martedì 3 febbraio 2009

Immigrazione: servono buon senso e raziocinio


di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

martedì 03 febbraio 2009

Nei giorni scorsi ci sono stati una serie di avvenimenti che hanno alzato il livello dello scontro politico sul tema dell'immigrazione. Le proteste degli abitanti dell'isola di Lampedusa, gli stupri saliti all'onore delle cronache, alcuni episodi di cieca violenza contro immigrati sono diventati un pretesto per alcuni componenti dell'opposizione per scaricare sul governo alcuni schizzi di fango.

Il ministro dell'interno Maroni ha affermato che «il governo ha deciso di cambiare musica riguardo al fenomeno dell'immigrazione clandestina e lo dico da musicista dilettante. Noi non siamo per cacciare nessuno che venga in Italia a lavorare, nei confronti di queste persone da parte nostra ci saranno sempre le braccia aperte». «Ma il governo - ha aggiunto - intende dare un segnale preciso, forte e chiaro rispetto ad una politica di rigore nei confronti dell'immigrazione clandestina, nei confronti di chi viene in Italia non per lavorare ma per delinquere, per spacciare la droga, per fare la tratta delle persone. Ebbene - ha concluso Maroni - per quella gente le nostre porte sono chiuse».

Parole di buon senso, quelle espresse da Maroni, che mettono in luce la volontà del governo di rafforzare il più possibile il sistema dell'immigrazione regolare (ingresso e permanenza) e punire chi viene nel nostro Paese per delinquere. Ma il buon senso non è di casa nel Pd soprattutto quando si parla di immigrazione. Ed infatti Livia Turco ha prontamente replicato che «Maroni ha perso la testa. Quando fa il ministro parla della necessità, per fare un esempio, di accordi con la Tunisia. Quando fa il leghista, forse per gli scarsi risultati che riesce a ottenere, usa delle parole che sarebbero inqualificabili se dette da qualunque persona, figuriamoci se affermate dal ministro dell'Interno. Si rischia così di incitare all'odio anche nei confronti degli inermi».

Niente di più falso. Sono le proposte del centrosinistra, all'insegna delle «porte aperte per tutti», che, se attuate, rischierebbero di alimentare l'odio nei confronti degli immigrati. Istituti come la sponsorizzazione (ossia garanti pubblici e privati per gli immigrati che vengono sul nostro territorio per motivi di lavoro pur non avendo un contratto) e l'autosponsorizzazione (immigrati che vengono in Italia per gli stessi motivi senza avere un contratto ma in possesso di adeguate risorse finanziarie) non farebbero altro che riempire il nostro paese oltre il limite delle sue capacità di accoglienza, con il rischio di implosione delle strutture ricettive ed esplosione dell'odio verso gli immigrati. Gestire in maniera razionale i flussi in entrata, tenendo conto di altre voci oltre a quella del lavoro (welfare state, politiche scolastiche e abitative), ed essere rigorosi nelle espulsioni, è il miglior antidoto, invece, contro il veleno dell'odio.

La tutela degli immigrati, senza inutili accelerazioni (come sarebbe invece la proposta dell'acquisizione della cittadinanza dopo 5 anni in sostituzione degli attuali 10, così come proposto dal centrosinistra), che regolarmente lavorano nel nostro paese, è il modo migliore per rispondere alle difficili sfide dettate dall'integrazione e dalla convivenza stranieri/cittadini. Questo non vuol dire non tutelare gli irregolari (stranieri che hanno perduto i requisiti necessari per la permanenza sul territorio nazionale) e i clandestini (stranieri entrati in Italia senza regolare visto di ingresso), perché il rispetto dei diritti umani non è stato mai messo in discussione e mai lo sarà, ma significa creare un sistema che incentivi in qualche modo l'immigrazione regolare e penalizzi quella irregolare e clandestina. Non si può rimanere inermi dinanzi all'illegalità perché chiudere un occhio oggi rischia di portare nel lungo periodo a chiuderli entrambi ed a far affogare il paese nel fango della criminalità. E sarebbe allora che rischieremmo per davvero di alimentare irresponsabilmente l'odio verso gli immigrati con conseguenze catastrofiche e difficilmente reversibili.

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