martedì 2 agosto 2011

Mercato del lavoro: la crisi c’è, ma stiamo meglio di molti altri



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
martedì 02 agosto 2011

Siamo in tempo di crisi e nessuno si sogna di dire il contrario. Molte volte, però, nel dibattito pubblico, c'è chi si straccia le vesti e disegna scenari a tinte fosche con il solito intento provinciale di usare gli effetti negativi di una crisi economica mondiale per fare speculazione politica a livello nazionale. I problemi concernenti la disoccupazione e l'inattività non devono essere assolutamente banalizzati in questo modo perché le persone coinvolte in tali situazioni meritano tutto il rispetto possibile. Non bisogna mai dimenticare che dietro quei numeri ci sono persone che soffrono e dare una giusta dimensione al problema significa anche volerlo risolvere e non limitarsi alla semplice propaganda. Per restare ai fatti e non annegare nel mare di parole che ogni giorno sono pronunciate con enfasi a riguardo, l'unica cosa da fare è guardare i dati per avere una visione completa di quello che sta succedendo nel mercato del lavoro italiano, europeo e statunitense. Per farlo, bisogna prendere in considerazione l'andamento del tasso di disoccupazione, del tasso degli inattivi e il tiraggio della cassa integrazione.

Secondo gli ultimi dati dell'Istat, il tasso di disoccupazione italiano a giugno è rimasto stabile all'8%, registrando una variazione nulla rispetto al mese precedente. Su base annua, invece, il tasso è diminuito di 0,3 punti percentuali. In pratica nel breve periodo il dato è rimasto stabile, con addirittura una tendenza al ribasso se confrontato con lo scorso anno. In Europa, secondo gli ultimi dati Eurostat, il tasso medio di disoccupazione è al 9,4% e, addirittura, al 9,9% nell'area euro. Similmente alla situazione italiana, anche in Europa si rilevano un tasso invariato su base congiunturale e una diminuzione dello 0,3% a livello tendenziale. Dati alla mano, quindi, si afferma il vero quando si dice che almeno in quest'ambito il nostro paese sta meglio di molti altri visto che tra i grandi paesi europei la Germania ha un tasso di disoccupazione del 6,1%, la Francia 9,7%, la Gran Bretagna 7,7%, la Spagna 21%, e, gettando uno sguardo oltre oceano, gli Stati Uniti 9,2%.
Per quanto riguarda, invece, gli inattivi tra i 15 e i 64 anni, in Italia sono aumentati dello 0,1% (+22 mila unità) rispetto a maggio 2011 e il tasso di inattività si è attestato al 38,1% e su base annua è aumentato di 0,3 punti percentuali. In questo caso, in leggera controtendenza rispetto alle note positive riguardanti il tasso di disoccupazione, si registra un lieve aumento sia congiunturale sia tendenziale del tasso di inattività e questo non è certamente un buon segno. In Europa, sempre secondo gli ultimi dati Eurostat, il tasso medio di inattività è 29,3%. Stiamo parlando di cifre ragguardevoli ma, tuttavia, va sgombrato il campo da imprecisioni e visioni apocalittiche del problema, che non farebbero altro che portare la situazione in una dimensione sovrastimata, tale da non poter essere né ben compresa né affrontata adeguatamente.
Per inattivi s'intende coloro che sono in età lavorativa e non hanno una occupazione e che non la cercano o non sono disponibili ad iniziarla subito. Oggi il numero degli inattivi complessivi in valore assoluto è di 15 milioni e 109 mila persone. Abbiamo un popolo di 15 milioni di individui nel nostro paese che non cercano lavoro? Una persona su 3 in età lavorativa in Italia si trova in queste condizioni? Certamente no, anche perché nessun sistema economico sarebbe in grado di ammortizzare un'anomalia di queste dimensioni e sicuramente il nostro paese non rappresenta l'eccezione. Nel 2009, su un totale di 14 milioni e 723 mila di inattivi, secondo una indagine Rcfl-Istat, il 9% lo era per prendersi cura dei figli, di bambini e/o di altre persone non autosufficienti, il 9% riteneva di non riuscire a trovare lavoro, il 7% per altri motivi familiari (esclusa maternità, cura dei figli o di altre persone) e, infine, ben il 75% era rappresentato dai cosiddetti altri inattivi in età da lavoro (studenti, pensionati, inabili, in attesa dell'esito di passate azioni di ricerca, ecc). In pratica, fermo restando il maggior riconoscimento che dovrebbe avere il lavoro di cura in un sistema economico moderno e civile, la cifra totale va scremata fino ad arrivare a quel 9% rappresentato da coloro che sono inattivi perché non ritengono di poter trovare un lavoro. La questione riguarda a tutti gli effetti una parte ampia e importante della forza-lavoro nazionale, ma sicuramente siamo ben lontani dalla catastrofica cifra di un italiano inattivo su 3 in età lavorativa.
Veniamo alla cassa integrazione. Secondo gli ultimi dati dell'Inps si è consolidata a luglio la flessione delle richieste di cassa integrazione dopo il calo già registrato a giugno. Le domande autorizzate sono calate del 2,1% rispetto al mese precedente (80,7 milioni di ore contro 82,4 milioni a giugno) e del 28,8% rispetto a luglio del 2010, quando le imprese italiane chiesero 113,4 milioni di ore. Il dato di luglio 2011 è inferiore anche a quello del luglio 2009, quando vennero autorizzate 88,5 milioni di ore di cig (-8,8%).
Tenendo presente ben 3 indicatori (l'andamento del tasso di disoccupazione e del tasso degli inattivi, e il tiraggio della cassa integrazione), è possibile affermare, quindi, che, senza banalizzare le problematiche relative a donne, giovani sotto i 24 anni e inattivi, il mercato del lavoro italiano sembra essere uscito dalla fase più acuta della crisi, quella che genera l'aumento del tasso di disoccupazione e il ricorso massiccio alla cassa integrazione, mantenendo vivo il tessuto occupazionale attraverso gli ammortizzatori sociali. Questo vuol dire che tutti gli interventi del governo in materia, con l'ausilio delle regioni, sono stati decisivi per non spingere il nostro paese nel baratro. I numeri ci dicono che oggi il mercato del lavoro italiano, nonostante la crisi economica mondiale ancora in corso e la zavorra dei tre dati storici negativi (il basso tasso di occupazione delle donne, l'alto tasso di disoccupazione degli under 24 e l'alto numero di inattivi), è certamente dopo quello tedesco, e insieme a quello britannico, il sistema che tra i grandi paesi europei ha risposto meglio alle sollecitazioni negative degli ultimi anni.

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