giovedì 25 febbraio 2010

La forza delle piccole imprese di fronte alla crisi


di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

mercoledì 24 febbraio 2010

Secondo l'indagine «Il rapporto banche-imprese», condotta in sinergia dall'Ufficio studi della Divisione Retail del gruppo UniCredit e dall'Ufficio studi di Confartigianato, presentata nei giorni scorsi a Bologna, le piccole imprese italiane non si sono fermate davanti alla crisi, ma l'hanno saputa affrontare, puntando sulla qualità, l'innovazione e l'internazionalizzazione. Tra settembre 2008 e settembre 2009 i finanziamenti alle imprese artigiane con meno di 20 addetti sono diminuiti del 3,4%, anche se nel complesso la quota prestiti è rimasta pressoché invariata. Nel secondo semestre 2009, rispetto allo stesso periodo del 2008, l'artigianato ha visto la produzione calare del 19,4%, gli ordinativi -18,3%, l'export -12,7 e il fatturato -18,4%. In calo anche l'occupazione: sono circa 108mila i posti di lavoro persi nel comparto manifatturiero nei primi nove mesi del 2009.

Pur in uno scenario così complesso, la fiducia non è crollata e gli imprenditori hanno continuato a pensare con ottimismo al rilancio della propria attività. Secondo l'indagine, condotta su un campione di circa 6mila imprenditori, quanto accaduto ha fortemente colpito il sistema produttivo, anche se il peggio sembra ormai alle spalle. Gli imprenditori intervistati dimostrano di guardare al futuro con un atteggiamento certamente più positivo rispetto al recente passato.

L'indagine, quindi, rileva come l'ancora di salvezza per le piccole imprese italiane, in questo particolare periodo, sia stata quella di migliorare la propria produzione, puntando su qualità e innovazione, e di rafforzare la propria presenza in nuovi mercati. Lo scorso anno, proprio su queste tematiche, il Parlamento ha approvato una legge, su iniziativa del Governo, che, tra le altre cose, ha riformato gli interventi di reindustrializzazione per renderli più efficaci e tempestivi attraverso appositi accordi di programma sottoscritti da tutti i soggetti pubblici e privati interessati e ha destinato risorse:

* per l'internazionalizzazione, con particolare riguardo all'operatività degli sportelli unici all'estero e all'attivazione di misure per lo sviluppo del «Made in Italy», per i progetti di innovazione industriale;

* per gli incentivi per la riorganizzazione dei processi produttivi dei sistemi di impresa nei distretti industriali, garantendo parità di accesso alle piccole e medie imprese e ai loro consorzi;

* per il sostegno alle aree industriali destinate alla progressiva dismissione e per le quali sia già stato predisposto un nuovo progetto di investimento finalizzato contemporaneamente all'internazionalizzazione dei prodotti;

* alla ricerca e allo sviluppo per l'innovazione del prodotto e di processo realizzati in collaborazione con università o enti pubblici di ricerca;

* all'integrazione delle attività economiche con le esigenze di massima tutela dell'ambiente e di risparmio energetico;

* all'accrescimento della competitività, con particolare riferimento alle iniziative per la valorizzazione dello stile e della produzione italiana sostenute dal Ministero dello sviluppo economico.

Lo stesso provvedimento ha delegato l'esecutivo ad adottare uno o più decreti legislativi per riordinare e semplificare le norme statali concernenti l'incentivazione delle attività economiche e, tra le varie disposizioni, ad individuare principi e criteri per l'attribuzione degli aiuti di maggior favore alle piccole e medie imprese. Inoltre, il governo è stato delegato ad adottare, sempre con la legge n. 99 del 2009, anche uno o più decreti legislativi per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia d'internazionalizzazione delle imprese e per la ridefinizione, il riordino e la razionalizzazione degli enti operanti in questo settore, nonché gli strumenti di incentivazione erogati direttamente dagli enti.

Sempre questo governo ha aumentato la dotazione del fondo di garanzia per il credito alle piccole e medie imprese, ha dato la possibilità di detrarre dall'imponibile delle tasse il 50% degli utili investiti per acquistare macchinari (in vigore fino al 30 giugno 2010), ha strappato alle banche la moratoria dei debiti con l'accordo del 3 agosto dello scorso anno e ha costituito un fondo strategico di 9 miliardi di euro per le imprese e a sostegno dell'economia.

Nel corso dell'ultimo question time svoltosi alla Camera dei Deputati, rispondendo ad una interrogazione presentata dal gruppo del Popolo della Libertà, il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, ha affermato che «con il potenziamento del fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, nel 2009 abbiamo dato risposta a 24.000 aziende, quasi il doppio del 2008, allentando la stretta creditizia e consentendo l'erogazione di finanziamenti per complessivi 4,5 miliardi» e che, con l'attivazione del fondo nazionale per l'innovazione, «abbiamo destinato 60 milioni al finanziamento di progetti innovativi basati sull'utilizzo economico dei brevetti, agevolando l'accesso al capitale di rischio e debito. Ulteriori 80 milioni sono stati stanziati per un pacchetto di servizi alle imprese ed agli enti pubblici di ricerca per l'innovazione. I nuovi contratti di innovazione tecnologica, destinati a programmi da oltre 10 milioni di euro, consentiranno, inoltre, di offrire alle imprese risorse preziose, aprendo ai giovani ricercatori italiani nuove prospettive professionali».

Insomma, se le piccole imprese italiane hanno retto all'impatto della crisi economica mondiale il merito è della loro lungimirante scelta di puntare sulla qualità, l'innovazione e l'internazionalizzazione, ma anche del sistema Paese che, anche grazie ai provvedimenti tempestivi e puntuali del governo, ha risposto in maniera egregia alle sollecitazioni e ha accompagnato questa scelta in un momento in cui tutti nel mondo sono in difficoltà e cercano di uscire al più presto e con pochi danni dal tunnel della crisi.

mercoledì 24 febbraio 2010

giovedì 18 febbraio 2010

Sicurezza e integrazione


di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

mercoledì 17 febbraio 2010

I noti fatti di via Padova a Milano, che hanno portato alla morte di un diciannovenne nordafricano, Ahmed El Sayed, e a una notte di guerriglia in quella zona, hanno riacceso il dibattito pubblico sulle tematiche relative all'integrazione. Occorre dire, innanzitutto, che le forze dell'ordine hanno fatto un lavoro esemplare sia nella gestione del focolaio di guerriglia a via Padova, che si era scatenato dopo la morte del giovane, sia nell'immediata opera di presidio massiccio del territorio per stroncare sul nascere il possibile ripetersi di questi atti di violenza contro persone e cose. Non è una questione da poco. La presenza dello Stato in loco, anche e soprattutto in queste situazioni, dev'essere ben visibile e percepita come l'inizio del percorso di pacificazione dopo la parentesi delle violenze.

I fatti in questione hanno scatenato una serie di polemiche da parte di alcuni esponenti politici dei partiti di centrosinistra contro la politica del centrodestra in materia di immigrazione. La principale accusa, in estrema sintesi, è stata quella di pensare solo alla sicurezza e poco all'integrazione. Tralasciando il caso di specie, è bene ricordare che le due questioni vanno insieme e non possono essere affrontate in maniera separata, e che mantenere l'asticella elevata in entrambe le materie non può che portare effetti positivi.

In primis bisogna riempire di significato le parole, perché il rischio concreto è di parlare del nulla. Secondo l'enciclopedia Treccani, con il termine «integrazione» si intende il «processo attraverso il quale gli individui diventano parte integrante di un sistema sociale, aderendo ai valori che ne definiscono l'ordine normativo. Sul piano microsociologico, è una funzione del processo di socializzazione, consistente nella formazione della personalità sociale dell'individuo attraverso la trasmissione dei modelli culturali e di comportamento dominanti, cui provvedono la famiglia, la scuola e i gruppi primari. Sul piano macrosociologico, nell'approccio struttural-funzionalista di T. Parsons, è un prerequisito del sistema sociale, volto ad assicurare legami stabili fra i suoi membri mediante il rafforzamento dei meccanismi di controllo sociale».

Qualsiasi seria politica d'integrazione non può non passare attraverso l'azione della scuola (innanzitutto con il rispetto dell'obbligo scolastico) e degli enti locali (dall'erogazione di servizi specifici come i punti informativi per gli immigrati fino agli interventi della polizia municipale). L'amministrazione centrale dello Stato, a sua volta, nelle sue varie articolazioni e nell'ambito delle azioni di sua competenza, non può certamente mettere in secondo piano il mantenimento dell'ordine pubblico. Cercare di far rispettare le leggi non vuol dire solo reprimere, ma anche difendere i valori che definiscono il nostro ordine normativo e, talvolta, anche iniziare un percorso di integrazione. A Roma un'amministrazione di centrodestra ha fatto chiudere e demolire il campo nomadi più grande d'Europa e trasferito i suoi 600 abitanti in posti più puliti e sicuri: sono state rispettate la legge e la dignità delle persone che vivevano in quel posto, con la prospettiva di una sempre maggiore integrazione sociale da parte di questa gente nel tessuto cittadino. Nei giorni scorsi, inoltre, dopo i noti fatti di Rosarno in Calabria, il governo ha deciso non solo di operare sul piano dell'ordine pubblico, ma anche di varare un piano straordinario di vigilanza nei territori del Meridione più sensibili alle problematiche del lavoro irregolare.

Quando si parla di immigrazione è ovvio che non si può parlare solo di sicurezza, ma è altrettanto scontato che, se non si esplicita bene che cosa si intende per integrazione, ci si ritrova a parlare del nulla e, di conseguenza, a non agire o a farlo male, così come hanno fatto i governi di centrosinistra con la politica delle porte aperte per tutti e l'immobilismo in materia di sicurezza. Nella ricerca di una via italiana nella costruzione di un efficiente sistema d'integrazione, alla luce dei fallimenti nel mondo di tutti i modelli conosciuti, capaci di creare solo tensioni e violenze nella società, occorrerà trovare un ragionevole equilibrio tra sicurezza e integrazione, partendo dal presupposto che entrambe le questioni investono tanto gli italiani quanto gli stranieri che decidono di vivere in maniera stanziale nel nostro paese. La sicurezza pubblica, infatti, è una condizione che consente a tutti (italiani e stranieri) il tranquillo svolgimento delle proprie attività e l'integrazione (nelle intenzioni) dovrebbe essere un patto che si sostanzia in un punto d'incontro dove non si annullano le differenze, si chiede agli immigrati di rispettare la nostra identità nazionale e le regole del nostro ordinamento in cambio della garanzia dell'accesso al lavoro, alla conoscenza e alle prestazioni sociali.

Poi c'è tutta una parte delle dinamiche relative all'integrazione (quelle sul piano microsociologico) dove lo Stato può fare qualcosa (attraverso la scuola) ma non tutto. Il processo di socializzazione, infatti, è un percorso individuale che dipende anche dai gruppi primari.

giovedì 11 febbraio 2010

Le azioni del governo per contrastare la crisi


di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

mercoledì 10 febbraio 2010

Quando si parla nel dibattito pubblico della crisi economica è sempre bene ricordare che dietro i numeri e le tabelle ci sono persone e famiglie in difficoltà e che analizzare l'andamento della crisi basandosi sui dati disponibili non significa certo sminuire la sofferenza di questa gente, ma solamente dare un quadro generale di quello che succede. I lavoratori colpiti dalla crisi e le loro famiglie, oltre al necessario aiuto, non possono che avere il massimo rispetto e la massima solidarietà possibile da parte di tutti.

Detto questo, nel dibattito pubblico sull'andamento della crisi economica vanno posti alcuni punti fermi. In primis la stabilità dei conti pubblici del nostro Paese, frutto della lungimirante scelta da parte di questo governo di varare una manovra triennale nel 2008. A questo va aggiunta la recente riforma che ha previsto un assetto più rigoroso nei documenti di bilancio (la legge di Stabilità al posto della Finanziaria e la Dfp, la Decisione di finanza pubblica, al posto del Dpef). Recentemente il direttore esecutivo per l'Italia del Fmi, Arrigo Sadun, ha affermato che il nostro «non è un paese a rischio per quanto riguarda la tenuta dei conti pubblici». La crisi, ha spiegato, «è stata affrontata in una posizione di relativa forza ed è stata gestita molto bene». Per questo, ha proseguito, «sarebbe una forzatura mettere l'Italia nel novero dei paesi a rischio». Il nostro paese, ha evidenziato il rappresentante del Fmi, «ha un problema di debito pubblico che non deriva dalla crisi ma che si trascina da molto tempo». Debito pubblico che, secondo Sadun, «ha imposto una politica fiscale estremamente prudente, di cui il mercato ha riconosciuto l'efficacia».

Seconda questione: la tutela dei posti di lavoro. La disoccupazione in Italia continua a salire ma si mantiene a un livello molto più basso della media europea. A dicembre - secondo gli ultimi dati disponibili (Istat e Ocse) - il tasso dei senza lavoro ha raggiunto l'8,5% (+0,2% rispetto a novembre e +1,5% rispetto all'anno precedente). Si tratta di un dato inferiore a quello medio dell'aerea Ocse (8,8%; dato stabile su base mensile e +1,8% su base annuale) e dell'area euro (10%; +0,1% rispetto a novembre 2009 e +1,8% rispetto a dicembre del 2008).

Inoltre, secondo i dati dell'Inps sono state effettivamente utilizzate il 63% delle ore autorizzate complessivamente per la cassa integrazione nei primi 11 mesi del 2009. L'Inps ha comunicato, inoltre, che nei primi 11 mesi dell'anno sono stati effettivamente spesi per la cassa integrazione poco più di 5 miliardi di euro, circa un terzo dei 16 miliardi messi a disposizione per il 2009. Per la cassa integrazione ordinaria il «tiraggio» (ore effettivamente utilizzate su ore autorizzate) è stato del 61% rispetto al 70% dello stesso periodo del 2008 mentre per la straordinaria il consumo si è fermato al 68% contro l'86% dello stesso periodo dell'anno precedente. Sempre secondo l'Inps, le richieste di cassa integrazione a gennaio 2010 sono diminuite del 17% rispetto a dicembre mentre sono aumentate del 186,6% rispetto a gennaio 2009, quando la crisi cominciava a manifestare i suoi effetti sul sistema produttivo. Si tratta di 84,5 milioni di ore autorizzate contro i 101,8 milioni autorizzate a dicembre 2009. Guardando nel dettaglio, è scesa rispetto al mese precedente soprattutto la cassa integrazione ordinaria (quella prevista per affrontare situazioni temporanee di mercato), che ha fatto segnare un confortante -20,78% (39,5 milioni di ore a gennaio contro i 49,9 chiesti di dicembre), mentre la straordinaria è scesa del 14,83% (25,1 milioni di ore contro i 29,5 di dicembre). E' diminuita rispetto a dicembre anche la cassa in deroga (strumento non disponibile a gennaio 2009) con un -11,16% (da 22,3 milioni di ore a 19,8). Tutti questi dati ci dicono in sostanza che il sistema degli ammortizzatori sociali del nostro Paese ha raggiunto l'obiettivo più importante: salvaguardare i posti di lavoro.

Al ministero dello Sviluppo economico, inoltre, da mesi i tecnici lavorano per assicurare un buon esito ai confronti fra aziende e sindacati. Una task force attivata dal ministro Claudio Scajola per affrontare gli effetti della crisi ha gestito nel 2009 più di 150 tavoli che hanno coinvolto oltre 300mila lavoratori. Poi i riflettori dei media magari si accendono solo in alcuni casi, ma c'è un enorme lavoro fatto da questo governo che magari non riceverà neanche 15 minuti di celebrità, ma certamente fa sentire in maniera forte la presenza delle istituzioni in tutte quelle situazioni delicate dove è in gioco il futuro dei lavoratori e delle loro famiglie.

Altra questione molto importante è la difesa dei risparmi e la tutela del sistema creditizio. Secondo i dati Istat, con riferimento al periodo compreso tra ottobre 2008 e settembre 2009, su base congiunturale la spesa delle famiglie italiane si è ridotta dello 0,6% e gli investimenti del 2,9%. La paura del futuro ha invece portato ad aumentare i risparmi dello 0,2% su base congiunturale e dello 0,4% su base tendenziale. La crisi ha spinto le famiglie italiane a contrarre consumi e investimenti più di quanto consentiva loro il reddito disponibile e nel periodo dove la crisi economica ha morso di più è invece aumentata la propensione al risparmio. A questo va aggiunto che il risparmio, uno dei punti di forza del sistema paese, è stato adeguatamente protetto dal Governo. In aggiunta ai sistemi di protezione già in vigore per i depositi dei risparmiatori, infatti, anche lo Stato ha offerto la sua copertura a protezione dei risparmi, fino a un massimo di 103mila euro, per un periodo di 36 mesi. E a questo vanno sommate le sanzioni alle banche nel caso in cui il trasferimento del mutuo non si perfezioni entro il termine di 30 giorni dalla richiesta, l'istituzione dei comitati di controllo del credito presso le Prefetture, il massimo scoperto ridotto allo 0,5%, le regole più favorevoli per la valuta assegni e i c.d. Tremonti-bond (obbligazioni emesse dalle banche italiane quotate in borsa e sottoscritte dal Ministero del Tesoro. Come contropartita, le banche pagano allo Stato una cedola annuale tra il 7,5 e l'8,5% per i primi anni e si impegnano a favorire il credito alle famiglie e alle imprese, soprattutto piccole e medie). In pratica il Governo, oltre a garantire la solidità del sistema bancario, ha messo in sicurezza i risparmi delle famiglie che, se in generale sono uno dei punti di forza del nostro sistema paese, in periodi di magra si trasformano in una vera e propria ancora di salvezza.

Non va certamente dimenticato, inoltre, che contemporaneamente è stata giocata anche la partita della difesa del reddito attraverso misure come l'abolizione dell'ici e dei ticket sanitari da 10 euro su diagnostica e specialistica, i bonus famiglia, elettricità, gas e vacanze, la sospensione per tutto il 2009 degli sfratti, la conferma della detrazione del 36% per la ristrutturazione e del 55% per il risparmio energetico, la detassazione per tutto il 2009 e il 2010 dei premi di produzione dei lavoratori con reddito fino a 35mila euro con un'aliquota secca del 10%, ecc.

Secondo gli ultimi dati Istat, inoltre, le retribuzioni nel 2009 sono cresciute più dei prezzi al consumo, anche grazie al rinnovo di gran parte degli accordi scaduti, alcuni dei quali con il nuovo modello contrattuale. Le retribuzioni contrattuali orarie nell'anno sono aumentate del 3% rispetto al 2008, meno del 3,5% registrato nell'anno precedente, ma molto più velocemente dell'inflazione che si è attestata allo 0,8%. Anche per i dipendenti pubblici l'aumento delle retribuzioni contrattuali è stato del 3%.

A questo va aggiunta anche la strategia del rilancio del piano delle grandi opere infrastrutturali avviato nel 2001 e quella sulla casa. Quest'ultima basata su tre linee d'azione: il c.d. «Piano Casa» (costruzione di 100.000 nuovi alloggi popolari in cinque anni), la c.d. «lex Silvia» (facilitare l'ampliamento di abitazioni già esistenti) e la vendita delle case popolari agli inquilini che già le abitano. Una serie di azioni che soddisfano una duplice esigenza: rispondere ai fabbisogni dei senza casa e dei vecchi proprietari e rilanciare il settore dell'edilizia che, dando lavoro a centinaia di migliaia di persone, può fare da traino per la ripresa economica (le organizzazioni del settore edilizio stimano in almeno 60 miliardi la cifra che queste misure attiveranno sul mercato).

In conclusione è possibile affermare che il governo ha messo in campo una serie di azioni per contrastare gli effetti della crisi nell'ambito di una visione globale che è stata basata sostanzialmente: sulla stabilità dei conti pubblici, sulla difesa dei posti di lavoro e dei risparmi, sulla tutela del sistema creditizio e del reddito, sul rilancio dell'economia attraverso il traino dell'edilizia.

sabato 6 febbraio 2010

Stop alle violenze contro le ragazze che vogliono vivere all’occidentale



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

venerdì 05 febbraio 2010

Il ministro francese dell'Immigrazione, Eric Besson, ha trasmesso nei giorni scorsi un progetto di decreto al premier François Fillon perché sia respinta la richiesta di naturalizzazione di un cittadino marocchino. Il motivo, secondo il quotidiano Le Figaro, è che l'uomo obbliga la moglie ad uscire solo con il burqa, comportamento ritenuto incompatibile già dal Consiglio di Stato con i valori della Costituzione francese.

In Italia, invece, la vicenda della sposa bambina di 13 anni o della 17enne pachistana, maltrattata dalla propria famiglia che non sopportava il suo stile di vita troppo occidentale e le sue amicizie italiane, senza dimenticare i casi agghiaccianti di Hina Saleem e Sanaa Dafani, confermano, se ancora ce ne fosse bisogno, come anche nel Belpaese esistano situazioni pericolose all'interno di alcuni nuclei familiari stranieri dove si vive secondo usi e costumi incompatibili con i nostri valori e le nostre leggi. Si tratta di situazioni pericolose in primis per le potenziali vittime di queste barbarie, spesso ragazzine che hanno come unica colpa quella di voler vivere una vita diversa da quella del modello imposto dai propri genitori.

Gli italiani, infatti, almeno da quello che emerge da alcune ricerche, non sembrano essere preoccupati dalla diversità culturale ma da altro: concorrenza nel mondo del lavoro e criminalità. Secondo la ricerca «Gli atteggiamenti verso l'integrazione sociale degli stranieri», realizzata da GfK Eurisko per l'Osservatorio permanente Giovani editori, gli italiani hanno un atteggiamento abbastanza critico verso la presenza di stranieri, condito per lo più dal timore per l'aumento della criminalità e l'insicurezza nelle città, e «tale atteggiamento tende a migliorare nei segmenti più colti e elitari della popolazione», è altrettanto vero che «i giovani tendono ad essere più critici rispetto ai segmenti adulti». Per il 76% del campione intervistato, infatti, la presenza di stranieri nella città o paese in cui si vive è percepita come «molto o abbastanza numerosa», ma solo il 22% vede in maniera positiva questo fenomeno. Numeri decisamente più negativi di quelli riferiti agli adulti, il 71% dei quali percepisce una folta presenza di stranieri e il 35% ne ha un'opinione positiva. Non sono tanto le differenze culturali e religiose a spaventare i ragazzi, ma la sensazione di aumento dell'incertezza quotidiana (la criminalità) e la precarietà del proprio futuro, soprattutto lavorativo. Per quasi il 60% dei ragazzi intervistati, infatti, gli stranieri sono un problema per le opportunità di lavoro degli italiani, mentre per il 55% ingrossano le fila della criminalità comune.

Contrastare con forza i comportamenti di alcuni stranieri in Italia a danno delle loro consanguinee, quando sfociano in veri e propri atti di violenza, significa difendere le vittime degli abusi, far rispettare il nostro ordinamento e salvaguardare il nostro modo di vivere libero e tollerante da chi vive e vuole far vivere anche gli altri secondo schemi che nulla hanno a che vedere con la nostra cultura.

John Stuart Mill nel trattato Sulla libertà, pubblicato nel 1859, definiva la tolleranza come «libertà di pensare e di sentire, libertà assoluta di opinione e sentimento su qualsiasi tema, pratico o speculativo, scientifico, morale o teologico». Il limite della tolleranza in quest'ottica è dato dalla proibizione di cagionare un danno a qualcuno. Insomma, le differenze possono e devono essere tollerate o riconosciute solo nella misura in cui non violano i diritti fondamentali della persona, né mettono a repentaglio la costituzione stessa della società, la possibilità di una convivenza pacifica tra individui e gruppi eterogenei. Difendere queste ragazze significa anche difendere noi stessi.
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