lunedì 14 settembre 2009

Immigrazione: fallito in Spagna il piano di Zapatero


di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

martedì 08 settembre 2009


Stando alle cifre del ministero del lavoro spagnolo, solo 1.000 immigrati disoccupati extracomunitari in Spagna hanno aderito al piano di rientro volontario nei paesi di origine promosso alla fine del 2008 dal governo del premier socialista Jose' Luis Zapatero per ridurre il numero altissimo di manodopera straniera senza lavoro nel paese. A causa della crisi economica la disoccupazione ha raggiunto livelli record con un esercito di più di 4,1 milioni di persone senza lavoro e la componente straniera è quella più colpita in proporzione.

Al momento del varo della misura, nel novembre scorso, il governo aveva inizialmente parlato di un bacino di 1,2 milioni persone, salvo poi realisticamente attestarsi su una previsione di adesione al piano da parte di 100.000 immigrati. Il piano di rientro prevede il pagamento in due soluzioni di tutte le indennità di disoccupazione agli immigrati che accettino di tornare nel loro paese, di rinunciare al permesso di soggiorno e di impegnarsi a non cercare di tornare per almeno tre anni.

Tra i motivi per il cui il piano è miseramente fallito c'è il divieto di reingresso per un periodo di tre anni e l'esiguità dell'indennità di disoccupazione, che non permette di avviare alcun progetto di vita nel paese di origine. Secondo International Migration Outlook Ocse/Sopemi 2009, i paesi in cui la crisi ha colpito prima mostrano un significativo incremento dei tassi di disoccupazione e una certa diminuzione del tasso di occupazione degli immigrati, sia in termini assoluti che relativi, rispetto alla popolazione nativa. Gli immigrati tendono a essere colpiti più duramente rispetto ai nativi per diverse ragioni, tra le quali un'eccessiva presenza in settori ciclicamente sensibili, una minore tutela contrattuale e assunzioni e licenziamenti selettivi. Inoltre, sia gli immigrati in arrivo, sia coloro che hanno perso il lavoro durante la crisi sembrano avere particolari difficoltà a entrare o a rientrare tra le fila degli occupati, a tempo indeterminato.

Insomma, gli immigrati sono benvenuti quando l'economia va bene, perché vengono usati come manodopera a basso costo, ma sono i primi ad essere licenziati in tempi di crisi. Ma allora, anziché sfruttare la manodopera straniera dequalificata ed a basso costo, non sarebbe meglio puntare con decisione sulla formazione professionale (di lavoratori autoctoni e stranieri), sulla ricerca e sull'innovazione tecnologica, lasciando perdere modelli produttivi che nulla hanno a che fare in primis con il rispetto della dignità umana e in secondo luogo con la qualità del lavoro e della produzione? E' inconcepibile chiedere agli immigrati di venire a lavorare da noi, con un salario inferiore a quello degli autoctoni, per sostenere le nostre produzioni quando l'economia gira e poi dare loro un'elemosina ed un biglietto di solo andata per il loro paese di origine in tempo di crisi.

I piani di rientro come quello spagnolo sono destinati a fallire perché non danno all'immigrato extracomunitario senza lavoro alcuna prospettiva di vivere una vita dignitosa. Ecco perché, per evitare che la situazioni si aggravi con esiti imprevedibili, sarebbe meglio cercare di razionalizzare i flussi degli immigrati secondo le esigenze di tutti, comprese quelle degli stessi stranieri che certo non lascerebbero in massa le loro terre se potessero viverci dignitosamente. Diventa importante, quindi, usare strumenti utili come la cooperazione allo sviluppo che, nel medio-lungo periodo, potrebbe essere in grado di far sviluppare i territori di origine degli immigrati che vengono nei nostri paesi e portare molteplici benefici per tutti: agli stessi stranieri, che non si vedrebbero più costretti a partire per motivi economici verso inesistenti Eldorado, ed ai paesi ospitanti, che non sono in grado di accogliere in maniera illimitata.

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