lunedì 26 ottobre 2009

Riforma degli ammortizzatori sociali dopo la crisi



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

venerdì 23 ottobre 2009

«Nella dialettica sul posto fisso la parola chiave sono gli ammortizzatori sociali anche se c'è uno strumento che viene prima: è il diritto della persona alla conoscenza e alla competenza». Lo ha ribadito il titolare del Lavoro, Maurizio Sacconi, nel suo intervento all'assemblea elettiva della Cna evidenziando che se una persona è autosufficiente nel mercato attraverso la conoscenza e la competenza «allora costruiamo persone occupabili». E per il ministro questo vuol dire «fare delle scelte e ritenere che il lavoro deve essere la parte del processo educativo della persona».

Sacconi ha centrato in pieno i termini della questione. In generale l'ideale sarebbe fare (bene) un lavoro che piaccia (e qui non centra il Legislatore), sia esso con contratto a tempo indeterminato, a termine o con partita iva, senza forzature estreme da parte del Legislatore che irrigidiscano o precarizzino il mercato del lavoro ma con interventi in grado di dare una certa stabilità al percorso lavorativo di una persona. Ed è per questo che occorre portare al centro della discussione inerente le dinamiche del mercato del lavoro una riforma degli ammortizzatori sociali che allarghi la platea dei potenziali beneficiari, in modo positivo e non parassitario, verso quelle forme di protezione sociale in grado di dare una certa stabilità e serenità. Il primo passo è già stato fatto (art. 2, comma 36, della legge n. 203/2008; art. 19 della legge n. 2/2009; art. 7-ter della legge n. 33/2009) con l'allargamento della cassa integrazione ad una parte di lavoratori che prima non ne beneficiavano e la speranza è che questa breccia aperta nell'iniquo sistema del welfare nostrano sia l'inizio di un percorso che modifichi lo status quo.

Il governo ha confermato l'intenzione di voler riformare gli ammortizzatori sociali, anche se, secondo il ministro Sacconi, «quello della grande crisi non è il momento più idoneo per farlo». Lo stesso ministro ha precisato l'intenzione di «voler mantenere il concetto assicurativo dell'ammortizzatore sociale». «Dobbiamo pensare a mantenere un sistema degli ammortizzatori a due pilastri: indennità di disoccupazione da un lato, e cassa integrazione o contratto di solidarietà fondato sul ruolo delle parti sociali, non privatistico ma che preveda un prelievo, anche obbligatorio, attraverso la bilateralità», ha detto il ministro. «Siamo pronti a discutere la riforma degli ammortizzatori sociali ma dobbiamo uscire dalla condizione nella quale necessariamente dovremmo fare cose che possono essere in contraddizione con ciò che pensiamo di fare a regime».

Secondo il Rapporto Svimez 2009 l'anomalia del sistema del welfare italiano è soprattutto nella sua composizione, troppo sbilanciata verso i trattamenti previdenziali, ai quali destina circa il 20% in più degli altri partners europei. «Per quel che riguarda la spesa per le politiche di sostegno al reddito, nei casi di disoccupazione o di corsi di formazione per il reinserimento nel mercato del lavoro, restano forti differenze tra i vari Stati europei: la media dell'Ue è del 5,6% sul totale ma varia tra il 12% di Belgio e Spagna e il 2% dell'Italia. La riorganizzazione e razionalizzazione della spesa sociale passa attraverso la realizzazione di politiche di welfare to work, puntando sempre più su un'inclusione attiva nel mercato del lavoro. Ma tale obiettivo è condizionato dal sistema previdenziale, in particolare per quel che riguarda la sua sostenibilità finanziaria. Oggi l'Italia è tra i partners Ue quello con la maggiore incidenza degli oneri previdenziali sul totale delle prestazioni sociali».

Insomma è chiaro che in Italia c'è un doppio squilibrio nel sistema del welfare: uno tra prestazioni pensionistiche e prestazioni a sostegno del redditto e l'altro all'interno dei beneficiari di queste ultime. La volontà del governo di non voler lasciar indietro nessuno è certamente la strada migliore per portare finalmente in equilibrio il sistema.

mercoledì 21 ottobre 2009

DALLA PARTE DEI LAVORATORI



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

martedì 20 ottobre 2009

«Non credo che la mobilità di per sé sia un valore, penso che in strutture sociali come la nostra il posto fisso è la base su cui organizzare il tuo progetto di vita e la famiglia». Lo ha detto il ministro dell'Economia Giulio Tremonti, chiudendo i lavori di un convegno organizzato dalla Bpm. «La variabilità del posto di lavoro, l'incertezza, la mutabilità - ha aggiunto il ministro - per alcuni sono un valore in sé, per me onestamente no». Una nota del ministero ha poi precisato che Tremonti «ha espresso a voce idee scritte negli anni passati». In particolare: «il primato darwinista del lavoro precario e mobile sul lavoro fisso e stabile è sempre stato contrastato dal prof. Tremonti. Oggi il prof. Tremonti ha espresso a voce idee che ha scritto negli anni passati e da ultimo nel volume La paura e la speranza».

Le parole del ministro, com'era prevedibile, hanno aperto una discussione su quale tipo di contratto sia meglio avere nel mondo del lavoro. Sul tema è intervenuto anche il premier Silvio Berlusconi, che ha dichiarato: «Per noi, come dimostrano i provvedimenti presi in questi mesi a tutela dell'occupazione, è del tutto evidente che il posto fisso è un valore e non un disvalore. Così come sono un valore le cosiddette partite Iva». Il presidente del Consiglio ha poi aggiunto che «il governo è a fianco dei milioni di italiani che lavorano come collaboratori dipendenti così come è a fianco di milioni di italiani che intraprendono, rischiano e producono ricchezza per sé e per i loro collaboratori, nell'interesse dell'Italia. Il governo lavora per una società fatta di libertà, di sviluppo economico e di solidarietà. A questi principi dell'economia sociale di mercato si ispira anche la tutela della famiglia come prezioso elemento di stabilità sociale ed economica, in piena sintonia con la Carta dei Valori del Popolo della Libertà, Carta che è esattamente la stessa della grande famiglia della libertà e della democrazia in Europa che è il Partito del Popolo Europeo».

Innanzitutto partiamo dai numeri per capire i termini della questione. In Italia, secondo gli ultimi dati Istat, su 17,328 milioni di lavoratori dipendenti 15,113 milioni hanno il posto fisso (13,012 a tempo pieno e 2,101 a tempo parziale) con un tasso di incidenza sul totale degli occupati in crescita nel secondo trimestre del 2009 (65,1%) rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (63,8%). I lavoratori dipendenti con un contratto a termine, invece, sono 2,214 milioni (1,699 milioni a tempo pieno e 515 mila a tempo parziale) con un tasso di incidenza sul totale degli occupati nel secondo trimestre del 2009 (9,5%) inferiore rispetto allo stesso periodo del 2008 (10,4%). I lavoratori indipendenti sono 5,875 milioni (5,145 milioni a tempo pieno e 730 mila a tempo parziale) con un tasso di incidenza sul totale degli occupati nel secondo trimestre dell'anno in corso (25,3%) inferiore rispetto allo stesso periodo del 2008 (25,8%).

I dati disponibili ci dicono che nel confronto tra il secondo trimestre 2009 e il secondo trimestre 2008, nel pieno della crisi economica mondiale, il tasso di incidenza dei lavoratori con il posto fisso sul totale degli occupati è cresciuto, mentre quello dei dipendenti con contratto a termine e degli indipendenti è diminuito. Il totale degli occupati nel nostro paese nel secondo trimestre dell'anno in corso è pari a 23,203 milioni di persone, con una flessione di 378 mila lavoratori rispetto allo stesso periodo del 2008. L'emorragia di posti di lavoro, secondo l'Istat, nel periodo di riferimento, quindi, è stata pari all'1,6%. Un dato confortante se paragonato a quelli degli altri paesi. Secondo l'ultimo bollettino della Commissione Europea sulla situazione dell'occupazione, infatti, a luglio in Spagna i disoccupati erano 4,3 milioni (18,5%), in Francia 2,8 milioni (9,8%), nel Regno Unito 2,4 milioni (7,7%), in Italia 1,9 milioni (7,4%), in Germania 3,3 milioni (7,7%), in Polonia 1,4 milioni (8,2%).

Ma, guardando al nostro paese, dove c'è stata l'emorragia dei posti di lavoro? Sempre secondo gli ultimi dati Istat, nel secondo trimestre 2009, rispetto allo stesso periodo del 2008, si registrano meno 168 mila lavoratori dipendenti (più 61 mila posti fissi e meno 229 mila persone con contratti a termine) e meno 210 mila lavoratori indipendenti (meno 119 mila a tempo pieno e meno 91 mila a tempo parziale). I dati ci dicono, quindi, che la crisi ha colpito il lavoro dipendente a termine e, in misura maggiore, quello indipendente. A questo punto, però, bisogna aggiungere che il nostro sistema di protezione sociale, e cioè le prestazioni a sostegno del reddito, non coprono ancora tutti i lavoratori. Il governo in carica e le regioni hanno fatto uno sforzo notevole allargando le protezioni sociali con gli ammortizzatori in deroga per l'anno 2009 ad una parte di lavoratori che prima non ne beneficiavano (l'esecutivo ha stanziato risorse nazionali per 5,35 miliardi, di cui 1,4 dal fondo per l'occupazione e 3,95 dal fondo per le aree sottoutilizzate, mentre le regioni 2,65 miliardi a valere sui programmi regionali Fse). E proprio i dati Inps, che indicano che le richieste per la Cigs in deroga sono state pari a 16,2 milioni di ore, il fattore di crescita più dinamico di tutto il sistema, segnalano la bontà del percorso intrapreso.

Il governo, come ha dichiarato il ministro Claudio Scajola a Ballarò, si impegnerà affinché non si sforino determinate livelli di flessibilità e perché non diventi sinonimo di precarietà, bensì di progressiva stabilizzazione. In ogni caso la flessibilità, come ha ricordato il ministro dello Sviluppo Economico, ha consenstito di creare 3 milioni di posti di lavoro in più, di passare da un livello di disoccupazione del 12% ad un 7%. E' interesse degli imprenditori che investono sulla qualità e sulla professionalità dei ruoli stabilizzare figure professionali che essi stessi, con il tempo, hanno contributito a formare.

venerdì 16 ottobre 2009

La strana meritocrazia giudiziaria


di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

giovedì 15 ottobre 2009

Finalmente un caso di meritocrazia nell'Italia imbalsamata, dove l'ascensore sociale è perennemente guasto. Con una delibera, che ne sottolinea «indipendenza, imparzialità ed equilibrio», il Csm ha dato una promozione a Raimondo Mesiano, il giudice del Tribunale civile di Milano che ha condannato senza neanche uno straccio di perizia la Fininvest al risarcimento di 750 milioni di euro a favore della Cir di Carlo De Benedetti per la vicenda del Lodo Mondadori.

Il plenum di Palazzo dei Marescialli ha riconosciuto a Mesiano il massimo grado raggiungibile da un magistrato nella sua carriera, sancendo il superamento da parte sua della settima valutazione di professionalità. Il provvedimento è stato motivato anche dalla «capacità, laboriosità, diligenza ed impegno dimostrati» da Mesiano nell'esercizio delle sue funzioni. La promozione è passata all'unanimità e senza nessuna discussione ed è stata inserita in un ordine del giorno speciale. Il provvedimento è retroattivo, visto che il riconoscimento decorre dal 13 maggio del 2008 e comporterà per il magistrato un aumento di stipendio oltre alla possibilità di concorrere per incarichi che sinora gli erano preclusi. Intanto martedì prossimo la Prima Commissione aprirà una pratica a tutela di Mesiano, dopo gli attacchi ricevuti per la sentenza sul Lodo Mondadori.

Povero giudice! Dopo anni passati a sgobbare, coperto dal cono d'ombra del lavoro dei colleghi mediaticamente più famosi, senza ricevere neanche una pacca sulla spalla, ecco arrivare una bella sentenza a danno della Fininvest per accendere la luce dei riflettori ed aprire le porte alla notorietà. E fino a questo punto nulla di nuovo. La novità è la tempistica con cui il Csm ha premiato il giudice e cioè solo pochi giorni dopo la citata sentenza. Che cosa dovrebbe pensare anche il più ingenuo spettatore dei fatti di questo paese? Non conosciamo il giudice Mesiano: magari merita tutte le promozioni di questo mondo. Ma certo averne una a pochi giorni da una sentenza che colpisce la Fininvest sotto la cintura non può passare come un fatto inosservato e non far sorgere qualche dubbio, almeno sotto il profilo dell'opportunità nella scelta dei tempi.

Ma tutto ciò non bastava e, per non farsi mancare proprio niente, il Consiglio Superiore della Magistratura ha fatto di più ed ha chiuso in bellezza. Nella stessa giornata in cui ha premiato il giudice Mesiano, il plenum del Csm ha deliberato la settima valutazione di professionalità per Felice Casson, il magistrato oggi fuori ruolo perché eletto senatore per il Pd. Il consigliere laico del centrodestra Gianfranco Anedda si è opposto all'approvazione di questa pratica, chiedendone il rinvio in Commissione, ma, essendo stata respinta la sua istanza, ha abbandonato l'aula Bachelet e non ha partecipato al voto. Il Csm ha inoltre conferito la quinta valutazione di professionalità a Lanfranco Tenaglia, altro magistrato fuori ruolo, attualmente responsabile giustizia del Partito Democratico. Stiamo parlando di tre giudici di cui uno ha appena condannato la Fininvest a pagare 750 milioni di euro alla Cir di De Benedetti, e gli altri due sono rispettivamente senatore e deputato del Pd. Per carità, nessuna ipotesi maliziosa su quali siano i loro meriti...

domenica 11 ottobre 2009

I risultati del Governo nella lotta alla criminalità



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

venerdì 09 ottobre 2009


«Ogni giorno sono stati arrestati otto mafiosi dall'inizio del governo Berlusconi». Lo ha affermato il ministro dell'Interno Roberto Maroni illustrando un documento sul contrasto alla mafia svolto nei primi 15 mesi di attività che è stato presentato al Consiglio dei ministri. Maroni ha detto anche che dall'inizio dell'azione di governo sono stati sciolti «12 consigli comunali per infiltrazioni mafiose rispetto agli otto sciolti nello stesso periodo del governo precedente. Sono risultati che non hanno precedenti, è una stagione straordinaria». Ed ha aggiunto un particolare inquietante: l'azione del governo Berlusconi per il contrasto alla mafia sta provocando «preoccupazioni all'interno degli ambienti mafiosi, anzi una forte irritazione che ha portato a registrare segnali nei confronti del governo Berlusconi per fermare questa azione straordinaria. Minacce arrivano da ambienti mafiosi verso i soggetti più esposti, stiamo monitorando e continueremo nell'azione di contrasto perché vogliamo vincere la guerra contro la mafia, non solo qualche battaglia. A fine legislatura vogliamo porre fine a questo cancro che per tanti decenni ha imperversato nelle nostre regioni», ha concluso Maroni. Un'ipotesi ottimistica, quella del ministro, che comunque esplicita con parole forti la volontà del governo in carica di mettere alle strette la malavita organizzata.

Ma le parole non bastano e servono i fatti. Eccoli: durante questo primo periodo del Governo Berlusconi, secondo la relazione del Ministro dell'Interno, sono stati arrestati 270 latitanti, il 91% in più rispetto ai 17 mesi precedenti. Le operazioni di polizia giudiziaria effettuate sono state 335 (+40%), gli arresti complessivi 3.479 (+26%). Dei 270 latitanti finiti in manette, 13 (+62%) sono quelli inclusi nell'elenco dei 30 più pericolosi e 35 (+119%) quelli inseriti nell'elenco dei cento più pericolosi. I 9.118 beni sequestrati alla mafia durante il governo Berlusconi, per un valore di 5 miliardi e 372 milioni di euro, costituiscono un incremento del 52% rispetto ai 17 mesi precedenti. I beni confiscati sono stati 2.219, per un valore di 1 miliardo e 512 milioni di euro, con un incremento del 304%. Riguardo, poi, al Fondo unico di giustizia appena istituito, le somme recuperate al 30 settembre 2009 ammontano a 676,7 milioni di euro. Grazie alla nuova normativa sui respingimenti gli sbarchi dei clandestini sono diminuiti del 90%» dal 5 maggio al 30 settembre (erano 19.000 nel 2008 sono stati solo 1.900 nel 2009).

E' innegabile, quindi, dati alla mano, che il governo in carica non si è limitato ai buoni intenti ma ha agito con fatti concreti cercando di contrastare la criminalità organizzata con tutti i mezzi a disposizione. Ovviamente la repressione deve essere solo un aspetto della lotta al fenomeno e certamente la risposta dello Stato alle sfide lanciate dalla criminalità deve essere fatta senza soste. Le persone oneste che vivono in certe realtà difficili del nostro territorio, non solo al Sud ma anche al Nord, devono sentirsi parte di un unico progetto di lotta contro le mafie in cui ognuno deve fare la propria parte a seconda del ruolo che ricopre. Questo è un argomento che non può essere fonte di divisione, ma deve diventare, se ancora non lo è, un terreno comune dove magari si può discutere sulle modalità di intervento ma non sull'obiettivo finale, che deve essere quello dell'affermazione della legalità in ogni angolo del nostro Paese. Nessuno, dal punto di vista politico, si può appuntare moralmente sul petto la medaglietta dell'unico difensore della legalità in questo Paese perché si tratta di un sentimento condiviso che oltrepassa gli steccati politici ed anche perché, nel momento stesso in cui si compie questa scellerata operazione, si creano divisioni in un campo in cui, invece, occorre la massima unità possibile tra coloro che a vario titolo contrastano la galassia criminale.

Devono essere i fatti a dimostrare che si fa la lotta alla criminalità e non le chiacchiere, le ipotesi campate per aria, le teorie fondate sul nulla e senza alcun riscontro, magari espresse in qualche convegno, studio televisivo o comizio, dove finiti gli applausi e spente le luci tutto resta come prima..

venerdì 9 ottobre 2009

Il rapporto Ue sui conti pubblici



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

mercoledì 07 ottobre 2009

La Commissione Europea si prepara ad aprire una procedura per deficit eccessivo nei confronti dell'Italia ed ha presentato il rapporto sui conti pubblici richiesto dal Patto di stabilità e di crescita come primo passo verso l'apertura di un dossier. Interessati dal provvedimento sono anche il Portogallo, l'Austria, il Belgio, la Repubblica Ceca, la Germania, l'Olanda, la Slovacchia e la Slovenia. La procedura è scattata secondo l'articolo 104.3 del Trattato Ue, nell'ambito del Patto di stabilità e crescita che fissa i tetti da non superare e cioè un deficit non superiore al 3% del Pil e un debito pubblico non oltre il 60% del prodotto interno. Ricordiamo che la precedente procedura nei confronti dell'Italia, aperta nel giugno 2005, era stata chiusa nel giugno 2008.

La Commissione Europea ha sottolineato comunque che si tratta di uno sforamento eccezionale, dovuto alla crisi, non però temporaneo. «Nell'aprile del 2009 - si legge nel testo - le autorità italiane hanno notificato un deficit pubblico programmato al 3,7% del Pil nel 2009, superando così il valore di riferimento del 3%, e un debito pubblico pari al 110,5% del Pil, ben al di sopra del valore di riferimento del 60%». Bruxelles sottolinea che da allora il governo italiano ha modificato le previsioni, vista anche la crisi economica e i costi delle misure straordinarie. Così, sottolinea la Commissione, «secondo il Dpef adottato dall'esecutivo il 22 settembre 2009, il deficit generale del governo secondo i piani raggiungerà il 5,3% del Pil nel 2009, e il debito pubblico sarà al 115,1% del Pil». Dunque, conclude la Commissione, «le cifre pianificate per deficit e debito nel 2009 forniscono la prova evidente dell'esistenza di un deficit eccessivo in Italia ai sensi del Trattato e del Patto di stabilità e crescita. La Commissione ha dunque deciso di avviare una procedura di deficit eccessivo per l'Italia adottando questo rapporto».

Da segnalare che l'Eurostat conferma, nella sua seconda stima, il rallentamento del calo del Pil in Eurolandia e nell'Ue-27 nel secondo trimestre 2009. Un calo, rispettivamente, dello 0,2% (-0,1% la prima stima) e dello 0,3% (-0,2% la prima stima). Nel primo trimestre dell'anno il calo era stato del 2,5% in Eurolandia e del 2,4% nell'Ue-27. Anche in Italia il Pil ha rallentato la caduta, segnando un -0,5% rispetto al -2,7% del primo trimestre.

La Commissione Europea, attraverso le cosiddette procedure di eccessivo-deficit, può stabilire delle scadenze per i paesi dell'Ue per la correzione dei bilanci. Queste raccomandazioni saranno pubblicate prima della fine dell'anno, in attesa dell'approvazione finale da parte dei ministri delle Finanze del blocco europeo.

Ma nel rapporto non ci sono solo ombre. La Commissione, infatti, ha rilevato come «alcuni recenti sforzi di riforma nell'area della Pubblica Amministrazione e dell'Istruzione sono mirati a migliorare l'efficienza della spesa e a limitare i costi, anche se è troppo presto per valutare il loro impatto». Inoltre l'adozione, per la prima volta nel luglio 2008, di un piano pluriennale per il consolidamento di bilancio ha «considerevolmente migliorato il quadro di bilancio di medio termine. Nonostante ciò, anche a causa delle politiche di sostegno alla domanda interna in linea col piano di rilancio europeo, la spesa primaria è prevista crescere in maniera significativamente veloce nel 2009, rispetto a quanto pianificato originariamente». Bruxelles sottolinea anche che il pacchetto di misure anticrisi messe in campo dal governo «rappresenta un'adeguata risposta alla recessione economica», tenendo conto dell'elevato debito pubblico e dei margini di manovra a disposizione del nostro paese.

Ma la Commissione Europea ci fa sapere anche cose (note) che forse non saranno accolte con piacere dalla Cgil e dal Partito Democratico - viste le loro posizioni - e cioè che l'Italia spende troppo in pensioni e stipendi pubblici rispetto al Pil: «La composizione dei conti pubblici in Italia è segnata da un alto costo del debito e da un'alta spesa pensionistica, che tolgono spazio ad una spesa più produttiva così come altre spese sociali e contribuisce alla rigidità complessiva della spesa pubblica» e che «le retribuzioni del settore pubblico mostrano delle tendenze che non sono legate alle condizioni economiche».

Insomma, il rapporto della Commissione Europea bacchetta l'Italia, e altri nove paesi, per lo sforamento (causato dal combinato disposto della crisi economica mondiale e da un debito pubblico enorme) dei parametri previsti dal Patto di stabilità e di crescita e promuove il nostro governo per la validità delle misure anticrisi adottate, cosa peraltro riconosciuta anche dall'ultimo World Economic Outlook del Fondo monetario internazionale, e per gli interventi volti a migliorare l'efficienza della nostra spesa pubblica e a limitare i costi.

mercoledì 7 ottobre 2009

Dai dati Inps segnali di normalizzazione della crisi



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

martedì 06 ottobre 2009


Aumenta in settembre il ricorso alla cassa integrazione. Lo comunica l'Inps precisando però che si tratta del mese di settembre con la crescita congiunturale più bassa degli ultimi cinque anni. In valore assoluto, si legge in una nota, il numero di ore di cassa integrazione autorizzate aumenta sia nei confronti del settembre 2008 (+437,05%), sia nei confronti del mese di agosto 2009 (+95,30%). Tuttavia negli anni scorsi, segnala l'Inps, la velocità di questo incremento si presentava con tassi congiunturali assai più alti del 95,3% del settembre di quest'anno rispetto al mese precedente. Nel 2005 fu oltre il 250% e negli anni successivi si è sempre collocato tra il 100 e il 130%.

A livello tendenziale, invece, si stanno riproducendo gli incrementi di luglio e di agosto: «Si conferma una sorta di normalizzazione della crisi - commenta il presidente dell'Inps, Antonio Mastrapasqua - il comportamento delle aziende sta assumendo atteggiamenti analoghi a quelli degli anni passati, anche se i volumi delle richieste di cig sono ovviamente non paragonabili a quelli precedenti alla crisi esplosa circa un anno fa. Settembre mostra una ripresa delle richieste di cassa integrazione, rispetto ad agosto, ma in misura percentuale molto minore degli ultimi anni. Aspettiamo tra qualche giorno il dato del tiraggio per vedere se anche il consumo reale di cassa integrazione, al 61% fino al mese di agosto, si confermerà di molti punti percentuali inferiore a quello del 2008, quando si consumava il 77% delle ore richieste di cassa integrazione».

Anche le domande di disoccupazione mostrano una sensibile frenata nella dinamica di crescita: +32,8% in agosto 2009 rispetto ad agosto 2008. Diminuiscono anche i beneficiari delle indennità di disoccupazione: nel mese di maggio, ultimo dato disponibile stabilizzato tra entrate e uscite, sono stati poco più di 440.000 contro i 450.000 di aprile. Insomma, i dati emersi sono incoraggianti ma è opportuno non abbassare la guardia. Nel dettaglio le ore richieste di cassa integrazione a settembre si suddividono in poco più di 69 milioni di ore per la cassa ordinaria (cigo), 19.5 milioni di ore per la cassa straordinaria (cigs) e 16.2 milioni di ore per la cigs in deroga, che rappresenta il fattore di crescita più dinamico di tutto il sistema, e sostanzialmente, di impossibile confronto con lo scorso anno: con la «deroga» si è allargata di fatto la cig a una platea di aziende e lavoratori che prima non poteva accedervi.

L'applicazione degli ammortizzatori sociali in deroga per l'anno 2009 e seguenti trova riscontro normativo nell'art. 2, comma 36, della legge n. 203/2008, nell' art. 19 della legge n. 2/2009 e nell'art. 7-ter della legge n. 33/2009. Inoltre il 12 febbraio scorso Governo, Regioni e Province autonome hanno concluso un accordo in materia con riferimento al biennio 2009-2010: il Governo ha stanziato risorse nazionali per 5,35 miliardi (di cui 1.4 dal fondo per l'occupazione e 3.95 dal fondo per le aree sottoutilizzate), mentre le Regioni 2.65 miliardi, a valere sui programmi regionali Fse. L'articolo 19, comma 8, della legge n. 2/2009, dispone che «le risorse finanziarie destinate agli ammortizzatori sociali in deroga alla vigente normativa (...) possono essere utilizzate con riferimento a tutte le tipologie di lavoro subordinato, compresi i contratti di apprendistato e di somministrazione». Inoltre, il comma 10 del medesimo articolo 19 sancisce che il diritto a percepire qualsiasi trattamento di sostegno al reddito, ivi compresi quelli «in deroga», «è subordinato alla dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro o a un percorso di riqualificazione professionale».

Ed è proprio questa la vera e positiva novità introdotta dal governo in carica nel vetusto sistema nazionale degli ammortizzatori sociali. Finalmente è stata allargata, seppur in parte, la platea dei potenziali beneficiari ma, allo stesso tempo, si è cercato di creare un sistema di erogazione legato a situazioni dinamiche e non parassitarie. Siamo sulla buona strada; la speranza è che questa breccia creata all'interno dell'iniquo welfare italiano, che da sempre penalizza i lavoratori più giovani, porti nel più breve tempo possibile a una grande riforma del sistema degli ammortizzatori sociali che allarghi il mantello protettivo del welfare nostrano a tutti i giovani lavoratori che oggi ne sono sprovvisti.

domenica 4 ottobre 2009

Luci e ombre dal World Economic Outlook del Fmi


di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

venerdì 02 ottobre 2009


L'economia mondiale è tornata a crescere grazie a «un vasto intervento pubblico che ha supportato la domanda e abbassato le incertezze», ma la ripresa «sarà lenta». E' quanto afferma il Fondo Monetario Internazionale nel suo World Economic Outlook secondo cui bisogna affrontare ora le sfide della «crescita della disoccupazione e la riduzione della povertà». In particolare, ha spiegato il capo economista del Fondo Olivier Blanchard, «la ripresa è iniziata» e la situazione è radicalmente cambiata «rispetto allo scorso anno». Tuttavia, si legge nel rapporto, sarà una ripresa «lenta, con limitazioni al credito e, per un periodo, senza occupazione».

Secondo le stime fatte dal Fondo Monetario Internazionale il Pil italiano calerà del 5,1% nel 2009 per poi risalire dello 0,2% nel 2010. Il dato incoraggiante è quello sull'andamento del prodotto nel quarto trimestre del 2010: +0,8% rispetto agli ultimi tre mesi del 2009. Insomma, la ripresa dovrebbe essere costante e sempre più veloce nel corso dell'anno. L'Italia, quindi, dovrebbe essere pronta ad agganciare la ripresa e in grado di muoversi in linea con l'Eurozona, il cui Pil dovrebbe salire dello 0,3% nel 2010 dopo aver registrato un calo del 4,2% nel 2009 (le prime stime lo davano al -4,8%). In linea con noi la Germania (-5,3% quest'anno e +0,3% il prossimo), meglio la Francia (-2.4% nel 2009 e +0,9% nel 2010), e peggio la Spagna che, tra i grandi paesi del Vecchio Continente, è quella più colpita dagli effetti della crisi economica (-3,8% il pil nel 2009 e -0,7% nel 2010).

Purtroppo, secondo il World Economic Outlook, la ripresa non avrà ripercussioni positive sul mercato del lavoro. Nel nostro paese, secondo i dati del Fmi, il tasso di disoccupazione è destinato a salire dal 9,1% di quest'anno fino al 10,5% nel 2010. Un risultato migliore rispetto alla media europea dove i «senza lavoro» si dovrebbero attestare rispettivamente al 9,9% quest'anno e all'11,7% nel 2010. Sul fronte dei conti pubblici nostrani, il rapporto tra deficit e Pil, al lordo di eventuali correzioni, dovrebbe attestarsi al 5,6% sia quest'anno che il prossimo, mentre il debito dovrebbe collocarsi rispettivamente al 115,8% nel 2009 e al 120,1% l'anno prossimo (in Gran Bretagna dal 68,7% del 2009 all'81,7% nel 2010; in Germania, invece, si passerà dal 78,7% all'84,5%. Nel 2014 il debito nei Paesi dell'area euro potrebbe toccare quota 95,6%). Sotto controllo, e allo stesso tempo lontano da ogni rischio di deflazione, l'andamento dei prezzi al consumo: l'inflazione sarà pari allo 0,7% quest'anno e allo 0,9% il prossimo.

Il rapporto sembra promuovere anche gli interventi voluti dal governo per fronteggiare la crisi quando osserva che alcuni Paesi con più limitato spazio d'intervento, all'inizio della recessione, come Grecia e Italia, non erano in condizione di introdurre stimoli maggiori (pag. 76 del Rapporto). E anche la gestione del debito non si è mai tradotta in emergenza perché il sistema finanziario italiano non è stato tra quelli più fortemente colpiti dalla crisi (pag. 46 del Rapporto).

L'andamento negativo dei dati sull'occupazione nel Vecchio Continente è stato confermato anche dall'Eurostat, secondo cui continua a salire il tasso di disoccupazione nei Paesi dell'area dell'euro: in agosto ha raggiunto il 9,6% contro il 9,5% di luglio e il 7,6% dell'agosto 2008. Si tratta del tasso più elevato dal marzo del 1999. Nell'Ue-27 il tasso è stato del 9,1%, anch'esso in aumento rispetto al 9% di luglio e al 7% dell'agosto 2008. In questo caso si tratta del tasso più elevato mai registrato dal marzo 2004.

Insomma, da ultimo anche il Fondo Monetario Internazionale sembra intravedere una lieve ripresa dell'economia a partire nel prossimo anno, anche per quanto riguarda il nostro Paese, seppur in coincidenza, purtroppo, con un peggioramento del dato occupazionale. I dati del rapporto rilevano come l'Italia, seppur limitata nei suoi spazi di manovra da un debito pubblico enorme da gestire, è riuscita a rispondere in maniera efficace agli effetti della crisi e si trova sostanzialmente in linea con i parametri dell'eurozona.
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