venerdì 29 febbraio 2008

Immigrazione. Il problema del denaro sporco



di Antonio Maglietta - 28 febbraio 2008

Quello dei money transfer si propone sempre più come «un sistema bancario alternativo, che rischia di mettere in crisi anche quello legale, essendo stati identificati circa 25 mila punti di raccolta di denaro presenti in Italia, dei quali si stima che il 30% - circa 8 mila - siano illegali». A lanciare l'allarme è la Relazione conclusiva dell'attività della Commissione parlamentare Antimafia, presentata mercoledì a Roma, nel capitolo dedicato al riciclaggio. Il servizio money transfer consente di inviare e/o ricevere denaro presso una qualsiasi location nel mondo (con riferimento all'agenzia presso la quale si effettua il trasferimento dei soldi) nel giro di pochissimi minuti (anche solo 20). E' pensato per chi, per varie ragioni, ha la necessità di spedire o ricevere piccole somme di denaro in modo veloce, sicuro e riservato e senza troppi impacci burocratici. Chiunque, infatti, senza particolari controlli, può inviare o ricevere denaro in contanti, in qualsiasi paese. E' sufficiente presentare un documento d'identità e non è necessario essere titolari di un conto bancario o postale, né possedere una carta di credito. Questi punti di raccolta - segnala il documento della Commissione - utilizzano anche i tabaccai, gli internet point, i phone center: nel solo 2005 sono transitati, attraverso i money transfer italiani, come rimesse effettuate dagli immigrati, circa 1,4 miliardi di euro, a fronte dei 750 milioni di euro del sistema bancario ufficiale. Un fiume di denaro che «nella maggioranza dei casi non si sa da dove provenga e dove vada a finire».

Ben 400 agenzie di trasferimento di denaro completamente abusive sono state scoperte a conclusione dell'indagine «Easy money» condotta dalla Procura di Ancona ed è emerso che, in questo movimento internazionale di soldi, l'Italia è seconda al mondo dopo gli Stati Uniti. Il procuratore Grasso ha citato quello che potrebbe essere definito il modello che ricalca quello reso famoso dal film «La stangata»: ad Ancona, infatti, è stata aperta un'agenzia che in quattro mesi ha fatto viaggiare 1,5 milioni di euro verso la Colombia. Soldi che servivano a pagare una partita di stupefacenti. L'agenzia era stata creata ad hoc e subito dopo è scomparsa. I problemi che pone questo tipo di agenzie sono seri. «Causa di ciò - conclude la Commissione - è stata rintracciata nella possibilità di operare abusivamente in questo settore e nella difficoltà dei controlli dovuta alla proliferazione dei punti di raccolta. Appare ormai evidente che le agenzie che svolgono trasferimenti di denaro possono rappresentare un canale per convogliare flussi di denaro che proviene da attività illecite».

L'Antimafia propone di definire con una norma chiara il concetto di «operazione sospetta», attraverso il ricorso a «indicatori di anomalie finanziarie». Tra le altre proposte, quella di incrementare la potenzialità dissuasiva della sanzione penale a fronte del mancato rispetto degli obblighi di segnalazione e identificazione, attualmente affidata a una sanzione pecuniaria. Infatti - afferma la relazione dell'Antimafia sul tema - «appare quanto mai paradossale il fatto che, allo stato, in Italia i dati sul reato di riciclaggio siano ben poco significativi, poiché in tale ambito si producono poche indagini e ancor meno processi si concludono con sentenze di condanna».

Senza criminalizzare il sistema dei money transfer, strumento utile se usato per scopi legali, è evidente che intorno al tema dell'immigrazione gira un mare di soldi e che molte volte si tratta di denaro sporco gestito da organizzazioni criminali. Anche alla luce di questi dati di fatto appare ancora più inconcepibile la proposta del governo Prodi (pagine 5, 7, 15), presente anche nel programma del Partito Democratico di Veltroni (pagina 22), di introdurre nell'ordinamento italiano l'istituto della cosiddetta «sponsorizzazione» (ossia garanti pubblici e privati per gli immigrati che vengono sul nostro territorio per motivi di lavoro pur non avendo un contratto) e quello dell'«autosponsorizzazione» (immigrati che vengono in Italia per gli stessi motivi senza avere un contratto ma in possesso di adeguate risorse finanziarie). E' facile pensare, infatti, che tali istituti, così come sono stati proposti nel cosiddetto disegno di legge delega Amato-Ferrero e ripresi nel programma del partito dell'ex sindaco di Roma, essendo privi di un sistema di controlli adeguato, che sarebbe peraltro difficilmente realizzabile, rischierebbero di diventare ben presto delle vere e proprie lavanderie del denaro sporco proveniente dai più disparati traffici dell'economia criminale mondiale. Insomma, se come sistema-paese vogliamo scalare i vertici delle classifiche economiche internazionali, non facciamolo certo partendo da quelle criminali.

Antonio Maglietta

mercoledì 27 febbraio 2008

Veltroni boccia la classe dirigente del suo partito al Sud



di Antonio Maglietta - 26 febbraio 2008

Achille Serra sarà candidato nelle liste del Partito Democratico alle prossime elezioni. Lo annuncia Walter Veltroni, intervenendo a «Radio anch'io». Continua, quindi, l'operazione «Isola dei famosi»: «Voglio annunciare qui un'altra candidatura di cui siamo particolarmente orgogliosi, la candidatura del prefetto Achille Serra, che oggi è a capo della struttura che si occupa della lotta alla corruzione». Così orgogliosi di quel ruolo da volerlo eliminare. Sì perché il ministro Bersani aveva inserito il commissario anticorruzione nella lista degli enti inutili da tagliare con la Finanziaria 2008. Poi la struttura, con sede nella centralissima piazza San Lorenzo in Lucina a Roma, venne graziata, insieme a tanti altri enti che di colpo, da un giorno all'altro, vennero riabilitati e giudicati utili da Prodi ed i suoi ministri. Dice ancora Veltroni: «Achille Serra è un uomo con cui ho lavorato nel corso di questi anni, con il quale è maturato - sottolinea il leader del Pd- un rapporto di grande stima e di grande lealtà nell'affrontare problemi drammatici. Sono stato molto contento quando lui ha accettato la nostra proposta, e lo considero una parte di quello sforzo di fare un grande rinnovamento delle nostre liste». Con tutta la stima per Achille Serra, rinnovamento fino ad un certo punto. Veltroni forse dimentica che Serra non è certo nuovo alle avventure politiche. Infatti è stato già parlamentare, eletto nelle liste di Forza Italia nella circoscrizione III LOMBARDIA 1, nella XIII Legislatura (l'Assemblea accettò poi le sue dimissioni il 31 marzo 1998, dopo che le aveva già respinte una prima volta il 17 febbraio dello stesso anno - http://legislature.camera.it/altre_sezioni/leg13/).

Ma dopo la candidatura di Luigi De Sena (in Calabria) e ora quella di Serra (probabilmente in Campania), due alti funzionari dello Stato, non si può osservare che c'è una sorta di commissariamento della Calabria e della Campania? chiede l'intervistatore durante la trasmissione radiofonica. «No, il prefetto De Sena è stata una scelta molto meditata. E' stato un protagonista della lotta alla ndrangheta - replica Veltroni - e per noi ha un significato che va oltre l'esperienza regionale. E poi pensiamo che in queste regioni serva una forte e radicale innovazione del modo di porsi delle istituzioni e dei governi e su questo ci dovremo impegnare». Se quella di Veltroni non è una bocciatura piena e senza appello alla classe dirigente del Pd nelle due regioni meridionali e, soprattutto, ai loro vertici istituzionali, Antonio Bassolino e Agazio Loiero, poco ci manca. Ma allora perché Veltroni non prende le distanze in maniera aperta e palese dalla gestione politica del suo stesso partito in queste regioni? E' chiaro che presentarsi mediaticamente come il nuovo che avanza e poi riscoprirsi a livello locale come il vecchio che resiste allo tsunami del nuovismo imperante, abbarbicato tenacemente alla poltrona del potere, è un problema serio per Veltroni e per l'immagine «nuova e giovane» del Pd che i media amici vogliono far bere all'opinione pubblica. Tuttavia ci si aspettava almeno un qualche gesto chiaro in più dall'ex sindaco di Roma, dopo i due micidiali dietrofront del «lascio la politica» e «il Pd corre da solo» clamorosamente smentiti dai fatti. Ma oramai ci abbiamo fatto l'abitudine.

Il leader del Pd boccia la classe dirigente del suo stesso partito in Campania e Calabria ma anche no. Il ragionamento è semplice e lineare: in fondo anche due vecchie volpi della politica come Bassolino e Loiero, seppur nascosti dall'ex sindaco di Roma come si fa con la polvere sotto il tappeto quando si hanno ospiti in casa, portano voti e quelli, nella mente del neofuturista Veltroni che parla di velocità e nuovismo, non sono né vecchi e né impresentabili, sono voti in più che fanno comodo e basta.

Antonio Maglietta

venerdì 22 febbraio 2008

Immigrazione: stretta sulla cittadinanza in Gran Bretagna



di Antonio Maglietta - 21 febbraio 2008

Gli stranieri che metteranno piede sul suolo di sua Maestà dovranno attendere più dei loro «avi», pagare di più e svolgere opera di volontariato prima di diventare cittadini britannici a tutti gli effetti: è la nuova proposta delineata mercoledì dal governo del premier laburista Gordon Brown. La proposta, con tutta probabilità, è maturata dopo i continui attacchi ricevuti negli ultimi mesi dai media e da importanti think-thank del Paese in tema di politiche dell'accoglienza, che hanno accusato l'esecutivo britannico di lassismo e di ingiustificato ed eccessivo buonismo. Attualmente gli stranieri che vivono in Gran Bretagna devono attendere cinque anni prima di richiedere la cittadinanza. In futuro bisognerà aspettare sei anni, e i richiedenti dovranno accettare di fare del volontariato, in caso contrario l'attesa si allungherà a otto anni.

L'esecutivo di Brown fa intendere che gli stranieri dovranno «guadagnarsi» la cittadinanza in Gran Bretagna. I Tories (l'opposizione conservatrice) hanno definito il progetto, che non riguarda i cittadini europei, una trovata pubblicitaria. Nel presentare la proposta, il ministro dell'Interno, Jacqui Smith, ha spiegato che gli immigrati dovranno mostrare il loro contributo alla società, andando oltre il semplice lavoro e pagamento delle tasse. Alcuni potrebbero essere costretti a versare soldi a favore di un fondo per i servizi pubblici e a «superare» un periodo di «cittadinanza di prova». Per Smith, riformare l'iter attraverso il quale si ottiene la cittadinanza è la parte che manca della riforma del sistema d'immigrazione del Regno Unito. Il fatto che sarà più complicato diventare cittadini britannici- scrive la Bbc nel suo sito internet - demolisce l'attuale sistema che permette alle persone di chiedere la «naturalisation» sulla base del periodo in cui hanno vissuto nel Paese.

Nessun aiuto per gli immigrati che non provengono dall'Area economica europea (Eea): non avranno più la possibilità di vivere in Gran Bretagna senza mostrare maggior impegno nella società nel corso degli anni. In futuro - ha sottolineato Smith - saranno incoraggiati ad «andare avanti» nel sistema che porta alla cittadinanza o a scegliere, in definitiva, di lasciare il Paese. Inoltre, il governo Brown vuole istituire una speciale «tassa di ingresso» per gli immigrati, in modo che contribuiscano al finanziamento di scuole, ospedali e altri servizi pubblici. La tassa sarà più alta se gli stranieri, intenzionati a stabilirsi in Gran Bretagna, avranno con sè figli in età scolastica o familiari anziani destinati a pesare molto sul sistema del welfare nazionale. La «immigration tax» verrà proposta in un libro bianco di prossima pubblicazione, preparato dal ministero degli Interni e anticipato mercoledì dal quotidiano «Daily Telegraph». A detta del governo la misura si impone perché negli ultimi anni il forte flusso di immigrati ha messo in difficoltà il sistema sanitario nazionale così come le scuole. Senza contare che, una volta installati legalmente, gli immigrati hanno anch'essi diritto a sussidi di varia natura se sono senza lavoro e in uno stato di povertà.

Il libro bianco proporrà di far pagare la nuova tassa tramite un consistente aumento delle tariffe per la concessione dei visti di lavoro ma molte amministrazioni locali, già in difficoltà per le spese aggiuntive connesse con il massiccio sbarco di stranieri, hanno già fatto presente che quella non è la strada giusta: l'aumento dei visti non prende di petto il problema e non potrà raddrizzare la situazione. Negli ultimi anni la stragrande maggioranza degli immigrati è in effetti arrivata da paesi come la Polonia, che fanno parte dell'Unione europea e sono quindi esentati dal regime dei visti. La Gran Bretagna concede poi piena libertà di ingresso ai cittadini di un certo numero di paesi appartenenti al Commonwealth, che sarebbero anch'essi esentati di fatto dalla «immigration tax» se il prelievo avvenisse soltanto tramite il pagamento dei visti. Le amministrazioni locali hanno anche avvertito che saranno costretti ad aumentare le tasse di loro competenza se la «immigration tax» non si tradurrà in entrate aggiuntive pari ad almeno 330 milioni di euro. Il governo ha replicato che l'obiettivo strategico della tassa non è quello di rastrellare grosse somme ma di responsabilizzare di più gli immigrati e di meglio prepararli ai doveri connessi con la cittadinanza britannica, ottenibile dopo cinque anni di permanenza.

Chissà cosa diranno ora i guru del centrosinistra italiano che, in tema di immigrazione, indicavano spesso il modello britannico come la panacea di tutte le criticità legate alle politiche nazionali di accoglienza degli immigrati. Il Governo Prodi voleva ridurre il dato temporale per l'acquisizione della cittadinanza italiana da parte degli stranieri a 5 anni (ora è di 10 anni) ed attuare una politica di accoglienza senza responsabilizzare gli stranieri ma attraverso un sistema sostenuto economicamente solo attraverso i soldi dei cittadini italiani. Una strada sbagliata che per fortuna non abbiamo imboccato solo perché il governo è caduto. Un motivo in più per non votarli e scegliere il Popolo della Libertà.

Antonio Maglietta

mercoledì 20 febbraio 2008

I 12 punti di Prodi e Veltroni



di Antonio Maglietta - 20 febbraio 2008

Nei giorni scorsi Walter Veltroni, dopo aver nascosto per bene dal punto di vista mediatico Romano Prodi, ha sciorinato il suo vago e fumoso programma di governo. Vediamo quali sono le novelle XII Tavole veltroniane, che tanto ricordano i famosi 12 punti «non negoziabili» del programma presentato dal Professore dopo la crisi di governo del febbraio 2007.

1. Infrastrutture ed energia. Basta con l'ambientalismo Nimby (Not In My Back Yard, ndr), che cavalca «ogni protesta», dice Veltroni. Sì all'ambientalismo «del fare»: ai termovalorizzatori per trattare i rifiuti, anche alla Tav. Belle parole, ma l'ambientalismo del fare di cui parla Veltroni è quello dell'attuale presidente della regione Campania, nonché esponente di spicco del Partito Democratico, Antonio Bassolino?
2. Sud. Al secondo punto del programma del Pd c'é il Mezzogiorno. Qui - bacchetta il segretario - bisogna cambiare velocità. E lo stesso bisogna fare per i trasporti. Entro il 2013 il passo deve essere quello del resto dell'Europa sviluppata. Belle parole anche in questo caso: se il neofuturista Veltroni, che parla di velocità, ci dicesse pure come intende realizzarla, sarebbe meglio. Nel frattempo, guardando ai fatti, la velocità del Partito Democratico al Sud è modulata dai presidenti delle Regioni Campania e Calabria, Antonio Bassolino e Agazio Loiero. Non ci risulta che l'amministrazione di governo delle citate Regioni possa essere presa a modello di efficienza e di velocità.
3. Spesa pubblica. Spendere meglio, spendere meno. Uno slogan che riassume bene gli obiettivi che vuole centrare il Pd. La spesa pubblica è «il banco di prova decisivo» del nuovo governo, afferma Veltroni. Peccato che qualche giorno fa il Sole 24 Ore abbia pubblicato uno studio secondo cui sul bilancio pubblico del 2008 peserà un «buco» di 7 miliardi di euro: spese che il governo di Romano Prodi, presidente del partito di Veltroni, ha rinviato dal 2007 al 2008. Si tratta delle risorse necessarie al rinnovo dei contratti pubblici (fra i 2 ed i 6 miliardi), di quelle destinate alle Ferrovie dello Stato (2 miliardi), del miliardo ed 800 milioni di rinvio di spese varie, dei 600 milioni per l'emergenza rifiuti in Campania e dei 300 milioni di costo delle elezioni anticipate. Nel complesso, appunto, 7 miliardi di euro: lo 0,4-0,5% del Pil. Inoltre dai 1.575,4 miliardi del dicembre 2006, il debito pubblico è salito di circa 51,8 milioni con un incremento del 3,3%. Lo ha rilevato nei giorni scorsi il supplemento Finanza Pubblica di Bankitalia.
4. Tasse. Fisco più leggero per tutti. Meno tasse per famiglie, imprese e lavoratori: dal 2009 Veltroni promette un taglio delle aliquote Irpef di un punto l'anno per tre anni. Ma il segretario del Pd ne ha già parlato con Vincenzo Visco e Tommaso Padoa-Schioppa («Le tasse? Bellissime»)? La pressione fiscale sugli italiani, che alla fine del 2005 era al 40,6% del Prodotto interno lordo, nel 2006 è cresciuta al 42,3% e nel 2007 è schizzata al record decennale del 43% (L'economia italiana nel 2008. Relazione Previsionale e Programmatica per il 2008, del 28 settembre 2007, pagina 8 - fonte: Ministero dell'Economia).
5. Donne. Idee chiare su nodi delicati come la 194. «E' una buona legge, che va difesa», afferma Veltroni. Nessuno ha ancora capito, però, se quando parla di difesa della legge 194 si riferisce anche alle parti inattuate della norma e se, soprattutto, concorda con le idee dei cosiddetti «teodem» del Partito Democratico e della loro tenace leader Paola Binetti: «Giusto salvare il feto anche se la madre dice no».
6. Affitti. Il Pd propone un grande piano di social housing per aumentare l'offerta di case in affitto e un fisco più amico, con la possibilità, tra l'altro, di sgravi fino a 250 euro al mese. Tutte belle parole, ma nel frattempo, con la Finanziaria 2008 di Prodi, ai giovani sono arrivati un insulto (il famoso «bamboccioni» del ministro dell'Economia) e una misera mancia per gli affitti: chi ha un reddito fino a 15.494 potrà avere una detrazione di 300 euro all'anno (25 euro al mese), mentre chi rientra nei 30.987 euro avrà diritto a 150 euro.
7. Bambini. Dote fiscale per i figli da 2.500 euro annui e più asili nido: raddoppiare il numero nei prossimi 5 anni. Non solo lotta alle violenze contro i più piccoli, in primis contro la pedofilia. Questa parte è copiata dai 12 punti del programma di Prodi. E poi: esiste qualcuno, nel mondo politico, che sia favorevole della pedofilia?
8. Scuola e università. Creare 100 campus entro il 2010; poi, test periodici per valutare gli studenti. Parola d'ordine: favorire e premiare il merito. Ci si è già dimenticati delle parole del ministro Mussi sui tagli a scuola e ricerca?
9. Lotta alla precarietà. Veltroni la spara grossa: salario minimo di 1.000 euro per i precari e poi percorsi per rendere stabile il lavoro, anche attraverso incentivi alle imprese. Qui viene fuori la rigidità ideologica della sinistra, che non tramonta mai. Come ha ben ricordato Maurizio Sacconi, «la legge Biagi ha introdotto il criterio della congruità della remunerazione rispetto alla prestazione, ma stabilire una soglia minima è un non senso perché significa dimenticare che devono essere prestazioni autonome al risultato per cui possono essere anche rare ovvero di bassa intensità lavorativa. Basti pensare a quelle collaborazioni degli studenti o delle madri di famiglia che sono interessate ad attività limitate nel tempo per conciliarle con gli altri impegni».
10. Sicurezza. E' uno dei primi, forse il primo diritto di ciascuno, dice il segretario. E allora, il futuro prevede più agenti per le strade e nuove tecnologie. Non solo. «La sicurezza dipende anche dalla certezza della pena», afferma Veltroni. Già dimenticate le parole del Papa sul degrado della Capitale amministrata da Veltroni?
11. Giustizia e legalità. Il Pd chiede trasparenza per le nomine, interne e esterne. Niente candidature in parlamento, poi, per chi è stato condannato per reati «gravissimi», dalla mafia alla concussione. Non manca un impegno sui tempi della giustizia, ovviamente per accelerarli. Ma perché, c'è qualcuno che voglia rallentarli? E poi, tralasciando la genericità degli impegni presi da Veltroni, che vogliono dire tutto e niente, va rilevato che il Pd dovrà fare i conti con la politica giustizialista imposta dall'alleanza con Di Pietro: più che un apparentamento tra Partito Democratico e Italia dei Valori, si tratta di un ammanettamento.
12. Riforma tv. Doppia ricetta del Pd: superare il duopolio Rai-Mediaset e poi, per la tv di Stato, via libera a una fondazione titolare delle azioni che nomini un amministratore unico del servizio. Un amministratore unico di area Pd, vero? La storia insegna che è bene andare con i piedi di piombo quando la sinistra parla di televisioni.

In conclusione, va aggiunto che lunedì, dalle pagine del quotidiano La Repubblica, Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil, ha dato la sua benedizione al programma del Partito Democratico di Walter Veltroni: «No, non dico che il programma di Veltroni è il nostro programma. Porta male», però «vedo un'attenzione nelle proposte del Pd al tema del lavoro, dai precari alla questione dei redditi, che rappresenta un segnale positivo e interessante». Viste le storiche posizioni regressiste del sindacato rosso, l'appoggio di Epifani toglie anche gli ultimi dubbi sul fatto che il programma di Veltroni-Prodi sia quello che serve all'Italia.

Antonio Maglietta

lunedì 18 febbraio 2008

Multiculturalismo sotto accusa in Gran Bretagna



di Antonio Maglietta - 16 febbraio 2008

La Gran Bretagna è diventata un terreno fertile per i terroristi. E' la denuncia di importanti esperti in materia di difesa, riportata oggi da vari quotidiani tra cui il Daily Mail. Dal Royal United Services Institute, rinomato pensatoio britannico sui temi della difesa e della sicurezza nazionale, è partito un attacco senza precedenti contro la politica di sicurezza del governo: non «indicare un limite» alle popolazioni di immigrati che entrano in Gran Bretagna sta minacciando la lotta contro il fondamentalismo interno. I ministri sono accusati di aver dato una «risposta frammentaria e irregolare» alle minacce urgenti alla nazione e di lasciare senza fondi le forze armate, arrivate allo «sfacelo cronico». Il think tank sulla sicurezza, che ha stretti contatti con importanti esponenti militari e politici del paese, ha sollecitato i ministri ad abbandonare «gli orientamenti poco e falsamente strategici» e a rendere la difesa del regno «il primo compito del governo». Quanto si debbano integrare le comunità etniche, in particolare il milione e 800mila musulmani, è una questione politica calda da quando, nel luglio 2005, quattro attentatori suicidi islamici britannici hanno ucciso 52 persone in una serie di attacchi contemporanei contro il sistema dei trasporti urbani londinese. Gli attentati hanno provocato un dibattito sulla eventualità che la politica di Londra, di evitare l'imposizione della sola identità nazionale britannica e di promuovere, invece, una società multiculturale, abbia portato alla fine alla segregazione delle minoranze ed a covare così pericolosi odi e rancori all'interno della società.

Il rapporto, che si basa sulle conclusioni di ex capi militari, diplomatici e analisti, dice: «La mancanza di fiducia in se stesso del paese è in aspro contrasto con l'implacabilità del suo nemico terrorista islamico». «La sicurezza del Regno Unito è a rischio e minacciata», dice ancora il rapporto, che propone la creazione di un nuovo comitato governativo per supervisionare la politica sulla sicurezza, e di una commissione parlamentare che cerci di costruire il consenso e di identificare le debolezze del sistema di sicurezza.«Il Regno Unito si presenta come un bersaglio, come una società post-cristiana frammentata, sempre più divisa sull'interpretazione della propria storia, sui suoi obiettivi nazionali e nella sua identità politica», dice il RUSI. «Tale frammentazione è aggravata invece da una ferma rappresentazione di sé da parte di quegli elementi che rifiutano o di integrarsi». La deprimente valutazione arriva mentre i vertici della sicurezza hanno lanciato l'allarme sulla riduzione d'organico dei servizi segreti, che potrebbe pregiudicare la loro efficienza. Il Defence Intelligence Staff (Dis), che analizza le informazioni con Gchq (Government Communications Headquarters, l'agenzia governativa che si occupa della sicurezza, nonché dello spionaggio e controspionaggio, nell'ambito delle comunicazioni, attività tecnicamente nota come SIGINT - Signal Intelligence -), MI6 (il servizio segreto britannico che si occupa delle operazioni fuori dal territorio nazionale di Sua Maestà) e ministero della Difesa, deve fronteggiare la perdita di 121 posti.

Insomma anche in Gran Bretagna, classico esempio di società fondata sul multiculturalismo, il dibattito è aperto e le criticità di una tale struttura societaria stanno venendo a galla. La buona società è quella aperta e pluralistica fondata sulla tolleranza e sul riconoscimento del valore della diversità. Il multiculturalismo non è una prosecuzione del pluralismo ma, al contrario, la sua negazione, poiché non persegue un'integrazione differenziata, ma una disintegrazione multietnica. Giovanni Sartori afferma che mentre il pluralismo difende ma contemporaneamente frena la diversità e richiede l'assimilazione, il multiculturalismo non fa che accentuare le diversità mediante politiche di riconoscimento. Mentre con l'affirmative action i principi del costituzionalismo liberale (governo della legge e generalità di questa) vengono rispettati, il multiculturalismo mina le basi della convivenza democratico-liberale. Questo secondo Sartori «porta alla Bosnia e alla balcanizzazione» (Giovanni Sartori, Pluralismo, multiculturalismo e estranei. Saggio sulla società multietnica, Milano, 2002).

Antonio Maglietta

venerdì 15 febbraio 2008

Il piano Ue contro l'immigrazione incontrollata



di Antonio Maglietta - 15 febbraio 2008

Semplici turisti, immigrati per motivi economici o lavorativi, manager in trasferta, studenti. Il nuovo registro elettronico di entrata e uscita dell'Unione Europea proposto dal vicepresidente della Commissione Franco Frattini non fa distinzioni: i cittadini di paesi terzi che vorranno entrare in Europa dovranno fornire dati biometrici come le impronte digitali o la scansione della retina. Sul sistema, che dovrebbe entrare in vigore dal 2015, saranno registrati i dati di chi chiede un visto per soggiorni di breve durata, fino a tre mesi, con l'indicazione di luogo e data di entrata. Chi vorrà ottenere lo status di «viaggiatore registrato» (come requisiti essenziali sono sufficienti mezzi di sussistenza personali adeguati e nessun precedente di soggiorni illegali) può registrare i propri dati biometrici e saltare così la trafila dei controlli, passande la frontiere e facendo semplicemente leggere le impronte digitali da un computer.

In particolare, la misura sarebbe rivolta a quanti non necessitano del visto Schengen, ma servirebbe anche a individuare quanti rimangono oltre la scadenza di un visto. «Il sistema ingresso/uscita - ha affermato Frattini a Bruxelles - aiuterà a risolvere il principale fattore che contribuisce all'immigrazione clandestina». Questo - ha precisato - «non è il flusso di poveri disperati che sbarcano a Lampedusa, ma è soprattutto rappresentato da tutte quelle persone che restano in Europa ben oltre la scadenza del loro permesso di soggiorno». Al momento l'Ue non ha una misura per verificare in tutti gli Stati che aderiscono allo spazio Schengen se l'extracomunitario abbia effettivamente lasciato l'Unione.

Frattini, con la sua proposta, coglie nel segno perché l'immigrazione incontrollata che trascende nella clandestinità non è quella delle cosiddette «carrette del mare», ma quella delle furbate fatte sui visti: si entra con il visto turistico di tre mesi in maniera legale, salvo poi continuare a rimanere in territorio europeo oltre la scadenza del tempo previsto, entrando così nell'alveo dell'illegalità. Ben venga, quindi, un sistema organico di controllo delle entrate e delle uscite. Solo con l'aiuto delle nuove tecnologie - spiega una nota della Commissione - l'Europa può affrontare la sfida della mobilità frenetica dei nostri giorni. Il Vecchio Continente, infatti, continua ad essere la meta più importante al mondo per il turismo, con più di 800 milioni di persone che ogni anno varcano le sue frontiere, tra entrate e uscite. Nel 2006, inoltre, si stima che nell'Ue ci fossero 8 milioni di immigrati illegali, di cui l'80% nell'area Schengen.

Dall'Unione Europea arriva quindi una proposta semplice, chiara e razionale per combattere l'immigrazione illegale. Dall'Italia, sponda centrosinistra, arrivano invece annunci quanto mai discutibili alla luce del recentissimo passato. Infatti, stupisce vedere Antonio Di Pietro, novello alleato del Partito Democratico, mettere tra i punti del suo programma per cambiare l'Italia, in materia di sicurezza: «Limitazioni all'immigrazione di soggetti senza reddito o posto di lavoro». Ma non era sempre lui, Di Pietro, un ministro del governo Prodi che approvò in silenzio, nel Consiglio dei ministri del 24 aprile dello scorso anno, il cosiddetto progetto di legge Amato-Ferrero, esprimendo solo una semplice «perplessità sull'impianto del ddl» ed ammettendo che questa perplessità non era stata neanche fatta presente in maniera ufficiale in Cdm? Basterebbe leggersi il comunicato ufficiale di quella riunione per dimostrare il silenzio-assenso di Di Pietro. E non sempre lui, Di Pietro, quello che in un certo modo accettava la figura dello sponsor per l'immigrato (quindi la possibilità per un immigrato di entrare in Italia senza contratto di lavoro) trincerandosi dietro un banale: «Deve essere uno sponsor vero e non una maschera di facciata per entrare»? (dichiarazione del 24 aprile 2007). Ben venga il ravvedimento del ministro Di Pietro, ma un po' di coerenza in più non guasterebbe, soprattutto su un tema importante come quello dell'immigrazione.

Antonio Maglietta

mercoledì 13 febbraio 2008

Immigrazione incontrollata. Gli italiani hanno paura



di Antonio Maglietta - 13 febbraio 2008

Sei italiani su dieci sono convinti che la presenza degli immigrati in Italia determini un aumento del tasso di criminalità nel nostro Paese. Il 61,2% degli italiani, soprattutto quelli del nord-est, ha questa percezione del rapporto immigrazione-criminalità. Lo evidenzia il recente studio di Transcrime, il Centro inter-universitario di ricerca sulla criminalità transnazionale dell'Università degli Studi di Trento e della Cattolica di Milano. Nel dossier si suddivide la popolazione italiana in base alle zone di residenza, al titolo di studio, al tipo di lavoro svolto. L'opinione sull'equivalenza immigrati-criminalità prevale al nord-est (63,6%); subito a seguire ci sono il sud e le isole (63,1%), il nord-ovest (62%) e il centro (54,4%). In media il 18% degli intervistati su tutto il territorio nazionale non ha saputo dare una risposta all'interrogativo: «Gli immigrati aumentano la criminalità?».

Tra uomini e donne, il sesso maschile ha prevalso (64,2%), nella convinzione che gli stranieri abbiano aumentato i crimini nel nostro Paese, sulla componente femminile (58,5%). Riguardo la suddivisione per titolo di studio, l'opinione che gli stranieri abbiano reso più pericolose le nostre città ha prevalso nelle persone con la sola licenza elementare (72,8%), seguiti dai diplomati (58,3%), da quelli con la licenza media (56,4%) e dai laureati (54,3%). Sono i pensionati (il 74,4% sul totale) quelli ad avere più diffidenza verso gli immigrati, e ritengono che i crimini, con il loro arrivo in Italia, siano aumentati notevolmente. Alta anche la percentuale delle casalinghe (67,9%), seguite dai dirigenti, dagli impiegati e dagli insegnanti (62,5%) e dagli imprenditori, professionisti e lavoratori autonomi (59,1%). Più basse invece le percentuali degli operai (52,9%), dei disoccupati (50,2%) e degli studenti (39,5%).

Ma lo studio di Transcrime mette anche a confronto le opinioni dei cittadini con le cifre dei detenuti e dei condannati stranieri in Italia. Gli ultimi dati sono quelli di fine 2006-inizio 2007, quando gli stranieri detenuti rappresentavano il 33,7% della popolazione carceraria (di questi il 5,9% erano donne); cifre che salgono sensibilmente se si monitorano le carceri venete e lombarde: in Veneto gli stranieri rispetto alla popolazione detenuta sono il 55,1%, mentre in Lombardia raggiungono il 47,5%. Una media altissima rispetto a tutte le altre regioni, che sembra indicare un maggior tasso di criminalità dovuto a reati commessi da immigrati. Se in media un carcerato su tre è un immigrato, vuol dire che la paura degli italiani si basa su dati di fatto e non su semplici percezioni, come spesso si dice.

Nel frattempo, incurante dei dati, chi voleva fare la politica delle porte aperte per tutti promette interventi tutt'altro che rassicuranti. Questa legislatura «finisce con rammarico» perché «tragicamente rimane in vigore la legge Bossi-Fini», ha affermato il ministro della Solidarietà Sociale, Paolo Ferrero, intervenendo lunedì sui temi dell'immigrazione alla trasmissione Shukran su RaiTre. «Purtroppo - ha aggiunto il ministro - la modifica della Bossi-Fini e la legge sulla cittadinanza le abbiamo fatte come governo, ma non siamo riusciti ad approvarle e, dunque, sono rimaste lettera morta». «Credo però - ha precisato Ferrero - che prima delle elezioni ci sia ancora la possibilità, con un decreto, di fare un provvedimento per regolarizzare quei migranti che hanno un posto di lavoro, ma che si trovano ancora in posizione di clandestinità». Dopo Giuliano Amato, anche Paolo Ferrero si rammarica per il lavoro lasciato in sospeso, facendo intendere che comunque vuole lasciare un segno (negativo) del suo passaggio.

Ma se Ferrero vuole aprire le porte, dall'Europa arrivano segnali di segno opposto. L'Ue, infatti, ha pronto un progetto che prevede, in funzione anti-terrorismo e di lotta all'immigrazione clandestina, i controlli biometrici per chiunque arrivi da paesi terzi (paesi extra-Ue). Sarebbe in fieri anche un sistema elettronico di controllo dei visti che sarà operativo dal 2012. Stando ad alcune anticipazioni filtrate da Bruxelles, l'ufficio di gabinetto del vicepresidente Franco Frattini ha preparato il testo del progetto, che sarà sottoposto mercoledì alla Commissione. I passaporti con i dati biometrici sono provvisti di dati controllabili da speciali apparecchiature, relativi a parametri propri ad ogni individuo, come la retina, le impronte digitali o l'iride. Il piano preparato da Frattini, commissario alla Giustizia, Libertà e Sicurezza, sarebbe la novità più clamorosa dall'istituzione di Schengen, lo spazio di libera circolazione europeo. Sarebbero previste procedure più veloci e automatiche per chi viaggia di frequente, che consentirebbero, a categorie di persone considerate «a basso rischio», di passare la frontiera soltanto attraverso i controlli automatici, evitando il contatto con il personale di frontiera.

Antonio Maglietta

domenica 10 febbraio 2008

Italia ventre molle dell'immigrazione clandestina



di Antonio Maglietta - 9 febbraio 2008

Stop all'Italia come ventre molle della lotta all'immigrazione clandestina: l'altolà arriva dalla Cassazione secondo cui commette reato il clandestino, e chi lo aiuta, che è di passaggio in Italia per raggiungere altri Paesi dell'Unione europea. Occasione per esprimere questo punto di vista, invitando i giudici di merito a non essere indulgenti con chi favorisce il traffico dei clandestini, è stata la sentenza n. 6398, con cui è stato precisato che gli Stati devono far fronte comune per far cessare questi fenomeni di immigrazione irregolare. La prima sezione penale della Cassazione ha accolto il ricorso della Procura di Trieste presentato contro la sentenza di assoluzione disposta, a maggio 2007, dal Tribunale di Tolmezzo, nei confronti di due cittadini ucraini che avevano aiutato tre connazionali ad attraversare l'Italia dichiarando poi che il passaggio era finalizzato esclusivamente al rientro nel Paese d'origine. Gli imputati, infatti, si sono difesi sostenendo che i tre loro «amici» stavano rientrando in Ucraina via Italia, Austria, Ungheria e Romania, in linea col principio secondo cui il transito momentaneo e provvisorio non costituisce reato mentre lo è la permanenza senza permesso. Un passaggio tecnico che potrebbe sembrare superfluo ma è determinante nella lotta all'immigrazione clandestina e al traffico degli esseri umani. Secondo la Procura triestina, invece, «ove si ritenesse penalmente irrilevante un ingresso per il solo fatto che chi lo compie assicura solo di essere solo in transito e di essere diretto al proprio Paese, mancando ogni possibilità di controllare la serietà di queste dichiarazioni, si finirebbe col rendere sostanzialmente ineffettiva la norma che punisce la clandestinità». La prima sezione penale della Corte di Cassazione ha accolto questa tesi annullando l'assoluzione e rinviando gli atti alla Corte d'appello di Trieste che ora dovrà processare i tre ucraini.

Secondo il collegio «l'articolo 12 del Testo Unico sull'immigrazione punisce chiunque compie atti diretti a procurare l'ingresso nel territorio dello Stato di uno straniero». Non solo. «La fattispecie criminosa - spiega ancora la Cassazione - non è più soltanto integrata dalle condotte dirette ad agevolare l'ingresso in Italia di stranieri extracomunitari in violazione della disciplina italiana sull'immigrazione, ma ricomprende anche tutte quelle condotte finalizzate a permettere l'entrata illegale in altri Stati confinanti, dei quali cioè lo straniero non è cittadino o non ha titolo di residenza permanente». Alla base della decisione c'è l'accordo di Schengen nel quale gli Stati si sono impegnati, di fatto, a far fronte comune per contrastare l'immigrazione irregolare. Quindi è reato favorire anche il solo transito attraverso i confini italiani di immigrati, senza permesso di soggiorno, diretti verso altre destinazioni: viola le norme sull'immigrazione chi «procura l'ingresso illecito dello straniero dall'Italia nel territorio di uno stato confinante, del quale egli non sia cittadino o non abbia titolo di residenza permanente, a nulla rilevando né la durata di tale ingresso, né la destinazione finale del trasferimento.

In pratica la Cassazione conferma la linea dura della legge Bossi-Fini sull'immigrazione irregolare, afferma che il nostro paese non deve essere «il ventre molle dell'immigrazione clandestina», dando quindi una interpretazione più restrittiva della norma in modo anche da «tutelare gli altri Stati membri dell'Unione Europea». Il governo Prodi, ancora in carica per il disbrigo degli affari correnti, nel frattempo che fa? Annuncia, nello stesso giorno in cui viene resa nota la citata sentenza, che una direttiva del Ministro dell'Interno renderà più veloci le concessioni dei permessi di soggiorno (cosa condivisibile) senza però fare alcun accenno a maggiori controlli per evitare furbate o traffici illeciti. Ogni commento sarebbe superfluo.

Antonio Maglietta

venerdì 8 febbraio 2008

Un sospiro di sollievo



di Antonio Maglietta - 8 febbraio 2008

Sono state dette e scritte tante parole sulla volontà del governo di centrosinistra di modificare sia la legge Bossi-Fini in materia di immigrazione che quella sulla cittadinanza. L'Unione aveva intenzione di spazzare via il concetto di immigrazione economica (quella che lega il permesso di soggiorno al contratto di lavoro), aprire le porte a tutti e arrivare infine alla concessione della cittadinanza agli stranieri dopo soli cinque anni di permanenza nel nostro Paese. Questa volontà è stata anche messa subito nero su bianco in due disegni di legge, poi fortunatamente arenatisi nelle secche dei lavori del parlamento. Immaginiamo anche le motivazioni che stavano alla base di questa operazione: gli immigrati sarebbero diventati la novella classe proletaria e, una volta cittadini italiani, con il diritto di voto alle elezioni politiche in tasca, avrebbero ricambiato chi aveva aperto loro le porte. Tuttavia è ipotizzabile che i cittadini stranieri provenienti dai Paesi dell'est europeo avrebbero avuto qualche titubanza a votare figli e nipoti politici del comunismo, se non altro per i ricordi, ancora vivi in molti di loro, di quello che è stato il comunismo e di come ha inciso negativamente sulle loro vite.

Negli annali, a futura memoria e per capire che cosa ci sarebbe toccato in sorte, resterà anche il corposo «Documento programmatico relativo alla politica dell'immigrazione e degli stranieri nel territorio dello Stato per il triennio 2007-2009» (Atto n. 209 - Relatore Zaccaria): una esposizione organica di quello che non dovrebbe fare uno Stato - salvo alcuni aspetti - in materia di immigrazione. Il documento si presenta come un testo di 85 pagine con molte chiacchiere ideologiche, tanta demagogia e pochi numeri. Ma quest'ultimo dato è comprensibile. Infatti i numeri a disposizione condannano inesorabilmente le analisi della sinistra e le sue scelte: le richieste di acquisizione della cittadinanza italiana da parte degli stranieri sono poche rispetto alla platea dei potenziali beneficiari, (fino al 2006 solo 215.000 stranieri su circa 800.000 aventi diritto, ossia coloro in possesso del requisito essenziale della permanenza legale decennale - dati Istat). Perché, dunque, diminuire il dato temporale da 10 a 5 anni, raddoppiando la platea (dagli attuali 800.000 ai potenziali 1.500.000)? Sui motivi della presenza in Italia degli stranieri, risulta che nella stragrande maggioranza dei casi è per lavoro (1.463.058 permessi, circa il 78% del totale - dati Istat). Perche, allora, rompere lo stretto legame, che sta alla base della legge Bossi-Fini, tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro?

Fortunatamente il governo è caduto, l'esperienza di questo centrosinistra è oramai archiviata e con ciò è tramonta definitivamente l'ipotesi di vedere una traduzione in legge di quei provvedimenti sull'immigrazione e la cittadinanza. Il 26 gennaio scorso, al decennale di Italianieuropei, la fondazione di cultura politica di area diessina, Giuliamo Amato confessò il proprio rammarico per aver dovuto «lasciare a metà» quel lavoro avviato da ministro degli Interni sul fronte dell'immigrazione. Quel lavoro è consistito: nel varo di due decreti flussi adoperati come sanatorie di fatto; nella chiusura di tre Cpt e nella ridotta utilizzazione degli altri, con conseguente drastica diminuzione delle espulsioni effettive; nella dilatazione oltre ogni misura di direttive comunitarie in tema di ricongiungimenti e di asilo, rendendo virtuali i controlli in entrata; nella presentazione di un decreto sicurezza, dopo il tristemente famoso omicidio di Tor di Quinto a Roma, che non è stato sostenuto neanche dai parlamentari del centrosinistra. Amato è rammaricato per il lavoro lasciato in sospeso in tema di immigrazione? Noi, invece, siamo contenti ed un pò più sereni.

Antonio Maglietta

mercoledì 6 febbraio 2008

Infortuni sul lavoro: una vergogna nazionale



di Antonio Maglietta - 6 febbraio 2008

Sono stati 832.037 gli infortunati sul lavoro (con rendita Inail) in tutto il 2007 e, nell'86% dei casi, gli incidenti hanno riguardato lavoratori maschi. Più colpito (con l'80% degli incidenti, pari a 665.793 casi) il settore dell'industria e dei servizi. Seguono agricoltura (19%, pari a 156.571 infortunati) e lavoratori statali (1%, pari a 9.673 casi). In oltre 208.000 casi l'invalidità derivata dall'infortunio è grave, molto grave in più di 27.000, media in oltre 588.000. E' quanto emerge dal 2° Rapporto Anmil (Associazione nazionale mutilati ed invalidi sul lavoro) sulla tutela delle vittime del lavoro, presentato lunedì a Roma.

L'indagine non lascia spazio ad eventuali dubbi sulla gravità del problema: gli incidenti sul lavoro sono circa un milione l'anno nel nostro Paese, i morti più di mille, ogni 7 ore c'è un decesso. E l'Italia, ancora una volta, è fanalino di coda in Europa. Nel nostro Paese, infatti, il numero dei decessi sul lavoro cala, ma a ritmi più lenti rispetto alla media Ue. Secondo il Rapporto (che rielabora i dati Inail), in dieci anni gli infortuni mortali nell'Unione Europea sono diminuiti del 29,41%, mentre in Italia solo del 25,49%. Un dato poco esaltante rispetto a quello della Germania (-48,30%) o della Spagna (-33,64%). Il settore in Italia dove calano di più gli infortuni è quello dei trasporti e del magazzinaggio (-27,88%). In termini assoluti, l'Italia resta, comunque, il Paese con il più alto numero di morti sul lavoro. Va un pò meglio per gli incidenti non mortali: il calo medio in Ue è del 17,05%, in Italia del 18,14%, anche se si deve tenere conto dell'elevato numero di infortuni non denunciati (l'Inail stima siano circa 200.000) nell'ambito del lavoro nero. Guardando i dati Inail, la flessione rispetto al 2006 si dovrebbe attestare intorno all'1,5%, con un calo molto consistente in agricoltura (-9%), più contenuto nel settore dell'industria e dei servizi (-1%) e un con lieve incremento per i dipendenti statali. Nell'arco dell'ultimo quinquennio la riduzione è stata dell'8% circa; se si tiene conto dell'occupazione che, nello stesso periodo, è cresciuta del 6%, il miglioramento assume dimensioni e valenze più significative (-13,3%). Ma è un risultato che non soddisfa. Occorre un abbattimento più concreto e incisivo del fenomeno, anche alla luce della direttiva comunitaria n. 62 del 21 febbraio 2007, che prevede per i Paesi Ue una riduzione del 25% nel periodo 2007-2012. Va precisato, comunque, che tale variazione andrà calcolata secondo la metodologia Eurostat che definisce infortuni sul lavoro solo quelli con «assenza dal lavoro di almeno 4 giorni» ed esclude quelli «in itinere»: su queste basi la riduzione 2001-2006 calcolata per l'Italia risulta pari al 15% in valori assoluti e al 20% in termini relativi.

I dati sono chiari e certificano l'ennesima emergenza sociale alla quale occorre dare risposte concrete, immediate e razionali. Queste risposte non possono che arrivare da un governo forte, legittimato dal voto popolare ed in grado di agire e risolvere i problemi, ma anche da un accordo bipartisan tra le forze politiche in Parlamento perché la materia degli infortuni sul lavoro rientra negli interessi generali del Paese che non hanno colore politico.

Antonio Maglietta

domenica 3 febbraio 2008

Prodi e Visco hanno frenato la voglia di fare impresa



di Antonio Maglietta - 2 febbraio 2008

Nel 2007 si è registrato il record assoluto di iscrizioni di nuove imprese alla Camera di Commercio ma, allo stesso tempo, anche le cessazioni di attività hanno segnato un massimo storico. E' quanto emerge da un'indagine di Unioncamere, alla luce dei dati Movimprese 2007, pubblicata venerdì, secondo cui lo scorso anno si sono registrate 436.025 iscrizioni (il massimo dal 1993, anno in cui è iniziata l'indagine) e oltre 390 mila cessazioni (anche qui record dal'93). A spiegare gli aspetti positivi del saldo sono principalmente tre fenomeni: la forte crescita delle imprese costituite in forma di società di capitali (54mila in più in dodici mesi, pari ad un tasso di crescita del 4,6%); le performance di Lazio e Lombardia che insieme hanno determinato il 54,3% di tutto il saldo complessivo; infine, i buoni risultati delle «Costruzioni» e dei «Servizi alle imprese» (insieme, quasi la metà del saldo totale). Sull'altro piatto della bilancia, a determinare la riduzione del saldo rispetto allo scorso anno sono stati: il rallentamento del Nord-Est e del Mezzogiorno (la cui crescita si è più che dimezzata rispetto al 2006); la diminuzione delle imprese agricole, manifatturiere e dei trasporti (quasi 29mila imprese in meno complessivamente); i saldi negativi delle Società di persone e delle Ditte individuali (-14mila imprese).

Lo studio evidenza come il bilancio demografico delle imprese nel 2007 trova, almeno in parte, una spiegazione nell'evoluzione del quadro macro-economico generale che, in questi ultimi anni, sta trasformando il sistema produttivo del Paese. La forte ripresa delle esportazioni italiane manifestatasi già nel 2006 e accentuatasi nel 2007, basata più sull'aumentato valore delle esportazioni che non sui maggiori volumi delle stesse, è stata il risultato di notevoli processi di riconversione, ristrutturazione, razionalizzazione e innovazione produttiva, organizzativa, tecnica e logistica che hanno accentuato la competizione all'interno dei settori produttivi italiani più esposti al mercato.

Se il 2007 ha confermato la forte inclinazione degli italiani a cercare nell'impresa e nell'auto-impiego una via per la realizzazione personale (le iscrizioni sono aumentate del 3% rispetto all'anno precedente), questa vitalità riesce sempre meno a compensare le fuoriuscite dal mercato delle imprese marginali o meno strutturate per competere. In termini assoluti, infatti, il numero delle cessazioni è progressivamente cresciuto negli ultimi anni fino a raggiungere nel 2007 il valore più elevato dal 1993; in termini relativi, la loro crescita rispetto all'anno precedente è stata superiore all'11%. Vale la pena sottolineare come ciò sia accaduto soltanto in altre due occasioni: nel 1993 e nel 1994, in concomitanza con la crisi monetaria e finanziaria del 1992 e delle misure di risanamento adottate in quella difficile congiuntura. Anche nel 2007, come negli anni immediatamente precedenti, le pressioni di questa competizione si sono scaricate in modo preferenziale su quelle imprese che non sono riuscite ad inserirsi nella corrente dei processi innovativi e che, per prime, hanno visto ridursi le prospettive di redditività: imprese individuali, comunque piccole e poco capitalizzate, non collegate a filiere o reti di subfornitura, scarsamente innovative.

Inoltre, prosegue lo studio, sono sempre meno le imprese che nascono adottando forme giuridiche «semplici» (Ditta individuale o la Società di persone), e sempre più quelle che, per operare sul mercato, scelgono una forma giuridica più «robusta» come le Società di capitali. Questa tendenza, in atto da alcuni anni, è continuata nel 2007, anno in cui, pur restando elevato in termini assoluti (271.392 unità), si è ulteriormente ridotto di mezzo punto percentuale il contributo delle ditte individuali allo stock complessivo delle imprese, passando dal 57,1% al 56,6% (un gap che, rispetto al 2000, è di 4,3 punti percentuali). Questo in virtù del diverso contributo di questa forma giuridica ai due flussi demografici, rispettivamente il 62,2% delle iscrizioni ma il 73,1% delle cessazioni.

Dall'indagine di Unioncamere emerge che il mondo imprenditoriale italiano vive all'insegna del «vorrei, ma non posso»: c'è la volontà di fare impresa, ma non ci sono gli strumenti idonei per sostenere questa volontà e, quindi, chi ha già mezzi propri disponibili, innova e sopravvive, chi no, esce dal mercato. Non è un caso, poi, che il record storico negativo sulla mortalità delle imprese sia arrivato nel 2007. La cura Prodi-Visco, a base di tasse e burocrazia, con maggiori oneri senza alcun ritorno in termini di servizi, ha colpito duramente la voglia di fare impresa in Italia e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Agendo con il semplice ma brutale sistema del «quanto guadagni? Dammelo!» e con un atteggiamento intimidatorio, assunto soprattutto dal Vice-Ministro all'economia, nei confronti del popolo delle partita Iva, non si è certo alimentato un clima di fiducia nel mondo dell'imprenditoria. Ma c'è una nota molto positiva da sottolineare: nonostante Prodi e Visco la voglia di mettersi in gioco, di investire, di fare impresa in Italia c'è ed è forte. Da questo dato si dovrà partire quando lor Signori nel Palazzo avranno deciso di schiodarsi dalle poltrone.

Antonio Maglietta

venerdì 1 febbraio 2008

La malagricoltura



di Antonio Maglietta - 31 gennaio 2008

Racket, pizzo e altri fenomeni malavitosi comportano danni alle campagne italiane per 7,5 miliardi di euro e spingono in alto i prezzi degli alimenti. Lo rileva Coldiretti in base ai dati resi noti dalla Direzione Nazionale Antimafia (Dna). L'organizzazione dei coltivatori denuncia la crescita di furti di attrezzature e mezzi agricoli, abigeato (la sottrazione di bestiame), estorsioni, pizzo anche sotto forma di imposizione di manodopera o di servizi di trasporto o di guardiania alle aziende agricole, danneggiamento delle colture, aggressioni, usura, macellazioni clandestine, truffe nei confronti dell'Unione Europea e caporalato.

L'associazione effettua una analisi dettagliata della situazione: «La criminalità, sia italiana che straniera, controlla in modo pesante la manodopera, specie in nero, offerta soprattutto da immigrati, con rilevanti ripercussioni sotto il profilo del rispetto dei diritti umani e della salute, della violazione delle norme sull'immigrazione, dell'evasione contributiva, con riflessi anche dal punto di vista della concorrenza sleale che ne deriva nei confronti delle imprese che rispettano le leggi». E non basta, perché secondo i coltivatori a tutto ciò si aggiungono gli effetti dello smaltimento illecito dei rifiuti, dell'importazione illegale di alimenti a rischio e del mancato rispetto di norme igienico-sanitarie.

Ma vi sono anche «ritorni» di reati tradizionali nell'ambiente agricolo come l'abigeato, con il furto di circa 100 mila animali da allevamento all'anno. Crescono anche l'usura, aggravata dall'andamento sfavorevole del settore in alcune aree, gli atti di vandalismo collegati ad estorsioni, mentre ha raggiunto dimensioni allarmanti anche la sottrazione di trattori e delle altre attrezzature agricole, spesso con la «formula» del cavallo di ritorno che prevede di dover pagare per farsi restituire il mezzo. Preoccupano anche le intromissioni nel sistema di distribuzione e trasporto dei prodotti, soprattutto ortofrutticoli, che danneggiano gli operatori sotto il profilo del corrispettivo pagato agli imprenditori agricoli e aumentano in modo anomalo i prezzi al consumo. Situazioni di questo genere avrebbero per effetto la distorsione della catena produttivo-distributiva, con un conseguente aumento dei prezzi al consumo.

Alla base di questa situazione - ricorda l'organizzazione dei coltivatori sulla scorta delle valutazioni della Direzione Antimafia - anche la particolare situazione delle campagne. La criminalità organizzata che opera nelle campagne incide più a fondo nei beni e nella libertà delle persone, perché, a differenza della criminalità urbana, può contare su un tessuto sociale e su condizioni di isolamento degli operatori e di mancanza di presidi di polizia immediatamente raggiungibili ed attivabili.

Da tutto questo anche alcune proposte. Occorre ad esempio, spiega la Coldiretti, invertire la tendenza allo smantellamento dei presidi e delle forze di sicurezza presenti sul territorio, ma anche incentivare il ruolo delle associazioni di rappresentanza attraverso il confronto e la concertazione con la Pubblica Amministrazione, perché la mancanza di dialogo costituisce un indubbio fattore critico nell'azione di repressione della criminalità.

L'allarme lanciato dalla Dna e dalla Coldiretti trova riscontro anche nei dati forniti da un rapporto presentato mercoledì da Medici Senza Frontiere (Msf). Secondo lo studio, dall'emblematico titolo Una stagione all'inferno, dedicato al drammatico fenomeno dello sfruttamento degli immigrati, emergono paghe da fame per tutti e lavoro in nero per la gran parte (9 su 10): gli immigrati stagionali impiegati in agricoltura nelle regioni meridionali sono costretti ad accettare orari impossibili (dalle 4,30 del mattino), reclutamenti quotidiani da «caporali» ai quali va data parte del già magro salario (dai 3 a 5 euro al giorno). Msf ha intervistato da luglio a novembre dello scorso anno circa 600 immigrati (il 72% senza regolare permesso di soggiorno) impegnati nella raccolta di prodotti agricoli come pomodori, kiwi, uva, meloni, agrumi. Otto i centri indagati (Piana del Sele; provincia di Latina e di Foggia; Metaponto; Valle del Belice; Palazzo San Gervasio; Piana di Gioia Tauro). Questi i principali risultati: il 90% del campione non possiede alcun contratto di lavoro; ogni giorno (in media il lavoro è per meno di 4 giorni la settimana) l'orario è di 8/10 ore; la metà degli intervistati guadagna tra i 26 e 40 euro, mentre poco più di un terzo 25 euro o meno (il compenso è pattuito sul luogo del reclutamento; nel foggiano, Msf ha rilevato che un bracciante straniero guadagna dai 4 ai 6 euro per raccogliere una cassone di pomodori da 350 chili); il 37% dichiara che dalla paga giornaliera sono sottratti da 3 a 5 euro per i caporali.

La situazione fotografata da Dna, Coldiretti e Msf sullo stato di salute delle campagne italiane, che dimostra una situazione davvero preoccupante, peraltro in un settore strategico come l'agricoltura, è una vera e propria vergogna. Le leggi ci sono, ma, come al solito, non si applicano. Lo Stato deve far sentire la sua presenza in maniera chiara e netta e non deve lasciare soli gli operatori del settore, oramai in balìa della criminalità e del malcostume. Sono questi, e tanti altri ancora, i problemi a cui urge dare una risposta rapida e precisa e non quelli di Palazzo sulla bontà o meno delle leggi elettorali, che servono solo per restare in poltrona tirando a campare ancora un pò.

Antonio Maglietta
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