giovedì 28 aprile 2011

L'Europa boccia il reato di clandestinità



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
giovedì 28 aprile 2011

Non solo l’Europa non aiuta attivamente ad affrontare le problematiche relative all’immigrazione clandestine ma ci mette pure i bastoni tra le ruote. Una recente sentenza della Corte di giustizia Ue (causa C-61/11 PPU, sentenza del 28 aprile 2011) ha sostanzialmente bocciato la norma italiana che prevede il carcere da uno a quattro anni per gli stranieri clandestini che non ottemperano ai provvedimenti di espulsione perché in contrasto con la direttiva europea sui rimpatri.

La Corte ha testualmente dichiarato che «la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 dicembre 2008, 2008/115/CE, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, in particolare i suoi artt. 15 e 16, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato membro, come quella in discussione nel procedimento principale, che preveda l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo».

Secondo la Corte gli Stati membri non possono introdurre una pena detentiva, al fine di ovviare all’insuccesso delle misure coercitive adottate per procedere all’allontanamento coattivo, solo perché un cittadino di un paese terzo, dopo che gli è stato notificato un ordine di lasciare il territorio di uno Stato membro e che il termine impartito con tale ordine è scaduto, permane in maniera irregolare nel territorio nazionale. Essi devono, invece, continuare ad adoperarsi per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio, che continua a produrre i suoi effetti.

In pratica i giudici della Corte con sede in Lussemburgo ci dicono che dobbiamo chiudere entrambi gli occhi se un clandestino che ha ricevuto un regolare provvedimento di espulsione dalle autorità italiane non lascia il nostro paese. E’ bene chiarire, infatti, che l’intervento della magistratura comunitaria trasforma i provvedimenti di espulsione in semplici inviti ad abbandonare l'Italia entro sette giorni, rendendo evidentemente del tutto inefficace la lotta all’immigrazione clandestina. Ecco qual è la soluzione delle toghe comunitarie per contrastare la tratta degli esseri umani e per far rispettare le leggi dei singoli Stati in materia d’ingresso e soggiorno sul proprio territorio.

La sentenza, come se non bastasse, si permette di lasciare anche un’ipocrita porta aperta all’esigenza primaria di uno Stato di far rispettare le proprie leggi e salvaguardare i propri confini quando dichiara che «ciò non esclude la facoltà per gli Stati membri di adottare, nel rispetto dei principi della direttiva 2008/115 e del suo obiettivo, disposizioni che disciplinino le situazioni in cui le misure coercitive non hanno consentito di realizzare l’allontanamento di un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sul loro territorio sia irregolare». Si ma con quali strumenti davvero utili per raggiungere l’obiettivo del rimpatrio? Su questo punto non è dato sapere come la pensano nella Corte. L’unica cosa certa che ci dicono i giudici è che la nostra normativa sul reato di clandestinità contrasta con una direttiva comunitaria. Due considerazioni. La prima: che fine faranno le disposizioni sul reato di clandestinità in Francia (un anno di reclusione più 3700 euro di ammenda; tre anni in caso di reiterazione) e Germania (reclusione da uno a 3 anni più sanzione pecuniaria)?La seconda. Nel momento in cui si mettono in discussione gli accordi di Schengen, uno dei pilastri su cui si fonda l’Unione europea, sarebbe anche il caso di porre mano anche alle disposizioni comunitarie relative ai rimpatri. Se non si sa bene cosa fare nel caso in cui non sia possibile ricorrere alle misure coercitive, se non lasciare liberi i clandestini di girare indisturbati sul nostro territorio, allora vuol dire che la direttiva non funziona e non è adeguata allo scopo che si prefigge e cioè quello di rimpatriare, con tutte le garanzie possibili, chi viola le disposizioni in materia di immigrazione.

FONTE

mercoledì 27 aprile 2011

L'iniziativa italo-francese per porre un argine all'immigrazione



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
mercoledì 27 aprile 2011

Il vertice italo-francese ha sancito una posizione comune tra i due paesi sulla necessità di aggiornare il trattato di Schengen in materia di libera circolazione, uno dei pilastri su cui si regge l'Unione europea. Dalle parole emerse durante e dopo l'incontro sembra che ci sia l'intenzione di promuovere un'iniziativa comune in ambito comunitario per rinnovare le parti più datate del trattato, già entrata in una fase operativa con l'invio di una lettera congiunta di Berlusconi e Sarkozy ai presidenti della Commissione e del Consiglio europeo, José Manuel Barroso e Herman Van Rompuydi, dove, tra le altre cose, si toccava proprio questo argomento.

Un portavoce dell'Esecutivo comunitario, Olivier Bailly, ha assicurato che la Commissione si impegna a presentare già il 4 maggio prossimo delle «piste di riflessione», in risposta alla richiesta franco-italiana. Quando nel 1985 solo 5 paesi (Belgio, Francia, Lussemburgo, Germania e Paesi Bassi) stipularono quell'accordo era evidente che l'unico obiettivo strategico era di creare uno spazio dove era possibile la libera circolazione, e non si prese nella dovuta considerazione l'ipotesi di inserire strumenti normativi idonei per fronteggiare adeguatamente eventi straordinari legati ad una massiccia immigrazione di massa dai paesi vicini. Lo scenario si era evoluto già dall'elaborazione della Convenzione nel 1990 (entrata in vigore 5 anni dopo) e dall'inserimento dell'accordo nel quadro legislativo dell'Unione europea attraverso il trattato di Amsterdam del 1997, e la progressiva adesione di altri paesi, con il conseguente allargamento dello spazio di libera circolazione e lo spostamento dei confini dell'Unione su tutta la sponda mediterranea e, quindi, a maggior contatto con il continente nero e con le direttrici dell'immigrazione di massa.
Le rivoluzioni in corso in nord-Africa e in alcuni paesi del Medioriente impongono ora alcune modifiche al trattato per permettere al Vecchio Continente di rispondere con reattività ed efficacia agli eventi in corso nei paesi vicini, che potrebbero avere ripercussioni dirette su di noi. In questo quadro, la richiesta di modificare l'accordo di Schengen, insieme con le altre formalizzate congiuntamente da Italia e Francia (politica comune europea sull'asilo; avvio di un nuovo partenariato fra l'Ue e la sponda sud del Mediterraneo per sostenere lo sviluppo delle democrazie nascenti nei paesi che ne fanno parte; rafforzamento dell'agenzia per le frontiere esterne) mira a porre un argine a una probabile migrazione di massa verso l'Europa e a fornire gli strumenti idonei per fronteggiare questa evenienza ai paesi frontalieri come il nostro.
Si tratta di chiarire la definizione di «minaccia all'ordine pubblico» (oggi di competenza dei soli Stati membri) e di aggiungere eventualmente altri criteri, come l'afflusso massiccio di migranti irregolari, fra le motivazioni che si possono invocare per attivare la clausola di sospensione della libera circolazione. La lettera congiunta su questo punto non contiene criteri o condizioni particolarmente precise e, quindi, permette alla Commissione europea di avanzare una serie di proposte per cercare di arrivare a un accordo tra gli Stati membri nei due Consigli Affari interni e di giustizia di maggio e giugno, o anche nel vertice Ue del 24 e 25 giugno, in modo da presentare in estate le vere e proprie modifiche normative.
Oggi tutti i casi di sospensione del trattato si sono avuti per motivi di ordine pubblico in relazione allo svolgimento di grandi eventi. Non basta più. I pericoli portati dal terrorismo internazionale, la lotta contro il traffico degli esseri umani, la salvaguardia dei confini dei paesi frontalieri dell'Unione e, di conseguenza, di quelli europei, impongono una modifica di quegli accordi.

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mercoledì 20 aprile 2011

Lavori manuali. Pochi giovani italiani e molti stranieri



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
mercoledì 20 aprile 2011

Secondo una recente indagine del Censis, con 8 milioni e 357 mila addetti nel 2010, il lavoro manuale continua a rappresentare uno dei pilastri del nostro mercato del lavoro, interessando ben il 36,6% degli occupati del Paese. Si tratta di un universo complesso di mestieri, all'interno del quale si trovano artigiani e operai specializzati (4 milioni e 264 mila occupati), addetti agli impianti (1 milione e 798 mila) e lavoratori a bassa o nulla qualificazione (2 milioni e 295 mila). Tra i lavori più diffusi vi sono gli addetti alle pulizie (969.580), muratori, carpentieri e ponteggiatori (705.126), autisti e camionisti (588.262), meccanici, gommisti e carrozzieri (511.636), piastrellisti, idraulici ed elettricisti (472.435), operai agricoli specializzati (354.325).

La ricerca rivela alcuni dati molto interessati sul progressivo abbandono, da parte dei lavoratori italiani, di queste professioni, e sulla conseguente sostituzione con i lavoratori stranieri. Tra il 2005 e il 2010, infatti, a fronte di un crollo del numero dei lavoratori italiani occupati nei lavori manuali (-847 mila, con un decremento dell'11,1%), sono aumentati quelli stranieri (+718 mila, con una crescita dell'84,5%). Il tasso di incidenza degli stranieri in questo tipo di lavoro è passato, negli ultimi cinque anni, dal 10% al 18,8%, raggiungendo quota 52% tra gli addetti ai servizi di pulizia, il 32% tra gli addetti del settore edile, il 30% tra le figure non qualificate che lavorano nel turismo.

Altro rilievo molto interessante: si tratta di mestieri che non attirano i giovani, dato che la presenza degli under 35, sempre tra il 2005 e il 2010, è passata dal 34,3% al 27,6%, mentre, al contrario, è cresciuta quella degli over 45, balzati dal 34,2% al 40,2%.

Il dato ancora più rilevante, in un momento in cui la crisi economica sta riversando i suoi effetti negativi anche sul mercato del lavoro, è che questi mestieri non hanno avuto alcuna flessione. Infatti, secondo le previsioni delle assunzioni delle aziende, il 43,1% di quelle programmate per il 2010 (238 mila nuovi posti di lavoro) avrebbe interessato proprio questo tipo di lavoratori, e in particolare gli addetti ai servizi di pulizia (su 100 previsioni di assunzione, 8 sono destinate a tali figure), muratori (5%), conduttori di camion e macchine (2,6%). E non solo questi lavori non conoscono crisi, ma c'è una seria difficoltà da parte delle aziende a trovare le figure necessarie: sono più di 60 mila, infatti, i posti di lavoro che rischiano di restare vacanti, perché le aziende non trovano persone disposte a svolgere tali lavori o per la scarsa preparazione di quelle individuate. Circa 36 mila riguardano operai specializzati, e in particolare muratori in pietra (6.505 posti), meccanici (3.596), elettricisti (3.408), idraulici (2.469), meccanici e montatori di macchinari (2.330); altri 15 mila i conduttori di impianti, soprattutto camionisti (2.753) e conduttori di macchine per il movimento terra (1.769); e 9 mila lavori non qualificati, tra cui soprattutto personale per le pulizie (4.596).

Questo vuol dire che molti stranieri stanno occupando posti di lavoro che i giovani italiani rifiutano di coprire, nonostante uno sbandierato tasso di disoccupazione, nella fascia tra i 15 e i 24 anni, intorno al 30%. Eppure molti giovani, magari tutti quelli che vivacchiano senza successo nelle nostre università, sia per lo scarso appeal del lavoro manuale sia per l'inadeguata preparazione, non vogliono o non riescono a cogliere queste opportunità. Senza arrivare a scomodare Don Bosco, che parlava di ragazzi che hanno l'intelligenza nelle mani, molti giovani dovrebbero capire che oggi un operaio specializzato, un elettricista, un idraulico guadagna molto di più di un operatore di call center o di un impiegato, e che lasciarsi sfuggire certe opportunità, magari continuando a rimanere parcheggiati a tempo indeterminato in qualche ateneo, significa non guardare in faccia la realtà e rimandare l'obiettivo della tanto sospirata indipendenza economica.

L'altra faccia della medaglia di questa situazione è la mancanza di un sistema formativo adeguato, che calibri le conoscenze e i saperi con le reali richieste del mercato. Questo è un problema cui si dovrà porre rimedio il prima possibile, perché il cosiddetto disallineamento tra domanda e offerta di lavoro è un lusso che, soprattutto di questi tempi, non possiamo davvero più permetterci.

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venerdì 8 aprile 2011

Immigrazione. Ah, les français!



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
venerdì 08 aprile 2011

C'è tensione tra Italia e Francia dopo le dichiarazioni di Claude Gueant, ministro dell'Interno del governo transalpino, il quale ha affermato che «i permessi di soggiorno temporanei italiani dati agli immigrati per motivi umanitari non escludono la possibilità che i migranti stessi siano respinti dalla Francia e rinviati in Italia». Non solo: «Per il governo francese - ha sottolineato Gueant - sono necessari documenti di identità e, soprattutto, una giustificazione di risorse». Cioè soldi a sufficienza (quantificati in almeno 65 euro al giorno) per essere autonomi sul territorio francese.

E' ovvio che i francesi stiano cercando di metterci i bastoni tra le ruote, stravolgendo addirittura l'accordo di Schengen sulla libera circolazione di cittadini dei Paesi terzi. La posizione della Francia vuole chiaramente colpire l'idea italiana secondo cui, con un permesso di soggiorno provvisorio, i tunisini avrebbero lasciato celermente la Penisola per dirigersi altrove, a iniziare dalla Francia, in cerca di ricongiungimenti famigliari.

Tuttavia, nonostante la tensione, l'incontro avvenuto a Milano tra il ministro Maroni e il suo omologo transalpino ha prodotto comunque un importante accordo tra Italia e Francia. Esso prevede iniziative comuni per bloccare le partenze dei clandestini dalla Tunisia attraverso un pattugliamento congiunto navale ed aereo. Nell'intesa sono previsti anche programmi di rimpatrio con il sostegno dell'Unione Europea. Restano, però, posizioni distanti sulla normativa di Schengen sulla libera circolazione delle persone. Il ministro francese ha affermato, infatti, che «i permessi temporanei di soggiorno rilasciati dal governo italiano aprono la possibilità di libera circolazione, ma nel rispetto dell'articolo 5 che prevede il possesso di risorse finanziarie e documenti».

L'accordo di Schengen è stato fatto prima di tutto per garantire la libera circolazione dei cittadini degli Stati membri e poi, di rimando, anche per i cittadini di Paesi terzi titolari di un visto uniforme, entrati regolarmente nel territorio di una delle parti contraenti. Non è un caso che proprio la libera circolazione di questi ultimi sia garantita solo a certe condizioni (essere in possesso di un documento o di documenti validi che consentano di attraversare la frontiera, quali determinati dal comitato esecutivo; essere in possesso di un visto valido, se richiesto; esibire, se necessario, i documenti che giustificano lo scopo e le condizioni del soggiorno previsto e disporre dei mezzi di sussistenza sufficienti, sia per la durata prevista del soggiorno, sia per il ritorno nel Paese di provenienza o per il transito verso un terzo Stato nel quale la sua ammissione è garantita, ovvero essere in grado di ottenere legalmente detti mezzi; non essere segnalato ai fini della non ammissione; non essere considerato pericoloso per l'ordine pubblico, la sicurezza nazionale o le relazioni internazionali di una delle parti contraenti.).

Si vuole giustamente evitare che l'Europa diventi terra di conquista. E fin qui tutto bene. Il problema è che, secondo l'interpretazione francese, per attraversare le frontiere i tunisini con permesso provvisorio di soggiorno italiano dovrebbero poter esibire anche un passaporto valido rilasciato dalle loro autorità nazionali e non certo un documento d'identità delle autorità italiane. Si tratta di una precisazione puntigliosa, non presente all'interno del trattato. Schengen fornisce, infatti, solamente un quadro giuridico, ma è chiaro che debba esserci un coordinamento politico fra gli Stati membri sull'interpretazione delle norme applicative della convenzione ed è su questo punto che i francesi cercano di fare i furbi, sollevando cavilli impropri pur di non prendersi in casa gli stranieri arrivati in Italia.

Tuttavia è fin troppo ovvio che né la Francia né l'Italia possono accogliere tutte le persone provenienti dall'Africa e che è necessario arrivare quanto prima alla suddivisione degli oneri sull'accoglienza a livello comunitario ed a predisporre un piano politico per evitare l'invasione del vecchio Continente.

Lunedì prossimo, comunque, nell'ambito del Consiglio dei ministri dell'Europa, secondo quanto riferito dal ministro Maroni, l'Italia chiederà l'attivazione della direttiva 55 del 2001 che stabilisce forme di protezione internazionale diverse rispetto alla protezione dell'asilo e che consentirebbe ad ogni Stato dell'Unione, eventualmente disponibile, di accogliere una quota dei migranti anche dopo il loro ingresso in Italia. L'art. 25 della direttiva è chiaro e recita che «gli Stati membri accolgono con spirito di solidarietà comunitaria le persone ammissibili alla protezione temporanea. Essi indicano la loro capacità d'accoglienza in termini numerici o generali. Queste indicazioni sono inserite nella decisione del Consiglio di cui all'articolo 5. Dopo l'adozione di tale decisione, gli Stati membri possono indicare le eventuali capacità di accoglienza aggiuntive mediante comunicazione rivolta al Consiglio ed alla Commissione. Tali indicazioni vengono rapidamente comunicate all'Unhcr». Ora bisognerà valutare, al netto delle chiacchiere, se questa solidarietà concreta degli Stati europei scatterà o meno, e se l'Unhcr (l'agenzia Onu per i rifugiati) denuncerà con forza e pubblicamente gli atteggiamenti di chi si mostrerà ondivago davanti ai propri obblighi di solidarietà.

FONTE
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