domenica 3 febbraio 2008

Prodi e Visco hanno frenato la voglia di fare impresa



di Antonio Maglietta - 2 febbraio 2008

Nel 2007 si è registrato il record assoluto di iscrizioni di nuove imprese alla Camera di Commercio ma, allo stesso tempo, anche le cessazioni di attività hanno segnato un massimo storico. E' quanto emerge da un'indagine di Unioncamere, alla luce dei dati Movimprese 2007, pubblicata venerdì, secondo cui lo scorso anno si sono registrate 436.025 iscrizioni (il massimo dal 1993, anno in cui è iniziata l'indagine) e oltre 390 mila cessazioni (anche qui record dal'93). A spiegare gli aspetti positivi del saldo sono principalmente tre fenomeni: la forte crescita delle imprese costituite in forma di società di capitali (54mila in più in dodici mesi, pari ad un tasso di crescita del 4,6%); le performance di Lazio e Lombardia che insieme hanno determinato il 54,3% di tutto il saldo complessivo; infine, i buoni risultati delle «Costruzioni» e dei «Servizi alle imprese» (insieme, quasi la metà del saldo totale). Sull'altro piatto della bilancia, a determinare la riduzione del saldo rispetto allo scorso anno sono stati: il rallentamento del Nord-Est e del Mezzogiorno (la cui crescita si è più che dimezzata rispetto al 2006); la diminuzione delle imprese agricole, manifatturiere e dei trasporti (quasi 29mila imprese in meno complessivamente); i saldi negativi delle Società di persone e delle Ditte individuali (-14mila imprese).

Lo studio evidenza come il bilancio demografico delle imprese nel 2007 trova, almeno in parte, una spiegazione nell'evoluzione del quadro macro-economico generale che, in questi ultimi anni, sta trasformando il sistema produttivo del Paese. La forte ripresa delle esportazioni italiane manifestatasi già nel 2006 e accentuatasi nel 2007, basata più sull'aumentato valore delle esportazioni che non sui maggiori volumi delle stesse, è stata il risultato di notevoli processi di riconversione, ristrutturazione, razionalizzazione e innovazione produttiva, organizzativa, tecnica e logistica che hanno accentuato la competizione all'interno dei settori produttivi italiani più esposti al mercato.

Se il 2007 ha confermato la forte inclinazione degli italiani a cercare nell'impresa e nell'auto-impiego una via per la realizzazione personale (le iscrizioni sono aumentate del 3% rispetto all'anno precedente), questa vitalità riesce sempre meno a compensare le fuoriuscite dal mercato delle imprese marginali o meno strutturate per competere. In termini assoluti, infatti, il numero delle cessazioni è progressivamente cresciuto negli ultimi anni fino a raggiungere nel 2007 il valore più elevato dal 1993; in termini relativi, la loro crescita rispetto all'anno precedente è stata superiore all'11%. Vale la pena sottolineare come ciò sia accaduto soltanto in altre due occasioni: nel 1993 e nel 1994, in concomitanza con la crisi monetaria e finanziaria del 1992 e delle misure di risanamento adottate in quella difficile congiuntura. Anche nel 2007, come negli anni immediatamente precedenti, le pressioni di questa competizione si sono scaricate in modo preferenziale su quelle imprese che non sono riuscite ad inserirsi nella corrente dei processi innovativi e che, per prime, hanno visto ridursi le prospettive di redditività: imprese individuali, comunque piccole e poco capitalizzate, non collegate a filiere o reti di subfornitura, scarsamente innovative.

Inoltre, prosegue lo studio, sono sempre meno le imprese che nascono adottando forme giuridiche «semplici» (Ditta individuale o la Società di persone), e sempre più quelle che, per operare sul mercato, scelgono una forma giuridica più «robusta» come le Società di capitali. Questa tendenza, in atto da alcuni anni, è continuata nel 2007, anno in cui, pur restando elevato in termini assoluti (271.392 unità), si è ulteriormente ridotto di mezzo punto percentuale il contributo delle ditte individuali allo stock complessivo delle imprese, passando dal 57,1% al 56,6% (un gap che, rispetto al 2000, è di 4,3 punti percentuali). Questo in virtù del diverso contributo di questa forma giuridica ai due flussi demografici, rispettivamente il 62,2% delle iscrizioni ma il 73,1% delle cessazioni.

Dall'indagine di Unioncamere emerge che il mondo imprenditoriale italiano vive all'insegna del «vorrei, ma non posso»: c'è la volontà di fare impresa, ma non ci sono gli strumenti idonei per sostenere questa volontà e, quindi, chi ha già mezzi propri disponibili, innova e sopravvive, chi no, esce dal mercato. Non è un caso, poi, che il record storico negativo sulla mortalità delle imprese sia arrivato nel 2007. La cura Prodi-Visco, a base di tasse e burocrazia, con maggiori oneri senza alcun ritorno in termini di servizi, ha colpito duramente la voglia di fare impresa in Italia e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Agendo con il semplice ma brutale sistema del «quanto guadagni? Dammelo!» e con un atteggiamento intimidatorio, assunto soprattutto dal Vice-Ministro all'economia, nei confronti del popolo delle partita Iva, non si è certo alimentato un clima di fiducia nel mondo dell'imprenditoria. Ma c'è una nota molto positiva da sottolineare: nonostante Prodi e Visco la voglia di mettersi in gioco, di investire, di fare impresa in Italia c'è ed è forte. Da questo dato si dovrà partire quando lor Signori nel Palazzo avranno deciso di schiodarsi dalle poltrone.

Antonio Maglietta

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