mercoledì 30 luglio 2008

La farsa dell'opposizione sull'assegno sociale



di Antonio Maglietta - 29 luglio 2008

Non passa giorno che i professionisti dello straccio delle vesti non entrino in azione con urla ed annunci roboanti contro le iniziative del Governo. Tra le questioni più gettonate c'è il provvedimento, inserito nella manovra economica, che rivede i criteri per l'assegnazione dell'assegno sociale. L'impegno del governo, nel rivedere l'assegno sociale agli extracomunitari, tende a superare l'equiparazione, esistente nella norma vigente, tra cittadini italiani e i ricongiunti stranieri titolari di permessi di soggiorno. Nella manovra si vuole rivedere solo ed esclusivamente l'erogazione dell' assegno sociale ai ricongiunti extracomunitari ultrasessantacinquenni.

Fino ad ora, infatti, gli extracomunitari usufruivano di questo assegno sociale sin dal momento in cui mettevano piede nel nostro paese e ciò gli dava diritto a ritirarlo mensilmente, con uguale trattamento di un pari età italiano che, invece, ha contribuito a finanziare il welfare state nostrano. E' giusto che questi assegni vengano versati a persone anziane che per varie ragioni non hanno potuto accumulare adeguati versamenti contributivi e non anche a quegli immigrati ricongiunti che abusano di tale strumento per usufruire di un welfare state a costo zero.

Il sottosegretario Vegas, poi, martedì mattina, ha precisato che: «Le modifiche apportate alla Camera all'articolo 20 in tema di assegno sociale non ne mutano la destinazione, che concerne esclusivamente i cittadini extracomunitari. I limiti alla concessione dell'assegno non riguardano pertanto né i cittadini italiani né tanto meno le casalinghe. In ogni caso la volontà del legislatore - governo e Parlamento - è inequivoca in materia. Tale interpretazione autentica verrà ribadita immediatamente al Senato». Vengono spazzate via, quindi, tutte le bugie diffuse a piene mani dall'opposizione sul fatto che la disposizione in questione avrebbe leso i diritti di tutti quei cittadini italiani che non avessero raggiunto i requisiti aggiuntivi per la corresponsione dell'assegno sociale, e cioè dieci anni di residenza legale e di attività lavorativa sul territorio nazionale.

La cosa curiosa è che tutte queste polemicucce sono nate con quasi due settimane di ritardo visto che le disposizioni in questione sono già passate al vaglio della commissione Bilancio della Camera; e basterebbe dare uno sguardo al resoconto stenografico della V commissione di Montecitorio per rendersi conto della farsa che sta andando in scena in questi giorni. Infatti, l'opposizione nelle sedi istituzionali non ha mosso alcuna critica, salvo svegliarsi con ritardo sui giornali e sparare a zero senza neanche essere a conoscenza della disposizione e di quale è lo status quo. E tanto per chiarire i termini della questione, il capogruppo della Lega a Montecitorio, Roberto Cota, ha sottolineato che «l'emendamento sul cosiddetto assegno sociale, per la parte che non riguarda gli extracomunitari, è a firma dell'onorevole Zeller esponente dell'opposizione. Se oggi, a distanza di giorni, sorgono dubbi interpretativi si chiariscano pure, ma ciascuno si assuma la responsabilità politica di quello che propone».

Insomma, questa vicenda dimostra come l'opposizione si muova solo per apparire sui giornali e senza andare a toccare il merito delle questioni. Se poi si vuole proprio approfondire la faccenda, allora sarebbe interessante sapere se per il centrosinistra sarebbe giusto, in generale, un sistema in cui il nostro welfare state venga usato, o meglio sarebbe dire abusato, da chi non ha versato neanche un solo euro per sostenerlo e non ha vissuto e lavorato in maniera continuativa (e legalmente) nel nostro paese per un congruo periodo. Se sìa, allora ci dicesse anche da dove prenderebbe i soldi per coprire gli assegni sociali per gli anziani del nostro paese.

Antonio Maglietta

lunedì 28 luglio 2008

Ue: punire chi sfrutta i clandestini



di Antonio Maglietta - 26 luglio 2008

Confisca dei beni patrimoniali per chi sfrutta gli immigrati irregolari facendoli lavorare in nero. E' la proposta che il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha fatto giovedì a Bruxelles, illustrando la posizione italiana sulla proposta della presidenza di turno francese del Consiglio d'Europa per punire chi sfrutta gli immigrati clandestini. Secondo il ministro, una misura di questo genere avrebbe un forte carattere dissuasivo e quindi preventivo. Maroni ha ricordato anche che in Italia gli immigrati in nero rappresentano una forma di sfruttamento molto diffusa.

Sul punto, però, c'è stata una spaccatura tra i paesi del nord (più propensi a regole meno severe) e i paesi del sud, questi ultimi in genere più direttamente interessati al fenomeno dell'immigrazione (sia stanziale che di passaggio). La divisione riguarda due punti: la possibilità di prevedere anche sanzioni penali per chi assume immigrati irregolari; la definizione di un obiettivo minimo a livello europeo (il 5%) di ispezioni nelle imprese. «Oltre a quelle penali e finanziarie, proponiamo di introdurre anche una sanzione patrimoniale per colpire direttamente gli imprenditori che sfruttano gli immigrati irregolari», ha affermato Maroni ricordando ai colleghi europei che in Italia sono state approvate delle norme che possono portare «fino al sequestro di un immobile dato in locazione ad un immigrato irregolare». A Bruxelles il ministro ha osservato che il nostro Paese ha un «primato negativo, soprattutto nei settori dell'agricoltura e delle costruzioni». «La direttiva Ue proposta - ha concluso - parla di sanzioni finanziarie e amministrative. A noi va bene, ma chiediamo anche di aggiungere le sanzioni patrimoniali».

A Bruxelles, anche il commissario europeo per Giustizia, Libertà e Sicurezza, Jacques Barrot, ha appoggiato la proposta della presidenza di turno francese. Insomma, l'Europa dei Ventisette dovrebbe capire, in generale, che è nell'interesse di tutti non alimentare in alcun modo le sacche di clandestinità sul territorio comunitario, usando tutti gli strumenti a disposizione. Colpire i datori di lavoro che sfruttano i clandestini ed i proprietari degli immobili che li ospitano, oltre ad essere delle efficaci garanzie per la salvaguardia degli stessi stranieri irregolari, sono degli ottimi strumenti per cercare di colpire alla radice il problema.

Tralasciando la questione del rapporto tra clandestinità e criminalità, infatti, uno straniero che entra nel nostro Paese vive lavorando in nero e pagando un affitto in nero. Prosciugando questa economia parallela a quella ufficiale, colpendo i diretti beneficiari (datori di lavoro e proprietari di immobili senza scrupoli), verrebbe meno quell'acquitrino di illegalità attraverso il quale si alimenta la clandestinità. Ma c'è un altro problema da evitare, e cioè che l'economia sommersa, alimentata anche dal circuito che ruota intorno all'immigrazione clandestina, diventi un modo come un altro per rispondere alle sfide del mercato globale. Secondo l'ultimo rapporto Eurispes l'economia sommersa in Italia ha prodotto almeno 549 miliardi di euro nel 2007. Secondo i calcoli, il nostro sommerso attualmente equivale ai Pil di Finlandia (177 mld), Portogallo (162 mld), Romania (117 mld) e Ungheria (102 mld) messi insieme. L'incidenza rispetto al Pil ufficiale prodotto nel nostro Paese è di almeno il 35,5%. Sono cifre che dovrebbero far riflettere tutti perché se qualcuno in Europa crede che questi siano solo problemi che riguardano gli stati del Sud dell'Ue, si sbaglia di grosso. Generalmente il Sud è solo la zona di transito; la vera destinazione è il nord Europa ed il suo ricco welfare state.

Antonio Maglietta

lunedì 21 luglio 2008

Il futuro del Mezzogiorno: lavorare sodo senza piagnistei


di Antonio Maglietta - 19 luglio 2008

Secondo il Rapporto Svimez 2008 sull'economia del Mezzogiorno, l'unico settore che nel 2007 ha contribuito negativamente all'aumento del valore aggiunto nel Mezzogiorno è stato, per il terzo anno consecutivo, quello agricolo, che è calato del 2,2%, a fronte di un aumento nel resto del Paese dell'1,5% mentre il maggiore incremento nel 2007 si è avuto nel settore degli alberghi, della ristorazione, dei trasporti e delle comunicazioni, cresciuto dell'1,6% (1,5% nel 2006), sebbene con una dinamica pari a circa alla metà di quella registrata nel resto del Paese (3%). Unità di lavoro e produttività. La crescita del valore aggiunto per occupato è stata bassa, sia nel Centro-Nord che nel Mezzogiorno anche se, tuttavia, vi è stato un lieve recupero delle differenze di produttività da parte del Sud rispetto al resto del Paese.

Pil. Nel 2007 il prodotto per abitante nel Mezzogiorno è risultato pari a 17.483 euro a fronte dei 30.381 euro registrati nel Centro-Nord. Rispetto al 2006, quindi, il divario tra le due aree del Paese è lievemente aumentato dello 0,2%. Per quanto riguarda il prodotto interno lordo, va segnalato il calo in entrambe le aree: nel Centro-Nord si passa dal 2,1% del 2006 al 1,7% del 2007, mentre nel Mezzogiorno dall'1,1% allo 0,7%. Consumi e investimenti. La crescita dei consumi finali (http://it.wikipedia.org/wiki/Consumo) nel Mezzogiorno è stata dello 0,7% a fronte dell'1,6% del Centro-Nord. La causa di un divario così netto, secondo il Rapporto, è stato l'aumento della spesa delle Amministrazioni pubbliche, cresciuta più al Nord (1,6%) che al Sud (0,8%) nel 2007, dopo la flessione registrata in entrambe le aree nel 2006. Per quanto riguarda la crescita della spesa finale delle famiglie, va segnalato che nel Mezzogiorno è la metà (0,8%) di quella registrata nel resto del Paese (1,5%). Secondo l'analisi della Svimez, il rallentamento che ha caratterizzato la dinamica degli investimenti a livello nazionale nel 2007 è stato maggiore nel Mezzogiorno (0,5%, a fronte del 2,4% del 2006) che nel Centro- Nord (1,5%, rispetto al 2,5% del 2006).

Esportazioni di merci. Le esportazioni del Mezzogiorno sono cresciute nel 2007 dell'11,8%, mentre quelle del resto del Paese del 7,7%. L'aumento verso i Paesi extra Ue è stato del 13,8% mentre quello vero l'area Ue del 10,6%. La quota delle esportazioni del Mezzogiorno sul totale nazionale è risultata, nel 2007, essere pari all'11,7%, con un lieve incremento rispetto al 2006 (11,1%).

Popolazione. Rispetto al 2006, la popolazione del Paese nel complesso è cresciuta di circa 400 mila unità: 330 mila unità in più nel Nord e solo 63 mila nel Sud. Il divario è dovuto soprattutto all'andamento della dinamica migratoria visto che il tasso di crescita degli stranieri residenti al Nord è stata quasi il triplo (8,6%, tra i più alti tassi di accrescimento dei paesi dell'Unione Europea a 27) di quello registrato al Sud (3%). Da segnalare che nel 2007 il Mezzogiorno ha perso circa 52 mila residenti a favore delle regioni del Centro-Nord, ad un ritmo di 2,5 abitanti ogni mille. Secondo i dati Istat, nel biennio 2004-2005 i trasferimenti di residenza dal Sud al Centro-Nord si sono attestati intorno alle 120 mila unità, per poi continuare a crescere, seppur lievemente, nel successivo biennio 2006-2007. Il Rapporto segnala con preoccupazione che la gran parte di coloro che si spostano sono giovani in età da lavoro e ad elevata scolarità.

Spesa pubblica in conto capitale nel periodo 1996-2007. La quota di spesa in conto capitale effettuata nel Mezzogiorno rappresenta con il 35,3% del totale (22,3 miliardi di euro a fronte dei 22,7 del 2006; in controtendenza nel Centro-Nord dove nel 2007 è stata pari a 40,9 miliardi di euro rispetto ai 39,1 del 2006) la quota più bassa registrata a partire dal 1998.

Infrastrutture. Secondo l'indice sintetico di dotazione di infrastrutture per la mobilità, ottenuto mettendo "a sistema" dotazioni di base (reti: strade, ferrovie), con la capacità di movimentazione e di servizio (rappresentata dagli indici relativi ai nodi di scambio: porti, aeroporti, centri intermodali) il valore del Mezzogiorno, posta l'Italia pari a 100, risulta pari a 49,4, meno della metà di quello ricavabile con riferimento al Centro-Nord (115,7) [Rapporto Svimez 2008 sull'economia del Mezzogiorno, pag.38]. Si segnala ancora nel Rapporto che dal 1970 al 2005, la rete autostradale del nostro Paese è aumentata del 67%, mentre nella media dell'UE a 15 l'incremento è di circa il 150%. In particolare, la Germania unita ha più che raddoppiato la propria rete, la Francia l'ha aumentata di 6 volte e la Spagna di più di 28 volte. Con riferimento al Mezzogiorno, si rileva che la dotazione stradale e ferroviaria sono fortemente carenti.

Conclusioni. Il quadro dell'ultimo Rapporto Svimez sul Mezzogiorno è con poche luci (la dinamicità delle imprese, la crescita del settore del turismo e l'exploit nelle esportazioni) e molte ombre (carenza di infrastrutture, poca spesa pubblica, scarsi investimenti privati, forte perdita del potere di acquisto delle famiglie, fuga dei giovani ad elevata scolarità). L'analisi in sostanza fotografa una situazione di malessere non certo nuova ma che spesso e volentieri è stato l'input per tutte le disastrose politiche assistenziali dei tempi andati. Il Mezzogiorno deve fare solo una richiesta particolare allo Stato centrale: le infrastrutture. Una volta esaurita questa necessità ha tutte le qualità per essere in grado di affrontare al meglio, all'interno del sistema Paese, le sfide imposte dal mercato globale. I fattori su cui puntare per lo sviluppo già da ora sono essenzialmente due: il turismo e i tantissimi giovani ad elevata scolarità. Il federalismo, inoltre, in prospettiva, potrebbe rilevarsi una grande opportunità per il Sud perché la responsabilizzazione dei quadri locali spazzerebbe finalmente via tutte le scuse tipiche dei sistemi centralizzati ("lo Stato ci ha abbandonato"), creando un circolo virtuoso in cui il controllo diretto (e molto più ravvicinato) dei cittadini sull'operato degli amministratori potrebbe fungere da stimolo a migliorare sempre più le condizioni delle aree amministrate. Non servono piagnistei, recriminazioni storiche ed elemosine ma solo responsabilizzarsi, rimboccarsi le maniche e lavorare sodo.

Antonio Maglietta

giovedì 17 luglio 2008

Sinistra in progress: da Il Capitale a Novella 2000

di Antonio Maglietta - 17 luglio 2008

Una volta c’era la mitica scuola di Frattocchie, lo storico luogo di formazione dei dirigenti del Partito Comunista Italiano, palestra di cervelli ed idee di sinistra. Si sa, però, che la modernità porta quasi sempre delle novità. Ed ecco che oggi, infatti, a 17 anni di distanza dalla chiusura, al posto della mitica scuola dei quadri comunisti italici, c’è la sala d’attesa del parrucchiere, come luogo ideale per la sinistra ove sviluppare nuove idee per la battaglia politica. Dopo il crollo delle ideologie, la nuova base politica ‘rossa’ si basa sul gossip: da Il Capitale a Novella 2000. I giornali di riferimento di quell’area politica, in primis quelli del gruppo editoriale L’Espresso-La Repubblica, oramai da diverso tempo, spendono tristemente le loro migliori penne in articolate analisi gossippare su alcuni esponenti del centrodestra, frutto di intercettazioni, confidenze da bar, bisbigli nelle orecchie, occhiolini o occhiatacce. Non più pompose ma interessanti analisi sulla competitività delle nostre imprese, sul welfare state, sulle dinamiche occupazionali, sui sistemi salariali, sui flussi degli immigrati, sulla sicurezza, sulle nostre scuole, sul federalismo fiscale, sul potere di acquisto delle famiglie, ma articoli al vetriolo sulla vita privata delle singole persone impegnate in politica. Invece di confrontarsi faccia a faccia sul terreno proprio della politica, e cioè sull’incontro-scontro delle idee e delle diverse visioni del mondo, si cerca di avvelenare il tessuto civile del paese spiando in maniera subdola dal buco della serratura. Francamente non è un bel vedere anche perché così vengono meno gli spunti acuti, indipendentemente dalla condivisione o meno degli scritti, di autorevolissimi commentatori politici ed economici. Un vero e proprio peccato perché è proprio il confronto con chi la pensa diversamente l’input che porta a riflettere, approfondire, capire e migliorarsi, allontanando il rischio sempre in agguato dell’autoreferenzialità. Ma può esserci un confronto costruttivo con chi cerca di ‘buttarla in vacca’? Certamente no perché se si decide di scendere a quel livello allora facciamo prima a traslocare il dibattito politico dai canonici luoghi istituzionali alle bettole. Il Paese ha bisogno di idee per ripartire e non di zuffe da bar. Ecco perché il governo e la maggioranza di centrodestra stanno facendo benissimo nell’andare diritti per la strada tracciata dal programma con cui sono state stravinte le elezioni politiche, senza accettare di farsi frenare in inutili discussioni che nulla hanno a che fare con lo sviluppo di questo Paese. Non sarà sempre facile tenere i nervi saldi perché gli avvelenatori di pozzi sono tanti e agguerriti. Basta ricordare gli sguardi e le parole cariche di odio di molti degli oratori della manifestazioni tenutasi nei giorni scorsi a piazza Navona a Roma per capire che per questa gente lo scontro a testa bassa con la controparte politica è una scelta di fondo strutturale e non temporanea. In prospettiva sarà dunque importante continuare con questo stile, non accettando le provocazioni e rispondendo alle chiacchiere da bar con fatti concreti utili per migliorare la vita di cittadini e imprese. Nel lungo periodo questo atteggiamento creerà un solco nell’immaginario collettivo degli italiani dove da una parte verranno collocati i professionisti del pettegolezzo, delle urla, dello straccio delle vesti, degli insulti e dei vaffa, e dall’altra chi cerca di lavorare per il bene di questo paese.

Immigrazione: la sinistra usa le istituzioni Ue per polemizzare


di Antonio Maglietta - 12 luglio 2008

Il Parlamento europeo ha adottato giovedì una risoluzione che boccia le misure del governo italiano per il censimento delle persone che vivono nei campi nomadi presenti sul territorio nazionale. Con 226 voti a favore, 220 contrari e 77 astenuti, l'Europarlamento ha accolto il testo presentato dal gruppo socialista, il Pse, dalla sinistra europea del Gue e dai liberali dell'Alde in cui si chiede alle autorità italiane «di astenersi dal procedere alla raccolta delle impronte digitali dei rom, inclusi i minori e dall'utilizzare le impronte digitali già raccolte». Questo, precisa la risoluzione, «in attesa dell'imminente valutazione delle misure prevista dalla Commissione europea, in quanto la misura costituirebbe chiaramente un atto di discriminazione diretta fondata sulla razza e l'origine etnica».

Bene hanno fatto i ministri Frattini, Maroni e Ronchi ad indire subito una conferenza stampa per spiegare i termini della questione (Frattini: «Solo la Commissione europea può valutare la legittimità del provvedimento») e ribadire che è in corso un attacco strumentale al governo italiano e che lo stesso andrà comunque avanti sulla strada intrapresa. Nell'ordinanza, infatti, non si parla di prendere le impronte ai rom, ma si parla esclusivamente di un censimento nei campi nomadi dove vivono cittadini italiani, comunitari di varie etnia e cittadini extracomunitari. Il censimento è cosa diversa dalla schedatura ed il voler volutamente circoscrivere la questione ai soli Rom, come fa la citata risoluzione, dimostra tutta la volontà di voler strumentalizzare la questione. Il censimento, concretamente, può avvenire anche attraverso la rilevazione delle impronte digitali ma solo nel caso in cui l'identità non sia verificabile attraverso la normale documentazione. Sapere le generalità di chi vive in un dato territorio è una questione di sicurezza fondamentale sia per i diretti interessati che per la collettività.

L'intera faccenda, poi, è stata degradata a sgradevole polemicuccia pretestuosa nei confronto del governo dopo la lettura dell'intervista rilasciata venerdì a Libero dal presidente dell'Unicef Italia, Vincenzo Spadafora: «Siamo stati i primi a lanciare un allarme quando si era parlato di rilevare le impronte ai bimbi ma dopo un incontro con il ministro abbiamo avuto rassicurazioni sulle sue reali intenzioni». E ancora: «Quello che si sta dicendo distorce le reali intenzioni del governo e mi dispiace che anche le posizioni dell'Unicef siano strumentalizzate». Il presidente di Unicef Italia dice di aver letto il testo dell'ordinanza del ministro, e che «non c'è discriminazione. L'obiettivo è unicamente quello di riconoscere i diritti civili dei bambini. Non stanno prendendo impronte ma scattano solo fotografie, non si ledono in alcun modo i diritti del minore». E alla domanda se il governo deve dunque andare avanti, Spadafora risponde sibillino: «sì, il ministro ha centrato il problema, l'azione è assolutamente corretta. La vera battaglia è di tipo culturale».

Alla fine della fiera, dunque, si è rilevato più che palese l'atteggiamento barricadero dei parlamentari europei di centrosinistra che, per venire in soccorso dei loro compagni in netta difficoltà in Italia, hanno pensato bene di usare in maniera strumentale il Parlamento Europeo, già sapendo che l'effetto reale della loro azione sarebbe stata sola una sterile polemica fine a se stessa e non un qualcosa di concreto perché solo la Commissione europea può valutare la legittimità del provvedimento. Sono abituati così a sinistra: invece di fare cose concrete, perdono tempo polemizzando. La cosa grave che va sottolineata, invece, è che il voler a tutti i costi esternalizzare la battaglia politica nazionale perché dentro i confini si è deboli, soli, divisi ed invisi alla stragrande maggioranza dei cittadini (urne docet), così come stanno cercando di fare alcune anime del centrosinistra, ha solo l'effetto di danneggiare l'immagine del nostro Paese a tutto vantaggio dei nostri competitors. I sinistri nostrani sembrano tanti bimbetti impauriti che corrono dalla mammina Pse perché il governo Berlusconi e la maggioranza di centrodestra gli fanno continuamente la bua. Gli stessi, però, è bene che si rendano conto che i singoli eurodeputati sono portatori anche dei loro interessi nazionali, e che cercare di infangare l'immagine del nostro Paese per interessi politici interni è un esercizio che trova sponde interessate anche e soprattutto per questo motivo.

Antonio Maglietta

giovedì 10 luglio 2008

I soliti noti: vaffa, insulti e manette


di Antonio Maglietta - 10 luglio 2008

«Sei ancora tu purtroppo l'unica. Ancora tu l'incorreggibile. Ma lasciarti non è possibile. No lasciarti non è possibile» cantava Lucio Battisti. I passi di una delle più belle canzoni del cantautore di Poggio Bustone rappresentano l'estrema sintesi della linea politica del centrosinistra italiano, incentrata esclusivamente, oramai da 15 anni, sul giustizialismo forcaiolo e gli insulti all'avversario politico. Avevamo tirato un sospiro di sollievo, immaginando un nuovo terreno di confronto politico, più vicino all'agorà che all'arena, quando Walter Veltroni, novello leader del Partito democratico, aveva annunciato al globo: yes, we can. Ma cosa si può fare? Non certo vincere le elezioni.

L'obiettivo del nuovo corso veltroniano era apparso sin da subito ancora più ambizioso di quello più estemporaneo, seppur importantissimo, della vittoria elettorale: cambiare la linea politica del centrosinistra italiano, fino a quel momento stretta nella morsa dei giustizialisti e degli antagonisti. Un cocktail letale che aveva affossato prematuramente tutti gli esecutivi di centrosinistra nella cosiddetta seconda Repubblica. Occorreva, quindi, un taglio netto con il passato. Purtroppo, però, l'ex sindaco della Capitale, in vista delle elezioni, chissà forse preso dall'euforia del «si può fare» o in senso contrario dalla paura di subire una scoppola memorabile, decise di allearsi con Di Pietro ed il suo partito monotematico. Errore strategico sottolineato sin da subito dalla quasi unanimità dei commentatori politici.

In pratica Veltroni aveva scelto di abbandonare solo gli antagonisti e di tenersi stretto un Di Pietro che, in quel dato momento, si autoaccreditava come politico pro e non contro, istituzionale e non di piazza, moderato e non barricadero, e che addirittura si professava disposto a confluire tra le fila del Partito democratico. Roba da non credere, ed infatti non è stato così. La questione nel centrosinistra si è pure complicata perché, come fanno ciclicamanente da 15 anni, i giustizialisti si sono dati appuntamento in piazza, lasciando nelle mani tremolanti di alcuni politici del centrosinistra la margherita del «vado o non vado».

Il circo Barnum dei forcaioli si è infatti radunato martedì scorso a piazza Navona a Roma: solito copione, solite facce, qualche ruga e capello bianco in più ma nessuna voglia di tirare giù il tendone. Un pomeriggio all'insegna del revival all'insegna dei bei tempi andati, quando però il richiamo dei girotondini attirava molta più gente di adesso. I forcaioli, bisogna ammetterlo, sono sempre ben organizzati e combattivi, ma se i numeri sono quelli visti in quella piazza o, su scala elettorale nei consensi riscossi dall'Italia dei Valori, non si capisce il motivo per cui da un quindicennio questa gente detta legge nel centrosinistra.

Il messaggio politico di piazza Navona è stato molto chiaro: caro Walter l'opposizione non si fa con il dialogo ma con i vaffa di Beppe Grillo, gli insulti della Guzzanti, il verbo di Travaglio e le manette di Di Pietro. I duri e puri non le hanno certo mandate a dire martedì. Le loro invettive non hanno risparmiato nessuno. Tutti sotto accusa: il Papa (Sabina Guzzanti: «Tra 20 anni Ratzinger sarà morto e sarà all'inferno, tormentato da diavoloni e procioni attivissimi»), Napolitano (Marco Travaglio: «Fino ad ora il Quirinale ha firmato tutto, compresa l'aggravante razziale. Speriamo che la smetta»; Beppe Grillo: «La banda dei quattro ha firmato una cosa che mai altri avrebbero firmato. Ma ve lo immaginate Pertini che firma una legge che lo rende immune dalla giustizia? Io neanche Ciampi e Scalfaro me li immagino. E allora chi è quest'uomo? Un primo cittadino o uno che difende i partiti? Quando c'era la gente in piazza a Chiaiano, lui dov'era? A Capri,a sentire musica con due inquisiti, Bassolino e la moglie di Mastella. Che esempio ho io da questa gente? Io non ne voglio più sapere di questa gente»), Berlusconi (ça va sans dire), fino ad arrivare a Veltroni (il vero target politico da colpire), Casini e chi più ne ha più ne metta.

Messaggio elementare: loro, i duri e puri (si fa per dire), sarebbero i buoni mentre tutti gli altri dei cattivoni o, nel migliore dei casi, dei lobotizzati dalla Tv. Senza contare, poi, che i contenuti della manifestazione, che doveva essere il trampolino di lancio per Antonio Di Pietro, alla conquista di un sempre maggiore spazio politico ai danni del Pd e dei partiti antagonisti, sono stati in parte smentiti proprio dallo stesso ex magistrato che è stato costretto a prendere le distanze dagli attacchi a Napolitano e al Papa. La manifestazione, quindi, si è rivelata un boomerang per lo stesso Di Pietro che, siamo sicuri, d'ora in poi selezionerà con maggior cura gli invitati a parlare. Ora, però, dopo le scaramucce, non resta che aspettare che nel centrosinistra si arrivi al regolamento dei conti vero e proprio tra chi crede nel dialogo con la controparte politica e chi, invece, negli insulti, nei vaffa e nelle manette. Non vorremmo essere nei panni di Veltroni che, peraltro, sentendo puzza di bruciato, aveva già preso le distanze dalla manifestazione dei soliti noti.

Antonio Maglietta

mercoledì 9 luglio 2008

L'Europa cerca di chiudere le porte ai clandestini



di Antonio Maglietta - 8 luglio 2008

L'Europa cerca di chiudere le porte all'immigrazione clandestina e tenta di farlo dandosi regole comuni per organizzare meglio quella legale, in base alle esigenze del mercato del lavoro e alle capacità di accoglienza degli Stati. Il Patto europeo sull'immigrazione e l'asilo, voluto dal presidente francese Nicolas Sarkozy, seppur con piccole modifiche rispetto alla versione originale su richiesta del rappresentante spagnolo, ha passato il vaglio dei ministri degli interni della Ue, riuniti ieri per un Consiglio informale. Il passo successivo sarà l'accordo a 27 al Vertice Ue di ottobre.

«L'ipotesi di una immigrazione zero sembra irrealistica e pericolosa», si legge nel testo del Patto, riconoscendo che «le migrazioni contribuiscono alla crescita economica dell'Unione Europea e degli Stati che ne hanno bisogno per la loro situazione demografica e per il loro mercato del lavoro». Ma al tempo stesso ammette che «la Ue non ha mezzi per accogliere degnamente tutti gli immigrati alla ricerca di una vita migliore» e che «una immigrazione mal controllata può attentare alla coesione sociale dei paesi di accoglienza».

«I pilastri sono due: lotta senza quartiere all'immigrazione clandestina e a chi la sfrutta, massima integrazione di chi viene regolarmente sui territori della Ue», ha spiegato il ministro dell'interno Roberto Maroni, molto soddisfatto dell'accelerazione impressa dalla presidenza francese e pronto a mettere nel conto nuove accuse di razzismo. Come quelle lanciate dal presidente del Brasile Lula e dall'organizzazione Gruppo di Rio, che raduna 21 paesi dell'America latina e dei Caraibi, alla direttiva europea sui rimpatri. «Bisogna non temere queste false accuse e andare avanti per regolamentare l'immigrazione, cosa che il Patto e la direttiva europea sui rimpatri fanno in modo soddisfacente», ha detto Maroni.

«Non vedo nuovi muri attorno all'Europa, non diventeremo una fortezza», ha assicurato il ministro dell'interno tedesco, il cristiano democratico Wolfgang Schaeuble. «In Europa ci sono otto milioni di immigrati. Noi dobbiamo lottare contro quella illegale e organizzare quella legale», ha sintetizzato. Soddisfatto anche il ministro spagnolo Alfredo Perez-Rubalcaba, per il quale «il Patto contiene alcuni elementi del modello di immigrazione che la Spagna ha sempre sostenuto». Perez-Rubalcaba ha rivendicato a Madrid il merito di avere cambiato alcuni punti della proposta di Sarkozy, in particolare l'inserimento dei motivi economici tra le ragioni per procedere alla regolarizzazione di illegali. Il testo conclusivo impegna i 27 a «limitarsi a regolarizzazioni caso per caso e non generali, nel quadro delle legislazioni nazionali, per motivi di carattere umanitario od economico». Oltre che ad una maggiore concertazione tra i 27 il Patto insiste sul dialogo con i paesi terzi di provenienza e di transito degli immigrati.

Insomma, sembra evidente che l'Europa abbia scelto la via del realismo e cioè di regolare gli ingressi in base alle esigenze del mercato del lavoro e alla disponibilità di accoglienza degli Stati, di evitare le sanatorie di massa dei clandestini che non fanno altro che richiamarne altri negli anni successivi, di rafforzare i canali legali dell'immigrazione attraverso la cooperazione tra gli Stati dell'Unione e di questi ultimi con i Paesi di transito e provenienza degli immigrati.

Il Patto rappresenta un notevole passo avanti rispetto al passato nell'ambito delle politiche sull'immigrazione anche se sarebbe utile qualche ulteriore aggiunta sul modo di organizzare il sistema degli ingressi. Ad esempio, quando si fa riferimento al fatto che gli Stati dell'Unione hanno bisogno degli immigrati per il loro mercato del lavoro, sarebbe opportuno specificare, magari in ambito nazionale, che la leva dello sviluppo deve essere la qualità del lavoro e la ricerca tecnologica e non l'ampliamento indiscriminato della manodopera disponibile, che non fa altro che svilire le professionalità, abbassare i salari e fornire un prodotto o servizio di bassa qualità. Altra annotazione. Nel Patto si pone giustamente l'accento sulla sostenibilità sociale dei flussi di immigrati in merito alla capacità di accoglienza degli Stati. Ancora meglio sarebbe specificare, quindi, che il sistema degli ingressi non dovrà essere legato alle sole richieste del mercato del lavoro ma anche a quelle del nostro welfare state , e cioè alla capacità dei nostri servizi sociali di rispondere ad ulteriori sollecitazioni.

E' chiaro, poi, che tutte le accuse di voler discriminare l'immigrato in quanto tale sono solo attacchi che lasciano il tempo che trovano, anche perché la cosa peggiore che si possa fare a queste persone sarebbe quella di dargli l'illusione che in Europa c'è l'Eden, salvo poi fargli scoprire, una volta sul posto, che non è esattamente così. L'immigrazione è un fenomeno inarrestabile che per essere regolato, in generale, non ha bisogno di muri, che storicamente sono buoni solo per essere scavalcati o abbattuti, ma, soprattutto, di canali legali, di accordi tra paesi di origine, di transito e di destinazione, di tanto raziocinio e di una corretta visione di insieme e sul lungo periodo del fenomeno.

Antonio Maglietta

giovedì 3 luglio 2008

Immigrazione. Il governo sta agendo in maniera celere e razionale



di Antonio Maglietta - 3 luglio 2008

Sul tema dell'immigrazione e dell'integrazione il governo Berlusconi starebbe commettendo «un errore di fondo». Quale? «Pensare che l'Italia possa fare meglio da sola, quando invece è interesse del paese richiamare su questi temi un grande impegno sovranazionale». Bisognerebbe seguire il modello europeo: «Integrazione e severità, non solo severità». E' quanto ha affermato martedì a Roma il ministro dell'Interno del governo ombra del Partito Democratico, Marco Minniti, durante un convegno sui temi dell'accoglienza, dell'integrazione e della sicurezza, in cui si sono confrontati diversi parlamentari del Pd eletti all'estero. Per Minniti il governo deve essere «esigente nel chiedere all'Europa una coerenza su questi temi», perché «o vengono affrontati in maniera intelligente o diventeranno insormontabili», e non muoversi con «un'impostazione emotiva».

Ma ecco che, nella stessa giornata in cui Minniti pontificava sull'immigrazione con la bacchetta rossa in mano, da Vicenza il capo della Polizia, Antonio Manganelli, ha ricordato che «il 30% degli autori di reato in Italia sono clandestini» e che se il dato viene disaggregato per regioni mostra che «in certe aree, come nel Nord, si arriva anche al 60% o 70% dei reati commessi da clandestini». Manganelli ha anche reso noto che dei 34.800 immigrati clandestini bloccati ed espulsi dall'Italia lo scorso anno 27.000 sono stati immediatamente rilasciati dalle forze dell'ordine. «I rilasci - ha spiegato Manganelli - non sono stati eseguiti per dire "abbiamo scherzato", ma sono stati dettati dal fatto che i centri di accoglienza sono insufficienti per ospitare i fermati... Tutti abbiamo colto gli aspetti positivi dell'immigrazione, anche per la nostra economia - ha concluso Manganelli - ma abbiamo rilevato anche molte criticità».

Insomma, non è certo una novità, tra gli studiosi del rapporto tra immigrazione clandestina e criminalità, il dato riportato dal capo della Polizia. Lo è invece per gli esponenti del centrosinistra che ancora pensano che il governo agisca in maniera emotiva e non sulla base di dati scientifici. Stupisce che un politico esperto, informato e molto bravo nelle analisi in materia come Minniti intraveda nell'operato dell'esecutivo una spinta emotiva e non razionale e, soprattutto, non colga la volontà governativa di cercare in maniera ragionevole di arginare il più possibile il fenomeno nell'interesse di tutti, stranieri compresi.

Manganelli ha fatto anche riferimento ai rilasci immediati dei clandestini fermati, dettati dall'insufficienza dei centri di accoglienza, ponendo quindi un problema concreto; il governo, dal canto suo, nel suo piano ha già previsto un aumento di questi centri proprio perché ha deciso di affrontare la questione in maniera non ideologica, come invece avveniva con l'esecutivo di Romano Prodi. Basta ricordare, ad esempio, le richieste di sanatorie indiscriminate per tutti i clandestini avenzate dell'ex ministro Ferrero oppure il disegno di legge in materia di immigrazione attraverso il quale si volevano introdurre nel nostro ordinamento gli istituti della sponsorizzazione (ossia garanti pubblici e privati per gli immigrati che vengono sul nostro territorio per motivi di lavoro pur non avendo un contratto) e dell'autosponsorizzazione (immigrati che vengono in Italia per gli stessi motivi senza avere un contratto ma in possesso di adeguate risorse finanziarie), dicendo «addio» a qualsiasi sistema di controllo realistico dei flussi in entrata.

Sempre il capo della Polizia ha fatto giustamente riferimento agli effetti positivi dell'immigrazione sul nostro sistema economico. Su questo punto occorre precisare che la leva dell'immigrazione, magari anche clandestina, non può diventare il motore della nostra economia. I propulsori devono essere necessariamente altri fattori, in primis la qualità del lavoro e la ricerca scientifica. E su questo punto la politica può fare molto, ma non tutto. Serve anche l'apporto delle parti sociali e cioè delle associazioni datoriali e sindacali. Solo con il loro contributo il nostro sistema economico può imboccare la via della competitività virtuosa. Una sistema produttivo che si dimostra competitivo sul mercato globale grazie allo sfruttamento del lavoro degli immigrati (clandestini o regolari che siano) e degli italiani, oltre che moralmente inaccettabile, ritorna utile solo per qualche datore di lavoro senza scrupoli; per il resto della collettività diventa solo un salatissimo costo sociale che non può che alimentare tensioni di ogni genere. Allora, indipendentemente dalle leggi, le parti sociali sono oggi chiamate a dare il loro contributo, anche perché il governo, nonostante siano passate solo poche settimane dall'insediamento, si è già mosso in maniera celere e costruttiva. Non si può aspettare in maniera passiva che lo Stato intervenga in maniera onnicomprensiva. Serve uno scatto in avanti virtuoso da parte di tutti.

Antonio Maglietta

martedì 1 luglio 2008

Walter, se ci sei batti un colpo


di Antonio Maglietta - 1 luglio 2008

«Il governo ha approvato in Consiglio dei Ministri il "decreto sicurezza" con l'alibi di rispondere alle domande dei cittadini e alle promesse fatte in campagna elettorale giocando sulle paure. Ma ora noi votiamo sul blocca processi e così dal "decreto sicurezza" siamo passati al "decreto ingiustizia"». Lo dice Marina Sereni, ViceCapogruppo del Pd alla Camera, secondo cui «fermare i dibattimenti di chi ha stuprato, rubato, frodato la pubblica amministrazione, corrotto, non ha nulla a che fare con la sicurezza, anzi...Oggi (ndr lunedì) il Pd ne discuterà in un'assemblea, ma sappia il premier che anche noi andremo avanti e che in aula il ribattezzato "decreto blocca processi" non avrà vita facile».

Bene ha fatto il capogruppo del PdL alla Camera, Fabrizio Cicchitto, a rispondere: «Dalla dichiarazione dell'onorevole Sereni vediamo in modo evidente che la leadership dell'opposizione alla Camera è presa da Di Pietro e gli esponenti del Pd si stanno adeguando. Di conseguenza il Pd si sta preparando ad una azione ostruzionistica su un decreto che non è "blocca processi", come strumentalmente la sinistra cerca di accreditare ma - aggiunge - è finalizzato in modo stringente alla sicurezza dei cittadini, come dimostra il testo che è diretto a contrastare l'immigrazione clandestina, ad espellere dal territorio nazionale i cittadini stranieri comunitari ed extracomunitari che delinquono, colpire i pirati della strada, rafforzare l'azione dello Stato contro la criminalità organizzata e non, prevedendo anche il concorso delle forze armate nel controllo del territorio».

Insomma, sarà che il pressing di Di Pietro sta avendo i suoi effetti sulla debole leadership del Pd, sarà che la tentazione barricadera ha sempre il suo fascino a sinistra, sarà che un Veltroni debole non è al momento in grado di opporre una linea politica moderata a quella forcaiola di girotondini e affini, pochi sì ma comunque combattivi e organizzati, fatto sta che nel breve giro di qualche settimana siamo passati dalle parole distensive e dialoganti a quelle di chiusura, fino ad arrivare agli insulti di Di Pietro, l'alleato strategico del Pd.

Proprio sul ruolo dell'IdV andrebbe fatta una riflessione. Nell'immaginario collettivo, il partito di Di Pietro ha assunto il ruolo «barricadero» che avevano nella scorsa legislatura i partiti antagonisti di sinistra. Va sottolineata, però, la netta differenza, anche di stile, tra le citate compagini. I partiti di sinistra, cancellati del Parlamento nell'ultima tornata elettorale, pur se con toni talvolta discutibili (seppur limitatamente ad alcuni esponenti), ponevano delle questioni sostanziali di carattere politico come ad esempio è accaduto sulla cosiddetta stabilizzazione dei precari del pubblico impiego, sui lavori usuranti, sugli scalini previdenziali, sui dico, sul rifinanziamento delle missioni all'estero, sulle leggi sulla cittadinanza e l'immigrazione, ecc. Insomma, i toni erano aspri ma le discussioni vertevano su problemi concreti.

Con Di Pietro nulla di tutto questo. Il suo partito è monotematico: giustizia (forcaiola) e basta. Il resto non conta, non è importante. Quello che interessa è mettere costantemente sotto processo Berlusconi. La riprova di questo atteggiamento si è avuto nelle discussioni che hanno investito il Parlamento in questo breve scorcio di legislatura. Per il partito di Di Pietro che si parlasse di Alitalia, del potere di acquisto delle famiglie o del problema della spazzatura in Campania era solo un dettaglio. In tutti gli interventi degli esponenti del suo partito, nell'Aula della Camera dei Deputati, c'erano quasi esclusivamente attacchi personali al premier, intervallati da altri verso alcuni esponenti del PdL a Montecitorio tanto per rimanere sul tema, e nulla più. Pochi o nulli i riferimenti alle questioni concrete affrontate in Parlamento: né uno spunto, né una indicazione costruttiva. Una linea politica, quindi, incentrata sulla continua ricerca dello scontro, indipendentemente dal tema in esame. Insomma un dejà vu di cui conosciamo tutto se non altro perché sono oramai 15 anni che siamo impantanati nello stesso schema. Sappiamo, però, che quella strada porta solo ad un vicolo cieco e più di tutti lo sa Veltroni che, seppur tra mille difficoltà, aveva cercato di dare una nuova linea al centrosinistra nel tentativo di liberarlo dalla morsa dei forcaioli. Walter, se ci sei, batti un colpo.

Antonio Maglietta
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