martedì 23 ottobre 2012

I giovani italiani cercano qualsiasi lavoro

di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

martedì 23 ottobre 2012

In principio fu il defunto ex ministro Tommaso Padoa Schioppa che, nel corso di un’audizione davanti alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato, esclamò: «Mandiamo i bamboccioni fuori di casa». Ora è il turno dell’attuale ministro del lavoro, Elsa Fornero, che intervenendo in un dibattito pubblico ha invitato i giovani a «non essere troppo choosey (schizzinosi, ndr)», salvo poi cercare di correggere il tiro aggiungendo che «I giovani italiani oggi sono disposti a prendere qualunque lavoro, tant’è che sono in condizioni di precarietà». «Nel passato - ha aggiunto - quando il mercato del lavoro consentiva cose diverse, qualche volta poteva capitare, ma oggi i giovani italiani non sono nelle condizioni di essere schizzinosi».

Secondo la ricerca sulle giovani generazioni, promossa dallo Ial Nazionale – Innovazione Apprendimento Lavoro, in sinergia con la Cisl, e realizzata dall'Istituto Demopolis, al primo posto, fra le cose importanti della vita, i giovani pongono oggi il lavoro che – per la prima volta – supera con il 91% il primato duraturo della variabile “famiglia” fra le priorità delle nuove generazioni: l’occupazione è ritenuta condizione ineludibile per la progettazione del futuro. Pesa, sempre di più, l’incertezza sull’avvenire: meno di un quarto dei giovani italiani si immagina tra 5 anni con un lavoro stabile e ben retribuito.
Il 78% dei giovani è convinto che nel nostro Paese per entrare nel mondo del lavoro, più che la preparazione, serva soprattutto la rete di relazioni, “conoscere persone che contano”. Non è un caso, quindi, che sempre secondo questa ricerca, quattro giovani su dieci hanno trovato lavoro tramite amici, parenti, conoscenti. Per circa un quinto l'occupazione è frutto di personale dinamismo: assunzione a seguito di autocandidatura. Sotto il 10% si assestano tutti gli strumenti ufficiali di job placement: da selezioni e concorsi, all'evoluzione di stage o tirocinio, alle attività di Agenzie di lavoro e Centri per l'impiego.

Questi dati devono far riflettere soprattutto chi ricopre incarichi di governo come il ministro Fornero. Chi è investito di un ruolo tale da essere in grado di fare qualcosa di concreto in termini di modifica della legislazione corrente, invece di discettare del sesso degli angeli e lasciarsi andare in analisi sociologiche o pronunciare frasi che possono essere facilmente fraintese, dovrebbe:

1- ideare proposte concrete per cambiare lo status quo;

2- aprire un dibattito;

3- prendere una decisione e trasformarla in atto.

In generale, un ministro che, rivolgendosi ai giovani, parla di bamboccioni o schizzinosi, non ha forse capito fino in fondo quale dovrebbe essere il proprio ruolo. Questi termini e questi concetti espressi nel corso di dibattiti pubblici sono più confacenti ai discorsi da bar tra amici che ad altro. In una situazione come quella attuale, dove la crisi ha fatto balzare il tasso di disoccupazione giovanile a cifre improponibili per un paese civile, soprattutto un ministro del lavoro dovrebbe rendersi conto che tra le proprie azioni prioritarie, da esercitare in funzione di personaggio pubblico con un importante incarico di governo sulle spalle, non dovrebbe esserci quello di salire in cattedra e giudicare i comportamenti delle masse.

Sarebbe molto più utile per il bene comune, invece, di fare in modo che, attraverso la propria azione di governo, diminuiscano i giovani italiani che si affidano ad amici e parenti per trovare un lavoro e aumenti il numero di chi passa, invece, attraverso i canali ufficiali. Detto questo, poi, è ovvio che il ministro Fornero non abbia la bacchetta magica e che la sola modifica della legislazione corrente, già di per sé non facile perché ostacolata da forze sociali regressive o interessi parassitari, non può da sola portare benefici in termini occupazionali. Fermo restando, quindi, la difficoltà di cambiare lo status quo in un paese ingessato come l’Italia, se il ministro del lavoro, tra i temi del dibattito pubblico, portasse atti concreti invece che una semplice analisi pseudo - sociologica e spiegasse cosa vuole fare, con relativi tempi e passaggi governativi e/o parlamentari, saremo tutti lieti di ascoltarla ed entrare nel merito della questione.

martedì 9 ottobre 2012

E' indispensabile aiutare la famiglie italiane

di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

martedì 09 ottobre 2012

Secondo gli ultimi dati dell’Istat, nel secondo trimestre del 2012 la propensione al risparmio delle famiglie consumatrici, misurata al netto della stagionalità, è stata pari all'8,1%, con una diminuzione dello 0,6% rispetto al trimestre precedente e dello 0,5% se confrontato con lo stesso periodo dello scorso anno. Sempre secondo l’Istituto nazionale di statistica, il reddito disponibile delle famiglie consumatrici in valori correnti è diminuito dell'1% rispetto al trimestre precedente, e dell'1,5% rispetto al corrispondente periodo del 2011.

Tenendo conto dell'inflazione, il potere di acquisto delle famiglie consumatrici nel secondo trimestre del 2012 si è ridotto dell'1,6% rispetto al trimestre precedente e del 4,1% rispetto al secondo trimestre del 2011. Nei primi sei mesi del 2012, nei confronti dello stesso periodo del 2011, il potere d'acquisto ha registrato una flessione del 3,5%. Le famiglie italiane se la passano male. Se ci serviva un riscontro numerico per dare un’aura di ufficialità a quello che già ognuno di noi è in grado di vedere nella vita di tutti i giorni, ora siamo stati accontentati.

L’Istat ci dice, numeri alla mano, che per le famiglie del Belpaese cala il potere di acquisto, si contrae il reddito disponibile, diminuisce la propensione al risparmio su base tendenziale e congiunturale. Insomma, se non si sta raschiando il fondo del barile per arrivare alla fine del mese, poco ci manca. A tutto questo va aggiunto che, sempre secondo l’Istat, l'indice nazionale dei prezzi al consumo per l'intera collettività (NIC) a settembre, comprensivo dei tabacchi, ha registrato una variazione congiunturale nulla e un aumento del 3,2% su base tendenziale (lo stesso valore registrato ad agosto).

Secondo l’ultimo rapporto della Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie italiane (pubblicato quest’anno e riferito al 2010), è emerso che nel 2010 il reddito familiare medio annuo, al netto delle imposte sul reddito e dei contributi sociali, era pari a 32.714 euro, 2.726 euro al mese. Il reddito da lavoro dipendente ricevuto in media da ciascun percettore era risultato pari a 16.559 euro. Sempre nel 2010, il 29,8% delle famiglie reputava le proprie entrate insufficienti a coprire le spese, il 10,5% le reputava più che sufficienti, mentre il restante 59,7% segnalava una situazione intermedia. La ricchezza familiare netta, data dalla somma delle attività reali (immobili, aziende e oggetti di valore) e delle attività finanziarie (depositi, titoli di Stato, azioni, ecc.) al netto delle passività finanziarie (mutui e altri debiti), presentava un valore medio di 163.875 euro. Il 10% delle famiglie più ricche possedeva il 45,9% della ricchezza netta familiare totale. La percentuale di famiglie indebitate era pari al 27,7% e l’incidenza mediana della rata annuale complessiva per il rimborso dei prestiti sul reddito familiare era del 12,4%.

Lo scorso 31 luglio, il governo in carica ha presentato un progetto a sostegno dei bilanci familiari chiamato ‘Percorso Famiglia’. Un’iniziativa che, seppur meritevole sul piano delle intenzioni, si limita a potenziare strumenti già introdotti dall’ultimo governo Berlusconi come il Fondo per la casa, il Fondo per i nuovi nati e la possibilità di sospendere i mutui per le famiglie che hanno difficoltà a pagarne le rate o ad intervenire su fondi già potenziati dal precedente esecutivo come ad esempio quello per lo studio (introdotto nel 2007 dal governo Prodi II). La morsa a tenaglia tra prezzi al consumo in aumento, stipendi erosi dalle tasse e rate di mutui e prestiti da onorare sta soffocando il nostro Paese. Ben venga, quindi, sempre che diventi una realtà, l’idea da parte dell’esecutivo di rivedere la famigerata Imu per le famiglie disagiate, inserendo nella delega fiscale forme di progressività a favore dei nuclei familiari o dei pensionati maggiormente in difficoltà. Sarebbe una boccata di ossigeno e non certo un intervento strutturale ma di questi tempi è già un qualcosa di utile.

L’introduzione dell’Imu da parte di questo governo fu una stangata per tante famiglie. Speriamo in qualche intervento volto ad alleggerire il peso di questa imposta, anche alla luce degli ultimi dati positivi che registrano nel periodo gennaio-agosto 2012 una crescita del 4,1% delle entrate tributarie erariali (+10.462 milioni di euro), rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.

martedì 2 ottobre 2012

L'occupazione diminuisce non solo a causa della crisi

di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

martedì 02 ottobre 2012


Gli ultimi dati dell’Istat sul mercato del lavoro in Italia ci dicono che ad agosto 2012 gli occupati erano 22.934 mila, in calo dello 0,3% sia su base mensile rispetto a luglio 2012 che su base annua rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Il tasso di occupazione è pari al 56,9%, in diminuzione 0,2 punti percentuali sia nel confronto congiunturale sia in quello tendenziale. Il numero dei disoccupati, pari a 2.744 mila, diminuisce dello 0,3% rispetto a luglio (-9 mila unità). Su base annua si registra una crescita pari al 30,4% (640 mila unità). Il tasso di disoccupazione è pari al 10,7%, stabile rispetto a luglio e in aumento di 2,3 punti percentuali nei dodici mesi.
Il tasso di disoccupazione dei giovani nella fascia di età tra i 15 ei 24 anni, ovvero l'incidenza dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è pari al 34,5%, in calo di 0,5 punti percentuali rispetto a luglio. Gli inattivi tra i 15 e i 64 anni aumentano dello 0,6% (92 mila unità) rispetto al mese precedente. Il tasso di inattività si attesta al 36,3%, con un aumento di 0,2 punti percentuali in termini congiunturali e una diminuzione di 1,3 punti percentuali su base annua.
Secondo gli ultimi dati dell’Eurostat, la disoccupazione nell'eurozona ha raggiunto ad agosto il nuovo record dell'11,4%, il più alto dalla creazione della moneta unica. Ai massimi livelli anche il tasso nell'Ue a 27 Paesi, al 10,5%​. I numeri ci dicono, quindi, che in Italia e in Europa il tasso di disoccupazione è in continuo aumento e che le fasce più colpite, come al solito, sono i giovani e le donne.

E’ tutta colpa della crisi economica? Partiamo dal presupposto che la crisi economica ha certamente riversato i suoi effetti negativi sul mercato del lavoro. Ma se ci limitiamo a dare tutta la colpa a questo, forse perderemmo di vista altri fattori molto importanti legati al sistema italiano e alla governance europea. Tra gli elementi negativi del sistema italiano che certamente non favoriscono la crescita dell’occupazione e la diminuzione della disoccupazione ci sono: il carico fiscale sempre più elevato, contratti d'ingresso rigidi per i giovani, mancata tutela della donna nel mercato del lavoro, una burocrazia invasiva che danneggia il sistema delle imprese. Sono tutte cose che sappiamo benissimo ma che per vari motivi non riusciamo come sistema paese ad affrontare in modo deciso. Non c’è solo una questione di decisioni politiche mancate o sbagliate ma anche di mentalità corporativa che attanaglia e imbriglia il nostro Paese e che ha prodotto danni di egual misura e per certi versi anche superiori a quelli della politica.
Il nostro sistema è prigioniero dei sistemi corporativi che trovano la loro espressione nei vetusti ordini professionali, nel sistema farraginoso del rilascio di alcune licenze, nel sistema bancario che chiude i rubinetti dei mutui e dei prestiti per dedicarsi ad altro, nel capitalismo italico in genere di stampo prettamente familiare, famelico di soldi pubblici e poco propenso al rischio. Ogni giorno questo sistema, parallelo alla politica, si inventa nuovi balzelli per ostacolare l’ingresso di giovani e meno giovani nel mondo del lavoro, per non concedere prestiti e ammazzare anche le aziende tendenzialmente sane, e prendere soldi a scrocco dallo Stato sotto varie forme che, invece, potrebbero servire per fare tante altre cose meritevoli.
Se vogliamo davvero aiutare le nuove generazioni a trovare lavoro allora dobbiamo allargare le porte d’ingresso nel mercato, eliminare le rendite di posizione agevolando la concorrenza, facilitare l’accesso al credito. Senza questi provvedimenti non andremo da nessuna parte se non dritti nel baratro.

Per quanto riguarda i problemi europei, invece, è innegabile che la recessione in cui ci siamo impantanati è anche colpa degli orientamenti e delle priorità politiche generali dell'UE dettate dalla Banca centrale europea nelle gestioni precedenti all’era Draghi, nella totale assenza di un vero organismo politico comunitario in grado di assumere le decisioni fondamentali. Sulla carta questo ruolo spetterebbe al Consiglio Europeo, composto dai capi di Stato o di governo dei paesi membri, dal presidente della Commissione e dal Presidente del Consiglio europeo stesso, ma il fatto stesso che le iniziative più delicate siano prese nel corso di vertici bilaterali a geometria variabile tra i capi di governo di Germania, Francia e Italia la dice lunga sul ruolo effettivo svolto da quest’organismo. Non è ovviamente solo una questione di forma ma anche e soprattutto di contenuto perché tutte le decisioni politiche all’insegna di una miope austerità imposte dalla Germania non hanno fatto altro che aggravare la crisi e, di conseguenza, peggiorare la situazione nel mercato del lavoro.
L’attuale governatore della Bce, Mario Draghi, ha avuto il merito di avere calmierato in parte il mercato delle vacche dello spread con gli strumenti a disposizione e le sue scelte lungimiranti e non certo facili. Questo significa che la Bce non è certo il male assoluto ma un organismo che può lavorare bene o male. Resta di tutta evidenza, tuttavia, che non può essere certo la Bce o la sola Germania a dare la linea a tutti gli altri sia perché meccanismi decisionali di questo tipo mal si conciliano con l’idea stessa di democrazia sia perché le politiche di austerità non sono in grado di creare posti di lavoro e che ogni momento è buono per iniziare a creare le condizioni per una ripresa economica e intervenire per diminuire il tasso di disoccupazione.
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