mercoledì 30 settembre 2009

Elementi positivi nella relazione dell'Inps



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

martedì 29 settembre 2009


Il presidente dell'INPS, Antonio Mastrapasqua, ha spiegato che dal mese di settembre 2008 alla fine di agosto del 2009 le ore totali di cassa integrazione ordinaria hanno registrato una crescita del 409,4% (+660% nell'industria e +66,7% nell'edilizia). Le ore di cassa integrazione straordinaria autorizzate hanno invece fatto segnare una crescita dell'86,7%. Un aumento impetuoso che, tuttavia, dimostra come il sistema produttivo italiano sia riuscito fino ad ora a reggere all'onda d'urto della crisi economica mondiale. La prova è nell'enorme differenza tra le ore totali di cassa integrazione ordinaria e quelle straordinarie. La CIG ordinaria è attivabile in caso di sospensione o contrazione dell'attività produttiva per situazioni aziendali dovute a eventi temporanei e non imputabili all'imprenditore o ai lavoratori, mentre quella straordinaria in caso di ristrutturazione, di riorganizzazione, di conversione, di crisi aziendale e nei casi di procedure concorsuali. E' quindi possibile affermare che, seppur i dati sono preoccupanti, come lo sono quelli che arrivano da tutto il mondo, le aziende italiane, nella maggior parte dei casi, soffrono la crisi ma non falliscono.

Dalle stime dell'INPS emerge poi che le uscite dell'istituto nel 2010 dovrebbero ammontare a 231 miliardi complessivi, con un aumento di 6 miliardi rispetto all'esercizio precedente. Di questi, il 50% (3 miliardi di euro) saranno destinati alla perequazione delle pensioni, mentre il restante 50% al sistema degli ammortizzatori. Inoltre, secondo il presidente dell'INPS, con l'attuale andamento del «tiraggio» (il consumo reale di cassa integrazione) il 2009 potrebbe costare meno di 4,5 miliardi di euro, contro i 16 miliardi (compresi i 4 per la CIG in deroga) messi a disposizione da governo e regioni. Insomma, le cifre stanziate dallo Stato sarebbero di quasi 4 volte superiori a quanto effettivamente speso nel corso del 2009.

L'altra buona notizia è che ammontano a 1,5 miliardi di euro i contributi recuperati grazie alla lotta al lavoro nero condotta dall'INPS negli ultimi 12 mesi e che l'incremento dei contributi evasi accertati rispetto all'anno precedente è di 24,531 milioni di euro. Questi importanti obiettivi sono stati raggiunti grazie all'attenzione che l'istituto ha rivolto verso la costruzione e l'ottimizzazione di strumenti di intelligence a supporto dell'attività di vigilanza e attraverso la reingegnerizzazione dell'intero processo.

Sono un milione le domande di disoccupazione ricevute in un anno dall'INPS: di queste sono 984.286 quelle accolte e liquidate tra l'inizio di agosto 2008 e la fine di luglio 2009, con un incremento del 52,2% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. In totale, le domande presentate all'INPS sono 1.172.659, per un importo medio annuo elargito di 5.292 euro, per alleviare il periodo di disoccupazione che può variare da sei mesi a un anno. Tuttavia bisogna aggiungere che il trend è ampiamente sotto controllo. Il numero dei beneficiari di sussidio di disoccupazione ad aprile 2009 era di 450.000 soggetti, in marzo erano più di 460.000. Il numero dei beneficiari, infatti, non corrisponde mai al numero delle domande presentate e accolte. Il numero di domande ricevute e lavorate nel corso degli ultimi dodici mesi, poco più 1,1 milioni, di cui circa 980mila accolte, è la sommatoria di richieste che si sono accumulate nel tempo. Non offrono la fotografia di un momento, ma la sequenza di fatti successivi. Il rapporto è di circa 1 a 2: un beneficiario ogni due domande. Il beneficio ha una durata variabile tra i sei e gli otto mesi e non tutti i beneficiari ne godono per l'intero periodo, e non appena un beneficiario trova nuova occupazione decade dal diritto di ricevere il sussidio. E' lecito quindi - secondo l'istituto - stimare il numero attuale dei disoccupati tra i 450mila di aprile, accertati dall'INPS, e i circa 500mila previsti entro fine anno dal recente rapporto del CNEL. Sempre il presidente dell'INPS ha fatto sapere che il bilancio previsionale dell'istituto nel 2010 prevede un risultato di esercizio positivo per 3 miliardi di euro e un avanzo finanziario superiore ai 4,5 miliardi.

Sono numeri che possono dare una certa tranquillità al welfare italiano e che premiano il lavoro svolto in un anno dall'INPS (con riferimento soprattutto alla lotta al lavoro nero) e dal governo che, in collaborazione con le regioni, dati alla mano, ha stanziato soldi a sufficienza per rispondere agli effetti della crisi.

venerdì 25 settembre 2009

Alcune considerazioni sull’ultimo rapporto Sopemi-Ocse sull’immigrazione



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

mercoledì 23 settembre 2009

Se nel 1978 si registravano appena 400.000 presenze, oggi siamo arrivati ad avere 3.432.651 residenti stranieri in Italia, pari al 5.8% della popolazione, con un aumento superiore all'800% nell'arco degli ultimi 30 anni (+ 246.1% negli ultimi 10 anni). E' quanto emerge dall'ultimo Rapporto Sopemi-Ocse «International Migration Outlook», presentato martedì 22 settembre, che ogni anno il Censis realizza per l'Ocse.

Di pari passo con l'aumento delle presenze è diventato sempre più significativo il contributo degli immigrati all'economia: il 4% del gettito contributivo all'Inps proviene da lavoratori immigrati (anno 2007) e l'apporto dato alla ricchezza del paese è pari a 122 miliardi di euro all'anno (il 9,2% del Pil nel 2006).

Le richieste di acquisizione della cittadinanza italiana sono state 56.985 (raddoppiate rispetto a quelle pervenute 3 anni fa) mentre le concessioni sono state 39.484, di cui il 63.2% per matrimonio. Da segnalare che, da ultimo, la legge n.94 del 15 luglio 2009 ha previsto l'elevazione del periodo di residenza legale in Italia da sei mesi a due anni per le domande per matrimonio e che sia per queste ultime sia per quelle per residenza è stata prevista la presentazione di documenti originali in aggiunta a quelli usualmente acquisiti.

Sono stati 680.225 i permessi di soggiorno per ricongiungimento familiare nel 2008, pari al 33% del totale e questo dato conferma che l'Italia è percepita come un paese sostanzialmente ospitale; se non fosse così, lo straniero che risiede in maniera stabile non cercherebbe certo di ricomporre la propria famiglia qui da noi.

I nati da genitori stranieri nel 2007 sono stati 64.049, pari all'11,4% del totale dei nati in Italia (nel 2006 erano il 10,3%) e sono 760.733 i minori stranieri residenti nel nostro paese (oltre il 20% del totale degli immigrati e oltre il 7% dei minori residenti). Questo dato è destinato a crescere visto che la fecondità delle straniere è doppia rispetto alle italiane (2,5 contro 1,3 figli per donna) e che grazie alle immigrate il numero di figli per donna ha un trend crescente (dall'1,35 del 2006 sale all'1,37 del 2007). Gli alunni stranieri sono cresciuti del 139.4% in 5 anni e secondo l'ultima rilevazione (2007-2008) sono 574.133, pari al 6.4% del totale degli alunni.

Secondo il rapporto, nonostante che nell'ultimo anno sia stato registrato un aumento dei lavoratori immigrati, la crisi economica sembra avere i suoi effetti. Le imprese italiane hanno ridimensionato le previsioni di assunzione di personale immigrato: 92.500 quelle previste per il 2009 (erano 171.900 quelle per il 2008). A proposito del mercato del lavoro, è molto preoccupante che dei quasi 875.000 incidenti sul lavoro denunciati nel 2008, il 16,4% ha riguardato cittadini stranieri e che rispetto all'anno precedente gli infortuni totali sono diminuiti dell'1,7% ma quelli degli stranieri sono cresciuti del 2%.

Sul fronte della lotta alla clandestinità, il rapporto segnala che la politica dei respingimenti, secondo i dati del Ministero dell'Interno, ha ridotto gli sbarchi del 90%. A maggio-agosto 2008, infatti, ci furono 14.220 sbarchi mentre nello stesso periodo nel 2009 solo 1.345.

Per quanto riguarda il rapporto tra immigrazione e criminalità, nel 2008 i cittadini stranieri denunciati sono stati 205.188 (29,7% del totale), mentre gli stranieri arrestati sono stati 97.432 (49,2% del totale); al 1 settembre 2009 i detenuti stranieri sono 23.696 (37% del totale). Si tratta con tutta evidenza di cifre sproporzionate se confrontate con quelle riguardanti l'incidenza sulla popolazione residente (5.8%).

Il Censis segnala che a delinquere sono soprattutto gli irregolari e i clandestini. Il rapporto conferma, quindi, quanto oramai noto almeno sin dal rapporto sulla criminalità in Italia del 2006; questo dato, inoltre, è stato riconfermato da ultimo anche dal capo della polizia Manganelli che, il 7 maggio scorso, in occasione del 157° anniversario della fondazione della Polizia, aveva affermato che in Italia i clandestini arrivano a commettere il 30% dei reati e, in certe zone, il 70%.

In conclusione, anche alla luce di questi dati, vanno fatte alcune considerazioni di carattere generale per mettere alcuni punti fermi in un tema così vasto e articolato come l'immigrazione.

1. E' oramai un dato consolidato che la maggior parte dei reati sono commessi da persone non in regola con le norme di ingresso e/o permanenza nel nostro paese. Questo vuol dire che la strada giusta sulle questioni inerenti il rapporto tra immigrazione e criminalità, peraltro già intrapresa dal governo in carica, non può che essere quella della fermezza nel contrasto all'irregolarità e alla clandestinità (respingimenti compresi che, dati alla mano, stanno dando i loro frutti).

2. Gli stranieri regolari sono una presenza di peso all'interno del nostro paese ed oramai incidono in maniera evidente nella produzione della ricchezza nazionale. Sarebbe il caso, quindi, che migliorassero ancora di più i servizi resi agli immigrati dalla nostra Pa (giudicati nella maggior parte dei casi soddisfacenti secondo l'ultimo rapporto Sopemi-Ocse) e, soprattutto, le procedure di accesso al credito, con particolare riguardo a quelle relative all'acquisto di una casa, visto che il rapporto Sopemi-Ocse segnala che molto spesso tali procedure sono più rigide rispetto a quelle riservate agli italiani.

3. Le disponibilità del mercato del lavoro non possono essere l'unico parametro utile per l'ingresso degli stranieri in Italia perché spesso la forza lavoro straniera viene richiesta dal settore privato, perché meno costosa, per sostenere i picchi di produzione e scaricata senza problemi nel momento in cui non serve più. Questo modus operandi è immorale e genera solo ricavi per pochi e costi per la collettività, dequalifica il mercato del lavoro nostrano e genera tensione tra autoctoni e stranieri. Sarebbe meglio, invece, introdurre anche altri parametri di sostenibilità (casa, scuola, welfare) nei meccanismi di ingresso nel paese, puntare sui progetti di cooperazione allo sviluppo con i paesi di origine per diminuire i flussi indotti da motivi economici, investire sulla formazione professionale (anche degli stranieri) e la ricerca, sulla parità di condizioni tra lavoratori italiani e stranieri, sul miglioramento dei meccanismi di ingresso ed uscita dal paese dei lavoratori stranieri stagionali.

4. Le richieste di acquisto della cittadinanza, seppur in aumento rispetto agli anni scorsi, sono decisamente poche rispetto alla potenziale platea dei possibili richiedenti e, nella maggior parte dei casi, sono legate al matrimonio. Al momento nessuno studio ha segnalato elementi di criticità tali da riconsiderare la durata temporale (10 anni di residenza legale se extracomunitario e 4 se comunitario) del percorso qualificato per la naturalizzazione che permette di fare richiesta per l'acquisizione della cittadinanza italiana.

mercoledì 23 settembre 2009

Il ruolo centrale degli ammortizzatori sociali



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

lunedì 21 settembre 2009

La situazione occupazionale potrebbe peggiorare nei prossimi mesi negli Stati Uniti: l'avvertimento è stato lanciato dal presidente Usa Barack Obama in un'intervista alla Cnn. «Che le cose siano chiare: la situazione dell'occupazione non migliorerà e potrebbe anzi peggiorare nei prossimi due o tre mesi». Negli Usa il tasso di disoccupazione è ai livelli peggiori dalla grande depressione degli anni Trenta ed è salito in agosto al 9,7%. Obama aveva già parlato della preoccupante possibilità che il tasso di disoccupazione possa superare nei prossimi mesi il 10% prima di cominciare a scendere.

Anche in Europa la situazione non è certo delle migliori. Tuttavia il nostro paese, sul versante della tenuta dei posti di lavoro, sembra aver reagito meglio rispetto agli altri partner continentali. Secondo gli ultimi dati disponibili (bollettino della Commissione Europea sulla situazione dell'occupazione) il tasso di disoccupazione in Italia (7,4%) è inferiore a quello registrato a luglio in Spagna (18,5%), Francia (9,8%), Regno Unito (7,7%), Germania (7,7%), Polonia (8,2%) e, rispetto ai primi tre mesi dell'anno, la situazione occupazionale risulta sostanzialmente stabile nel nostro paese e in negativo in quasi tutti gli altri.

L'attenzione dei governi in questo momento è concentrata sulla salvaguardia dei posti di lavoro e sul miglioramento dei sistemi di protezione sociale. In questo contesto assumono quindi un ruolo centrale gli ammortizzatori sociali, ossia quel sistema di tutela del reddito dei lavoratori che sono in procinto di perdere o, purtroppo, hanno già perso il proprio posto di lavoro. Ed ancora più importanti sono quelle misure a sostegno di coloro che non sono coperti da alcuna forma di protezione sociale da parte dello Stato. Il governo italiano, a riguardo, per proteggere anche i lavoratori non coperti dalla cassa integrazione ha stanziato specifici fondi destinati ad una platea di oltre 5 milioni di potenziali beneficiari facenti parte della variegata galassia dei dipendenti delle piccole imprese, degli studi professionali, dei lavoratori interinali, degli apprendisti.

I fondi anti-crisi messi a disposizione dal nostro governo sono stati pari a 55,8 miliardi di euro e sono stati destinati a quelle misure previste dal «Patto globale sul lavoro», siglato il 19 giugno scorso dai 183 paesi che aderiscono all'Agenzia internazionale per il lavoro: 17,8 miliardi per le infrastrutture (ai 16,6 previsti sono stati aggiunti 1,2 miliardi di cui 1 miliardo per l'edilizia scolastica e 200 milioni per l'edilizia carceraria), 7 miliardi di misure di protezione dei più deboli, 2 miliardi per misure a sostegno dei consumi, 9 miliardi nel fondo strategico per le imprese, 16 miliardi per gli ammortizzatori sociali nel 2009 con ulteriori 4 nel 2010. Il decreto anti-crisi del 26 giugno scorso, inoltre, ha rafforzato ulteriormente il nostro sistema di protezione sociale attraverso alcune misure come il rientro anticipato dei lavoratori cassintegrati, il bonus erogato a chi decide di mettersi in proprio, il rafforzamento dei contratti di solidarietà, l'assunzione agevolata dei percettori di forme di sostegno al reddito, la possibilità per i lavoratori cassintegrati di lavori brevi pagati attraverso i voucher.

La formula del governo «non lasceremo indietro nessuno» sembra essere quella giusta per rispondere al meglio agli effetti della crisi e lo è ancor di più il fatto che a sostegno delle parole sono arrivati soldi veri, come ha ammesso ai primi di settembre anche il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia. Ora però bisogna continuare su questa strada sin dalla prossima Finanziaria, magari con ulteriori interventi per i finanziamenti per la cassa integrazione in deroga e misure a sostegno dei consumi e degli investimenti.

domenica 20 settembre 2009

Occupazione stabile in Italia nell'ultimo trimestre


di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

venerdì 18 settembre 2009

La crisi economica ha innescato un'emorragia occupazionale che a livello mondiale provocherà, quest'anno, tra 39 e 61 milioni di disoccupati in più rispetto ai livelli del 2007. Lo rende noto l'Agenzia internazionale per il lavoro in un rapporto pubblicato in vista del G20 dei capi di Stato e di governo del 24-25 settembre a Pittsburgh (Usa). Il totale dei disoccupati nel mondo sarà tra 219 e 241 milioni di persone, il livello più alto mai registrato. Sempre secondo l'agenzia dell'ONU, i piani anticrisi approntati dai paesi del G20 dovrebbero salvare dai 7 agli 11 milioni di posti, creandone nuovi o preservandone altri già esistenti. La disoccupazione nei paesi del G20, senza l'utilizzo di queste misure, sarebbe stata tra il 29% e il 43% più alta. Dallo studio è emerso anche che le sei misure più frequentemente adottate rientrano tra quelle elencate nel «Patto globale sul lavoro», siglato il 19 giugno scorso dai 183 paesi che aderiscono all'ILO: aumento della spesa per le infrastrutture, sgravi fiscali e misure a favore del credito per le piccole imprese, programmi e strutture di formazione, consultazioni con le organizzazione datoriali e di rappresentanza dei lavoratori, protezione sociale tramite erogazione di aiuti economici.

Secondo l'ultimo bollettino della Commissione Europea sulla situazione dell'occupazione, la disoccupazione in Europa è aumentata di nuovo in luglio, anche se in misura più moderata rispetto ai primi quattro mesi dell'anno. Particolarmente colpiti giovani (tasso di disoccupazione al 19,8%) e immigrati. Il rapporto segnala che, rispetto al trimestre precedente, la situazione occupazionale risulta sostanzialmente stabile in Italia e in negativo in quasi tutti gli altri paesi: in Spagna -1,3%, nel Regno Unito -0,9%, in Germania -0,3%. Secondo l'ultimo rilevamento, complessivamente nella UE ci sono 21,8 milioni di disoccupati, con un aumento di 5,1 milioni rispetto a luglio 2008. In Spagna i disoccupati in luglio erano 4,3 milioni (18,5%), in Francia 2,8 milioni (9,8%), nel Regno Unito 2,4 milioni (7,7%), in Italia 1,9 milioni (7,4%), in Germania 3,3 milioni (7,7%), in Polonia 1,4 milioni (8,2%).

Insomma, in Europa e nel mondo l'emorragia di posti di lavoro in un anno è stata enorme, ma sembra che, almeno nel Vecchio Continente, ci siano i primi segnali di rallentamento, fermo restando che le previsioni sull'andamento del mercato del lavoro per i prossimi mesi restano molto sfavorevoli. In questo quadro a tinte fosche, il nostro paese ha mostrato, numeri alla mano, di saper rispondere in maniera egregia sul lato della tenuta occupazionale, nonostante il calo del PIL nel 2009 del 5,2%, così come stimato dall'Interim Economic Assessment dell'OCSE il 3 settembre scorso. Abbiamo reagito meglio agli effetti della crisi economica mondiale rispetto ai nostri partner europei, ma questo non vuol certo dire che bisogna abbassare la guardia, perché lo stato di sofferenza di alcune realtà produttive è una realtà.

Ma l'essere realisti non può non far guardare con ottimismo al futuro quando si leggono i dati comparati con gli altri paesi sull'occupazione o gli ultimi diffusi dell'ISTAT sul fatturato e gli ordinativi nell'industria, dove si registrano i primi, seppur ancora timidi, segnali di ripresa grazie all'export (nel mese di luglio il fatturato dell'industria ha registrato un aumento dello 0,7% rispetto al mese precedente; gli ordinativi, invece, hanno segnato un aumento del 3,2% rispetto a giugno 2009). Il ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, ha sottolineato a riguardo che «questo significa che la ripresa si sta rafforzando e potrebbe essere più sostenuta di quanto indicato nei giorni scorsi dalla Commissione Europea, la quale prevede per il terzo trimestre un aumento del PIL dello 0,2% dopo i forti cali dei trimestri scorsi. E' evidente" - ha aggiunto il ministro - che dobbiamo accelerare al massimo la ripresa per sostenere le imprese e l'occupazione ed evitare contraccolpi sul mercato del lavoro».

mercoledì 16 settembre 2009

Immigrazione: i burocrati Onu attaccano, chi salva le vite in mare risponde



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

martedì 15 settembre 2009


L'Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, Navi Pillay, denuncia le politiche nei confronti degli immigrati, «abbandonati e respinti senza verificare in modo adeguato se stanno fuggendo da persecuzioni, in violazione del diritto internazionale». L'Alto commissario cita il caso del gommone di eritrei rimasto senza soccorsi tra la Libia, Malta e Italia ad agosto e spiega che «in molti casi, le autorità respingono questi migranti e li lasciano affrontare stenti e pericoli, se non la morte, come se stessero respingendo barche cariche di rifiuti pericolosi». Oggi, aggiunge, «partendo dal presupposto che le imbarcazioni in difficoltà trasportano migranti, le navi le oltrepassano ignorando le suppliche d'aiuto, in violazione del diritto internazionale».

Il richiamo ha sollevato la giusta reazione indignata delle forze di maggioranza, della Farnesina e dell'ambasciatore italiano presso le organizzazioni internazionali Laura Mirachian. L'immigrazione è un fenomeno talmente complesso che trattarlo con la superficialità dell'attuale Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, che parla nel migliore dei casi di fatti che non conosce, significherebbe tapparsi gli occhi e non vedere quello che succede.

Innanzitutto bisogna dire che l'episodio del gommone di eritrei cui fa riferimento Pillav è oggi all'attenzione della Procura di Agrigento che sta conducendo un'inchiesta su quel caso. Fermo restando, quindi, che del caso se ne sta occupando la magistratura possiamo comunque dire, riprendendo le dichiarazioni del ministro Frattini del 26 agosto scorso durante la trasmissione «Faccia a Faccia» su Radio Tre, che gli equipaggi delle navi che avvistarono il gommone carico di migranti eritrei e «voltarono la faccia dall'altra parte... non erano italiani» e che «gli eritrei hanno dichiarato che non erano italiani ma gente che parlava inglese».

Fatta chiarezza sul caso specifico, che comunque pone un punto a favore del nostro paese che invece di fare chiacchiere preferisce salvare vite umane, va detto che l'Italia è in prima linea nei soccorsi in mare dei clandestini e nel ristoro a terra degli stessi. Le parole di Pillav mortificano l'ottimo lavoro svolto dalle nostre forze dell'ordine, che nel silenzio, con passione e coraggio salvano tante vite umane in mare, e dai tanti volontari che si occupano della cura su terra ferma delle persone soccorre. Ma l'Italia è anche sola nel fare tutto questo e perciò da diverso tempo ha chiesto che il problema degli sbarchi (che non è la fonte maggiore del fenomeno della clandestinità ma certamente quello che più colpisce dal punto di vista mediatico) sia affrontato in un'ottica comunitaria. Tuttavia quello che davvero manca è un piano globale che promuova la collaborazione su più fronti (da quello della sicurezza a quello economico) tra i paesi di origine, transito ed arrivo dei flussi di immigrati e tra organismi sovranazionali come Unione europea e Unione africana.

Non si può puntare il dito contro un paese solo perché non accetta di seguire la fallimentare e pericolosa politica dell'accoglienza illimitata, che pulisce la coscienza degli ipocriti, porta problemi che non saranno certo loro a dover affrontare e sicuramente non è né in grado di rispondere alle esigenze degli immigrati né di risolvere le questioni che spingono gli stessi ad abbandonare le proprie terre. E allora la via da intraprendere non può che essere quella del doppio binario, che da un lato prevede un'accoglienza sostenibile, limitata alle reali capacità del paese (non solo in base ai soli posti di lavoro ma anche tenendo conto di altri parametri come ad esempio le politiche sociali e quelle scolastiche), e dall'altro una serie di progetti di cooperazione, in primis quella allo sviluppo, tra paesi di origine, transito e arrivo dei flussi, con l'apporto di organismi sovranazionali come Unione europea ed Unione africana, per sviluppare l'economia dei paesi di origine e colpire alla fonte i motivi economici che stanno alla base delle dolorose scelte degli immigrati di lasciare le loro terre.

L'Italia sta già facendo la sua parte. L'accordo bilaterale con la Libia per contrastare il fenomeno degli sbarchi clandestini funziona e sarebbero circa mille i clandestini respinti nei primi 4 mesi. Secondo i dati forniti dal Ministro dell'Interno, Roberto Maroni, si è registrata una diminuzione del 92% dell'arrivo di clandestini in Italia. Dal primo respingimento sono giunti in Italia 1.345 clandestini, contro i 14.220 dello stesso periodo dell'anno scorso. Di questi ne sono arrivati dalla Libia solo 1.300, invece di 14.000. Inoltre, con la piattaforma dei progetti di cooperazione allo sviluppo della Farnesina e con il «Piano Africa» del Ministero dello Sviluppo economico, in collaborazione con quello degli Esteri, è iniziato un percorso che punta, oltre che ad incentivare il processo di internazionalizzazione delle nostre imprese, allo sviluppo economico delle aeree di origine dei flussi di immigrati extracomunitari al fine di ridurre nel tempo le partenze per motivi economici.

La prossima volta si informi la signora Navi Pillay prima di parlare con colpevole superficialità di questioni specifiche che non conosce e, più in generale, contro le politiche nazionali di un paese come il nostro che al posto di perdere tempo in inutili polemiche con qualche burocrate dei vari organismi sovranazionali preferisce dedicarsi, nella più assoluta solitudine, al salvataggio delle vite umane.

lunedì 14 settembre 2009

Immigrazione: fallito in Spagna il piano di Zapatero


di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

martedì 08 settembre 2009


Stando alle cifre del ministero del lavoro spagnolo, solo 1.000 immigrati disoccupati extracomunitari in Spagna hanno aderito al piano di rientro volontario nei paesi di origine promosso alla fine del 2008 dal governo del premier socialista Jose' Luis Zapatero per ridurre il numero altissimo di manodopera straniera senza lavoro nel paese. A causa della crisi economica la disoccupazione ha raggiunto livelli record con un esercito di più di 4,1 milioni di persone senza lavoro e la componente straniera è quella più colpita in proporzione.

Al momento del varo della misura, nel novembre scorso, il governo aveva inizialmente parlato di un bacino di 1,2 milioni persone, salvo poi realisticamente attestarsi su una previsione di adesione al piano da parte di 100.000 immigrati. Il piano di rientro prevede il pagamento in due soluzioni di tutte le indennità di disoccupazione agli immigrati che accettino di tornare nel loro paese, di rinunciare al permesso di soggiorno e di impegnarsi a non cercare di tornare per almeno tre anni.

Tra i motivi per il cui il piano è miseramente fallito c'è il divieto di reingresso per un periodo di tre anni e l'esiguità dell'indennità di disoccupazione, che non permette di avviare alcun progetto di vita nel paese di origine. Secondo International Migration Outlook Ocse/Sopemi 2009, i paesi in cui la crisi ha colpito prima mostrano un significativo incremento dei tassi di disoccupazione e una certa diminuzione del tasso di occupazione degli immigrati, sia in termini assoluti che relativi, rispetto alla popolazione nativa. Gli immigrati tendono a essere colpiti più duramente rispetto ai nativi per diverse ragioni, tra le quali un'eccessiva presenza in settori ciclicamente sensibili, una minore tutela contrattuale e assunzioni e licenziamenti selettivi. Inoltre, sia gli immigrati in arrivo, sia coloro che hanno perso il lavoro durante la crisi sembrano avere particolari difficoltà a entrare o a rientrare tra le fila degli occupati, a tempo indeterminato.

Insomma, gli immigrati sono benvenuti quando l'economia va bene, perché vengono usati come manodopera a basso costo, ma sono i primi ad essere licenziati in tempi di crisi. Ma allora, anziché sfruttare la manodopera straniera dequalificata ed a basso costo, non sarebbe meglio puntare con decisione sulla formazione professionale (di lavoratori autoctoni e stranieri), sulla ricerca e sull'innovazione tecnologica, lasciando perdere modelli produttivi che nulla hanno a che fare in primis con il rispetto della dignità umana e in secondo luogo con la qualità del lavoro e della produzione? E' inconcepibile chiedere agli immigrati di venire a lavorare da noi, con un salario inferiore a quello degli autoctoni, per sostenere le nostre produzioni quando l'economia gira e poi dare loro un'elemosina ed un biglietto di solo andata per il loro paese di origine in tempo di crisi.

I piani di rientro come quello spagnolo sono destinati a fallire perché non danno all'immigrato extracomunitario senza lavoro alcuna prospettiva di vivere una vita dignitosa. Ecco perché, per evitare che la situazioni si aggravi con esiti imprevedibili, sarebbe meglio cercare di razionalizzare i flussi degli immigrati secondo le esigenze di tutti, comprese quelle degli stessi stranieri che certo non lascerebbero in massa le loro terre se potessero viverci dignitosamente. Diventa importante, quindi, usare strumenti utili come la cooperazione allo sviluppo che, nel medio-lungo periodo, potrebbe essere in grado di far sviluppare i territori di origine degli immigrati che vengono nei nostri paesi e portare molteplici benefici per tutti: agli stessi stranieri, che non si vedrebbero più costretti a partire per motivi economici verso inesistenti Eldorado, ed ai paesi ospitanti, che non sono in grado di accogliere in maniera illimitata.

lunedì 7 settembre 2009

Immigrazione: l’Italia è sulla strada giusta


di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

giovedì 03 settembre 2009

Respingimenti di clandestini, ma senza mai mettere a repentaglio le loro vite; rigore e fermezza sull'immigrazione illegale, ma solidarietà verso i rifugiati. Questo l'approccio verso l'immigrazione delineato dal vicepresidente della Commissione Ue Jacques Barrot nel corso della presentazione del piano Ue per la redistribuzione dei rifugiati. Si tratta di un piano per accogliere nell'Ue alcune delle migliaia di rifugiati che sono attualmente nei campi gestiti dalle Nazioni Unite in Paesi come la Siria, la Giordania e il Kenya, una misura di «solidarietà concreta», ha sottolineato Barrot. Un piano che, pur essendo volontario, punta ad un maggior coordinamento e a rendere più efficace anche economicamente il resettlement di questi rifugiati.

Dopo tanta staticità condita da parole spese impropriamente da alcuni burocrati sulle politiche di accoglienza degli stranieri da parte dell'Italia, l'Europa si muove e, anche se bisogna attendere l'operatività di tali misure per dare un giudizio completo, finalmente si intravede un piano comunitario nella gestione di una materia così complessa. Tuttavia la strada è ancora lunga. Restano ancora aperti alcuni grandi problemi in ambito comunitario:

* i soccorsi in mare dei clandestini, con il relativo accertamento se c'è una qualche organizzazione che rifornisce le carrette del mare in mezzo al Mediterraneo per poi indirizzarle verso le acque italiane;

* una diversa ripartizione favorevole all'Italia dei fondi del programma generale «Solidarietà e gestione dei flussi migratori», con particolare riguardo a quello per le frontiere esterne. Il budget del Fondo, per il periodo 2007-2013, è pari a 1.820 milioni di euro. Circa 1.543 milioni sono distribuiti fra gli Stati membri sulla base di criteri che rispecchiano l'onere sostenuto da ciascuno Stato per il controllo delle frontiere esterne e la politica dei visti; 109 milioni di euro sono gestiti direttamente dalla Commissione e destinati ad azioni comunitarie; 60 milioni di euro per azioni specifiche ai valichi di frontiera strategici in base alle analisi dei rischi dell'Agenzia di pattugliamento delle coste (Frontex). All'Italia sono stati destinati 211 milioni di euro per il periodo 2007-2013, mentre a Malta 112 milioni. L'Italia è il secondo paese beneficiario del fondo in termini di maggiori entrate (il primo è la Spagna);

* la gestione solidale da parte di tutti gli Stati membri dei richiedenti asilo che arrivano sulle coste dei paesi rivieraschi del sud Europa (Italia compresa);

* una maggiore collaborazione tra Ue e Ua sia in materia di respingimenti e sia per aiutare con tutti i mezzi possibili i progetti di cooperazione allo sviluppo già operativi tra i singoli Stati europei e quelli africani.

La politica fin qui tenuta dal governo italiano in materia d'immigrazione dovrebbe essere incentivata e presa come esempio dalle istituzioni comunitarie perché attraverso l'accordo con la Libia, sia in materia di respingimenti che di sviluppo economico, ed il «piano Africa», che prevede di dare nuovo impulso ai rapporti economici e commerciali e stimolare gli operatori italiani ad investire in quest' area, è stata coniugata la politica del rigore con quella della solidarietà, in grado, nel medio-lungo periodo, di diminuire i flussi dell'immigrazione indotta dalla povertà diretti verso i nostri territori.

Per quanto riguarda le critiche in materia rivolte al governo da alcuni uomini di Chiesa è bene citare le recenti parole espresse da Monsignor Rino Fisichella, rettore della Pontificia Università Lateranense, nel suo intervento alla Summer School del Pdl a Frascati: «Credo sia utile che gli uomini di chiesa si astengano dall'intervenire continuamente sulle questioni italiane. Non vedo prelati che intervengono ad esempio sulla legge dell'immigrazione degli Stati Uniti, che è particolarmente restrittiva. Non vedo perché avvenga solo nei confronti dell'Italia. Credo - ha aggiunto Monsignor Fisichella - che dovremmo essere capaci di rispettare il ruolo che ci compete. Non significa che su questioni che trattano di etica lo Stato possa fare a meno di sentire le voci della Chiesa». Insomma, ben vengano gli interventi di tutti in una materia così complessa come l'immigrazione ma si cerchi almeno di parlarne non in termini di solidarietà di facciata, ma in quella di una gestione responsabile del fenomeno, puntando a mantenere saldi alcuni punti cruciali per non andare alla deriva:

* l'immigrazione clandestina va combattuta;

* l'accoglienza illimitata non aiuta gli immigrati e genera tensioni sociali nel paese;

* i canali dell'immigrazione regolare hanno dei limiti imposti dalla sostenibilità da parte del sistema Paese e la cooperazione allo sviluppo con i paesi di provenienza è utile anche per diminuire il numero di persone in partenza da quei territori e diretti verso i nostri per motivi economici.
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