martedì 2 ottobre 2012

L'occupazione diminuisce non solo a causa della crisi

di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

martedì 02 ottobre 2012


Gli ultimi dati dell’Istat sul mercato del lavoro in Italia ci dicono che ad agosto 2012 gli occupati erano 22.934 mila, in calo dello 0,3% sia su base mensile rispetto a luglio 2012 che su base annua rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Il tasso di occupazione è pari al 56,9%, in diminuzione 0,2 punti percentuali sia nel confronto congiunturale sia in quello tendenziale. Il numero dei disoccupati, pari a 2.744 mila, diminuisce dello 0,3% rispetto a luglio (-9 mila unità). Su base annua si registra una crescita pari al 30,4% (640 mila unità). Il tasso di disoccupazione è pari al 10,7%, stabile rispetto a luglio e in aumento di 2,3 punti percentuali nei dodici mesi.
Il tasso di disoccupazione dei giovani nella fascia di età tra i 15 ei 24 anni, ovvero l'incidenza dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è pari al 34,5%, in calo di 0,5 punti percentuali rispetto a luglio. Gli inattivi tra i 15 e i 64 anni aumentano dello 0,6% (92 mila unità) rispetto al mese precedente. Il tasso di inattività si attesta al 36,3%, con un aumento di 0,2 punti percentuali in termini congiunturali e una diminuzione di 1,3 punti percentuali su base annua.
Secondo gli ultimi dati dell’Eurostat, la disoccupazione nell'eurozona ha raggiunto ad agosto il nuovo record dell'11,4%, il più alto dalla creazione della moneta unica. Ai massimi livelli anche il tasso nell'Ue a 27 Paesi, al 10,5%​. I numeri ci dicono, quindi, che in Italia e in Europa il tasso di disoccupazione è in continuo aumento e che le fasce più colpite, come al solito, sono i giovani e le donne.

E’ tutta colpa della crisi economica? Partiamo dal presupposto che la crisi economica ha certamente riversato i suoi effetti negativi sul mercato del lavoro. Ma se ci limitiamo a dare tutta la colpa a questo, forse perderemmo di vista altri fattori molto importanti legati al sistema italiano e alla governance europea. Tra gli elementi negativi del sistema italiano che certamente non favoriscono la crescita dell’occupazione e la diminuzione della disoccupazione ci sono: il carico fiscale sempre più elevato, contratti d'ingresso rigidi per i giovani, mancata tutela della donna nel mercato del lavoro, una burocrazia invasiva che danneggia il sistema delle imprese. Sono tutte cose che sappiamo benissimo ma che per vari motivi non riusciamo come sistema paese ad affrontare in modo deciso. Non c’è solo una questione di decisioni politiche mancate o sbagliate ma anche di mentalità corporativa che attanaglia e imbriglia il nostro Paese e che ha prodotto danni di egual misura e per certi versi anche superiori a quelli della politica.
Il nostro sistema è prigioniero dei sistemi corporativi che trovano la loro espressione nei vetusti ordini professionali, nel sistema farraginoso del rilascio di alcune licenze, nel sistema bancario che chiude i rubinetti dei mutui e dei prestiti per dedicarsi ad altro, nel capitalismo italico in genere di stampo prettamente familiare, famelico di soldi pubblici e poco propenso al rischio. Ogni giorno questo sistema, parallelo alla politica, si inventa nuovi balzelli per ostacolare l’ingresso di giovani e meno giovani nel mondo del lavoro, per non concedere prestiti e ammazzare anche le aziende tendenzialmente sane, e prendere soldi a scrocco dallo Stato sotto varie forme che, invece, potrebbero servire per fare tante altre cose meritevoli.
Se vogliamo davvero aiutare le nuove generazioni a trovare lavoro allora dobbiamo allargare le porte d’ingresso nel mercato, eliminare le rendite di posizione agevolando la concorrenza, facilitare l’accesso al credito. Senza questi provvedimenti non andremo da nessuna parte se non dritti nel baratro.

Per quanto riguarda i problemi europei, invece, è innegabile che la recessione in cui ci siamo impantanati è anche colpa degli orientamenti e delle priorità politiche generali dell'UE dettate dalla Banca centrale europea nelle gestioni precedenti all’era Draghi, nella totale assenza di un vero organismo politico comunitario in grado di assumere le decisioni fondamentali. Sulla carta questo ruolo spetterebbe al Consiglio Europeo, composto dai capi di Stato o di governo dei paesi membri, dal presidente della Commissione e dal Presidente del Consiglio europeo stesso, ma il fatto stesso che le iniziative più delicate siano prese nel corso di vertici bilaterali a geometria variabile tra i capi di governo di Germania, Francia e Italia la dice lunga sul ruolo effettivo svolto da quest’organismo. Non è ovviamente solo una questione di forma ma anche e soprattutto di contenuto perché tutte le decisioni politiche all’insegna di una miope austerità imposte dalla Germania non hanno fatto altro che aggravare la crisi e, di conseguenza, peggiorare la situazione nel mercato del lavoro.
L’attuale governatore della Bce, Mario Draghi, ha avuto il merito di avere calmierato in parte il mercato delle vacche dello spread con gli strumenti a disposizione e le sue scelte lungimiranti e non certo facili. Questo significa che la Bce non è certo il male assoluto ma un organismo che può lavorare bene o male. Resta di tutta evidenza, tuttavia, che non può essere certo la Bce o la sola Germania a dare la linea a tutti gli altri sia perché meccanismi decisionali di questo tipo mal si conciliano con l’idea stessa di democrazia sia perché le politiche di austerità non sono in grado di creare posti di lavoro e che ogni momento è buono per iniziare a creare le condizioni per una ripresa economica e intervenire per diminuire il tasso di disoccupazione.

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