venerdì 27 marzo 2009

I primi 10 mesi del Governo Berlusconi in materia di lavoro



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

venerdì 27 marzo 2009


Il Governo Berlusconi, in carica dall'8 maggio dello scorso anno, si è nettamente differenziato dal precedente esecutivo di centrosinistra in materia di lavoro perché ha intrapreso un percorso caratterizzato dallo scioglimento di quei lacci e laccioli che paralizzano il mercato del lavoro -come il sindacalismo esasperato e l'imperante burocrazia -, un percorso volto a dare maggiori gratificazioni a chi lavora di più e meglio, punendo al contempo assenteisti e nullafacenti, e finalizzato alla tutela di chi fino ad ora non ha avuto alcuna garanzia come ad esempio i giovani lavoratori atipici ed i precari.

Quando si innova e si toccano i veri privilegi c'è sempre qualcuno che grida allo scandalo per salvaguardare i propri interessi di bottega ed anche tutte le polemiche di questi mesi sulle iniziative del governo hanno confermato questa regola, soprattutto quando è stato riformato il diritto di sciopero nei trasporti al fine di coniugare il sacrosanto diritto alla protesta dei lavoratori con l'altrettanto sacrosanto diritto di altri lavoratori pendolari di raggiungere il proprio ufficio senza incappare in fastidiose traversie.

Se oggi si innova, ieri si restava immobili. E' noto che il vecchio governo di centrosinistra, in materia di lavoro, invece di intraprendere la via del riformismo, aveva scelto di ripiegare sull'immobilismo e la propaganda fine a se stessa, promuovendo due documenti concertati fin nelle virgole con i sindacati:
1. il protocollo sul welfare in materia di lavoro privato, in cui si davano ampie garanzie a chi era già privilegiato e si toglievano risorse a chi già ne aveva poche (i giovani) alla modica cifra di 10 miliardi di euro, pagati per un terzo proprio dalle tasche dei giovani lavoratori atipici;
2. il memorandum sul lavoro pubblico che doveva far scomparire il precariato nella pubblica amministrazione nostrana ma che, in realtà, tradotto in legge, ha partorito il topolino di 10.982 lavoratori stabilizzati nel 2007 (in base alla Finanziaria 2007 del governo Prodi), che nel conto annuale rientrano nella voce «personale a tempo indeterminato» ed in parte in quella «lavoratori dipendenti con contratti flessibili», ed ulteriori 10-12 mila stabilizzabili emersi grazie al monitoraggio predisposto dal ministro Brunetta, a fronte delle 400 mila persone strombazzate dalla Cgil.

Insomma, tante parole inutili e pochi fatti. Il ministro del lavoro Maurizio Sacconi, invece, è partito innanzitutto con la presentazione del Libro sul futuro del modello sociale per promuovere un dialogo sulle nuove prospettive del sistema del welfare in Italia, nella speranza di pervenire a soluzioni il più possibile condivise dagli attori istituzionali, politici e sociali e, da ultimo, ha dato tutele a chi prima non ne aveva. Infatti per il biennio 2009-2010 il governo ha messo a disposizione 20 miliardi di euro, di cui 12 miliardi a copertura degli ammortizzatori cosiddetti «ordinari» (quelli compresi nel bilancio dello Stato e destinati alla cassa integrazione ordinaria e straordinaria) ed 8 miliardi (4 nel 2009, altrettanti nel 2010) destinati ad ammortizzatori sociali «in deroga» e cioè rivolti a tutte quelle categorie di lavoratori da sempre esclusi da assegni di copertura sociale come i lavoratori atipici e i precari.

Nel settore pubblico, invece, il ministro Renato Brunetta ha cercato di quantificare il numero dei potenziali beneficiari delle norme sulle stabilizzazioni, visto che il centrosinistra aveva fatto la norma senza essere in grado di quantificare la platea a cui si rivolgeva, ed ha introdotto una semplice regola di buon senso con la previsione che i vincitori di concorso non assunti avranno la precedenza sulle procedure di stabilizzazione per quanto riguarda l'accesso in pianta stabile nella pubblica amministrazione.

Finalmente, poi, si è iniziato a tradurre in atti concreti la parola meritocrazia nel mercato del lavoro attraverso i provvedimento relativi alla detassazione degli straordinari che premiano chi lavora di più nel privato. Per quanto riguarda il settore pubblico, invece, con l'approvazione della legge 6 agosto 2008, n. 133 è stato previsto che il Ministero dell'Economia e delle Finanze - Dipartimento della ragioneria generale dello Stato dovrà integrare le informazioni annualmente richieste con il modello di cui all'articolo 40-bis comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, predisponendo un'apposita scheda con le ulteriori informazioni di interesse della Corte dei Conti volte tra l'altro ad accertare, oltre il rispetto dei vincoli finanziari previsti dalla vigente normativa in ordine alla consistenza delle risorse assegnate ai fondi per la contrattazione integrativa ed all'evoluzione della consistenza dei fondi e della spesa derivante dai contratti integrativi applicati, anche la concreta definizione ed applicazione di criteri improntati alla premialità, al riconoscimento del merito ed alla valorizzazione dell'impegno e della qualità della prestazione individuale, con riguardo ai diversi istituti finanziati dalla contrattazione integrativa, nonché a parametri di selettività, con particolare riferimento alle progressioni economiche.

Il 30 ottobre scorso, inoltre, è stato firmato il protocollo di intesa tra Governo e sindacati (Cisl, Uil, Confsal, Usae e Ugl) sul rinnovo dei contratti di lavoro del pubblico impiego per il biennio economico 2008-2009, che prevede che le risorse recuperate per i trattamenti accessori dovranno essere destinate all'incentivazione della produttività dei dipendenti mediante l'individuazione nei Ccnl di criteri rigorosamente selettivi, con particolare riferimento all'introduzione di meccanismi premiali dei profili qualitativi e quantitativi della prestazione lavorativa.

In poco più di 10 mesi, il Governo Berlusconi ha dato dei segnali di svolta in materia di lavoro pubblico e privato, privilegiando i fatti e non le chiacchiere, la semplificazione e non la burocrazia, il decisionismo e non l'immobilismo, gli atipici e non i soliti privilegiati, i lavoratori virtuosi e meritevoli e non gli assenteisti ed i nullafacenti. Molto è stato fatto ed ancora molto ci sarà da fare ma è sicuro che, con un grande partito alle spalle come il Popolo della Libertà, presente tra la gente che tutti i giorni si alza e va al lavoro, tra i giovani che vanno a scuola e nelle istruzioni con i suoi parlamentari ed i suoi amministratori locali, la strada intrapresa dal governo e dalla maggioranza di centrodestra per lo sviluppo del sistema-Paese potrà essere percorsa ancora con più serenità e fiducia verso il futuro.

sabato 21 marzo 2009

L'occupazione tiene anche nel periodo di crisi



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

sabato 21 marzo 2009

L'Istituto nazionale di statistica, come recita il comunicato diffuso venerdì, ha condotto, con riferimento al periodo che va dal 29 settembre al 28 dicembre 2008, la rilevazione sulle forze di lavoro. Nel quarto trimestre 2008 l'offerta di lavoro registra, rispetto allo stesso pe-riodo del 2007, un incremento dello 0,6 per cento (144.000 unità). Rispetto al terzo trimestre 2008, al netto dei fattori stagionali, l'offerta di lavoro rimane invariata. Il tasso di occupazione della popolazione tra 15 e 64 anni è sceso di tre decimi di punto rispetto al quarto trimestre 2007, portandosi al 58,5 per cento. Il numero delle persone in cerca di occupazione registra il quarto aumento tendenziale consecutivo, portandosi a 1.775.000 unità (+ 120.000 unità, pari al +7,3 per cento rispetto al quarto trimestre 2007).

Il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha spiegato che «la nostra produzione industriale è scesa a gennaio meno di altre» e «il dato sulla disoccupazione è migliore della media dell'eurozona». Nel nostro Paese, continua il premier, ci si trova in condizioni migliori rispetto ad altri partner europei per la «particolare attitudine al risparmio delle famiglie, per lo stato di solidità delle banche, per il fatto che abbiamo imprenditori capaci e diffusi tra la popolazione in un numero che non ha nessuno. Ancora, c'è un governo e una maggioranza forte, che resiste, sopporta e può uscire dalla crisi meglio degli altri paesi europei. Da qui anche interesse degli altri leader per le nostre misure».

Sull'argomento si è espresso anche il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti secondo il quale l'Italia è «relativamente diversa in meglio» rispetto ad altri Paesi, sottolineando che «la struttura economica e sociale dell'Italia è diversa e meno drammatica rispetto a quella di altri Paesi» e aggiungendo che il governo sta seguendo «l'evoluzione della crisi con una politica modulare, progressiva e appropriata».

Secondo il ministro del lavoro, Maurizio Sacconi, «questo 7% rassicura, se messo a confronto con il 1997 quando la disoccupazione era al 12,3%. Certo, vorremmo una situazione migliore, ma nelle condizioni in cui ci troviamo, è positivo registrare che nel complesso l'occupazione tiene. E' più preoccupante il dato del Mezzogiorno, dove invece la flessione è significativa».

Leggendo i dati dell'Istat, l'aggravamento della situazione nel Mezzogiorno è dovuta principalmente alla flessione del dato occupazionale relativo ai lavoratori autonomi, che registrano un -3,6% rispetto allo stesso periodo del 2007 (-2,7% su base nazionale). I dati mostrano, inoltre, un indebolimento della componente maschile dell'occupazione che registra su base nazionale un -0,8% a fronte di un positivo + 0,3 per le donne.

Se si volesse fare una sintesi dei dati dell'Istituto nazionale di statistica si potrebbe dire che il mercato del lavoro italiano tiene anche in periodo di crisi, segno che il nostro sistema Paese è solido e regge anche le turbolenze dell'economia mondiale, e che i dati negativi si concentrano al Sud e sulla componente maschile della forza lavoro del Paese (una delle vere novità emersa da questi dati).

L'Italia ha tutte le carte in regole per uscire dalla crisi, insieme a tutti gli altri Paesi dell'Ue, e certo la sicurezza data ai soggetti economici dalla stabilità di questa maggioranza e di questo governo potrà certamente accelerare il processo di ripresa che sicuramente non tarderà ad arrivare.

martedì 17 marzo 2009

Franceschini e la tattica della guerriglia



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

lunedì 16 marzo 2009

Il nuovo segretario del Partito Democratico sembra aver adottato la tattica della guerriglia politica con argomentazioni e proposte da far impallidire perfino i tanti leaders dei partitini di sinistra che, spiazzati dal movimentismo di Franceschini e per la paura di entrare nel cono d'ombra, sono stati costretti a riparare su posizioni ancora più a sinistra, tanto da rispolverare i cimeli di famiglia (comunista) e cioè le care e vecchie statalizzazioni di massa.

Improvvise avanzate, come la proposta dell'assegno di disoccupazione per i lavoratori senza garanzie che perdono il posto di lavoro (senza copertura realistica) o la sortita populista della tassa di solidarietà sui redditi superiori ai 120 mila euro (che produrrebbe un gettito risibile visto che si tratta di poco più di centomila contribuenti), che tanto ricorda lo slogan di Rifondazione Comunista «Anche i ricchi piangono» dopo il varo della Finanziaria 2007, si alternano a rapide ritirate, dove la proposta fatta poco prima svanisce nel calderone delle dichiarazioni e resta nell'aria solo l'eco delle parole di Franceschini che si difende dicendo che la loro utilità è quella di incalzare il Governo.

Se fosse davvero così, ben vengano le proposte costruttive (non quelle che sono state lanciate) su cui discutere e confrontarsi. La realtà, tuttavia, è ben diversa. L'ex vice di Veltroni si ritrova alla testa di un partito che non ha ancora trovato una sua identità politica e culturale e l'essere ondivaghi su certi temi essenziali come la politica economica, il welfare, l'immigrazione, la sicurezza, i diritti civili non aiuta il cittadino ad identificarsi in un progetto. Oggi il Pd, a differenza del PdL, non ha una visione organica su quale futuro proporre alla società italiana ed una posizione chiara, nitida, precisa su tante questioni che attanagliano il quotidiano dei cittadini; il muoversi a scatti, e sotto l'impulso dettato dalle circostanze, non è certo di aiuto se l'obiettivo è quello di proporsi come forza di governo.

Prodi aveva il problema di non essere diretta espressione di un partito e di dover tenere insieme una coalizione in cui anche gli strapuntini reclamavano un posto al sole; Veltroni, invece, si è trovato nella difficile situazione di dover guidare un partito allo sbando in cui la legittimazione della sua leadership è stata frutto più di un fragile ed estemporaneo compresso tra i maggiorenti del partito che di una vera conquista fatta sul campo. Franceschini si trova paradossalmente in una posizione migliore rispetto ai suoi predecessori perché se fallisce nel suo mandato potrà dire di averci provato e che non c'è stato nulla da fare per risollevare le sorti della sua compagine politica, mentre se riuscirà a non perdere troppi consensi alle prossime elezioni europee ed amministrative rafforzerà la sua leadership nei confronti dei maggiorenti del partito e, soprattutto, nei confronti della formazione di Antonio Di Pietro, la vera spina nel fianco del Pd.

Il tema delle alleanze, anche se scansato spesso con fastidio dal nuovo segretario del Pd, è un terreno ineludibile se veramente si vorrà contendere la guida del Paese al centrodestra. Franceschini ha liquidato il tema dicendo che la vocazione maggioritaria del partito non è in discussione e che il nodo delle alleanze verrà sciolto a tempo debito. Le opzioni in campo, a dire il vero, sono davvero poche ed ognuna esclude tutte le altre se non si vuole un remake dell'Unione. Pd e Sinistra, Pd e Di Pietro, (Pd e Udc?) sono tutte ipotesi alternative e concorrenti che delineranno e qualificheranno meglio anche la proposta politica del centrosinistra; quindi, non si tratta di un argomento di poco conto. Al momento, però, Franceschini sembra voler fare tutto da solo e sembra che con le sue sortite voglia in qualche modo rassicurare l'ala sinistra del suo partito. Forse scommette sul definitivo tracollo delle tante formazioni alla sua sinistra e si accinge a raccogliere dentro il suo partito i superstiti di quelle esperienze politiche e parte di quell'elettorato. Ma deve stare attento nello spingersi sempre più a sinistra perché, proprio lui che è un ex Dc di lungo corso, rischia di portare il Pd sulle classiche posizioni dei partiti socialdemocratici. In questo contesto, con buona pace dei cattolici del Pd, l'adesione del partito alla grande famiglia europea del Pse non sarebbe altro che una logica conseguenza di questa scelta di campo.

martedì 10 marzo 2009

Nuove strategie in materia di immigrazione


di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

martedì 10 marzo 2009


Il vicepresidente della Commissione Europea e commissario ai Trasporti, Antonio Tajani, proporrà il prossimo maggio alla Commissione una «Comunicazione sul trasporto in Africa e sulla sua interconnessione con le reti Ten», cioè le reti di trasporto transeuropeo. Lo ha annunciato lo stesso Tajani aprendo i lavori di una conferenza sull'avvenire del trasporto europeo, che ha visto riunirsi a Bruxelles i responsabili del settore, nonché rappresentanti delle Ong, degli Stati membri e delle Amministrazioni comunali. Tajani, che lo scorso 2 febbraio si è recato ad Addis Abeba per discutere con i capi di Stato e di governo dell'Unione africana (Ua), ha sottolineato che lo sviluppo di un sistema efficace ed efficiente di trasporti nel continente africano può aiutare, attraverso lo sviluppo economico, a trovare «una soluzione stabile ai problemi dell'immigrazione».

E' questa la strada da intraprendere e, quindi, occorre che l'Unione Europea predisponga interventi a favore dei territori africani, attraverso piani di sviluppo che favoriscano le economie locali con la costruzione di infrastrutture, stipule di accordi di collaborazione sui servizi, creazione di corsi di formazione, programmi per incentivare il rientro non solo della manodopera qualificata o meno, ma anche dei cosiddetti «cervelli», come ad esempio medici, ingegneri, ecc... Perché quello che manca in quelle terre, oltre alle strade ed ai servizi, è anche una classe media di professionisti che sia in grado di dare nuova e continua linfa al circuito delle economie locali.

Il modello da seguire è quello che è stato portato avanti nel tempo dal nostro paese con l'Albania. Sono ancora vive le immagini degli albanesi che sbarcavano con mezzi di fortuna sulle coste pugliesi. Gli accordi di collaborazione, un maggior controllo delle coste e del territorio oggetto degli sbarchi ha portato prima alla lenta evaporazione e poi alla definitiva scomparsa del fenomeno. Un'azione integrata che ha permesso di debellare il fenomeno e creare i giusti presupposti per uno sviluppo economico dell'Albania, in modo che la gente di quelle terre non fosse costretta ad abbandonare le proprie case ed i propri affetti per cercare fortuna in un paese straniero.

La collaborazione tra i due paesi non si è fermata, tant'è vero che martedì è stato firmato un accordo tra le Poste albanesi e quelle italiane. Il premier albanese Sali Berisha, nel corso dell'incontro avuto con il direttore esecutivo delle Poste italiane, Massimo Sarmi, ha dichiarato che nel settore sono state avviate alcune riforme con l'intento di aumentare il numero dei servizi e migliorare la sua rete. L'appoggio delle Poste italiane mira ad un ulteriore ammodernamento delle Poste albanesi. Sarmi ha indicato a Berisha una serie di servizi che possono offrire le Poste albanesi, sostenute da quelle italiane. L'accordo mira ad inserire fra i servizi on-line e di telefonia mobile quelli di trasferimento di denaro, di servizi consolari, d'anagrafe, ecc...

E' questo il modello da seguire anche a livello europeo per quanto riguarda il rapporto con i paesi africani. Gli aiuti senza controllo sulle modalità di spesa sono una scelta deleteria, come lo è quella di affidare tutto alle Ong. Gli Stati europei, tutti insieme, devono fare uno sforzo aggiuntivo per predisporre un piano organico che preveda sia il rafforzamento di Frontex (Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne) e un consistente aiuto economico ai paesi della frontiera sud dell'Ue, obiettivo delle direttrici del traffico di clandestini, sia una serie di iniziative che vadano dalla collaborazione nella costruzione di infrastrutture alla stipula di accordi per quanto riguarda il settore del lavoro e dei servizi alle persone e alle piccole imprese, nell'ottica di uno sviluppo organico, razionale e sostenibile di quei territori che dia una speranza di vita a quella gente e non la costringa ed emigrare per vivere dignitosamente.

giovedì 5 marzo 2009

Pubblica Amministrazione: a breve il monitoraggio degli atipici



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

giovedì 05 marzo 2009

Secondo l'ultimo conto annuale della Ragioneria Generale dello Stato, relativo al 2007, i precari stabilizzati con la Finanziaria (2007) del Governo Prodi sono stati solo 10.982. Numeri davvero esigui rispetto alle cifre sparate dal centrosinistra, che allora era maggioranza di governo e che un giorno sì e l'altro pure diffondeva a piene mani dichiarazioni demagogie su cosa era il precariato e su come andava affrontato e sconfitto.

Con l'approvazione della Legge n. 244 del 2006 (Finanziaria 2007), molti esponenti del centrosinistra decretarono irresponsabilmente la fine del precariato nel pubblico impiego (falso), senza capire quali fossero le cifre del fenomeno, quanti in realtà i veri precari e quanti i semplici lavoratori flessibili, con quali modalità erano stati assunti e in che modo intervenire sulle fonti per evitare il ripetersi del fenomeno. Il tempo è galantuomo e i dati incontrovertibili dicono che il governo Prodi, dopo tante chiacchiere e propaganda sul tema del precariato nella Pubblica Amministrazione, con la Finanziaria 2007, ha prodotto concretamente 50milioni di euro di risorse per finanziare le stabilizzazioni e poco più di 10mila lavoratori pubblici stabilizzati. I casi sono due: o le cifre abnormi sul precariato nel pubblico impiego non sono quelle sparate dal centrosinistra e da una parte del sindacato (Cgil), oppure l'allora maggioranza di governo ha preso in giro tante persone con la promessa delle stabilizzazioni. Come casca, casca male.

La realtà è che vanno prosciugate le sacche di precariato chiudendo i rubinetti dai quali si alimenta il fenomeno e, in tal senso, il ministro Brunetta, con il monitoraggio degli atipici della pubblica amministrazione che sarà avviato fin dalla prossima settimana, riuscirà ad avere finalmente un quadro completo sui numeri e sulle modalità di assunzione di queste persone, permettendo di stabilizzare attraverso i concorsi solo quelli che veramente se lo meritano.

In base al conto annuale 2007 della Ragioneria Generale dello Stato, i lavoratori della Pa con un contratto diverso da quello a tempo indeterminato sono circa 360.000 persone (nel dettaglio: 234.641 a tempo determinato nella Scuola e nell'A.F.A.M; 116.804 a tempo determinato e in formazione e lavoro, ad esclusione del già citato dettaglio Scuola ed A.F.A.M e dei professori universitari a contratto e i ricercatori assegnisti - circa 20.000 unità- ; 36.773 tra interinali ed lsu).

Il monitoraggio verificherà chi di questi ha i requisiti utili ai fini della stabilizzazione, così come già fatto per gli enti di ricerca, «scoprendo che il numero non raggiungeva le 2 mila unita'», ha detto il ministro Brunetta martedì scorso. Ad oggi, in base alle precedenti regole fissate dal governo Prodi (almeno tre anni di lavoro nella pubblica amministrazione nel 2006 e 2007) sarebbero in tutta la Pa 60.000 i lavoratori con i requisiti previsti dalla legge per la stabilizzazione. Brunetta, dopo aver seccamente smentito che al prossimo Consiglio dei Ministri presenterà un decreto per bloccare la stabilizzazione degli atipici, ha respinto l'ipotesi che a rischiare il posto siano oltre 400.000 lavoratori flessibili: «Chi dice 100-200-400 mila precari, si inventa i numeri. Io sono una persona seria e non do numeri», ha detto riferendosi alle stime elaborate dalla Cgil.

La vera lotta al precariato non si fa con le norme demagogiche del centrosinistra e con la propaganda di una parte del sindacato, che come unico risultato hanno, come si è visto, solo quello di deludere le aspettative dei lavoratori, ma con una gestione razionale e fedele alla Costituzione (Art. 97: «Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge») del sistema di ingressi nella Pubblica Amministrazione, evitando le assunzioni clientelari, quelle in spregio alla legge e al buon senso e dando finalmente la possibilità di lavorare a tutti quei vincitori di concorso che sono stati prima chiamati dallo Stato a sostenere una serie di prove selettive e poi sono stati delusi nelle proprie legittime aspettative di assunzione una volta che le avevano brillantemente superate.

martedì 3 marzo 2009

La demagogia dell’assegno di disoccupazione

di Antonio Maglietta – 3 marzo 2009

E’ triste vedere il dibattito politico incendiarsi sulla proposta del nuovo segretario del Partito Democratico, Dario Franceschini, sull’assegno mensile di disoccupazione a tutti coloro che hanno perso o perderanno il posto di lavoro e non sono assistiti da ammortizzatori sociali.
E’ triste perché se il dibattito si sviluppa su questo tema, e non sulla riforma degli ammortizzatori sociali (periodicamente rilanciata dall’on. Cazzola), è evidente che si sta parlando del nulla e in una fase storica come quella attuale non ce lo possiamo certamente permettere.
In vista delle elezioni europee, Franceschini ha scelto di coprirsi politicamente a sinistra con una proposta impossibile da articolare in un qualsiasi serio di disegno di legge perché mancano le coperture per sostenerla.
Per questo motivo si sta parlando di presentare una semplice mozione perché è evidente che un testo generico, per quanto riguarda le coperture del provvedimento, salverebbe il Pd dall’imbarazzo di dire dove e quanto tagliare la spesa pubblica.
Infatti i capigruppo del Partito Democratico di Senato e Camera, Anna Finocchiaro e Antonello Soro, hanno inviato una lettera ai presidenti delle rispettive assemblee, Renato Schifani e Gianfranco Fini, per chiedere di calendarizzare la prossima settimana una mozione del Pd sulla proposta dell'assegno mensile ai disoccupati.
Durante la trasmissione di Fabio Fazio su Rai3, in cui il segretario del Pd è stato ospite, l’ex vice di Veltroni ha detto che i soldi per finanziare l’iniziativa sarebbero dovuti uscire dal taglio degli sprechi della spesa pubblica e dalla lotta all’evasione fiscale. Una classica banalità che si dice quando non si sa che pesci prendere, fermo restando la serietà della lotta all’evasione fiscale che non si fa solo mostrando la faccia cattiva ma anche rendendo il fisco più equo e meno opprimente.
Franceschini ha avuto anche il coraggio di fare la faccia cattiva e dire: “Berlusconi non pensi di cavarsela con un no che è un no non a noi ma sbattuto in faccia alle centinaia di migliaia di persone che hanno perso il posto di lavoro”.
E’ una questione di stile e saggezza. Quando il Pd non ha votato in Parlamento i provvedimenti del governo contro la crisi, il PdL non si è certo permesso di puntare il dito e dire che in quel modo il partito di Franceschini e Veltroni diceva no alle richieste di aiuto di tutte le persone colpite dalla crisi economica. Non sarebbe meglio discutere le proposte nel merito ed evitare di lanciare i fumogeni della propaganda?
Perché la proposta di Franceschini altro non è che pura propaganda. Infatti altri Paesi europei, come ad esempio la Spagna, che sono stati colpiti in maniera ancora più dura dalla crisi, stanno mettendo in campo delle iniziative realistiche che certamente non contemplano la proposta del Pd. Il governo spagnolo di Zapatero prevede di approvare misure contro la disoccupazione nel Consiglio dei Ministri di venerdì prossimo, fra cui l'esenzione dai contributi per le imprese che assumano a tempo indeterminato un lavoratore in 'cassa integrazione' e anche per le assunzioni di disoccupati a tempo parziale. Inoltre, gli imprenditori con problemi di liquidità nel 2009 potranno ritardare il pagamento dei contributi. Su queste ed altre misure, che dovrebbero costare circa 1,5 miliardi di euro, non è stato raggiunto però l'accordo con sindacati e industriali, che restano molto distanti anche a causa della pressante richiesta dei secondi di rendere meno costosi i licenziamenti e i contributi.
Il Governo italiano, invece,oltre ai vari provvedimenti anti-crisi, il 12 febbraio scorso ha siglato un accordo con le regioni sugli ammortizzatori sociali che darà il via libera all'uso di 8 miliardi di euro - di cui 5,35 da fondi nazionali e 2,65 regionali - per sostenere i lavoratori colpiti dalla crisi. In base all'accordo, le regioni hanno ottenuto l'esclusione dal patto di stabilità interno delle spese per investimento nel 2008.
Quindi, chi critica il governo italiano sulla quantità di risorse stanziate sugli interventi per gli ammortizzatori sociali ed elogia la proposta del Pd sull’assegno ai disoccupati, farebbe bene a guardarsi intorno e leggersi bene le cifre stanziate all’estero ed a fare un po’ di conti su quali sono i provvedimenti sostenibili e quali quelli campati per aria buoni (forse) solo per la propaganda elettorale.
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