venerdì 9 novembre 2012

Ancora nubi sul mercato del lavoro italiano

di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
venerdì 09 novembre 2012

l 7 novembre la Commissione europea ha pubblicato le sue previsioni economiche d'autunno per l'area dell'euro e per l'insieme dell'Unione europea. Le proiezioni, che coprono il periodo 2012-14, riguardano indicatori come il prodotto interno lordo (PIL), l'inflazione, l'occupazione e le finanze pubbliche.
Per quanto riguarda il mercato del lavoro, a causa della più debole attività economica, nel 2012 la disoccupazione toccherà il 10,5% nell'UE e l'11,3 nell'area dell'euro, per poi raggiungere nel 2013 un picco del 10,9% nell'UE e dell'11,8% nell'area dell'euro, prima di ridiscendere leggermente nel 2014. Il nostro Paese è «in profonda recessione» secondo la Commissione europea e ci sarà una «tiepida»
ripresa solo nel 2013. La disoccupazione invece continuerà a salire fino al 2014. L’Italia dovrebbe registrare, secondo queste previsioni, un tasso di disoccupazione dell’11,5% nel 2013 (10,6% nel 2012).

Insomma fino a qualche mese fa, seppur con un dato in crescita a causa anche della crisi economica, qualche analista nostrano poteva vedere il bicchiere mezzo pieno perché l’Italia registrava un tasso di disoccupazione inferiore alla media europea. Ora neanche quello perché i numeri italiani sono leggermente superiori a quelli dell’area UE e solo di poco inferiori rispetto a quelli dell’area euro.

Secondo un rapporto pubblicato il 5 novembre dall’Istat, la maggiore partecipazione al mercato del lavoro osservata a partire dalla fine del 2011 è alla base del rilevante incremento del tasso di disoccupazione previsto per quest'anno (10,6%).
Nel 2013 il tasso di disoccupazione continuerebbe a salire (11,4%) a causa del contrarsi dell'occupazione, fenomeno cui si dovrebbe accompagnare un aumento dell'incidenza della disoccupazione di lunga durata. Sempre secondo l’Istituto nazionale di statistica, un alto fattore di rischio che potrebbe incidere negativamente su questi dati è rappresentato dal rallentamento del commercio mondiale e il possibile riacutizzarsi delle tensioni sui mercati finanziari.
E’ evidente che tutti questi fattori abbiano inciso e continueranno a farlo (negativamente) sul tasso di disoccupazione in Italia (ancora di più nel caso in cui la tempesta sui mercati mondiali dovesse riacutizzarsi) ma è altrettanto vero che non tutti i mali siano esterni.

Se le cose vanno male è anche colpa di:

- un ordinamento interno che tende più a creare ostacoli che a favorire l’ingresso e la permanenza nel mercato del lavoro;

- un sistema giudiziario lento e farraginoso che scoraggia qualsiasi voglia di investire nel nostro Paese;

- banche più attente a fare operazioni finanziarie per salvaguardare la propria cassa che investire in operazioni volte a concedere credito alle piccole e medie imprese sane;

- ordini professionali che cercano di mettere quanti più filtri e aggravi possibili all’accesso e allo svolgimento della professione bloccando sul nascere qualsiasi forma di vera concorrenza;

- un sistema sia pubblico che privato che investe ancora troppo poco nella ricerca e nell’innovazione (secondo gli ultimi dati Istat, nel triennio 2008-2010, il 31,5% delle imprese italiane con almeno 10 addetti ha introdotto sul mercato o nel proprio processo produttivo almeno un'innovazione e, all’interno di questa fascia di imprese
innovatrici, solo il 29,8% ha dichiarato di aver ricevuto un sostegno pubblico per l'innovazione, proveniente principalmente da amministrazioni pubbliche locali o regionali). L'Italia su scala europea fa parte dei cosiddetti Moderate Innovators, insieme a Portogallo, Repubblica Ceca, Spagna, Ungheria, Grecia, Malta, Slovacchia e Polonia. Prima di noi ci sono i c.d. Innovation leaders: Svezia, Danimarca, Germania e Finlandia, ai primi posti nell’UE e nel mondo e i followers (Belgio, Regno Unito, Olanda, Austria, Lussemburgo, Irlanda, Francia, Slovenia, Cipro e Estonia). Peggio di
noi solo i c.d. Modest Innovators: con Romania, Lituania, Bulgaria e Lettonia.

E’ importante, quindi, prima di incolpare la crisi economica mondiale come la causa di tutti i mali italiani, rendersi conto che anche dopo la crisi queste problematiche resteranno se non riusciremo come sistema Paese a fare un salto di qualità, spazzando via questi parassitismi, queste burocrazie e queste speculazioni fatte tutte sulla pelle della collettività ed in particolare delle giovani generazioni.
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