domenica 31 maggio 2009

Immigrazione: ci mancava Amnesty International..


di Antono Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

sabato 30 maggio 2009


Giovedì 28 maggio Amnesty International ha presentato a Londra, Roma e in altre capitali, il proprio Rapporto Annuale 2009 che analizza la situazione dei diritti umani in 157 paesi e territori nell'anno precedente. Si legge nel Rapporto, con riferimento alla politica sull'immigrazione del nostro Paese, che «nei primi mesi del 2009 i rischi di detenzione arbitraria all'arrivo, assieme a una politica "del respingimento" che è andata crescendo nei toni e nella drasticità, hanno prodotto un momento di forte allerta per i diritti umani con l'improvviso mutamento delle prassi relative al centro di Lampedusa. Attraverso una decisione annunciata a fine dicembre 2008, il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha stabilito che, dopo l'arrivo, migranti e richiedenti asilo dovessero restare nel centro di Lampedusa per tutto il tempo necessario all'espletamento delle procedure amministrative. È stata così ribaltata la politica adottata sino a quel momento che considerava Lampedusa come luogo di soccorso, dove svolgere soltanto una primissima identificazione, prima che le procedure amministrative potessero essere avviate in altri centri della Sicilia e del territorio peninsulare. La nuova prassi ha avuto un grave impatto sui diritti umani di migranti e richiedenti asilo, che sono dovuti rimanere all'interno del centro di "Contrada Imbriacola" a Lampedusa per lungo tempo».

Ovviamente, con tutto il rispetto possibile verso l'attività svolta da Amnesty International, non si può non sottolineare come questa presa di posizione parte da presupposti sbagliati e cioè che Lampedusa dovrebbe essere solo un «luogo di soccorso e primissima identificazione», un posto cioè dove chiunque possa sbarcare in sfregio alle leggi sull'ingresso legale nel nostro Paese, facendo diventare l'Italia il ventre molle dell'Europa nel contrasto al fenomeno dell'immigrazione clandestina.

Si legge ancora nel Rapporto: «Ad aprile 2009 l'Italia si è impegnata in una discussione con la vicina Malta, durante la quale le disquisizioni di diritto internazionale marittimo sono state anteposte al salvataggio delle vite umane, che in quel contesto dovrebbe rappresentare la priorità assoluta. Il 16 aprile 2009 la nave cargo turca «Pinar» ha messo in salvo circa 140 migranti e richiedenti asilo, le cui barche correvano il rischio di colare a picco».

Come ben sappiamo, invece, il nostro governo è stato l'unico, tra i soggetti coinvolti nella querelle, a dimostrare la necessaria umanità nei confronti degli immigrati stipati sulla nave Pinar e a prodigarsi per la salvaguardia delle condizioni di salute di queste persone, nel totale disinteresse delle istituzioni maltesi e di quelle comunitarie. Tanto è vero che c'è stato il via libera della Farnesina per l'approdo della nave turca in Italia.

Continua il Rapporto: «Tra il 7 e l'11 maggio 2009, con una decisione senza precedenti, l'Italia ha condotto forzatamente in Libia circa 500 tra migranti e richiedenti asilo, senza alcuna valutazione sul possibile bisogno di protezione internazionale degli stessi e quindi violando i propri obblighi in materia di diritto internazionale d'asilo e dei diritti umani».

Innanzitutto il Rapporto dimentica di dire che la scelta della Libia non è casuale ma frutto di un accordo tra i due paesi che prevede l'utilizzo di questa procedura nei confronti di chi cerca di entrare illegalmente nel nostro territorio partendo dalle coste della Libia. E per quanto riguarda, invece, la questione dei richiedenti asilo, molti osservatori hanno fatto notare che in Libia c'è già un ufficio dell'Alto Commissariato dell'Onu per i Rifugiati e mancano solo alcune formalità burocratiche per attivarlo e che l'Italia si è già interessata per cercare di dare il proprio contributo per risolvere questo problema, che permetterebbe di istruire le richieste di asilo, non solo dirette al nostro Paese, direttamente in territorio libico.

Peccato che il Rapporto non vada a toccare i veri nodi della questione e cioè l'assenza delle istituzioni comunitarie in casi come quello della nave Pinar e l'atteggiamento ondivago degli organismi mondiali nei confronti della Libia; un paese che viene accusato nel citato Rapporto di non offrire protezione a migranti e rifugiati, omettendo, però, che proprio quello stesso paese è stato investito solo qualche anno fa dalle Nazioni Unite, su proposta dell'Unione Africana, dell'incarico di presiedere la 59esima Assemblea Plenaria della Commissione Onu per i diritti umani.

mercoledì 27 maggio 2009

Dal «Capitale» a «Novella 2000»



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

lunedì 25 maggio 2009

C'è un dato evidente che nessuno può contestare: la sinistra non ha più un'idea chiara della società e non ha proposte politiche adeguate da offrire alla gente, proposte che siano in grado di attrarre quei cittadini che sono fuori dal corpo elettorale identitario. In un'epoca in cui la politica si declina in modo vincente attraverso le forti leadership carismatiche (Berlusconi in Italia, Obama negli Usa, Zapatero in Spagna, Sarkozy in Francia, fino a poco tempo fa Blair in Gran Bretagna), rappresenta un deficit difficilmente colmabile la mancanza di una figura forte, in grado di fare una sintesi efficace degli input provenienti dalle varie anime della sinistra, capace di tradurre questa sintesi in un'offerta politica precisa e ben identificabile, di dare la rassicurante sensazione ai cittadini di avere le idee chiare su che cosa si vuole fare per lo sviluppo del sistema-paese, di fare da parafulmine in tempi di crisi e da trascinatore nelle fasi successive ai momenti difficili.

Sono 15 anni che la sinistra italiana si trova in questa situazione: senza idee e senza leadership carismatiche. Ma i vuoti, in politica, vengono sempre colmati, e in Italia il vuoto pneumatico della sinistra è stato riempito dalle inchieste delle magistratura nei confronti di Berlusconi e, soprattutto, dalle campagne di stampa aggressive, fondate sull'odio personale e sul disprezzo di tutto quello che può essere definito di centrodestra; un odio feroce che si è scagliato contro idee e uomini, tacciati sdegnosamente, tra le righe, di non avere la dignità necessaria per poter apparire sul palcoscenico della politica nazionale prima e di entrare nelle sistema istituzionale poi.

Chi guarda al centrodestra oggi può vedere un quadro chiaro: un forte leader carismatico e un'offerta politica precisa, in cui è possibile identificarsi. A sinistra, in mancanza di tutto questo, si pesca dove si può. L'ultimo terreno di caccia è quello del gossip: gli eredi del Pci sono passati dalla lettura de Il Capitale a quella di Novella 2000, dall'analisi della società a quella sulla vita privata delle persone in chiave scandalistica, dall'appoggio e all'attenzione al mondo operaio e al pubblico impiego alle morbose domande sulla privacy del presidente del Consiglio.

Così fa specie vedere una persona rispettabile come Enrico Letta usare toni scomposti, con riferimento al premier, in un'intervista all'Unità («Smettiamola di essere pudici e inchiodiamolo», 25 maggio, pag. 9); oppure vedere tutta la carica di odio di Rosy Bindi in un'intervista a La Stampa (25 maggio, pag. 7): «Niente più imbarazzi, l'antiberlusconismo deve essere un valore»; o ancora leggere le parole del direttore di Famiglia Cristiana, don Antonio Sciortino, che attacca a testa bassa il presidente del Consiglio dicendo che egli deve chiarire, perché «i media si fanno portatori di una domanda che viene dall'opinione pubblica». No, caro don Sciortino, scendiamo sulla terra, perché qui gli interessi in gioco sono molto meno nobili e quei media a cui lei si riferisce si fanno portatori di tutte le istanze possibili ed immaginabili, ma non certo di quelle che più interessano alla gente comune.

Insomma, uscita sconfitta nella battaglia delle idee per il governo del paese, la sinistra ora cerca di rifarsi sul terreno della chiacchiera gossippara, passando così dal poco al nulla. Dobbiamo decidere se sprecare energie cimentandoci tutti nel gossip e vivere in una soap opera permanente, dove a farla da padrone sono i rotocalchi scandalistici e gli esperti del pettegolezzo, oppure se il primo punto all'ordine del giorno debba essere il nostro futuro e quello del paese in cui viviamo.

mercoledì 20 maggio 2009

Caso Unhcr: serve buon senso, non chiacchiere inutili


di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

martedì 19 maggio 2009

Non si placa la polemica tra l'Italia e le Nazioni unite sul tema dei rimpatri dei clandestini. Lunedì scorso l'Alto commissariato Onu per i Rifugiati, Antonio Guterres, ha definito «negativi e infondati» i commenti rivolti all'Unhcr e «a singoli funzionari da un esponente del governo italiano». Il governo italiano non cede e resta compatto nel dire che l'Unhcr sbaglia nel criticare duramente l'Italia sui riaccompagnamenti.

Non esiste un caso La Russa-Unhcr e l'Italia chiederà alla Libia di riconoscere a tutti gli effetti l'ufficio dell'Alto Commissariato dell'Onu per i Rifugiati presente sul suo territorio. Lo ha detto il ministro degli esteri Franco Frattini nel corso di un incontro su immigrazione ed Expo 2015 a Milano. Il ministro ha ricordato che l'alto commissariato dell'Onu ha un ufficio in Libia, ma manca di un «accreditamento formale». «Sosterremo con forza il riconoscimento di questo ufficio - ha detto Frattini - e inoltre chiederemo a Tripoli che l'Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) organizzi con fondi europei programmi di rimpatrio degli immigrati dalla Libia ai loro Paesi di provenienza».

Insomma, il nostro governo non vuole certo peccare di inumanità ma solo agire come sempre con il massimo buon senso in una vicenda che per certi versi sta sfiorando il ridicolo viste le posizioni espresse da alcuni funzionari dell'Unhcr. Infatti non risultano prese di posizioni analoghe da parte dell'Alto commissariato Onu per i Rifugiati nei confronti di altri Stati europei non certo teneri nella salvaguardia delle loro frontiere come Spagna, Francia e Grecia. E' bello pontificare sul cosa fare dalle comode poltrone dell'Onu (diverso il discorso per quei tanti uomini e donne delle organizzazioni Onu impegnati seriamente in zone difficili del mondo e a sostegno di chi soffre). Molto più difficile è invece cercare di regolare al meglio, sul campo e con responsabilità dirette, i flussi degli immigrati e di respingere o espellere chi viola le leggi che disciplinano l'ingresso legale nel nostro paese. E' opportuno comunque fare dei distinguo e delle precisazioni perché temi così complessi e articolati non possono essere trattati con sufficiente genericità.

In sostanza l'Unhcr contesta all'Italia una politica troppo dura nei respingimenti dei clandestini, affermando che non si terrebbe conto di coloro che avrebbero i titoli per la richiesta del diritto di asilo. La Costituzione Italiana all'art.10, comma 3, sancisce che «lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge». In Italia non esiste una legge organica che disciplini il diritto di asilo.

I richiedenti asilo sono persone che, trovandosi fuori dal Paese in cui hanno residenza abituale, non possono o non vogliono tornarvi per il timore di essere perseguitate per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le loro opinioni politiche. Possono richiedere asilo nel nostro Paese presentando una domanda di riconoscimento dello «status di rifugiato». Secondo il «Rapporto annuale del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. Anno 2007/2008», sono 6.284, tra richiedenti asilo e rifugiati, le persone accolte nel 2007 dal Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), costituito dalla rete degli enti locali che realizzano progetti territoriali di accoglienza, con le risorse del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'Asilo.

Il problema dei richiedenti asilo c'è e non si può certo banalizzare, ma lo stesso rigore si deve avere nel rispetto delle leggi di questo Paese e della sua integrità, che certo non può essere messa a rischio dalle direttrici, sempre più affollate, dell'immigrazione illegale. E allora come sempre occorre dare spazio al buon senso. Come ha giustamente ricordato il ministro Frattini in Libia c'è già un ufficio dell'Alto Commissariato dell'Onu per i Rifugiati e mancano solo alcune formalità burocratiche per attivarlo. La Libia si faccia carico di questa incombenza e collabori con l'Unhcr visto che ne può trarre solo benefici in termini di migliore gestione dei flussi di persone in transito nel proprio territorio. Allo stesso tempo l'Ue incominci a fare la sua parte nelle politiche di prevenzione e repressione del fenomeno dell'immigrazione clandestina e per promuovere una equa distribuzione tra tutti i paesi europei dei richiedenti asilo e, soprattutto, dei richiedenti protezione internazionale (persone che hanno presentato richiesta di protezione internazionale e sono in attesa della decisione sul riconoscimento dello status di rifugiato o di altra forma di protezione).

Ed infine un appello ai singoli funzionari delle istituzioni internazionali che, invece di esternare a mezzo stampa, farebbero bene a collaborare «attivamente» alla risoluzione del problema e ad usare carta e penna, il telefono o l'email per interloquire con gli organi di governo nazionale, evitando inoltre di assumere posizioni capziose e poco rispettose dell'encomiabile lavoro svolto dai nostri militari nella salvaguardia delle frontiere nazionali e nelle operazioni di soccorso in mare delle persone in difficoltà.

lunedì 18 maggio 2009

IMMIGRATI: ALBENGA TRA RONDE DEL SINDACO E TELECAMERE CERCA L'INTEGRAZIONE

Savona, 17 mag. - (Adnkronos) - Albenga, provincia di Savona, 24mila cittadini, 2mila immigrati regolari indispensabili alla sua economia e un numero imprecisato di irregolari e clandestini, e' inquieta. I dati della Prefettura dimostrano che, in realta', la sicurezza nella citta' ligure non e' inferiore alla maggior parte delle citta' italiane, fatto sta che, in attesa di nuove telecamere sulle strade e nei negozi e di ulteriori contingenti di forze dell'ordine, il sindaco insieme agli assessori e i consiglieri della maggioranza di centro-sinistra, in questi giorni, si danno il cambio a pattugliare di notte le vie cittadine, a fianco dei vigili urbani, in una specie di ronda istituzionale "per fare sentire - spiega il primo cittadino Antonello Tabbo' - alla polizia municipale e alla cittadinanza che siamo loro vicini e che vogliamo risolvere il problema della sicurezza".
Entro giugno, infatti, 80 nuove telecamere, ordinate dall'amministrazione comunale, punteranno i loro occhi elettronici sulle vie e le piazze della citta'. E altre verranno installate a cura dei commercianti. Non solo: nuovi contingenti di poliziotti e carabinieri, o addirittura dell'Esercito, potrebbero aggiungersi agli effettivi che sorvegliano le vie della cittadina ligure, alle prese con i complessi problemi dell'immigrazione e della convivenza tra culture diverse. In particolare, a chiedere l'intervento di forze dell'ordine e militari e' stata una delibera votata all'unanimita' dal Consiglio comunale il 5 maggio scorso, al termine di una seduta notturna animata da attacchi e accuse reciproche tra maggioranza e opposizione e da una straordinaria partecipazione di pubblico.
Sicurezza, ordine pubblico, convivenza, sono parole ricorrenti ad Albenga, specialmente dopo l'episodio della notte tra il 25 e il 26 aprile scorso in cui un trentunenne marocchino ha rischiato di perdere la vita soffocato dal fumo dell'incendio della sua abitazione e 12 ragazzi italiani sono finiti in manette. A dare fuoco all'appartamento in cui dormiva lo straniero sono stati, a quanto risulta dalle indagini, alcuni degli italiani, per rappresaglia dopo un rissa, combattuta a colpi di cocci di bottiglia o coltelli, con un gruppo di maghrebini che abita nello stabile incendiato. Motivo della rissa: i ragazzi avrebbero orinato nei vasi di fiori posti sotto il palazzo.
Una vicenda in cui gli stranieri sono soltanto vittime e gli aggressori, forse, hanno agito per bullismo piu' che per odio razziale. Ma che ha riportato l'attenzione su un fenomeno agli albenghesi gia' ben presente, quello degli immigrati.
Carciofo spinoso, asparago violetto, pomodoro cuore di bue e zucchina trombetta sono le glorie ortofrutticole di Albenga che, unica citta' ligure dotata di una vasta pianura, puo' contare, oltre che su turismo, commercio e industrie, su fiorenti attivita' agricole. Centotrenta milioni di vasi con piante aromatiche o fiorite prodotte ad Albenga ogni anno passano l'Appennino, assieme all'olio di oliva e al vino Pigato, per invadere i mercati europei. A lavorare nei campi e nelle serre sono ormai, come nel resto d'Italia, in buona misura gli stranieri.
"La convivenza- dichiara il sindaco Tabbo' - comporta certo dei problemi che pero' non si risolvono con battute da bar padano, per usare un'espressione dell'ex ministro dell'Interno Giuseppe Pisanu.
Noi abbiamo fatto il possibile, ho emesso cinque ordinanze sull'ordine pubblico. Siamo intervenuti per impedire rifugi e accampamenti illegali, e per adeguare manutenzione del verde e illuminazione
pubblica. Entro giugno verranno installate altre 80 telecamere, carabinieri, polizia e vigili urbani stanno facendo un ottimo lavoro e noi abbiamo chiesto al Governo dei rinforzi, anche l'Esercito, se le forze di polizia non bastassero. I militari sarebbero benvenuti, Albenga ha avuto a lungo una grande caserma, le nostre ragazze sono cresciute tra i fischi dei soldati. Si fa quello che e' possibile fare a livello locale, poi ci sono problemi, come quello della certezza della pena, che vanno oltre le nostre responsabilita'".
"Gli immigrati - sottolinea il sindaco - sono nella stragrande maggioranza persone perbene, che qui lavorano e senza di loro la nostra economia non reggerebbe. Alcuni, tra irregolari e clandestini, non vivono onestamente e vanno isolati. Ma non diciamo che la citta' si trova in una situazione di pericolo. Non e' vero. Gia' la scorsa campagna elettorale era stata giocata sul tema della sicurezza, ora si continua, con un'enfatizzazione che distorce l'immagine di Albenga e rischia di provocare intolleranza tra i cittadini. Il fatto e' che questa e' l'unica citta' di una certa dimensione e con notevoli risorse economiche del Ponente ligure amministrata dal centro-sinistra. E' un boccone ghiotto, e per arraffarlo non si ci si fanno tanti scrupoli. E invece dovremmo lavorare tutti insieme, con serenita'. Occorre dialogo, dialogo, dialogo".
"Se fosse solo per le nostre denunce - replica Rosy Guarnieri - consigliere comunale della Lega Nord - non si spiegherebbe il comportamento della Giunta, che emette ordinanze, fa le ronde, chiede l'Esercito. La verita' e' che il problema esiste da tempo (la nostra prima mozione sul tema risale al novembre 2005) non e' stato affrontato e ora la situazione e' sfuggita di mano agli amministratori, che si trovano in uno stato confusionale. Si e' lasciato che irregolari e clandestini si stabilissero in citta' senza muovere un dito. Ora sono tantissimi, il doppio o il triplo dei regolari, nessuno lo sa con certezza. Per fare un esempio, noi della Lega abbiamo la sede nel centro storico, nel palazzo accanto al nostro e' un via vai continuo di stranieri. Ma ufficialmente non risulta nessuno straniero residente in quello stabile".
"Ci sono zone della citta', come viale Pontelungo e via di Mille trasformate in casbah - aggiunge l'architetto Roberto Schneck - consigliere del Pdl - dove il passante ha paura. Perche' si sono lasciati addensare call center e altri centri di aggregazione, senza alcun criterio urbanistico. Una vicenda che fa capire tante cose e' quella delle panchine. In certe zone le panchine sono diventate di uso esclusivo degli stranieri, che le usano anche per dormire o addirittura per avere rapporti sessuali. Molti cittadini hanno protestato, e cosa ha fatto la Giunta? Ha tolto le panchine. Ci sono state altre proteste, e le panchine sono state rimesse. E tutto e' tornato come prima".
"La nostra citta' non puo' essere rappresentata come il Bronx - sostiene Lorenza Giudice, presidente di Ascom Confcommercio di Albenga - non e' piu' pericolosa di tante altre. Ma non possiamo neppure negare che certe cose avvengano. Alcuni negozi negli ultimi tempi hanno subito furti, anche due o tre volte, si sono avuti atti di vandalismo, vetrine rotte. La verita' e' che Albenga sta cambiando, da paese e' diventata citta', e deve misurarsi con problemi che prima non conosceva e altrove sono ben noti. Uno e' quello degli stranieri non in regola. I regolari lavorano onestamente e alcuni sono anche titolari di esercizi commerciali, che gestiscono con dignita' e serieta'. Ma ci sono anche gli altri, quelli non in regola. Bisogna affrontare le difficolta' con misure concrete. Confcommercio, per esempio, ha elaborato un progetto con cui si assume il ruolo di coordinatore delle nuove telecamere che ciascun esercizio installera' utilizzando i fondi regionali. Le metteremo a sistema, integrandole con quelle pubbliche".
Dati oggettivi sulla situazione vengono dalla Prefettura di Savona, che ha elaborato un rapporto sulla sicurezza in citta' negli ultimi due anni. Il documento precisa che la situazione dell'ordine e della sicurezza pubblica nella citta' di Albenga e' notevolmente migliorata rispetto agli anni precedenti. I dati statistici mostrano una sensibile diminuzione del numero complessivo dei delitti consumati (-8,92%) e un lieve aumento di quelli scoperti (nel 2007 il 24,32 % - nel 2008 il 25,31 %). 6 - In forte aumento, tra la popolazione locale, senza distinzione di sesso ed eta', e' il consumo di cocaina, che permette comunque di condurre una normale vita sociale. Tra i giovani e i giovanissimi l'hashish e la marijuana sono gli stupefacenti piu' comuni e in auge.
Sono in corso, "oltre alle quotidiane azioni di contrasto, importanti operazioni relative al traffico di sostanze stupefacenti che hanno confermato il percorso dei rifornimenti nella zona". Aumento del consumo di droga, calo di furti e rapine, una numero di reati non diverso in proporzione da quello rilevato in tante altre realta' italiane: questo emerge, in sostanza, dal rapporto della Prefettura.
Che apre anche uno spiraglio tale, forse, da fare capire l'allarme dei cittadini, a dispetto delle statistiche. La popolazione del luogo - sottolinea il Rapporto - e' particolarmente sensibile ai fenomeni di degrado sociale (spaccio di droga e presenza di tossicodipendenti), ai fatti in cui rimangono vittime le categorie piu' deboli della cittadinanza (furti e truffe in danno di anziani, reati contro minori, ecc.) e a tutti i diversi comportamenti di prepotenza nei confronti della persona, di violazione alla proprieta' e mancanza di rispetto per la cosa pubblica''.
"Sono proprio gli attriti che nascono dalla vita quotidiana, gli episodi che magari non vengono registrati come delitti, come gesti di maleducazione, mancanza di rispetto per gli spazi pubblici, o malintesi nati da diversita' di culture - spiega Antonio Maglietta, consulente che lavora nel settore del diritto dell'immigrazione - a causare piu' spesso difficolta' di convivenza e integrazione e, quindi, malessere da parte di chi arriva e di chi accoglie. Il fatto e' che la percezione della realta' da parte di una popolazione e' sempre piu' ampia di quanto puo' riportare una statistica".
"Secondo il rapporto Ocse-Sopemi International Migration Outlook - riferisce - il 30% circa di chi vive nei Comuni con oltre diecimila abitanti considera l'immigrazione un problema di ordine pubblico in quanto causa dell'aumento della criminalita', mentre il 10,8% arriva a considerarla una minaccia. Questo non significa che siamo diventati tutti razzisti. Vuol dire che, ovunque, convivere tra gruppi diversi (diversi per cultura non per razza), e' difficile. Non per nulla in Europa i modelli di integrazione sono tutti falliti, basta vedere quello che accade nelle periferie di Parigi o di Londra. Non ci sono - prosegue Maglietta - modelli da seguire e non c'e' una soluzione unica: bisogna mettere in campo tutte le possibili azioni di integrazione, tanti piccoli interventi, nella scuola, nel lavoro, nel tempo libero. Sperimentare. E non aspettarsi tutto dal governo centrale. Dall'analisi dei dati di Albenga emerge un encomiabile lavoro delle forze dell'ordine. Mi domando, pero', quanto sia stato fatto a livello locale. Per esempio, in ogni provincia italiana esiste un consiglio territoriale per l'immigrazione, coordinato dal Prefetto, in cui sono presenti enti locali, forze dell'ordine, parti sociali. Deve monitorare il fenomeno e suggerire misure da intraprendere. Sarebbe uno strumento utile, ma quasi ovunque viene utilizzato poco e male. Che cosa hanno fatto ad Albenga? Il consiglio e' stato attivato?'', si chiede Maglietta.
Nella citta' ligure il rappresentante del Comune nel consiglio e' l'assessore Simona Vespo: fa sapere che l'organismo da tempo non si riunisce. Dei problemi relativi all'immigrazione ultimamente ha trattato il sindaco con il Prefetto. "Inoltre - prosegue Maglietta - bisogna accertare il numero effettivo di irregolari e clandestini: sono soprattutto loro a produrre reati, comportamenti fastidiosi. Non dimentichiamo che i regolari commettono, in proporzione, tanti reati quanto gli italiani. E comunque, gia' il numero dei regolari e' alto, sfiora il 10%''.
Secondo Eraldo Ciangherotti - presidente del Centro Aiuto Vita Ingauno, associazione della Caritas diocesana a sostegno della maternita' disagiata, frequentato soprattutto da donne immigrate, ''ad Albenga manca una vera progettualita' sociale nell'ambito dell'immigrazione, che si occupi degli stranieri che da noi oggi vivono e lavorano. Al di la' degli appuntamenti sulla questione sociale, promossi dal Comitato delle Pari Opportunita', non mi risulta che in citta' siano stati realizzati a tutt'oggi da questa amministrazione seri progetti sociali in grado di impedire lo sviluppo di pregiudizi nei confronti degli extracomunitari".
"Abbiamo bisogno - conclude Ciangherotti- di un impegno delle istituzioni locali immediato, forte e deciso. E' necessario costituire e rendere operativi dei comitati locali misti tra cittadini e extracomunitari per mettere a punto efficaci proposte strategiche di integrazione a tutti i livelli di interesse pubblico, dal lavoro al divertimento, dallo sport alle manifestazioni culturali e turistiche.
Soltanto attraverso un costruttivo percorso di integrazione sociale, scandito da regole chiare e condivise all'interno dell'amministrazione cittadina, e' possibile arrivare ad inquadrare gli stranieri, in Albenga, come una autentica risorsa e non come un peso o un limite sociale'', conclude.

venerdì 8 maggio 2009

Immigrazione: UE ed UA devono stringere un patto


di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

giovedì 07 maggio 2009

Un gruppo di immigrati, a bordo di tre distinti barconi, aveva lanciato il 6 maggio un Sos mentre si trovavano a Sud di Lampedusa, in acque internazionali di competenza maltese per quanto riguarda le operazioni di ricerca e soccorso. Dopo un nuovo scontro diplomatico con Malta sulle competenze relative agli interventi di soccorso, da Lampedusa erano salpate tre motovedette italiane che hanno poi raccolto i 227 extracomunitari.

Le trattative tra l'Italia e la Libia hanno poi portato alla decisione di rimpatriare immediatamente i migranti che erano partiti dalle coste nordafricane. Una decisione che ha incontrato il plauso anche del governo maltese. Il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha definito l'accordo con le autorità di Tripoli «una svolta nel contrasto all'immigrazione clandestina», ricordando che il 15 maggio partirà anche il pattugliamento congiunto Italia-Libia.

Secondo quanto si è appreso alla Valletta, Maroni avrebbe comunicato al suo collega maltese Bonnici i dettagli del negoziato condotto con il governo di Tripoli: una linea, quella del rimpatrio immediato, condivisa dai due ministri dopo i recenti scontri diplomatici tra Italia e Malta sul soccorso degli immigrati nel Mediterraneo. Bonnici aveva stemperato i toni della polemica, affermando che i due Paesi dovevano collaborare e avviare iniziative comuni per contrastare il fenomeno dell'immigrazione clandestina, sollecitando anche l'intervento dell'Unione Europea.

E' del tutto evidente che questa nuova azione segna un punto di svolta positivo e fondamentale nelle politiche di gestione delle nostre frontiere, che iniziano a levarsi di dosso lo scomodo abito di ventre molle del Vecchio Continente. E' vero anche, però, che quest'ultima vicenda riporta alla luce due nodi irrisolti e cioè l'ennesimo mancato intervento delle istituzioni comunitarie in situazioni del genere, sia dal lato della repressione del fenomeno dell'immigrazione clandestina, anche attraverso un maggior pattugliamento del Mediterraneo, che da quello della prevenzione con lo strumento della cooperazione economica (ma anche in parte militare e di polizia) con l'Unione Africana, con particolare riguardo ai paesi di provenienza dei clandestini e degli irregolari.

L'adozione dello strumento del rimpatrio «immediato» ha indubbiamente un effetto positivo nel contrasto al fenomeno dell'immigrazione clandestina perché scoraggia le partenze che hanno come destinazione finale o transitoria il nostro Paese. Ma è pur vero che non possiamo limitarci a questo e che non abbiamo le forze necessarie per contrastare da soli un fenomeno così grande. Abbiamo bisogno, quindi, di buone politiche nazionali di gestione delle frontiere, ed in tal senso il governo Berlusconi si sta muovendo bene, ma abbiamo soprattutto l'urgenza che di questo problema se ne occupino anche le istituzioni comunitarie sia nella fase della repressione che, soprattutto, nella fase della prevenzione. E' bene capire, infatti, che non si va da nessuna parte senza un percorso virtuoso, da iniziare il prima possibile, tra Unione Europea ed Unione Africana; possiamo vincere solo piccole battaglie ma non la sfida nel suo complesso se continuiamo così come fatto fino ad ora. Il modello da prendere in considerazione nel rapporto che dovrebbe auspicabilmente instaurarsi tra UE e UA, ovviamente con le necessarie varianti, è quello tra Italia e Albania, che ha portato in tempi ragionevoli alla scomparsa del fenomeno degli sbarchi delle navi piene di disperati, ad una sensibile diminuzione degli albanesi costretti a partire dai luoghi natii per cercare fortuna da noi e ad uno sviluppo economico di un paese che all'inizio degli anni '90 era letteralmente in ginocchio.

La sfida principale non è la diminuzione significativa dei flussi dei clandestini verso il Vecchio Continente, perché quella è una conseguenza, ma cercare di migliorare le condizioni di vita nei luoghi natii di chi è costretto a partire dai territori africani per scappare dalla fame o dalla guerra o, spesso, da entrambe le cose. Non è vero che i flussi di persone in movimento dall'Africa non si possono arrestare perché spesso il motore del mettersi in cammino non è dettato da una libera scelta ma da una costrizione: la fame e la guerra. E allora l'obiettivo da raggiungere è quello di combattere quella costrizione che porta tante persone a mettersi in viaggio dall'Africa verso l'Europa in cerca di fortuna, salvo poi spesso capire che qui da noi non c'è certo l'Eldorado.
Google