venerdì 1 febbraio 2008

La malagricoltura



di Antonio Maglietta - 31 gennaio 2008

Racket, pizzo e altri fenomeni malavitosi comportano danni alle campagne italiane per 7,5 miliardi di euro e spingono in alto i prezzi degli alimenti. Lo rileva Coldiretti in base ai dati resi noti dalla Direzione Nazionale Antimafia (Dna). L'organizzazione dei coltivatori denuncia la crescita di furti di attrezzature e mezzi agricoli, abigeato (la sottrazione di bestiame), estorsioni, pizzo anche sotto forma di imposizione di manodopera o di servizi di trasporto o di guardiania alle aziende agricole, danneggiamento delle colture, aggressioni, usura, macellazioni clandestine, truffe nei confronti dell'Unione Europea e caporalato.

L'associazione effettua una analisi dettagliata della situazione: «La criminalità, sia italiana che straniera, controlla in modo pesante la manodopera, specie in nero, offerta soprattutto da immigrati, con rilevanti ripercussioni sotto il profilo del rispetto dei diritti umani e della salute, della violazione delle norme sull'immigrazione, dell'evasione contributiva, con riflessi anche dal punto di vista della concorrenza sleale che ne deriva nei confronti delle imprese che rispettano le leggi». E non basta, perché secondo i coltivatori a tutto ciò si aggiungono gli effetti dello smaltimento illecito dei rifiuti, dell'importazione illegale di alimenti a rischio e del mancato rispetto di norme igienico-sanitarie.

Ma vi sono anche «ritorni» di reati tradizionali nell'ambiente agricolo come l'abigeato, con il furto di circa 100 mila animali da allevamento all'anno. Crescono anche l'usura, aggravata dall'andamento sfavorevole del settore in alcune aree, gli atti di vandalismo collegati ad estorsioni, mentre ha raggiunto dimensioni allarmanti anche la sottrazione di trattori e delle altre attrezzature agricole, spesso con la «formula» del cavallo di ritorno che prevede di dover pagare per farsi restituire il mezzo. Preoccupano anche le intromissioni nel sistema di distribuzione e trasporto dei prodotti, soprattutto ortofrutticoli, che danneggiano gli operatori sotto il profilo del corrispettivo pagato agli imprenditori agricoli e aumentano in modo anomalo i prezzi al consumo. Situazioni di questo genere avrebbero per effetto la distorsione della catena produttivo-distributiva, con un conseguente aumento dei prezzi al consumo.

Alla base di questa situazione - ricorda l'organizzazione dei coltivatori sulla scorta delle valutazioni della Direzione Antimafia - anche la particolare situazione delle campagne. La criminalità organizzata che opera nelle campagne incide più a fondo nei beni e nella libertà delle persone, perché, a differenza della criminalità urbana, può contare su un tessuto sociale e su condizioni di isolamento degli operatori e di mancanza di presidi di polizia immediatamente raggiungibili ed attivabili.

Da tutto questo anche alcune proposte. Occorre ad esempio, spiega la Coldiretti, invertire la tendenza allo smantellamento dei presidi e delle forze di sicurezza presenti sul territorio, ma anche incentivare il ruolo delle associazioni di rappresentanza attraverso il confronto e la concertazione con la Pubblica Amministrazione, perché la mancanza di dialogo costituisce un indubbio fattore critico nell'azione di repressione della criminalità.

L'allarme lanciato dalla Dna e dalla Coldiretti trova riscontro anche nei dati forniti da un rapporto presentato mercoledì da Medici Senza Frontiere (Msf). Secondo lo studio, dall'emblematico titolo Una stagione all'inferno, dedicato al drammatico fenomeno dello sfruttamento degli immigrati, emergono paghe da fame per tutti e lavoro in nero per la gran parte (9 su 10): gli immigrati stagionali impiegati in agricoltura nelle regioni meridionali sono costretti ad accettare orari impossibili (dalle 4,30 del mattino), reclutamenti quotidiani da «caporali» ai quali va data parte del già magro salario (dai 3 a 5 euro al giorno). Msf ha intervistato da luglio a novembre dello scorso anno circa 600 immigrati (il 72% senza regolare permesso di soggiorno) impegnati nella raccolta di prodotti agricoli come pomodori, kiwi, uva, meloni, agrumi. Otto i centri indagati (Piana del Sele; provincia di Latina e di Foggia; Metaponto; Valle del Belice; Palazzo San Gervasio; Piana di Gioia Tauro). Questi i principali risultati: il 90% del campione non possiede alcun contratto di lavoro; ogni giorno (in media il lavoro è per meno di 4 giorni la settimana) l'orario è di 8/10 ore; la metà degli intervistati guadagna tra i 26 e 40 euro, mentre poco più di un terzo 25 euro o meno (il compenso è pattuito sul luogo del reclutamento; nel foggiano, Msf ha rilevato che un bracciante straniero guadagna dai 4 ai 6 euro per raccogliere una cassone di pomodori da 350 chili); il 37% dichiara che dalla paga giornaliera sono sottratti da 3 a 5 euro per i caporali.

La situazione fotografata da Dna, Coldiretti e Msf sullo stato di salute delle campagne italiane, che dimostra una situazione davvero preoccupante, peraltro in un settore strategico come l'agricoltura, è una vera e propria vergogna. Le leggi ci sono, ma, come al solito, non si applicano. Lo Stato deve far sentire la sua presenza in maniera chiara e netta e non deve lasciare soli gli operatori del settore, oramai in balìa della criminalità e del malcostume. Sono questi, e tanti altri ancora, i problemi a cui urge dare una risposta rapida e precisa e non quelli di Palazzo sulla bontà o meno delle leggi elettorali, che servono solo per restare in poltrona tirando a campare ancora un pò.

Antonio Maglietta

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