sabato 28 febbraio 2009

Scioperi: nuove regole in arrivo

di Antonio Maglietta – 28 febbraio 2009

Come recita il comunicato stampa di ieri, il Consiglio dei Ministri, tra le alte cose, ha approvato, su proposta del Ministro del lavoro, Maurizio Sacconi, un disegno di legge per il conferimento al Governo di una delega diretta a realizzare un migliore e più effettivo contemperamento tra esercizio del diritto di sciopero e salvaguardia dei diritti della persona e dell’impresa, entrambi tutelati dalla Costituzione; l’obiettivo principale del provvedimento è quello di dar vita, con specifico riferimento al settore dei trasporti e come previsto nella maggioranza dei Paesi industrializzati, ad un sistema di buone relazioni nel mondo del lavoro basato su libertà e responsabilità, affidando a particolari percorsi di prevenzione dei conflitti (procedure di “raffreddamento”, conciliazione) lo sviluppo del diritto allo sciopero e delle relative prassi, evitandone un utilizzo abnorme. Tra i punti salienti della delega vi è la previsione della disciplina del ricorso all’istituto dello sciopero virtuale, che potrà essere reso obbligatorio per determinate categorie professionali che erogano servizi strumentali o complementari nel settore dei trasporti.
Potranno proclamare uno sciopero nel settore dei trasporti sindacati che hanno complessivamente almeno il 50% della rappresentanza. In alternativa, le organizzazioni che hanno almeno il 20% possono ricorrere al referendum preventivo, che deve registrare un consenso di almeno il 30% dei lavoratori.
Si potranno sanzionare anche i comportamenti sleali nello sciopero dell'autotrasporto e di forme di lotta di altre categorie che bloccano autostrade o aeroporti e bloccano la circolazione. Oltre all'eventuale sanzione penale, già presente, ci sarà una sanzione amministrativa. La Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali cercherà di prevenire il formarsi del conflitto che si realizza con lo sciopero e, inoltre, la stessa Commissione, che resta indipendente, scenderà da 9 a 5 componenti e avrà una sua dotazione organica certa.
Inoltre, il governo si prepara a varare un Testo Unico sul diritto di sciopero, entro due anni.
Il ministro Sacconi ha precisato che “lo strumento del disegno di legge delega servirà non solo per mettere a punto altri dettagli, ma anche come ulteriore strumento di coinvolgimento delle parti sociali”. Lo stesso ministro ha ribadito che "preoccupazione e critiche pregiudiziali che hanno parlato di soluzioni autoritarie sono assolutamente fuori luogo". L'obiettivo della riforma, ha spiegato, è quello di conciliare, nel modo più efficace, il “sacrosanto diritto allo sciopero” con "la libertà di circolazione delle persone" ed ha aggiunto che "è stato seguito un percorso molto cauto. Il 17 ottobre il Consiglio dei Ministri ha adottato le linee guida, poi abbiamo incontrato le parti sociali chiedendo loro di offrire idee e contributi. Infine, siamo ritornati in Consiglio dei Ministri con il disegno di legge delega. E ci sarà un ulteriore coinvolgimento delle parti sociali".
Per quanto riguarda lo sciopero virtuale (una forma di protesta che non prevede l’astensione dal lavoro per determinate categorie professionali che, per le peculiarità della prestazione lavorativa e delle specifiche mansioni, determinino o possano determinare, in caso di astensione dal lavoro, la concreta impossibilità di erogare il servizio principale ed essenziale), invece, la regolamentazione sarà demandata alla contrattazione tra le parti sociali. Secondo Sacconi, “potrà essere effettuato secondo varie modalità che dovranno essere decise dalle parti sociali in accordo con la commissione di Garanzia”. I lavoratori, ad esempio, ha proseguito il ministro, possono aderire allo sciopero virtuale rinunciando allo stipendio, ed in questo caso, “ci deve essere un danno anche per la controparte, vale a dire l'azienda, che deve fare un versamento più che proporzionale alla rinuncia dei lavoratori”. Un'altra possibilità è che i dipendenti non rinuncino allo stipendio, ma manifestino il loro stato di malessere "con un segno distintivo, penso ad esempio ad una fascia al braccio". Ma, ha ribadito, la materia "sarà disciplinata dalle parti" così come l'adesione individuale allo sciopero.
Si tratta di un provvedimento di buon senso che certamente non comprime in alcun modo il diritto di sciopero che, secondo la nostra Costituzione (art.40), si esercita nell'ambito delle leggi che lo regolano.
Giovedì, il presidente della Commissione di garanzia, Antonio Martone, ha presentato la Relazione ai Presidenti delle Camere sull’attività della Commissione. Il monte-proteste del 2008 è arrivato a quota 1.339, il 4% in più rispetto all'anno precedente, ma in realtà gli scioperi proclamati erano ben altra cifra (2.195). In testa alla classifica, ça va sans dire, ci sono i trasporti, con 521 giornate di fermo, il 39% del totale. A far lievitare le cifre dello scorso anno, già storicamente elevate, è stata la vertenza Alitalia, che da sola ha prodotto ben 130 giorni ‘caldi’, di cui 57 a livello nazionale. Si legge ancora nella relazione che “dopo quello aereo, il settore più litigioso è stato quello del trasporto pubblico locale con 257 scioperi effettuati (su 413 proclamati) nel complesso e 7 realizzati con rilevanza nazionale. Anche le Ferrovie, a onor del vero, hanno dato un bel contributo di lotta, con 109 scioperi realizzati nell'anno (contro i 216 proclamati), un dato che comunque risulta in lieve calo rispetto ai 118 effettuati nel 2007”.
Insomma, una volta garantito il diritto di sciopero di tutte le categorie dei lavoratori (quindi anche di quelli del settore dei trasporti), occorre anche garantire i diritti di tutti quei cittadini che si recano al lavoro tutte le mattine. Fissare dei paletti di buon senso nell’esercizio del diritto di sciopero nel settore dei trasporti è un atto doveroso nei confronti dei pendolari del lavoro che devono avere tutto il rispetto possibile da parte delle istituzioni e dei sindacati. Il provvedimento del governo non comprime alcun diritto ma, anzi, cerca di non soffocare quello di tanti altri lavoratori che la mattina devono raggiungere il posto di lavoro e la sera devono rientrare a casa.

giovedì 26 febbraio 2009

Nuove iniziative contro l'immigrazione clandestina


di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

giovedì 26 febbraio 2009

Secondo gli ultimi dati dell'Istat la popolazione residente in Italia ha superato lo storico tetto dei 60 milioni di abitanti. Scrive l'istituto di statistica che «con la trasformazione dell'Italia da paese di emigrazione a paese di immigrazione e con la concomitante contrazione delle nascite, la popolazione residente ha subito una vistosa accelerazione soprattutto negli ultimi anni. Si consideri, ad esempio, che cumulando il periodo 2002-2008 il saldo naturale risulta negativo per 67 mila unità mentre il saldo migratorio con l'estero è positivo per circa 2 milioni 400 mila unità». Insomma, gli stranieri che vivono stabilmente nel nostro paese sono una realtà sempre più importante ed è bene che si tenga conto di questi numeri, soprattutto con riferimento ai nuovi ingressi, affinché i fattori da tener presente siano più ampi della sola disponibilità dei posti di lavoro e comprendano anche le politiche abitative e scolastiche e la capacità di risposta dei nostri servizi sociali.

Invitato ad intervenire ad un incontro sul tema «Emigrazione e speranza», promosso dall'Associazione internazionale «Carità politica», monsignor Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio per i Migranti, ha preso le mosse dall'encliclica Spe Salvi di Benedetto XVI, sottolineando che «emigrazione e speranza formano per noi un binomio inscindibile». La speranza è il sentimento di fiduciosa attesa della realizzazione, presente o futura, di quanto si desidera. E cosa desiderano gli immigrati che vengono a lavorare nel nostro o in altri paesi? Semplicemente una condizione di vita migliore per sé ed i propri cari. E' bene allora che i paesi ospitanti si attrezzino per essere in grado di rispondere a tali aspettative, cercando di trovare un equilibrio tra gli interessi in campo, in primis quello dei propri cittadini, con particolare riguardo agli strati più deboli della popolazione. Ma l'equilibrio è possibile trovarlo solo se si costruisce un sistema di ingressi, uscite e respingimenti razionale e che salvaguardi e tuteli gli stranieri in regola con le leggi italiane e punisca adeguatamente chi non lo è. Le vie di mezzo e le zone grigie sono sempre deleterie e si rivelano certamente negative nel lungo periodo perché alimentano l'illegalità diffusa e danno la pericolosa sensazione di uno Stato assente, in cui il rispetto delle regole è demandato solo alla propria sensibilità perché tanto la violazione non comporta alcuna sanzione.

Il contrasto all'illegalità non può essere compiuto solo a fatti accaduti ma certamente, e soprattutto, anche in via preventiva sia per quanto riguarda gli irregolari (stranieri che non hanno più i requisiti previsti dalla legge per restare sul nostro territorio) che i clandestini (stranieri che entrano illegalmente nel nostro territorio). Per quanto riguarda il contrasto all'immigrazione clandestina, il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ha incontrato giovedì a Bruxelles le delegazioni di Grecia, Cipro e Malta per fare il punto sull'iniziativa comune che i quattro paesi hanno preparato per fronteggiare tale fenomeno nel Mediterraneo. L'iniziativa è stata portata all'attenzione degli altri 23 ministri europei, nel corso del Consiglio Affari Interni che si è aperto nella stessa giornata di giovedì sempre nella capitale belga. Lo scopo dell'iniziativa comune è quello di contrastare in modo organico e più organizzato l'immigrazione clandestina alle frontiere marittime del Mediterraneo. Tra le proposte che vengono avanzate c'è la richiesta di risorse aggiuntive per il contrasto alla clandestinità, ma anche un maggiore coordinamento tra le diverse capitali. I quattro paesi sollecitano, infine, il Consiglio Ue a dotare Frontex, l'Agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne, delle risorse finanziarie necessarie e gli Stati membri a fornire mezzi operativi adeguati.

E' bene che tutti i partners europei capiscano che rafforzare Frontex, dotandola di più mezzi più uomini e più risorse, non sarebbe certo una costosa regalia ai paesi della frontiera sud dell'Europa, ma una scelta lungimirante per il bene comune, perché un clandestino che entra in Italia, in Grecia, in Spagna non è detto che resti in questi territori. Anzi spesso e volentieri si tratta solo di una tappa obbligata per arrivare a ben altre destinazioni nel centro o nel nord Europa. Per questo motivo il contrasto all'immigrazione clandestina nel Mediterraneo non è un problema dei paesi della frontiera sud del Vecchio Continente, ma un problema di tutti i paesi europei.

venerdì 13 febbraio 2009

Immigrazione e pacchetto sicurezza


di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

giovedì 12 febbraio 2009

Secondo l'ex ministro Livia Turco (Pd) «le ultime leggi del governo in materia di sicurezza hanno un effetto opposto rispetto a quello che viene dichiarato. Invece che garantire la sicurezza, finiranno per incrementare l'insicurezza. Pur pensando male del governo Berlusconi, non avrei mai immaginato che sarebbe stato così succube della Lega in materia di sicurezza e immigrazione». Le idee del Carroccio, secondo la Turco, «sono pesanti dal punto di vista delle norme, ma ancor di più dal punto di vista del messaggio culturale che viene lanciato». Secondo l'esponente democratica, «l'emendamento più clamoroso rimane quello riguardante le cure sanitarie per i clandestini». Su questo tema, «il governo deve avere il coraggio delle scelte che fa e non nascondersi dietro menzogne per giustificare quello che fa. Gli immigrati irregolari avranno paura di essere denunciati, non si rivolgeranno al servizio sanitario pubblico e il rischio di contagio per i cittadini italiani sarà molto più alto». L'emendamento cui fa riferimento l'ex ministro, passato nell'aula del Senato con 156 sì, 132 no e un astenuto, è inserito nel testo presentato dal governo in materia di sicurezza pubblica, licenziato il 5 febbraio da Palazzo Madama e ora all'attenzione della Camera.

Il provvedimento in questione, oltre a dare la possibilità ai medici di denunciare i clandestini che si rivolgono per cure alle strutture sanitarie pubbliche (è stato cancellato il comma 5 dell'articolo 35 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 che recita: «L'accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme di soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all'autorità salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parità di condizioni con il cittadino italiano»), prevede il carcere fino a quattro anni per i clandestini che rimangono sul territorio nazionale nonostante l'espulsione e fissa da 80 a 200 euro la tassa per il permesso di soggiorno (versamento non dovuto per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno per richiesta di asilo, per protezione sussidiaria, per motivi umanitari).

Cosa c'è di così scandaloso? Nulla. Ai medici non è imposto alcun obbligo, ma è concessa solo una facoltà esperibile secondo coscienza. I medici non diventeranno certo delle spie e ai clandestini che si dovessero rivolgere alle strutture sanitarie nazionali continueranno ad essere fornite tutte le cure del caso, così come è sempre avvenuto. La previsione normativa s'inserisce in un pacchetto di interventi che cerca di contrastare il fenomeno dell'immigrazione clandestina e che certo non viola i diritti umani di chi, nella maggior parte dei casi, scappa dalla guerra o dalla fame o, spesso e volentieri, da entrambe le cose. La volontà del governo e della maggioranza che lo sostiene è solo quella di cercare di creare un sistema che incentivi il canale dell'immigrazione regolare e penalizzi al contempo clandestinità ed irregolarità. In tale contesto, proprio perché si parla di sistema e non di singoli interventi, va letto anche l'accordo con la Libia, da cui parte la stragrande maggioranza delle persone che sbarcano clandestinamente sulle nostre coste, che è stato sottoscritto ricalcando il modello d'intervento applicato anche con l'Albania e che, al momento, sembra essere l'unica strada per contrastare in maniera efficace le direttrici via mare della tratta dei clandestini verso il nostro paese.

Nessuno vuole introdurre in Italia norme xenofobe e razziste, ma solo cercare di gestire nei migliori dei modi un fenomeno che, se lasciato nel caos o regolato secondo il lassez-faire, potrebbe creare delle situazioni ancora più difficili di quelle che si devono affrontare oggi. Bisogna partire dal presupposto che i sentimenti anti-immigrati nascono a causa dell'aumento del tasso di criminalità tra i clandestini. Infatti gli immigrati regolari hanno un tasso di criminalità che è sugli stessi livelli della loro percentuale di incidenza sul totale della popolazione italiana. Il Rapporto sulla criminalità in Italia del 2007 (pag. 360) sottolinea che «nel complesso gli stranieri regolari denunciati sono stati nel 2006 quasi il 6% del totale dei denunciati in Italia. E gli stranieri regolari sono meno del 5% della popolazione residente». Secondo un recente studio pubblicato dalla Banca d'Italia, non ci sarebbe alcuna relazione tra l'aumento dell'immigrazione e l'incremento dei reati. Ma i problemi nascono anche dal fatto che la quota per i flussi verso il nostro paese ha come unico riferimento la disponibilità di posti di lavoro (senza considerare invece altri elementi di sistema fondamentali come l'assistenza sociale, quella sanitaria, le politiche abitative e quelle scolastiche) e a causa del mancato funzionamento di alcune strutture fondamentali come i consigli territoriali per l'immigrazione, che sono organismi istituiti proprio per monitorare in sede locale la presenza degli stranieri sul territorio e la capacità di assorbire i flussi migratori.

Vanno bene tutte le proteste e tutte le eccezioni sollevate sul pacchetto sicurezza del governo (anche se assolutamente non condivisibili) perché le critiche (civili) e il confronto sono sempre uno stimolo a fare meglio. Certamente, però, non si possono accettare lezioni sulla legalità da parte di quelli stessi esponenti del centrosinistra che avevano proposto e ripropongono ancora oggi l'introduzione nel nostro ordinamento della sponsorizzazione (ossia garanti pubblici e privati per gli immigrati che vengono sul nostro territorio per motivi di lavoro pur non avendo un contratto) e dell'autosponsorizzazione (immigrati che vengono in Italia per gli stessi motivi senza avere un contratto ma in possesso di adeguate risorse finanziarie) e cioè di due strumenti che avrebbero seriamente rischiato di alimentare il riciclaggio del denaro sporco (chi e come avrebbe controllato la provenienza dei soldi dichiarati dagli immigrati nel caso dell'autosponzorizzazione? Chi e come avrebbe controllato lo sponsor, magari un semplice prestanome, nel caso della sponsorizzazione?) e causato l'implosione del nostro sistema di accoglienza (la consistenza del flusso, senza un serio filtro all'ingresso, sarebbe stata indefinita).

martedì 3 febbraio 2009

Immigrazione: servono buon senso e raziocinio


di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

martedì 03 febbraio 2009

Nei giorni scorsi ci sono stati una serie di avvenimenti che hanno alzato il livello dello scontro politico sul tema dell'immigrazione. Le proteste degli abitanti dell'isola di Lampedusa, gli stupri saliti all'onore delle cronache, alcuni episodi di cieca violenza contro immigrati sono diventati un pretesto per alcuni componenti dell'opposizione per scaricare sul governo alcuni schizzi di fango.

Il ministro dell'interno Maroni ha affermato che «il governo ha deciso di cambiare musica riguardo al fenomeno dell'immigrazione clandestina e lo dico da musicista dilettante. Noi non siamo per cacciare nessuno che venga in Italia a lavorare, nei confronti di queste persone da parte nostra ci saranno sempre le braccia aperte». «Ma il governo - ha aggiunto - intende dare un segnale preciso, forte e chiaro rispetto ad una politica di rigore nei confronti dell'immigrazione clandestina, nei confronti di chi viene in Italia non per lavorare ma per delinquere, per spacciare la droga, per fare la tratta delle persone. Ebbene - ha concluso Maroni - per quella gente le nostre porte sono chiuse».

Parole di buon senso, quelle espresse da Maroni, che mettono in luce la volontà del governo di rafforzare il più possibile il sistema dell'immigrazione regolare (ingresso e permanenza) e punire chi viene nel nostro Paese per delinquere. Ma il buon senso non è di casa nel Pd soprattutto quando si parla di immigrazione. Ed infatti Livia Turco ha prontamente replicato che «Maroni ha perso la testa. Quando fa il ministro parla della necessità, per fare un esempio, di accordi con la Tunisia. Quando fa il leghista, forse per gli scarsi risultati che riesce a ottenere, usa delle parole che sarebbero inqualificabili se dette da qualunque persona, figuriamoci se affermate dal ministro dell'Interno. Si rischia così di incitare all'odio anche nei confronti degli inermi».

Niente di più falso. Sono le proposte del centrosinistra, all'insegna delle «porte aperte per tutti», che, se attuate, rischierebbero di alimentare l'odio nei confronti degli immigrati. Istituti come la sponsorizzazione (ossia garanti pubblici e privati per gli immigrati che vengono sul nostro territorio per motivi di lavoro pur non avendo un contratto) e l'autosponsorizzazione (immigrati che vengono in Italia per gli stessi motivi senza avere un contratto ma in possesso di adeguate risorse finanziarie) non farebbero altro che riempire il nostro paese oltre il limite delle sue capacità di accoglienza, con il rischio di implosione delle strutture ricettive ed esplosione dell'odio verso gli immigrati. Gestire in maniera razionale i flussi in entrata, tenendo conto di altre voci oltre a quella del lavoro (welfare state, politiche scolastiche e abitative), ed essere rigorosi nelle espulsioni, è il miglior antidoto, invece, contro il veleno dell'odio.

La tutela degli immigrati, senza inutili accelerazioni (come sarebbe invece la proposta dell'acquisizione della cittadinanza dopo 5 anni in sostituzione degli attuali 10, così come proposto dal centrosinistra), che regolarmente lavorano nel nostro paese, è il modo migliore per rispondere alle difficili sfide dettate dall'integrazione e dalla convivenza stranieri/cittadini. Questo non vuol dire non tutelare gli irregolari (stranieri che hanno perduto i requisiti necessari per la permanenza sul territorio nazionale) e i clandestini (stranieri entrati in Italia senza regolare visto di ingresso), perché il rispetto dei diritti umani non è stato mai messo in discussione e mai lo sarà, ma significa creare un sistema che incentivi in qualche modo l'immigrazione regolare e penalizzi quella irregolare e clandestina. Non si può rimanere inermi dinanzi all'illegalità perché chiudere un occhio oggi rischia di portare nel lungo periodo a chiuderli entrambi ed a far affogare il paese nel fango della criminalità. E sarebbe allora che rischieremmo per davvero di alimentare irresponsabilmente l'odio verso gli immigrati con conseguenze catastrofiche e difficilmente reversibili.
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