mercoledì 30 aprile 2008

Immigrazione illegale e criminalità



di Antonio Maglietta - 29 aprile 2008

Circa il 35% dei reati in Italia sono commessi da stranieri, con i romeni al primo posto. E sono soprattutto i clandestini a delinquere, mentre tra gli immigrati regolari il tasso di criminalità è, in media, in linea con quello degli italiani. Questi gli ultimi dati del Viminale, dopo che negli ultimi giorni diversi episodi di criminalità hanno visto come autori proprio degli stranieri: l'ultimo caso l'omicidio della coppia veronese, per cui è stato arrestato un giovane romeno che ha confessato il delitto.

Nel periodo gennaio-agosto 2007 sono state denunciate o arrestate complessivamente 567.000 persone, di cui circa 364.000 italiani e 203.000 stranieri (pari appunto al 35% del totale). Tra questi ultimi, 32.468 sono di nazionalità romena. Nei primi otto mesi dell'anno, il totale delle segnalazioni riguardanti i romeni corrisponde al 5,71% del totale dei reati ed al 16% del totale di quelli commessi da stranieri. Da poco più di un anno, da quando è entrato in vigore l'accordo di collaborazione tra le polizie italiana e romena, sono stati oltre 1.100 i cittadini romeni arrestati in Italia e più di 2.000 i denunciati.

La quota di stranieri autori dei reati è cresciuta con l'aumentare della presenza degli immigrati in Italia: ad esempio, nel 1988 la quota di stranieri sul totale dei denunciati per omicidio era del 6%, contro una popolazione straniera residente in Italia pari allo 0,8%; dieci anni dopo, gli immigrati denunciati per omicidio salgono al 18%, contro l'1,7% degli stranieri in Italia; nel 2006 la quota di stranieri denunciati per omicidio balza al 32%, contro una popolazione straniera del 5%. Sono romeni, marocchini ed albanesi a commettere più reati, anche perché sono numericamente le nazionalità più numerose tra quelle presenti in Italia.

Per quanto riguarda gli omicidi, i romeni sono al primo posto (il 15,4% del totale degli stranieri denunciati per questo reato), seguiti dagli albanesi (11,9%) e dai marocchini (9,1%). Anche per le violenze sessuali i romeni sono in testa (rappresentano il 16,2% del totale degli stranieri denunciati per questo reato), seguiti dai marocchini (15,9%) e dai croati (13,9%). Per le rapine in casa, ancora romeni al comando (19,8%), seguiti da albanesi (13,8%) e marocchini (8,7%). Per gli scippi, i marocchini sono al primo posto (20,6%), seguiti da romeni (19,3%) e albanesi (6%). Per quanto riguarda i furti d'auto, i romeni tornano in testa (29,8%), seguiti da marocchini (13,2%) e albanesi (8,8%). Per le estorsioni, infine, ancora romeni primi (15%), seguiti da albanesi (11,2%) e marocchini (10,7%).

Nel frattempo è stato raggiunto l'accordo tra Consiglio, Commissione e Parlamento Ue sulle regole comuni per il rimpatrio dei clandestini: si attende solo il via libera definitivo dell'europarlamento (il 4 giungo prossimo) e poi la direttiva, che cerca di dare omogeneità alle diverse politiche sul rimpatrio degli immigrati illegali, si applicherà a tutti gli Stati membri. Il testo proposto dalla Ue ha lo scopo di rendere più semplice e trasparente il processo di rimpatrio di quanti giungono in uno dei 27 Paesi dell'Unione senza permesso di soggiorno. Ai clandestini saranno garantiti dai 7 ai 30 giorni per fare ritorno in patria spontaneamente, dopodichè, e solo come secondo passo, sarà emesso un provvedimento di rimpatrio. Inoltre, un clandestino rimpatriato da uno Stato membro non potrà fare ritorno in nessuno degli Stati dell'Unione europea, in forza di un bando provvisorio che potrà essere reso permanente in caso di grave pericolo per la sicurezza nazionale. La direttiva stabilisce poi un limite per la detenzione dei clandestini nei centri di permanenza temporanei (Cpt) e obbliga i Governi a garantire alle organizzazioni non governative l'accesso a tutti i Cpt.

Antonio Maglietta

venerdì 25 aprile 2008

Gli amici «disobbedienti» di Rutelli



di Antonio Maglietta - 24 aprile 2008

Il ballottaggio tra Gianni Alemanno e Francesco Rutelli per la guida del Campidoglio ha trasformato le strade di Roma, dal centro alla periferia, nel crocevia della politica nazionale. Per il centrosinistra il risultato della Capitale è diventato uno snodo fondamentale; una sconfitta o una vittoria inciderebbero in maniera decisiva sulle future carriere di buona parte della classe dirigente del Partito Democratico, in una sorta di sliding doors politico dai risultati imprevedibili. Tutti i big del partito di Prodi e Veltroni sono in questi giorni a Roma, in giro per le vie della città, per appoggiare la candidatura di Rutelli. Visto, però, che si tratta in gran parte di ministri o sottosegretari del governo uscente, quello che entrerà negli annali come l'esecutivo con il più basso indice di gradimento della storia repubblicana, ancora non è chiaro se si tratta di presenze per sostenere o per avversare la candidatura del già due volte sindaco della Capitale. Infatti, non dovrebbe fare proprio un bell'effetto sentirsi fare il predicozzo sui «faremo» da chi, nella realtà, ha fatto poco e male negli ultimi due anni alla giuda del paese.

Soprattutto in tema di sicurezza e immigrazione. Su quest'ultima materia sia il Pd che la Sinistra Arcobaleno vorrebbero l'introduzione, nel nostro ordinamento, degli istituti della sponsorizzazione e dell'auto-sponsorizzazione per far venire liberamente nel nostro paese gli immigrati senza un pregresso contratto di lavoro. Senza contare, poi, la volontà pervicace con cui hanno cercato in tutti i modi di affossare la legge Bossi-Fini nel corso di tutta l'ultima legislatura attraverso la chiusura dei Cpt (introdotti dalla legge Turco-Napolitano) e la dilatazione dei flussi di ingresso. Ma è sulla sicurezza che il centrosinistra ha dato e continua a dare il peggio di sé. I due anni di governo, infatti, si sono caratterizzati per gli annunci che poi, nella realtà, si sono tradotti in un nulla di fatto. L'esempio lampante è stato il famoso decreto-sicurezza, adottato sull'onda emotiva della morte della signora Reggiani a Roma, fatto decadere dallo stesso governo per errori grossolani presenti nel testo (un riferimento sbagliato ad un trattato internazionale) e per convenienza politica dettata da beghe di cortile e liti di Palazzo (la sinistra antagonista era nettamente contraria al varo). Forse anche memore di questa figuraccia, Veltroni, da neo-segretario del Partito Democratico, aveva detto «no» all'alleanza con la Sinistra Arcobaleno.

Nella Capitale, invece, Rutelli, per la corsa a sindaco, è riuscito a rimettere insieme tutto l'arco dei partiti che sosteneva in parlamento il governo Prodi, riportando all'ombra del Cupolone tutte le laceranti contraddizioni politiche interne mai risolte, ma solamente sopite dalla voglia di mantenere a tutti i costi il controllo del Campidoglio. Tra le note stonate più evidenti ed imbarazzanti per l'ex sindaco di Roma, un nome di battaglia su tutti: Tarzan, al secolo Andrea Alzetta, leader di Action, associazione che opera nel campo delle politiche abitative in maniera spicciola, cioè occupando le case, sia quelle sfitte di alcuni complessi residenziali privati che quelle di edilizia pubblica, senza tener conto di alcuna graduatoria, della proprietà privata e, in generale, delle leggi. Alzetta, grazie al suo attivismo, in questa tornata elettorale, è stato il primo consigliere comunale eletto nelle liste della Sinistra Arcobaleno nella Capitale con più di 2.000 preferenze. Un risultato di tutto rispetto che dimostra anche il seguito non indifferente che c'è a Roma dietro Action.

In uno scontro elettorale che si giocherà su una manciata di voti, Rutelli ha bisogno in maniera vitale di avere anche il supporto di un gruppo che non fa mistero di agire nell'illegalità, tanto che, per fugare ogni dubbio, sui manifesti elettorali affissi per tutta Roma Alzetta ha fatto scrivere a caratteri cubitali: «Occupare case è reato? ...Ma Tarzan lo fa!». Ma se l'apporto di Action è fondamentale per mantenere vive le speranze di Rutelli nella corsa per il Campidoglio, è ovvio che la stessa associazione, se il centrosinistra guiderà Roma, avrà un ruolo di primo piano nella gestione politico-amministrativa della Capitale. Viene da chiedersi: ma una volta le istituzioni non combattevano l'illegalità? Qui sembra che il centrosinistra voglia portare nelle istituzioni chi agisce nell'illegalità. Francamente, con tutti i problemi di sicurezza che affliggono la Capitale, non ci sembra che questa possa essere la scelta migliore. A questo punto, dopo 15 anni di governo della sinistra, Roma ha bisogno di cambiare in meglio su tanti fronti, e a maggior ragione su quello della sicurezza.

Gianni Alemanno, candidato del Pdl nella corsa al Campidoglio, forte anche del «Patto con Roma», firmato nei giorni scorsi anche da Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini e Alfredo Antoniozzi (candidato del Popolo della Libertà alla guida della Provincia di Roma), è l'uomo giusto per avere quella svolta positiva nella gestione politico-amministrativa della Capitale che i romani attendono oramai da troppo tempo.

Antonio Maglietta

mercoledì 23 aprile 2008

I disastri del centrosinistra sulla stabilizzazione dei precari



di Antonio Maglietta - 22 aprile 2008

In tempi non sospetti in Parlamento, nell'ambito della commissione Lavoro della Camera, con riferimento alle due finanziarie del centrosinistra (2007 e 2008), il centrodestra presentò, in entrambi i casi (relazione del 18/12/2006 sulla Finanziaria 2007 e del 27/11/2007 sulla Finanziaria 2008), delle proposte di relazione in cui si evidenziava che, in materia di stabilizzazione dei cosiddetti precari, i testi, oltre ad essere lacunosi ed irrazionali, violavano gli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione poiché non garantivano la parità di trattamento di tutti i cittadini e facevano venir meno la garanzia della validità della selezione. Il 14 febbraio 2007, un'interpellanza urgente presentata da Simone Baldelli e sottoscritta da 60 deputati di Forza Italia, rilevò nel dettaglio tecnico le criticità in materia della Finanziaria 2007 e profeticamente recitava nel dispositivo: «Se il Governo non intende assumere iniziative per correggere al più presto questa normativa che, manifestando possibili profili di incostituzionalità, crea disparità di trattamento, genera difficoltà di natura finanziaria, e comporta problemi di carattere gestionale all'interno del sistema pubblico».

A circa un mese di distanza, il 29 marzo 2007, una mozione presentata dallo stesso autore della precedente interpellanza, e sottoscritta da tutto il centrodestra, il cui dispositivo fu poi in parte accolto, ripropose la questione, sottolineando, tra le altre cose, che: «Dopo anni di blocco e di relative proroghe di graduatorie vi sono oltre 70.000 vincitori di concorso ed altrettanti idonei che potrebbero vantare un diritto maggiore e costituzionalmente legittimo di essere assunti e che, soprattutto, potrebbero rappresentare l'ingresso di energie giovani, motivate e preparate nella pubblica amministrazione, energie indispensabili se si vuole realmente perseguire l'obiettivo della modernizzazione; in ottemperanza al principio di cui all'articolo 97 della Costituzione, l'articolo 36 del decreto legislativo n. 165 del 2001 esclude che la violazione di norme imperative relative a forme contrattuali flessibili da parte delle pubbliche amministrazioni possa in ogni caso dar vita alla trasformazione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro; la diffusione di forme contrattuali flessibili nel pubblico impiego sia stato sostanzialmente un modo per le pubbliche amministrazioni per eludere le norme di legge dirette a contenere il numero dei pubblici dipendenti (attraverso limitazioni al turn over) nonché il vincolo costituzionale del pubblico concorso; l'altro potente incentivo al ricorso a forme flessibili di lavoro anche per soddisfare esigenze ordinarie di funzionamento delle amministrazioni sia stato storicamente rappresentato dalla eccessiva rigidità del lavoro pubblico sia in termini di mobilità, che in termini di orario di lavoro (basti pensare all'incomprensibile penalizzazione dei compensi per il lavoro straordinario che si registra in tutti i contratti collettivi del pubblico impiego), tematiche affidate alla contrattazione con i sindacati, i quali sono del tutto indisponibili sul punto, nonostante il gran parlare di incentivazione della produttività; l'insieme di norme crea una incostituzionale disparità di trattamento in quanto diverse sono le tipologie di lavoratori che possono essere stabilizzate dalle varie amministrazioni senza che tali differenze, abbiano un fondamento razionale; la situazione di confusione è ulteriormente destinata ad aumentare considerata la facoltà per le amministrazioni di individuare i propri precari con regolamento».

Sempre in tempi non sospetti, anche da Ragionpolitica [dall'articolo del 19 dicembre 2006 fino a quello del 16 marzo scorso nel suo piccolo e nel silenzio assoluto dei media, sono state sollevate perplessità in ordine alla costituzionalità e all'opportunità di tali scelte, che non solo tendevano ad affossare il criterio del merito ma anche a ingenerare, tra i potenziali beneficiari della stabilizzazione, speranze che si sarebbero rivelate poi vane. Una doppia colpa del centrosinistra chiara sin dal dicembre 2006, al momento del varo della Finanziaria 2007.

Il 18 aprile scorso, lo stesso Ministro per le Riforme e le Innovazioni nella pubblica amministrazione, Luigi Nicolais, ha dovuto ammettere in una circolare che i criteri delle stabilizzazioni sono «approssimativi» e che «la disciplina in argomento ha determinato come effetto una forte aspettativa in capo agli interessati nonché un condizionamento sulle scelte gestionali degli enti che spesso hanno elaborato il loro fabbisogno di personale per rispondere alle pressioni interne, anche di origine sindacale, che ne sono derivate». In pratica un vero pasticcio. Per evitare il collasso, lo stesso ministro, alla fine della circolare, ha fatto riferimento alle «responsabilità e le sanzioni previste per la violazione delle disposizioni in materia di reclutamento ed assunzioni» ed ha richiamato «gli organi di controllo interno, i servizi ispettivi e gli ispettorati deputati al controllo a verificare periodicamente e comunque nell'ambito delle proprie competenze l'applicazione dei principi e delle disposizioni richiamate con la presente circolare».

Dulcis in fundo, un articolo de Il Sole24Ore di venerdì scorso ha riportato la notizia che lo stesso Dipartimento della Funzione Pubblica del ministero retto da Nicolais, in un parere rivolto all'Avvocatura Generale dello Stato, ha ammesso che le procedure di stabilizzazione introdotte dalla due ultime leggi finanziarie «non sono in linea» con la Costituzione ed in particolare con gli artt. 3 e 97. A questo punto sarebbe fin troppo facile sparare sulla Croce Rossa e ricordare le dichiarazioni propagandistiche del centrosinistra sulla bontà di quell'impianto. Ci basta ricordare che hanno perso le elezioni e che per i prossimi anni non saranno certo loro a decidere sulle dinamiche del pubblico impiego.

Antonio Maglietta

lunedì 21 aprile 2008

Damiano fa il furbo sui call center


di Antonio Maglietta - 19 aprile 2008

Con ricorso depositato il 10 marzo 1998, una società esercente attività di prestazioni di servizi per il settore pubblicitario conveniva l'Inps avanti al Tribunale di Padova per sentire accertata la natura autonoma del rapporto di lavoro intercorso con 27 lavoratori, in maggior parte donne, con mansioni di telefonista o segretaria, di cui al verbale ispettivo n. 7314/97 dell'11 novembre 1997. Il Tribunale, con sentenza n. 19/2001, dava ragione alla società. La Corte di Appello di Venezia, invece, in parziale riforma della decisione del Tribunale, dichiarava che il lavoro svolto da n. 15 dipendenti, tra quelli indicati nel rapporto ispettivo, aveva natura subordinata e di conseguenza condannava la società al pagamento dei contributi. Per la cassazione di tale sentenza la società aveva proposto ricorso alla Suprema Corte (sezione lavoro). La Corte di Cassazione, con sentenza n. 9812/2008, depositata il 14 aprile scorso, ha respinto il ricorso.

Apriti cielo. L'Unità, in una intervista al Ministro del Lavoro, Cesare Damiano, ha preso la palla al balzo ed ha titolato giovedì a pag. 17: Sui precari aveva ragione il governo. La sentenza della Cassazione va nella direzione indicata dal ministero del lavoro.Quale? E' lo stesso Damiano a precisarlo nell'intervista: quella indicata dalla circolare del Ministero del Lavoro n. 17 del 14 giugno 2006, dall'avviso comune delle parti sociali del 4 ottobre 2006 e dall'inserimento delle normative nella Finanziaria 2007.

In sostanza Damiano, pur riconoscendo la bontà della Legge Biagi in materia, si è arrogato la patente di erogatore di tutele a favore dei giovani che lavorano nei call center. Niente di più falso. Si legge infatti nella citata sentenza: «Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte l'elemento decisivo che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato dal lavoro autonomo è l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro ed il conseguente inserimento del lavoratore in modo stabile ed esclusivo nell'organizzazione aziendale. Costituiscono poi indici sintomatici della subordinazione, valutabili dal giudice del merito sia singolarmente che complessivamente, l'assenza del rischio di impresa, la continuità della prestazione, l'obbligo di osservare un orario di lavoro, la cadenza e la forma della retribuzione, l'utilizzazione di strumenti di lavoro e lo svolgimento della prestazione in ambienti messi a disposizione dal datore di lavoro (vedi tra le tante Cass. n. 21028/2006, n. 4171/2006, n. 20669/2004)».

Altro che direzione indicata dal Ministero del Lavoro! La direzione l'ha indicata la Legge Biagi e la giurisprudenza costante della Corte di Cassazione che, come è possibile prendere atto leggendo la sentenza, è arrivata a certe conclusioni ben prima della famosa circolare a cui fa riferimento Damiano che è datata 14 giugno 2006. Siamo alle solite e, ancora una volta, va registrato che, nonostante la dura sconfitta sancita dalle urne, gli esponenti del governo di centrosinistra ancora si ostinano a rivendicare presunti meriti che in realtà non hanno. Ma se proprio insistono almeno uno va riconosciuto: essere stati al governo due anni anziché i canonici cinque. Per il bene del Paese è un merito che gli riconosciamo.

Antonio Maglietta

giovedì 17 aprile 2008

IdV e Radicali: le spine nel fianco del Pd


di Antonio Maglietta - 16 aprile 2008

Il netto distacco tra Berlusconi e Veltroni ha dimostrato che ancora una volta il Cavaliere sente come nessun altro il polso del Paese. Un polso tremante che ora ha bisogno di una cura di ferro, di tanto lavoro e tanta pazienza. La larga maggioranza che il centrodestra ha conquistato in entrambi i rami del Parlamento fornisce ampie garanzie sulla stabilità del nuovo governo, a cui spetterà il difficile compito di portare il Paese fuori dalle secche nelle quali si è impantanato per l'incapacità manifesta dell'esecutivo di centrosinistra, per le difficili sfide imposte dalla globalizzazione e per la crisi economica mondiale. Gli italiani erano oramai stanchi di una offerta politica in cui le coalizioni si contraddistinguevano più per le risse interne e per i veti che per una risposta forte alle domande della gente. Le persone non ne potevano più di dover combattere in solitudine contro le inquietudini della quotidianità imposte dal caro-vita, senza un governo ed una classe politica in grado di far vedere la luce alla fine del tunnel e di tracciare una via meno tortuosa solo perché il Palazzo non era in grado di prendere decisioni e di agire a causa di veti pretestuosi, imposti o per piazzare inutili bandierine ideologiche o, peggio ancora, per strappare un pò di visibilità. Per fortuna almeno non saremo più spettatori infastiditi di questa indecenza che ha caratterizzato buona parte della vita politica italiana degli ultimi anni.

La valanga di voti che ha incoronato Silvio Berlusconi si spiega anche così. Il Cavaliere, infatti, ha dato al corpo elettorale un'offerta politica chiara e netta, sia per quanto riguarda i contenuti che nei soggetti interpreti degli stessi. L'alleanza del Popolo della Libertà con la Lega Nord e con il Movimento per l'Autonomia è stata percepita dagli elettori nostrani come un soggetto politico molto più coeso ed omogeneo rispetto all'offerta veltroniana e, quindi, in grado di prendere quelle decisioni, anche difficili, che attendono il prossimo governo. Il Partito Democratico, infatti, con l'intento di raggranellare qualche voto in più, e disattendendo l'iniziale promessa di correre da soli alle elezioni, aveva imbarcato i Radicali di Marco Pannella ed Emma Bonino mettendo insieme, sotto lo stesso tetto, i mangiapreti ed i teodem. Oggettivamente un segnale di caos e non di coesione. Ma ancora prima aveva deciso di stringere un'alleanza con il partito di Antonio Di Pietro che sia prima che dopo elezioni, pur se con qualche equilibrio lessicale, aveva palesato l'intenzione di seguire un programma politico diverso da quello del Partito Democratico. L'ex magistrato, lunedì 14 aprile, ha scritto chiaramente sulla homepage del suo sito (http://www.antoniodipietro.it/): «Il mio impegno nei confronti di tutti i cittadini italiani è di sviluppare le proposte del programma elettorale di IDV nella massima trasparenza e continuità e con l'interazione che è permessa dalla Rete». Ha fatto riferimento, quindi, al suo di programma [/link e non a [link="http://www.partitodemocratico.it/gw/producer/dettaglio.aspx?id_doc=45315" ext]quello di Veltroni .

Una scelta identitaria quella di Di Pietro, in alcuni punti, come sicurezza, legalità ed informazione, addirittura in netta antitesi con il Partito democratico, che ha fatto percepire l'alleanza di centrosinistra, già in campagna elettorale, come un semplice cartello e non come un soggetto politico coeso. Oramai sembra chiaro che i Radicali e l'Italia dei Valori, con i loro rappresentanti, venuti meno i parlamentari della sinistra antagonista, si apprestano a diventare, seppur su piani politici diversi, il nuovo fattore di instabilità del centrosinistra italiano e la nuova spina nel fianco del Partito Democratico di Walter Veltroni.

Antonio Maglietta

sabato 12 aprile 2008

Immigrazione. La linea dura di Zapatero



di Antonio Maglietta - 12 aprile 2008

Il nuovo governo socialista di José Luis Zapatero promuoverà il rimpatrio volontario degli immigrati che perdono il lavoro come conseguenza del rallentamento economico. Lo ha affermato martedì lo stesso Zapatero, durante la sua esposizione programmatica davanti al parlamento spagnolo in vista dell'investitura. «Dovremo promuovere formule nuove - ha detto Zapatero - che incentivino gli immigrati, che potranno perdere il loro lavoro nei prossimi mesi, a tornare al loro paese per sviluppare definitivamente lì la loro vita». Fra queste formule, il premier spagnolo ha citato «la capitalizzazione dei sussidi di disoccupazione già maturati o la concessione di microcrediti», misure che «il governo esplorerà con carattere immediato». Zapatero ha ribadito che l'immigrazione legale «gioca un ruolo fondamentale nella nostra crescita economica e nella sostenibilità del nostro modello sociale», e in particolare delle pensioni: si calcola che con i contributi degli immigrati si paghino circa un milione di pensioni nel paese iberico. Il leader socialista ha anche ricordato che gli immigrati legali contribuiscono alla «ricchezza sociale e culturale» del paese, ma ha ribadito che ci vuole il pugno di ferro contro l'immigrazione illegale: «Continueremo a migliorare i controlli in entrata, le espulsioni e i rimpatri: schiereremo più mezzi per controllare le frontiere e combatteremo la tratta degli esseri umani».

Insomma, tutt'altra musica rispetto al centrosinistra italiano, che tanto si è spellato le mani per applaudire la vittoria di Zapatero nelle ultime elezioni politiche in Spagna. In Italia il centrosinistra, da Prodi a Veltroni, passando per Ferrero e Amato, propone l'introduzione nel nostro ordinamento degli istituti della sponsorizzazione e dell'autosponsorizzazione per fare entrare nel nostro paese immigrati privi di un pregresso contratto di lavoro; in Spagna, invece, il premier socialista sta studiando nuove formule per agevolare il rimpatrio volontario degli stranieri che perdono il posto di lavoro ed hanno difficoltà a trovarne uno nuovo. La sinistra nostrana vuole chiudere i Cpt mentre, nella penisola iberica, i suoi colleghi parlano di maggiori controlli in entrata, di espulsioni e di rimpatri. Qualcosa non quadra. Ma dove? Nel centrosinistra italiano o in quello spagnolo?

In Spagna, secondo le statistiche ufficiali, a fine 2007 erano residenti regolari 3.979.014 cittadini stranieri, poco meno del 10% della popolazione. Molti sono impiegati nel settore delle costruzioni, che ha trainato il boom economico della Spagna negli ultimi anni, ma che ora è in grave crisi: secondo uno studio della Kpmg (network globale di società di servizi professionali), si prevede che 1.200.000 persone perderanno il proprio lavoro in questo settore tra il 2008 e il 2009, e buona parte di questi saranno immigrati. Un problema che rischia, quindi, di produrre conseguenze catastrofiche dal punto di vista sociale se non saranno prese in fretta le opportune decisioni. Ha detto martedì scorso Zapatero: «En mi idea de España la inmigración regulada y ordenada es una oportunidad. Por eso, desde 2004 definimos como elemento clave en la política migratoria la relación laboral, el trabajo. Es el trabajo lo que posibilita la integración del inmigrante, lo que le permite convertirse en un componente más de una colectividad provista de derechos y de obligaciones».

Viene da chiedersi: quale motivo spinge il centrosinistra italiano a non voler capire che lo stretto legame tra permesso di soggiorno e contratto lavoro è l'unica via possibile per regolare razionalmente i flussi degli immigrati?

Antonio Maglietta

martedì 8 aprile 2008

Immigrazione. La memoria corta di Ferrero


di Antonio Maglietta - 8 aprile 2008

«Aumentare i Cpt significherebbe buttare i soldi degli italiani dalla finestra e peggiorare la situazione degli immigrati». Così il ministro della Solidarietà Sociale, Paolo Ferrero, a margine della presentazione del suo libro Immigrazione. Fa più rumore l'albero che cade che la foresta che cresce, ha risposto a Gianfranco Fini, che aveva auspicato la costruzione dei centri in ogni regione italiana. Probabilmente il ministro Ferrero ha la memoria corta e forse non rammenta che i Cpt sono stati introdotti dal primo governo Prodi con la legge n. 40 del 1998, che porta la firma dell'allora titolare del dicastero oggi occupato dallo stesso Ferrero, Livia Turco, e del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, all'epoca ministro dell'Interno. Ferrero ha anche accusato il centrodestra di alimentare campagne di odio: «A ogni problema indicano come responsabile l'immigrazione e lo fanno su tre reti televisive su sei». Ed è proprio questo «grado di strumentalità pazzesco che ha seminato odio», e in questo aspetto «risiede la differenza tra la destra italiana, estremista, dalle destre moderate europee. In Italia la destra è razzista».

Tralasciando le polemiche sui media, davvero stucchevoli, varrebbe la pena di dire al ministro Ferrero che il centrodestra italiano non è né razzista e né tanto meno falsamente perbenista. E' solo realista. Basterebbe guardare i rapporti ufficiali del ministro dell'Interno dello stesso governo di cui fa parte Ferrero per dare un quadro realistico e non propagandistico della situazione. Si legge, infatti, nell'ultimo Rapporto sulla criminalità in Italia presentato dal ministro Giuliano Amato il 20 giugno dello scorso anno: «Negli ultimi vent'anni è cresciuto sensibilmente il contributo fornito dagli stranieri di alcune nazionalità alla diffusione di alcuni reati, in particolare i reati contro la proprietà - ovvero i furti e le rapine - i reati violenti, i reati connessi ai mercati illeciti della droga e della prostituzione. Tale contributo appare sproporzionato per eccesso rispetto alla quota di stranieri residenti nel nostro paese, anche se si tiene conto della presenza di stranieri non documentata». E ancora: «Il trend degli stranieri denunciati per reati inerenti agli stupefacenti, anche in conseguenza dei crescenti flussi migratori clandestini verso l'Italia, è stato tendenzialmente in crescita, con l'effetto di determinare, con il passare degli anni, un consolidamento territoriale da parte di organizzazioni criminali straniere implicate nel narcotraffico, spesso in collaborazione con le organizzazioni italiane. Al riguardo, i dati sul numero di persone coinvolte distinte tra italiani e stranieri evidenziano che mentre nel decennio 1987-1996 le percentuali degli italiani erano nettamente superiori (82,7%) a quelle degli stranieri (17,3%), nel decennio 1997-2006, pur rimanendo il medesimo rapporto, la percentuale di italiani è diminuita (70,8%) ed è aumentata quella degli stranieri (29,2%)».

«L'incidenza degli stranieri - si legge ancora - tra i denunciati, però, varia molto a seconda dei reati. Si va da incidenze basse, come il 3% per le rapine in banca o il 6% per quelle negli uffici postali, al poco meno del 70% che caratterizza i borseggi, ovvero quelli che la classificazione riportata definisce "furti con destrezza". Tra questi due estremi, gli stranieri costituiscono il 51% dei denunciati per rapina in abitazione o furto in abitazione, il 45% dei denunciati per rapina in pubblica via, il 19% per le estorsioni e il 29% per le truffe e le frodi informatiche. Intorno ad un terzo dei denunciati troviamo gran parte dei reati violenti. La quota di stranieri qui va dal 39% dei denunciati per violenze sessuali al 36% per gli omicidi consumati e al 31% per quelli tentati, al 27% dei denunciati per il reato di lesioni dolose. Simili sono poi le percentuali di stranieri sul totale degli arrestati per alcuni reati predatori strumentali, come i furti di autovetture (38%) e gli scippi (29%). E' importante sottolineare che la netta maggioranza di questi reati viene commessa da stranieri irregolari, mentre quelli regolari hanno una delittuosità non molto dissimile dalla popolazione italiana».

E' chiaro che l'immigrazione è un fenomeno complesso che non deve essere trattato solo dal lato della sicurezza, ma va anche detto con forza che la via falsamente perbenista e pseudo-buonista del centrosinistra italiano, che propone l'abolizione dei Cpt e l'introduzione di istituti come la sponsorizzazione e l'autosponsorizzazione, equivarrebbe di fatto ad alzare bandiera bianca ed arrendersi ai flussi migratori incontrollati. In quest'ottica, a rimetterci sarebbero sia gli italiani che gli stessi stranieri, i quali, invece di trovare una situazione migliore rispetto a quella d'origine, rischierebbero di passare da un incubo all'altro, con l'aggravante di essere anche lontani dalla propria casa e dai propri affetti.

Antonio Maglietta

sabato 5 aprile 2008

Prodi fa il furbo sui lavori usuranti


di Antonio Maglietta - 1 aprile 2008

E' approdato alla Camera dei Deputati lo schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di accesso anticipato al pensionamento per gli addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti, a norma dell'articolo 1, comma 3, della legge 24 dicembre 2007, n. 247 (atto n. 238). Martedì la commissione Lavoro di Montecitorio dovrà esaminare il testo licenziato dal Consiglio dei Ministri del 19 marzo scorso . Coloro che saranno riconosciuti come lavoratori che svolgono una attività particolarmente usurante, al momento del pensionamento di anzianità potranno conseguire su domanda, entro certi limiti, il diritto alla pensione con requisito anagrafico ridotto di tre anni rispetto a quello previsto (con il requisito minimo di 57 anni) purché abbiano svolto tale attività a regime per almeno la metà del periodo di lavoro complessivo o (nel periodo transitorio) per almeno 7 anni negli ultimi 10 di attività lavorativa. Per tali tipologie lavorative sono state individuate risorse massime disponibili su base annua, ed una cifra complessiva nel decennio 2008-2017 pari a 10 miliardi di euro (vedi anche circolare Inps del 17 gennaio 2008).

Il punto critico è quello della copertura finanziaria, visto che le risorse messe a disposizione sono in grado di soddisfare solo 5.000 richieste e quasi tutti gli analisti sono concordi nel dire che è una quota insufficiente rispetto alla potenziale platea individuata dal provvedimento. In precedenza (ad esempio, il decreto legislativo n. 374 del 1993 e legge n. 335 del 1995) il beneficio previdenziale operava solo per gli anni in cui il lavoratore aveva svolto effettivamente delle mansioni usuranti. In questo caso, invece, una volta varcata una particolare soglia temporale di esposizione (oltre al periodo conclusivo del lavoro, sette anni negli ultimi dieci nella fase transitoria e la metà della vita lavorativa a regime) il lavoratore acquista lo status di «usurato» e il conseguente beneficio temporale sul pensionamento. Inoltre, per evitare polemiche o clamorose figuracce sul voto parlamentare, a causa delle richieste della Sinistra Arcobaleno di allargare la platea dei beneficiari, il governo ha pensato bene di procedere ad un allargamento soft in materia di lavoro notturno e di introdurre furbescamente una particolare clausola di salvaguardia. Ricordiamo che la legge-delega, visto il riferimento al decreto n. 66 del 2003, aveva previsto almeno 80 giorni l'anno di lavoro notturno affinché un lavoratore potesse usufruire della pensione anticipata concessa a chi svolge attività usuranti.

Nello schema licenziato dal Consiglio dei Ministri è stato previsto che i lavoratori impegnati in turni notturni conseguono il diritto al trattamento pensionistico con l'anticipo attraverso un sistema a fasce:

Coloro che svolgono l'attività lavorativa nel periodo notturno per un numero di giorni all'anno compreso fra 64-71, potranno andare in pensione 12 mesi prima;
Coloro che svolgono l'attività lavorativa nel periodo notturno per un periodo di giorni compreso tra 72-77, 24 mesi prima;
Per tutti quelli che superano i 77 giorni, pensionamento anticipato di 36 mesi.
A questo punto il governo, conscio che la copertura finanziaria non avrebbe retto, nonostante i giochetti delle fasce sul lavoro notturno, ha pensato bene di inserire all'articolo 5 una clausola di salvaguardia che permette di non sforare formalmente (ma effettivamente sì) il tetto di spesa e sposta nel tempo gli oneri finanziari del provvedimento (differendo il meccanismo del pensionamento anticipato qualora le richieste superassero quota 5.000) che, a questo punto, è chiaro che costerà più di quello che era stato annunciato. Insomma, il centrosinistra al governo sta continuando ad usare sempre la solita tecnica e cioè quella di varare pasticciati e costosissimi provvedimenti tipicamente elettorali che dovranno essere pagati dalle tasche già sofferenti dei cittadini italiani.

Antonio Maglietta
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