di poter cominciare una vita nuova altrove. Perché possa arrivare per lui la bonaccia su una sponda nuova».

L'accoglienza verso chi scappa dalla guerra o dalla fame, o spesso da entrambe le cose, è un atto doveroso per ogni paese civile. Ma l'accoglienza sostenibile, il soccorso, il ristoro sono cosa diversa dall'apertura indiscriminata delle frontiere. L'immigrazione indotta dalla guerra e dalla fame o, più semplicemente, dalla speranza di una vita migliore, costringe una persona ad abbandonare forzatamente i propri affetti e la terra natia. Non si tratta, quindi, di una scelta, ma per certi versi di una dolorosa imposizione dettata dalle circostanze. Per questo motivo l'impegno dei paesi ricchi dev'essere quello di combattere le cause dell'immigrazione «forzata», aiutando i paesi poveri attraverso la cooperazione allo sviluppo. La soluzione non è accogliere indiscriminatamente, in maniera irresponsabile, queste persone. Occorre che la speranza di poter cominciare una vita nuova, per usare le parole di monsignor Vegliò, sia data nella terra natia e non in improbabili e quanto mai fantomatici luoghi dell'Eldorado. Il realismo e la visione sul lungo periodo devono illuminare le scelte dei paesi ospitanti, che non possono assolutamente permettersi, per il bene dei propri cittadini e per quello degli stessi stranieri in cerca di fortuna, di perseguire modelli di accoglienza ed integrazione che alla prova dei fatti sono tutti miseramente falliti. I disastri di queste politiche sono visibili agli occhi dell'opinione pubblica nelle periferie «ghetto» di alcune metropoli europee, come ad esempio quelle di Londra e Parigi, in alcuni fatti di cronaca nera, come gli omicidi in Olanda di Pin Fortuyn e Theo van Gogh, e negli attentati terroristici di Londra e Madrid. Questi fatti rappresentano meglio di tante parole quali sono alcuni dei prevedibili risultati delle politiche dell'accoglienza illimitata.

Dunque è bene che l'Italia, insieme alle istituzioni comunitarie e agli altri paesi del Vecchio Continente, s'impegni per rendere operativo quel progetto sull'immigrazione che prevede un piano per i rimpatri e la lotta ai problemi a monte del fenomeno migratorio, quali la povertà, le guerre e la disoccupazione, attraverso la cooperazione tra Ue e paesi africani. Piano che è già stato declinato in sede comunitaria, sin dal dicembre 2005, con il documento sull'Approccio globale in materia di migrazione, e, in seguito, ribadito con il Patto europeo sull'immigrazione e sui diritti d'asilo dell'ottobre 2008 e, da ultimo, dalle conclusioni della presidenza al termine dei lavori del Consiglio d'Europa del 18 e 19 giugno 2009. L'Italia, attraverso l'accordo con la Libia in tema di rimpatri degli immigrati clandestini, e i progetti in materia di cooperazione allo sviluppo, ha già reso operativi gli intendimenti comunitari. Ora spetta all'Europa e agli altri paesi del Vecchio Continente fare la propria parte.

Nell'ambito dei lavori del forum «Italy & Africa Partners in Business», svoltosi venerdì 26 giugno a Roma, che ha visto la partecipazione di 300 imprese del made in Italy e 20 ministri dell'Africa sub sahariana, proprio in merito ai progetti di cooperazione con i paesi africani il sottosegretario allo Sviluppo Economico, Adolfo Urso, ha fatto sapere che l'azione italiana si muoverà in tre direzioni: questa zona «può essere per le imprese italiane quello che è stato negli ultimi 10 anni l'area dei Balcani», con «l'obiettivo di raddoppiare nei prossimi 3 anni l'interscambio commerciale, ora pari a 37 miliardi di euro, e la quota di investimenti italiani in Africa, ora al 4%». Infine la trasformazione del rapporto, passando dal ruolo di fornitori di aiuti umanitari a quello di partner industriali, soprattutto sul fronte delle piccole e medie imprese attive nel settore agricolo, manifatturiero e turistico. Nel corso dello stesso appuntamento, Antonio Tajani, vicepresidente della Commissione Europea e responsabile per la politica dei Trasporti, ha ricordato come i proprio i trasporti svolgano un «ruolo decisivo nella creazione di sviluppo e ricchezza» nei paesi di origine dei flussi migratori. «L'incremento della povertà - ha detto a proposito della crisi economica mondiale e degli effetti che comincia ad avere anche nei paesi in via di sviluppo - rischia di incrementare a dismisura i flussi migratori verso l'Europa. E' per questo motivo che ora, come non mai, è necessario investire in infrastrutture nel continente africano. Gli anni '90 - ha detto ancora il Tajani - hanno conosciuto una brusca riduzione della spesa in infrastrutture in Africa e molte imprese europee hanno progressivamente abbandonato il continente. E' giunto il momento - ha concluso - di invertire questa tendenza per aiutare il nostro partner più vicino a svilupparsi nella giusta direzione».

giovedì 25 giugno 2009

Immigrazione: l’Europa promuove l’Italia e promette aiuto


di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

martedì 23 giugno 2009

Nel corso del Consiglio Europeo di Bruxelles del 18 e 19 giugno 2009, grazie alle continue e costanti pressioni del governo italiano, le istituzioni comunitarie si sono fatte finalmente carico del problema concernente l'immigrazione irregolare dal punto di vista della condivisione comunitaria del tema. Da qualche tempo l'Italia ha chiesto un maggiore impegno da parte dell'Europa e finalmente sembra che qualcosa si muova. Nell'ambito delle conclusioni della Presidenza è stato evidenziato che i recenti avvenimenti verificatisi a Cipro, in Grecia, in Italia e a Malta sottolineano l'urgenza di potenziare gli sforzi per prevenire e contrastare efficacemente l'immigrazione irregolare alle frontiere marittime meridionali dell'Ue, evitando così future tragedie umane. È essenziale una risposta europea determinata, ispirata ai principi di fermezza, solidarietà e responsabilità condivisa, in linea con il patto europeo sull'immigrazione e l'asilo e con l'approccio globale in materia di migrazione, di cui occorre accelerare l'attuazione, specie per quanto riguarda la cooperazione con i paesi di origine e di transito. Tutte le attività nella regione del Mediterraneo occidentale e alle frontiere orientali e sudorientali devono continuare.

Finalmente, quindi, le istituzioni comunitarie hanno preso coscienza non solo delle oggettive difficoltà da qualche tempo denunciate dai paesi interessati della frontiera sud dell'Europa nell'opera di contrasto al fenomeno dell'immigrazione clandestina, ma anche del fatto che questo tema non può non essere preso in carico dall'Europa intera e che, quindi, da questione nazionale diventi questione comunitaria. La solidarietà comunitaria muove dal presupposto che la forte pressione dei flussi migratori cui sono sottoposti i paesi del Vecchio Continente bagnati dal Mediterraneo è un problema comune dell'Europa e non certo limitato ai singoli stati interessati, spesso solo paesi di transito e non mete finali del viaggio della speranza.

Il documento licenziato la settimana scorsa al termine dei lavori del Consiglio Europeo individua alcuni passi fondamentali da compiere nel breve periodo. Si legge nel testo che il Consiglio europeo sollecita il coordinamento delle misure volontarie per la ridistribuzione interna dei beneficiari di protezione internazionale presenti negli Stati membri esposti a pressioni specifiche e sproporzionate e delle persone altamente vulnerabili. Si compiace dell'intenzione della Commissione di adottare iniziative a tal riguardo, cominciando con un progetto pilota per Malta. Esorta il Consiglio e il Parlamento europeo a raggiungere un accordo che permetta di istituire rapidamente l'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo. Il Consiglio europeo sottolinea inoltre la necessità di potenziare le operazioni di controllo alle frontiere coordinate da Frontex, di definire chiare regole d'ingaggio per il pattugliamento congiunto e lo sbarco delle persone soccorse in mare e di fare maggior ricorso a voli di rimpatrio congiunti. In questo contesto, sollecita un forte intervento per lottare efficacemente contro la criminalità organizzata e le reti criminali dedite alla tratta di esseri umani.

Si legge ancora, inoltre, che: il Consiglio europeo sottolinea la necessità di un rafforzamento significativo della cooperazione con i principali paesi di origine e di transito. Invita la Commissione ad esplorare la cooperazione concreta con i paesi terzi in linea con i precedenti mandati adottati dal Consiglio. L'efficacia degli accordi di riammissione dell'Ue deve essere aumentata come parte delle politiche esterne globali dell'Ue. La conclusione dei negoziati sugli accordi di riammissione della CE con i paesi chiave di origine e di transito quali la Libia e la Turchia è una priorità: fino ad allora gli accordi bilaterali già esistenti dovrebbero essere attuati in maniera adeguata. Si tratta, con tutta evidenza, di un vero e proprio riconoscimento di merito nei confronti della coraggiosa azione politica fin qui tenuta dall'Italia in materia. Il nostro paese, infatti, si è mosso sia per cercare di arginare il problema nel breve periodo, attraverso uno specifico accordo con la Libia in materia di respingimenti dei clandestini, che per impostare un percorso virtuoso nel lungo periodo con l'obiettivo di diminuire i flussi di immigrati in partenza per i nostri territori, attraverso il riconoscimento dello strumento della cooperazione allo sviluppo come un mezzo fondamentale per la gestione dei flussi migratori (La cooperazione italiana allo sviluppo, Componente essenziale della politica estera, Ministero degli Affari Esteri: Più di recente le nuove emergenze hanno conferito alla cooperazione un ruolo sempre più fondamentale nella politica estera italiana, in armonia con gli interventi per il mantenimento della pace e la gestione dei flussi migratori - fonte).

Non c'è alcun dubbio sul fatto che le conclusioni della Presidenza, al termine dei lavori del Consiglio d'Europa, rappresentano una grande vittoria per l'Italia. Sono state accolte tutte le richieste fatte dal nostro paese e le linee-guida delle conclusioni proiettano l'Italia in un ruolo da protagonista, nel futuro, per tutte le azioni di contrasto all'immigrazione clandestina nel Mediterraneo e nei progetti di cooperazione con i paesi di transito e origine dei flussi migratori diretti verso il sud del Vecchio Continente.

venerdì 12 giugno 2009

«REPUBBLICA» DETTA LA LINEA AL PD



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

giovedì 11 giugno 2009

Chiusa la prima fase di questa tornata elettorale, e in attesa dei ballottaggi, i freddi numeri dicono che il Popolo della Libertà avrà 29 europarlamentari (ne aveva totalizzati 25 nelle ultime elezioni europee del 2004 se contiamo la somma tra gli eletti di Forza Italia e quelli di An). Nei 30 capoluoghi di provincia che sono andati al voto, di cui solo 4 già amministrati dal centrodestra, in 9 amministrazioni si è affermato il centrodestra e solo in 5 il centrosinistra già al primo turno. Il resto si deciderà al ballottaggio.

Sono 15 le province che passano al primo turno dal centrosinistra al centrodestra. Quelle in ballo erano 62: di 50 che ne amministrava al centrosinistra ne restano solo 14, mentre il centrodestra sale a quota 26. Altre 22 vanno al ballottaggio.

I numeri sono impietosi e fotografano una realtà chiara: il centrodestra ha vinto ed il centrosinistra ha perso. Ma a molti questo dato non è andato giù ed ecco che allora Ezio Mauro, il super-direttore di Repubblica, ha parlato in un editoriale di «crepa» nel rapporto tra i cittadini italiani e Berlusconi, in virtù del -2,1% (2,8 milioni di elettori in meno) registrato dal Popolo della Libertà alle ultime elezioni europee rispetto alle politiche del 2008. Si tratta con tutta evidenza di un'analisi faziosa che volutamente non muove da alcuni presupposti oggettivi, come ad esempio il forte astensionismo in Sicilia (50,83%), storica roccaforte del centrodestra. Tanto per fare qualche esempio, in due regioni storicamente «rosse» come Toscana ed Emilia Romagna, la percentuale di astensione è stata rispettivamente del 27,03% e del 23,2%. Se dopo 15 anni di continui attacchi sotto la cintura a Berlusconi da parte dei «soliti noti», si parla solo di «crepa», allora a sinistra si dovranno mettere l'anima in pace perché il rapporto tra l'attuale leader del governo e gli elettori italiani è ancora saldo e continuerà ad esserlo ancora per molto.

Nello stesso editoriale, il direttore di Repubblica traccia anche la via maestra per il malandato Pd: «Un partito di questo tipo può mettere in movimento l'intera area di opposizione. Aiutare la sinistra radicale a dare un valore ai voti ancora una volta dispersi, radunandoli dentro un contenitore politico con una leadership capace di parlare ad una fetta di sinistra; ingaggiare con Di Pietro, dopo la sua clamorosa ascesa, una sfida di responsabilità di fronte ai problemi del Paese, perché l'antiberlusconismo è anche questo; chiedere a Casini, dopo il buon risultato della sua corsa autonoma, di scegliersi un destino politico e culturale riconoscibile e riconosciuto».

In pratica Ezio Mauro propone una sorta di nuova Unione cementata dall'antiberlusconismo: tutti insieme appassionatamente, dai comunisti a Di Pietro, dai radicali a Casini. La storia recente ha dimostrato nei fatti che i cartelli elettorali antiberlusconiani hanno vita breve e fanno anche tanti danni. Le esperienze fallimentari targate centrosinistra del 1996-2001, dove si alternarono ben quattro governi (Prodi, D'Alema, D'Alema II, Amato II), e del governo Prodi-bis (dal 17 maggio 2006 al 6 maggio 2008), durato meno di 2 anni tra risse continue tra i vari partitini dell'Unione, dovrebbero insegnare qualcosa a riguardo.

Il direttore di Repubblica, inoltre, chiede ai vertici del Pd di togliere il disturbo e di fare spazio a giovani come Debora Serracchiani, celebrata in queste ore a sinistra perché ha preso più voti di Berlusconi (e pure di Bossi ha sottolineato lei stessa nell'ultima puntata di Ballarò su Rai3) in Friuli e non, è bene precisarlo, nell'intera circoscrizione Nord-Est. Nel dato globale della circoscrizione in questione, infatti, Berlusconi ha totalizzato 390.450 preferenze mentre la Serracchiani meno della metà (144.342). A questo punto, per par condicio all'interno del Pd, andrebbero tributati gli stessi onori riservati alla Serracchiani anche nei confronti di Mario Pirillo, assessore all'Agricoltura, Foreste, Forestazione, Caccia e Pesca nella giunta di centrosinistra di Loiero in Calabria, che, con ben 86.224 preferenze contro le 80.206 di Berlusconi, ha raggiunto nella sua regione lo stesso obiettivo della vice-capogruppo del Pd al consiglio provinciale di Udine.

Ma tornando alla Serracchiani, è giusto capire quali sono le presunte idee innovative di cui sarebbe portatrice. Si legge nel suo sito in «Idee per la sicurezza»: «Quando la destra afferma che l'Italia non può essere multietnica, non solo nega una realtà, ma soprattutto lancia un messaggio xenofobo e razzista. Si parla molto dei respingimenti di chi si trova sui barconi o sui gommoni, ma anche tante altre misure, dall'allungamento del tempo di permanenza nei Cie alla tassa per gli immigrati, sono respingimenti». Innanzitutto la Serracchiani forse non sa che tutti i modelli di integrazione sono falliti e che l'unica strada utile da intraprendere in materia è evitare con accortezza proprio questi modelli tanto cari alla sinistra (quello «assimilazionista» francese, della «Minority policy» olandese o quello pluralista britannico tanto per fare qualche esempio), se non vogliamo ritrovarci ad avere problemi difficilmente gestibili come le guerriglie urbane nelle periferie di Parigi o l'odio contro l'Occidente del Londonistan da parte di quella massa di immigrati facenti parte della comunità islamica mai realmente integrata nel tessuto socio-economico londinese. Inoltre, attaccare misure utili come i respingimenti o l'allungamento del tempo di permanenza nei Cie, che fungono da deterrente alle partenze dei clandestini, significa non avere un quadro chiaro di quali siano i meccanismi delle tratte nel Mediterraneo. Da quando è iniziata «la politica dei respingimenti dei clandestini», nel nostro paese non c'è stato alcuno sbarco sulle coste siciliane e di contro nello stesso periodo c'è ne sono stati diversi su quelle spagnole.

Sempre nel suo sito, in «Idee per il lavoro», dopo una serie impressionate di concetti banali e qualunquistici («Il lavoro, cioè la crescita dell'occupazione, specialmente quella giovanile, è la priorità. Occorre investire sulla formazione e sull'innovazione; è necessario sconfiggere il precariato: i giovani devono poter guardare con fiducia al loro futuro») riprende un cavallo di battaglia del centrodestra quando scrive che «le aziende italiane vanno rilanciate allineandoci ad altri sistemi fiscali europei e snellendo i tempi della burocrazia». E questi sarebbero i contenuti innovativi? Faccia nuova ma con idee vecchie, confuse e copiate, verrebbe da dire.

venerdì 5 giugno 2009

Funzionano i respingimenti dei clandestini


di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

giovedì 04 giugno 2009

Nell'arco di 48 ore, tra lunedì e mercoledì, sono arrivati in Spagna, sulle coste di Almeria (Andalusia orientale), un totale di 130 immigranti su nove barconi: lo ha riferito l'edizione elettronica del quotidiano spagnolo El Pais. Tutti gli occupanti delle imbarcazioni, tra i quali vi erano due donne incinte e vari minorenni, sono in buone condizioni di salute. Solo nella giornata di martedì sono arrivati sette barconi con 116 persone, tutte accompagnate dal Salvamento Maritimo (il Soccorso Marittimo) al porto di Almeria. Un mercantile ha individuato mercoledì al largo del Cabo de Gata il cadavere di un uomo di apparente origine subsahariana, probabilmente abbandonato da giorni in mare. Il corpo è stato recuperato dalla Guardia Civil spagnola che aspetta adesso i risultati dell'autopsia.

Nel frattempo, secondo le dichiarazioni del ministro Maroni, fatte mercoledì nel corso della trasmissione televisiva «Panorama del Giorno», da 15 giorni non c'è stato più nessuno sbarco sulle coste siciliane di clandestini provenienti dalla Libia, a Lampedusa il Centro di accoglienza è vuoto e gli alberghi sono pieni. «Abbiamo fatto 500 respingimenti ed è venuto giù il mondo - ha detto il ministro dell'interno - la Spagna l'anno scorso 10mila e nessuno ha detto niente. Lo facciamo e lo continueremo a fare».

La politica rigorosa nella regolazione degli ingressi nel nostro paese sta avendo i suoi frutti e i «respingimenti» dei clandestini si stanno rivelando un efficace deterrente che permette di azzerare, o comunque diminuire, gli sbarchi sulle nostre coste. Tuttavia questo strumento dovrà necessariamente far parte di un pacchetto di interventi da mettere in campo sia nel breve che nel lungo periodo. Lo sforzo per migliorare lo status quo dovrà essere fatto sia a livello nazionale (con particolare riguardo alla responsabilizzazione degli enti locali, anche attraverso il rilancio in ogni singola provincia di un organo fondamentale come il consiglio territoriale per l'immigrazione) che in quello comunitario (rafforzamento di Frontex; maggiore solidarietà dei paesi Ue nei confronti dei loro partner più esposti per aiutarli a far fronte ai flussi di immigrati provenienti dalle coste dell'Africa settentrionale, che dovrebbero accettare di accogliere i migranti che hanno ottenuto lo status di rifugiati; accordo di cooperazione Ue e Ua sia nel campo economico che nella politica di gestione dei flussi di immigrati in partenza dal Continente nero e diretti verso l'Europa; una rimodulazione favorevole all'Italia nella ripartizione dei fondi del programma generale «Solidarietà e gestione dei flussi migratori» in aggiunta ad un sensibile incremento dei suddetti fondi).

Insomma serve buon senso per affrontare il problema degli sbarchi dei clandestini, entrando nell'ottica che non può esserci solo uno strumento che possa risolvere il problema hic et nunc, ma una serie di interventi proiettati nel lungo periodo. Nel frattempo bisognerà anche tenere la barra dritta e cercare di rispedire al mittente alcune dichiarazioni, come quelle periodicamente rilasciate da mons. Marchetto, Segretario del Pontificio consiglio per i migranti e gli itineranti, che tendono a demonizzare la politica del governo in materia di immigrazione.

In merito al pacchetto sicurezza, in un'intervista rilasciata al mensile dei paolini Jesus, mons. Marchetto ha detto che: «C'e' il rischio di creare una società di invisibili, non dobbiamo creare una società parallela di immigrati, prima di tutto per non avere ghetti e poi per rispetto alla dignità della persona umana di ognuno, in situazione regolare o meno».

Con tutto il rispetto possibile per mons. Marchetto, i ghetti si creano quando, con riferimento alle politiche di ingresso, si accolgono irresponsabilmente gli immigrati senza la possibilità di offrirgli una vita dignitosa e quando, con riguardo all'integrazione, si applicano modelli che si sono rivelati fallimentari come quello «assimilazionista» francese, della «Minority policy» olandese o quello pluralista britannico. Tutti i modelli di integrazione sono falliti ed hanno creato dei ghetti, cittadelle identitarie autonome e distinte dal resto degli agglomerati urbani (molto interessante, con riguardo ai modelli di integrazione e alla differenza tra generazioni di immigrati, una recente analisi del prof. Maurizio Ambrosini, docente di Sociologia dei processi migratori e Sociologia urbana presso l'università di Milano: Cinque modelli per integrare le seconde generazioni ). Basta guardare cosa succede nelle periferie di Londra e Parigi, ricordare l'omicidio di Pin Fortuyn in Olanda o gli attentati di Londra e Madrid per rendersi conto che non c'è un modello di integrazione vincente e che la convivenza tra cittadini ed immigrati e tra vecchi e nuovi cittadini, tra usi e costumi diversi, è tutto tranne che pacifica e di certo rappresenta una delle sfide più grandi e più difficili che la politica dovrà affrontare.
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