lunedì 27 settembre 2010

Rapporto ABI-Cespi 2010: aumentano i correntisti stranieri



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
lunedì 27 settembre 2010

Secondo il rapporto Abi-Cespi 2010, negli ultimi due anni, pur in un contesto di crisi, c'è stato un ulteriore aumento dei conti correnti intestati agli immigrati, passati da 1,404 milioni a 1,514 (+7,9%). Nel frattempo gli immigrati residenti nel nostro Paese sono divenuti 3,891 milioni (+32,4% rispetto al 2007). Il marcato aumento della popolazione straniera, cresciuta con un tasso quattro volte superiore al numero dei conti correnti intestati ai migranti, ha leggermente abbassato il tasso di bancarizzazione: dal 67% del 2007 al 61% di fine 2009.
Gli immigrati si rivolgono al sistema bancario o per esigenze familiari o per questioni legate all'attività imprenditoriale che svolgono. Si tratta di clienti consolidati, poiché il 20% ha un c/c da più di cinque anni, con un indice di fedeltà peraltro superiore rispetto a quello osservato nel segmento di clientela «retail» (dove il 18% ha un c/c da più di cinque anni), cui e' riconducibile il 96% dei conti correnti intestati a stranieri residenti in Italia.
Non c'è dubbio che il contributo degli immigrati al sistema produttivo nazionale, come dimostra anche da ultimo questo rapporto, è importante, solido e continuativo. Questo stesso dato, inoltre, può anche essere letto come un importante segnale sul fatto che il nostro paese, al netto delle polemiche politiche e delle facili drammatizzazioni a uso e consumo di alcuni media, è in generale un posto accogliente, dove mettere radici. Nell'indagine, infatti, si rimarca che il processo di bancarizzazione è strettamente connesso al tempo di permanenza in Italia ed è dunque ragionevole ipotizzare che il processo non avvenga immediatamente all'ingresso nel nostro paese, ma richieda un arco temporale minimo - stimato in almeno cinque anni - per acquisire una prima, pur se ancora precaria, stabilità economica e lavorativa, perché si avverta il bisogno di un rapporto bancario e si abbiano i documenti necessari per l'accesso in banca. Ora, come segnalato dal rapporto, seppur in un periodo di crisi, i conti correnti intestati agli stranieri che vivono nel nostro paese sono aumentati del 7,9%. Insomma ci sono almeno 100mila soggetti in più che hanno deciso di investire, umanamente o economicamente, nel nostro paese. Questo significa che l'Italia non sarà certamente il paradiso terrestre, ma neanche un posto dove gli immigrati sono trattati male. Chi vivrebbe, infatti, in un posto ostile per sé e per la propria famiglia? Chi deciderebbe di comprare casa e accollarsi un mutuo, con tutto quello che questa scelta significa anche e soprattutto in tempo di crisi, in un paese dove si vive male? E' giusto, come affermato da Emma Bonino, vicepresidente del Senato, che ha aperto il Convegno dell'Abi presso Palazzo Altieri a Roma, che «oggi occorre respingere senza tentennamenti il paradigma immigrato uguale criminale, mentre occorre rivedere al rialzo quello immigrato uguale forza lavoro», ed è vero quello che ha aggiunto, e cioè che gli immigrati sono una risorsa e che non hanno scippato posti di lavoro. Tutto giusto, tutto vero, ma è doveroso aggiungere qualcosa in più e cioè che la forza lavoro straniera, con riferimento a quella meno qualificata, è stata usata nel sistema produttivo, non solo italiano ma anche altrove, per abbattere il costo del lavoro a danno dei lavoratori autoctoni per rispondere impropriamente alle sfide dettate dalla globalizzazione.
Non è un caso che in tutto il mondo, eccetto che in Australia, come segnalato dall'International Migration Outlook Ocse/Sopemi, gli immigrati guadagnino meno dei lavoratori nazionali e non lo è neanche il dato di un'indagine dell'Istat (L'integrazione nel lavoro degli stranieri e dei naturalizzati italiani, 14 dicembre 2009), secondo cui solo l'8,1% degli stranieri presenti in Italia svolge una professione qualificata. Sempre un'altra indagine dell'Istat (Gli stranieri nel mercato del lavoro. I dati della rilevazione sulle forze di lavoro in un'ottica individuale e familiare, 2009), inoltre, aveva segnalato quello che accadeva sotto gli occhi di tutti, e cioè che la diffusa disponibilità dell'offerta di lavoro straniera sopperisce alla continua e insoddisfatta domanda di lavoro non qualificato. Quindi è vero che gli immigrati che vengono nel nostro paese non rubano il lavoro ma è anche vero che spesso vengono usati per far pagare meno il lavoro a qualche datore senza scrupoli che pensa di aver trovato così, a costi competitivi, la via alternativa all'innovazione tecnologica e al miglioramento della qualità del lavoro.

venerdì 24 settembre 2010

L'Istat conferma la stabilità del tasso di disoccupazione in Italia



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

giovedì 23 settembre 2010

Secondo gli ultimi dati dell'Istat, nel secondo trimestre 2010 il numero di occupati (in termini destagionalizzati) è pari a 22.915.000 unità, con un aumento rispetto al trimestre precedente pari allo 0,1%. Rispetto allo stesso trimestre dell'anno precedente la riduzione è stata pari allo 0,8% (-195.000 unità). Il tasso di disoccupazione si attesta all'8,5%, con un +1% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno e un + 0,1% se paragonato al trimestre precedente. Rispetto al secondo trimestre 2009 cresce il numero dei lavoratori autonomi (+0,9%) e diminuisce quello dei dipendenti (- 1,4%). L'aumento degli indipendenti, soprattutto nel Nord, si concentra nel comparto dei servizi alle imprese. La discesa delle posizioni dipendenti si manifesta principalmente nella Pubblica Amministrazione e nell'industria in senso stretto. L'incremento della disoccupazione si concentra soprattutto nel Nord (+115.000 unità), tra gli ex occupati, e al Sud (+112.000 unità), tra chi cerca il primo impiego ed ex inattivi con precedente esperienza, e meno al Centro (+27.000 unità). Il tasso di disoccupazione dei giovani tra 15 e 24 anni raggiunge il 27,9%, con un massimo del 40,3% per le donne del Mezzogiorno. Si conferma, quindi, ma certamente non da oggi, che nascere donna al Sud in Italia significa avere quasi una possibilità su due di essere disoccupata.
I dati Istat su base trimestrale non fanno che confermare tutte le rilevazioni fin qui pervenute, e cioè che il tasso di disoccupazione in Italia è sostanzialmente stabile nel breve periodo e in leggero aumento su base annua, dove il termine «leggero» è dovuto alle proporzioni tra la grande crisi economica mondiale e i suoi limitati effetti sul mercato del lavoro italiano.
Se alcuni commentatori nostrani si degnassero di guardare i numeri degli altri Paesi, si accorgerebbero che secondo i dati Eurostat, riferiti a luglio 2010, il tasso di disoccupazione italiano (8,4%) è sotto quello della media europea (-1,6% se paragonato a quello dell'area euro e -1,2% in confronto al dato medio dell'Europa a 27), meno della metà di quello spagnolo (al 20,03%), meno di quello francese (al 10%) e di non molto superiore a quello della locomotiva tedesca (al 6,9%). La situazione, se paragonata con i nostri partner europei, va ancora meglio se analizziamo l'andamento del dato. Se il tasso di disoccupazione in Italia è sostanzialmente stabile nel breve periodo, in Francia e Spagna è addirittura in aumento (in Germania, in controtendenza con quello che avviene in quasi tutta Europa, è in calo).
Analizziamo la nota dolente della disoccupazione giovanile. Sempre secondo i dati Eurostat, a luglio 2010 in Italia il tasso si è assestato al 26,8%, in Spagna al 41,5%, in Francia al 22,3% e in Germania al 9,2%. Il dato italiano è in costante discesa rispetto ai rilevamenti di maggio (28,5%) e giugno (27,3%). Fatta eccezione per la solita virtuosa Germania, quindi, in Europa (ma anche negli Usa dove è al 18,6%) la disoccupazione giovanile è un grosso problema per tutti. Questo vuol dire che l'Istat non fa che confermare un dato generale e un andamento già noto. Tutti questi numeri, insomma, al netto delle speculazioni politiche, confermano che la crisi economica mondiale morde ancora e fa sentire i suoi effetti sul mercato del lavoro di tutti i Paesi. Poi c'è chi ha reagito meglio (noi e soprattutto la Germania) e chi peggio (la Spagna e la Francia).
Messi da parte lo stracciarsi le vesti e il benaltrismo, l'unica ricetta utile per aggredire la disoccupazione è stimolare l'economia e investire sulle competenze professionali per ridurre il più possibile il disallineamento qualitativo tra domanda e offerta di lavoro. Molti commentatori, infatti, nell'analizzare le dinamiche occupazionali, spesso dimenticano quest'aspetto fondamentale. A riguardo sarebbe molto utile rileggersi i dati del Rapporto Excelsior 2010 di Unioncamere e ministero del Lavoro, che segnalava come, per oltre 147mila assunzioni messe in programma per il 2010, le imprese segnalano serie difficoltà di reperimento, pari quest'anno al 26,7% delle entrate programmate, 6,2 punti percentuali in più del 2009. Non a caso le difficoltà di reperimento, per il ridotto numero di candidati o per la loro inadeguata preparazione, è massimo (48%) per i dirigenti (richiesti comunque in numero contenuto), poco inferiore per le professioni intellettuali, scientifiche e ad elevata specializzazione (35,5%) e per gli operai specializzati (35,2%), mentre si riduce progressivamente per le altre famiglie professionali.

mercoledì 22 settembre 2010

Salvaguardare l'apicoltura nazionale



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
martedì 21 settembre 2010

Le api e i prodotti dell'apicoltura sono una ricchezza che va tutelata e valorizzata. Dal 2003 ad oggi, gli apicoltori in Europa sono passati da poco più di 470.000 a quasi 600.000, con una crescita del 21%. Il patrimonio apistico dei 27 Stati membri dell'Unione Europea è cresciuto di circa il 3% negli ultimi tre anni ed è attualmente pari a 13.985.091 alveari, di cui 1.127.836 in Italia. Il nostro Paese, con tale consistenza, si classifica al quinto posto, subito dopo la Spagna (2.459.373 alveari), la Grecia (1.502.239 alveari), la Francia (1.338.650 alveari) e la Romania (1.280.000 alveari).

Lo stato di salute dell'apicoltura rappresenta un problema sensibile, dato il ruolo fondamentale delle api nella tutela degli equilibri ambientali. In Italia dal 2006 sono arrivate le prime morie; esse, secondo alcune fonti autorevoli, nel giro di un triennio hanno causato un danno al settore agricolo di 2,6 miliardi di euro, per mancata impollinazione di frutta e verdura. Dopo la perdita della metà della popolazione degli alveari nel 2008, il quadro nel nostro Paese sembra essere migliorato, con un calo limitato nel 2009 all'8%. L'elevata mortalità delle api, registrata negli ultimi tempi, oltre a rendere difficile la situazione economica degli operatori del settore, rappresenta una minaccia per la tutela della biodiversità e per la produzione agricola nazionale.

Nei giorni scorsi il commissario Ue all'Agricoltura, Dacian Ciolos, ha dato il via libera all'incremento di quasi il 20% dei fondi europei destinati a finanziare, nei prossimi tre anni, i progetti per migliorare il settore dell'apicoltura nei 27 Stati membri. L'obiettivo è di migliorare la produzione e la commercializzazione dei prodotti dell'apicoltura per rilanciare un settore che resta molto deficitario in Europa, dove nel 2009 le importazioni di miele (137.297 tonnellate) dall'Argentina, dalla Cina e dal Messico hanno superato di molto le esportazioni (9.572 tonnellate). Per i progetti italiani questo significherà che i fondi europei 2011-2013 supereranno i 9 milioni di euro rispetto ai circa 6,9 milioni del periodo procedente. Su base annuale, quindi, i finanziamenti Ue per l'Italia passeranno da circa 2,3 a oltre 3 milioni, a cui andranno ad aggiungersi i fondi pubblici nazionali, per un totale di 23,4 milioni di euro in tre anni (di cui 9,15 di contributi europei).

L'impegno comunitario per la protezione del patrimonio apistico e il rilancio della produzione nel settore deve essere salutato in maniera estremamente positiva. E' giusto criticare le istituzioni comunitarie quando hanno un approccio formalistico e burocratico o quando intervengono a sproposito, come ad esempio avviene in alcuni casi nell'ambito della politica di gestione del fenomeno dell'immigrazione da parte degli Stati membri. E' altrettanto giusto, tuttavia, segnalare i casi in cui l'azione di queste istituzioni si dimostra attenta alle richieste dei cittadini, così come avvenuto nell'ambito del comparto dell'apicoltura. Anche il governo italiano, da parte sua, si è mosso con prontezza a favore del settore e l'attività del ministero dell'Agricoltura e di quello della Salute ne è una concreta dimostrazione.

Il ministro della Salute, Ferruccio Fazio, anche su richiesta del ministro Galan, ha firmato nei giorni scorsi il decreto che proroga fino al 30 giugno 2011 la sospensione cautelativa dell'autorizzazione d'impiego per la concia di sementi di mais dei prodotti fitosanitari contenenti neonicotinoidi e fipronil. Tali prodotti, infatti, sono stati ritenuti correlabili agli episodi di moria delle api che si sono verificati sul territorio nazionale. La proroga del provvedimento è stata adottata per acquisire ulteriori conoscenze scientifiche in materia, e in particolare sui risultati delle sperimentazioni in corso riguardanti la riduzione della dispersione delle polveri attraverso l'utilizzo di macchine seminatrici opportunamente modificate.

Il ministro delle Politiche Agricole, Giancarlo Galan, dal canto suo ha affermato pubblicamente che «la tutela e la salvaguardia del patrimonio apistico nazionale rappresentano per me una questione prioritaria. Ecco perché mi sono subito attivato per recuperare i fondi destinati alle organizzazioni degli apicoltori. Dopo un lungo percorso amministrativo e contabile, siamo riusciti a recuperare l'intera dotazione di 3,3 milioni di euro (1,1 milioni per ciascuno degli anni 2004, 2005 e 2006) e a metterla a disposizione del settore apistico».

Si tratta di provvedimenti concreti, che più di mille proclami dimostrano l'attenzione del governo Berlusconi per un comparto che riveste un ruolo strategico per la tutela dell'ambiente e lo sviluppo dell'economia agricola, nonostante non sia sotto la luce dei riflettori dei media così come, invece, ampiamente meriterebbe.

giovedì 16 settembre 2010

Disoccupazione stabile nonostante la crisi



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

giovedì 16 settembre 2010

La disoccupazione è sostanzialmente stabile in Italia, anche se cresce il tempo di permanenza delle persone fuori dal mercato del lavoro. Dalle consuete stime d'autunno di Confindustria sull'economia italiana emerge, infatti, che il tasso di disoccupazione nel 2010 dovrebbe restare stabile all'8,6% (in media d'anno), mentre arriverebbe al 9,1% (in media d'anno) nel 2011 (a giugno il Centro studi di Confindustria stimava un livello pari al 9,2% per il prossimo anno). L'occupazione totale dovrebbe invece registrare quest'anno una flessione dell'1,8%, mentre nel 2011 dovrebbe segnare una crescita dello 0,4% (a giugno si stimava un calo dell'1,3% nel 2010 e un rialzo dello 0,5% nel 2011). Secondo Confindustria sarà difficile la creazione di nuovi posti, perché esiste un bacino di forza lavoro inutilizzata. Il monte ore complessivamente lavorato nel nostro paese è, infatti, diminuito del 4,9% dal primo trimestre 2008 al quarto 2009, contro una diminuzione dell'occupazione del 2,8%. Le imprese, però, invece di ricorrere al taglio degli organici, hanno diminuito le ore lavorate, decurtato gli straordinari, smaltito le ferie arretrate, utilizzato il part-time o altre forme di riduzione temporanea dell'orario di lavoro. E' stato massiccio l'utilizzo della cassa integrazione. Le persone in Cig restano quindi formalmente occupate anche se non nel ciclo produttivo. Secondo gli economisti di viale dell'Astronomia, inoltre, il ricorso alla Cig rimarrà alto per il resto del 2010, mentre comincerà a scendere progressivamente nel 2011.
I dati del Centro studi di Confindustria confermano una sostanziale stabilità del tasso di disoccupazione, una tendenza già registrata dagli ultimi dati Istat. Nei primi sei mesi del 2010, inoltre, secondo l'Inps, sono state autorizzate 636,1 milioni di ore di Cig, ma ne sono state utilizzate 317,4 milioni. Il tiraggio della cassa integrazione, quindi, è sceso sotto al 50%. Si tratta di un record per l'anno in corso e per i confronti con lo scorso anno, quando il tiraggio si fermò al 65,2%: due ore di Cig utilizzate ogni tre autorizzate. Ancora inferiore il tiraggio della cassa integrazione ordinaria (Cigo) che si ferma al 49,1% (era del 60,5% nel primo semestre del 2009), mentre quello complessivo di cassa integrazione straordinaria e in deroga arriva al 50,3% (era il 73,1% nello stesso periodo dello scorso anno).
Non bisogna certo fare i salti di gioia per questa situazione, ma, nell'ambito di una visione d'insieme della questione, considerato che stiamo vivendo una delle peggiori crisi economiche degli ultimi decenni e che la situazione degli altri Paesi va anche peggio (alla luce delle ultime rilevazioni dell'Ocse), salvo qualche rarissima eccezione, l'Italia può essere certamente annoverata tra gli Stati che hanno risposto meglio alle sollecitazioni negative dettate dalle turbolenze dell'economia mondiale. Se poi vogliamo cercare di proiettare il dato occupazionale nel prossimo anno, sarebbe bene farlo con una certa cautela, perché se consideriamo i dati positivi del tiraggio della cassa integrazione e l'andamento del tasso di disoccupazione nel breve periodo è possibile affermare che non è detto che la situazione peggiori rispetto allo stato attuale.
Nel frattempo, va dato atto che il nostro sistema di protezione sociale, attraverso la cassa integrazione e i contratti solidarietà, ha mantenuto vivo un tessuto occupazionale che, comunque, dovrà essere stimolato con il rilancio del contratto d'apprendistato e la formazione per i lavoratori adulti, perché la disoccupazione si combatte da un lato con le prestazioni a sostegno del reddito e dall'altro con l'investimento sulle competenze professionali.

martedì 14 settembre 2010

Gli italiani di fronte ai fenomeni migratori



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

martedì 14 settembre 2010

Secondo la quarta edizione dell'indagine Doxa «Barometro della solidarietà internazionale degli italiani», presentata a Roma da Focsiv e riferita agli ultimi 12 mesi, l'83% degli italiani (+2% rispetto al 2007, data dell'ultima rilevazione) ritiene che non si possano più accogliere immigrati nel nostro Paese, perché «sono già troppi per le possibilità economiche e sociali di assorbimento dell'Italia». Il 56% (+9% rispetto al 2007) pensa che gli stranieri siano una risorsa economica importante per lo sviluppo del Paese.

La Focsiv è la Federazione di 64 organizzazioni non governative (Ong) cristiane di servizio internazionale volontario, impegnate nella promozione di una cultura della mondialità e nella cooperazione con i popoli dei Sud del pianeta, con l'obiettivo di contribuire alla lotta contro ogni forma di povertà e di esclusione, all'affermazione della dignità e dei diritti dell'uomo, alla crescita delle comunità e delle istituzioni locali. «L'idea che la situazione economica dell'Italia sia tale da non permetterci più di accogliere immigrati, rafforzata dall'opinione che si può ridurre l'immigrazione dalle aree più povere solo aiutando economicamente i Paesi da cui provengono gli immigrati, è fatta propria dal 78% degli intervistati», osserva Focsiv. A contrasto, emerge un 45% di italiani (il 36% nel 2007) che ritiene i flussi «un modo indiretto di aiuto ai Paesi poveri».

In generale, secondo l'indagine, due italiani su tre hanno un atteggiamento inquieto nei confronti dell'immigrazione: «Pur riconoscendo la complessità dei problemi della diseguaglianza tra Nord e Sud del mondo e dei flussi migratori - spiega Focsiv nell'indagine -, gli italiani temono per la propria sicurezza e per il proprio benessere, non arrivando però a richiedere una completa chiusura dell'accoglienza». Il 25% ha un atteggiamento ostile, il 9% aperto.

L'indagine non fa che dimostrare, da ultimo, che le questioni riguardanti l'immigrazione generano inquietudine nella popolazione autoctona ed anche - ma questo esula dallo studio promosso da Focsiv ed elaborato da Doxa - una certa difficoltà di approccio da parte di tutti i governi occidentali che si cimentano con la gestione del fenomeno. Il motivo è presto detto: tutti i grandi modelli d'integrazione sono miseramente falliti e i flussi migratori dai Paesi poveri verso quelli ricchi diventano sempre più imponenti. Che fare? I Paesi che accolgono queste persone devono aiutare a casa propria chi parte dalla terra natia in cerca di una vita migliore, creando le condizioni per lo sviluppo di quel territorio, e al contempo cercare di calibrare i flussi in entrata secondo le reali capacità di accoglienza. Questo vuol dire che il parametro non può essere solo il posto di lavoro, ma anche la casa, i servizi sanitari, quelli socio-assistenziali, la scuola, ecc...

Ci si deve chiedere, per esempio, se un immigrato che arriva in Italia con la sua famiglia e guadagna 800 euro può permettersi di pagare un affitto e, in generale, riuscire a vivere dignitosamente. Proprio perché lo straniero, come giustamente emerge dalla citata indagine, è visto sempre più come una ricchezza, non deve essere sfruttato dai pochi che ci guadagnano in questo sistema (dal datore di lavoro e dal padrone di casa). Senza considerare che i costi sociali di quest'operazione vanno tutti a danno della collettività, e in quest'ultima realtà devono essere considerati sia gli autoctoni che lo stesso immigrato vittima di questa situazione. E allora inserire altri parametri utili per calibrare al meglio l'accoglienza degli stranieri che vengono a vivere nel nostro Paese non è un atto di chiusura, ma di civiltà e di doveroso rispetto nei confronti di queste persone. Senza considerare, inoltre, i benefici per la collettività. Questa, ovviamente, non è la soluzione a tutti i problemi legati all'accoglienza, perché il convivere tra diversi è una cosa difficile di per sé, giacché comporta percorsi personali e collettivi fatti di reciproche rinunce, tolleranza e accettazione stessa della diversità. La diversità è da valorizzare e non da temere. E' questa la vera e interessante sfida culturale: essere fieri e consapevoli delle proprie radici e curiosi e aperti verso l'altro.

venerdì 10 settembre 2010

Tensioni in Europa sulle dinamiche migratorie



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
mercoledì 08 settembre 2010

Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ha chiesto all'Unione europea di dotarsi, in materia di immigrazione, di un sistema uniforme da un punto di vista legislativo, che comprenda anche le espulsioni e i rimpatri di cittadini comunitari che non rispettano la legge. Maroni ha aggiunto che «ci sono regole che governano la libera circolazione dei cittadini e questo è un principio sacro che non ha limiti, mentre il diritto di risiedere stabilmente in un paese oltre tre mesi incontra dei limiti. La direttiva va bene - ha aggiunto il ministro -, il problema è che non ci sono sanzioni nel caso in cui i cittadini comunitari non rispettino queste condizioni». E allora «bisogna intervenire per rendere più efficaci le regole che già ci sono». Per questo motivo lo stesso Maroni ha annunciato che chiederà alla Commissione europea di prevedere sanzioni che consentano l'espulsione e il rimpatrio anche in caso di cittadini comunitari che non rispettano le norme previste dalla direttiva.
In Francia, invece, sono scoppiate polemiche furibonde, che hanno investito anche altri paesi del Vecchio Continente e le istituzioni comunitarie, dopo che le autorità transalpine avevano chiuso un centinaio di campi nomadi illegali ed espulso un migliaio di Rom. Trattandosi però, nella gran parte dei casi, di cittadini comunitari, molti degli espulsi nel corso di operazioni simili lanciate negli anni precedenti sono riusciti a fare ritorno, potendo circolare liberamente all'interno dell'Unione. Per questo motivo il governo francese ha messo a punto uno schedario biometrico con il quale sarà possibile censire gli espulsi e impedirne il rientro.
In Gran Bretagna non se la passano meglio e da qualche tempo, nell'ambito del dibattito pubblico, si mette sempre più in discussione l'eccessiva facilità concessa agli stranieri dalla normativa britannica di poter risiedere sul territorio di Sua Maestà. Da ultimo, il sottosegretario per l'Immigrazione Damian Green ha affermato che il numero di studenti stranieri ai quali viene consentito di trasferirsi nel Regno Unito «non è sostenibile» (dai risultati di una ricerca del ministero dell'Interno emerge che, cinque anni dopo essersi trasferito in Gran Bretagna, un quinto degli studenti extracomunitari è ancora nel Paese). «Non voglio interferire con il successo delle nostre università», ha dichiarato Green, sottolineando che è tuttavia necessario rivedere le iscrizioni a corsi più brevi o di minor valore di quelli di laurea e chiedersi perché questi studenti restino in Gran Bretagna. «Tutto questo rientra nella revisione più ampia del sistema dell'immigrazione», ha aggiunto.
Insomma, è evidente che, per un motivo o per un altro, in Europa c'è una certa tensione nella gestione delle dinamiche migratorie, e la mancanza di reciproca solidarietà tra i Paesi del Vecchio Continente, unita a una certa lentezza da parte delle istituzioni comunitarie a intervenire sul tema, determina uno stato di ansia e d'incertezza che certo non aiuta ad affrontare un fenomeno che è già di per sé complesso. Fa benissimo il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, ad affermare che «in Europa non c'è posto per il razzismo e la xenofobia» e aggiungere che «tutti i cittadini devono rispettare la legge e i governi devono rispettare i diritti umani, compresi quelli delle minoranze». Ma va anche detto che, al momento, nonostante qualche eccesso, non sembra che qualcuno in Europa abbia mandato in soffitta il principio del rispetto dei diritti umani. Di contro, invece, sembra che nessun Paese sia in grado da solo di contrastare l'immigrazione clandestina e la tratta degli esseri umani, e tutti, chi più chi meno, hanno difficoltà a gestire anche la stessa immigrazione legale. Ora questo vuol dire che l'immigrazione diventerà sempre di più uno dei primi punti nell'agenda di qualsiasi governo, che la clandestinità si combatte con la cooperazione con i Paesi di provenienza e transito degli stranieri e la solidarietà tra gli Stati ospitanti, che l'irregolarità va combattuta con lo strumento dell'espulsione senza inutili isterismi legislativi (fermo restando il divieto delle espulsioni collettive e la doverosa valutazione dei singoli casi) e che le stesse dinamiche dell'immigrazione legale dovrebbero essere oggetto di monitoraggio e di rapide riforme nel caso in cui non siano più funzionali all'obiettivo prefissato.

giovedì 2 settembre 2010

La disoccupazione giovanile in Italia è in diminuzione


La disoccupazione giovanile in Italia è in diminuzione
di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
giovedì 02 settembre 2010

Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, riprendendo un concetto espresso ieri a Venezia, a margine della visita alla biennale di architettura, sulla necessità che l'Europa s’impegni di più sui temi dell'economia, ha affermato che ''è venuto il momento che l'Italia si dia una seria politica industriale nel quadro europeo, secondo le grandi coordinate dell'integrazione europea. Abbiamo bisogno di questo per l'occupazione e per i giovani che oggi sono per noi il motivo principale di preoccupazione''.
Secondo gli ultimi dati dell’Istat, il numero delle persone in cerca di occupazione in Italia a luglio è diminuito dello 0,7% rispetto a giugno, risultando in aumento del 6,1% rispetto a luglio 2009. Il tasso di disoccupazione, pari all’8,4%, resta sostanzialmente stabile rispetto a giugno; in confronto a luglio 2009 il tasso di disoccupazione registra un aumento dello 0,5%. Il tasso di disoccupazione giovanile, inoltre, è pari al 26,8%, con una riduzione dello 0,6% rispetto al mese precedente e un aumento dell’1,1% rispetto a luglio 2009. E’ un dato oramai acquisito che il mercato del lavoro italiano, pur tra mille difficoltà, ha retto l’impatto della crisi economica mondiale grazie ad una certa dinamicità del sistema occupazionale nazionale, favorito dalla leva della flessibilità, e all’intervento del governo in materia di ammortizzatori sociali, con una speciale nota di merito per i 9 miliardi di euro stanziati per i lavoratori dipendenti non coperti dalla cassa integrazione e fino a allora senza tutele (un intervento che ha interessato poco più di 5 milioni di lavoratori). Tuttavia è pur vero che, ricordando le parole di Napolitano, storicamente e non certo da ora, i giovani, insieme alle donne, sono i soggetti più deboli del mercato del lavoro. A lanciare l'allarme sulla disoccupazione giovanile, da ultimo, è stato il Cnel nel «Rapporto sul mercato del lavoro 2009-2010» dove si evidenziava che per i giovani attivi nel mercato del lavoro in Italia il rischio di essere disoccupati è triplo rispetto a quello di persone più anziane. Lo stesso Cnel, comunque, aveva anche precisato che la maggiore probabilità di essere disoccupati caratterizza i giovani di tutta Europa, e non solo quelli italiani.
Se, infatti, guardiamo ai dati Eurostat (riferiti a giungo 2010) per quanto riguarda la disoccupazione giovanile, in Spagna è rimasta stabile al 40,3% rispetto a maggio 2010, mentre è scesa in Italia (dal 28,4% al 27,7% – il dato aggiornato a luglio è 26,8%), in Francia (dal 22,5% al 22,4%) e Germania (dal 9,4% al 9,3%). In Europa i disoccupati sotto i 25 anni sono il 19,6% nell'Eurozona e il 20,3% nell'Ue a 27. Se badiamo agli ultimi 5 anni, è possibile vedere come il tasso di disoccupazione giovanile è rimasto sostanzialmente stabile in Italia e Francia (come in media in tutta l’area Euro) mentre ha subito dei vistosi incrementi in Spagna e nel Regno Unito e un calo in Germania. Questi dati, ovviamente, non ci devono far cullare al motto del ‘mal comune, mezzo gaudio’ ma servono certamente a sgombrare il dibattito dalle leggende metropolitane, in auge nell’agone politico, che dipingono l’Italia come un paese sull’orlo del baratro e, di contro, qualsivoglia paese estero come l’eden. Se prendiamo in considerazione la situazione della Spagna, uno dei paesi presi nel recente passato come un modello da seguire secondo la sinistra italiana, balza subito agli occhi il dato drammatico che registra una popolazione giovanile spaccata quasi a metà tra un 60% che lavora e un 40% che è in cerca di occupazione.
Da maggio a luglio il tasso di disoccupazione giovanile italiano è calato di 2,4 punti percentuali e anche rispetto a giugno, dati Istat alla mano, ha fatto segnare un confortante – 0,6%, registrando peraltro la migliore performance in Europa secondo gli ultimi dati Eurostat (escludendo la minuscola Malta per ovvie ragioni) con riferimento al periodo maggio-giungo. Rispetto a luglio 2009 il tasso è aumentato dell’1,1%, ma c’è anche da aggiungere che il dazio pagato alla crisi economica mondiale è stato abbastanza contenuto.
C’è ancora da lavorare, soprattutto per quanto riguarda la riforma degli ammortizzatori sociali e su alcune dinamiche concernenti il passaggio scuola-lavoro, ma è altrettanto vero che il governo Berlusconi è in carica da 2 anni e ha già messo in atto diverse iniziative per modernizzare la scuola e il mercato del lavoro che hanno portato, numeri alla mano, a risultati positivi che possono far ben sperare per il futuro di questo paese.

mercoledì 1 settembre 2010

La salvaguardia dei confini dall’invasione dei clandestini



di Antonio Maglietta
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martedì 31 agosto 2010

Per la salvaguardia dei confini nazionali ognuno fa quello che può. Gli Stati Uniti, per esempio, dal 1994 hanno innalzato una vera e propria barriera lungo il confine con il Messico. La costruzione è frutto di un triplice progetto: il progetto «Gatekeeper», conosciuto anche come «Operacion Guardian» in California, il progetto «Hold-the-Line» in Texas ed il progetto «Safeguard» in Arizona. Si tratta di una vera e propria «muraglia cinese» fatta di lamiera metallica sagomata, lunga più di 3000 km e alta dai 2 ai 4 metri, presidiata da telecamere ed agenti di sicurezza. Recentemente, inoltre, il ministro della Sicurezza Nazionale Usa, Janet Napolitano, ha annunciato che dall’1 settembre, con l'impiego degli aerei senza pilota telecomandati da terra, il governo americano potrà rafforzare ulteriormente il controllo dal cielo di tutto il confine che separa gli Usa dal Messico. I droni aerei partiranno dalla base di Corpus Christi, Texas, e voleranno lungo tutta la frontiera meridionale americana (3200 km).Il 13 agosto scorso, il presidente Barack Obama ha varato una legge approvata dal Congresso grazie al quale gli Stati Uniti hanno investito 600 milioni di dollari sul fronte della salvaguardia dei propri confini meridionali, con l'assunzione di oltre 1.500 guardie di confine in più e l’ausilio complementare dei droni arerei.Molto meno famosa è invece la «barriera» a difesa dell’Europa. Si chiama Frontex, non è un muro ma è l’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea, istituita con il regolamento (CE) n. 2007/2004 del Consiglio del 26 ottobre 2004 (GU L 349 del 25.11.2004). Funziona poco e male e, invece di essere resa efficiente e utile allo scopo prefissato, secondo alcuni paesi del nord Europa andrebbe anche ridimensionata o addirittura soppressa.
Secondo il leader libico Muhammar Gheddafi, in visita nel nostro paese, l’Unione Europea dovrebbe aiutare economicamente la Libia per rendere ancora più efficace la lotta all’immigrazione clandestina ed evitare che le ondate di migranti africani diretti in Europa diventino una marea inarrestabile in grado di sommergere di tanti e diversi problemi il Vecchio Continente. Al netto delle ultime richieste libiche di mettere mano al portafoglio e in controtendenza con l’immobilismo che caratterizza le dinamiche comunitarie in materia di lotta alla clandestinità, l’Italia si è già mossa firmando proprio con la Libia lo scorso anno un trattato che ha già dato buoni frutti nel contrasto del fenomeno. Secondo i dati diffusi il 9 agosto scorso dal Ministero dell’Interno, gli sbarchi sulle coste italiane, nel loro complesso, sono diminuiti in un anno dell'88%. Per il campione concernente le isole di Lampedusa, Linosa e Lampione, si arriva a -98%. I periodi raffrontati sono quelli che vanno dal 1° agosto 2008 al 31 luglio 2009 e dal 1° agosto 2009 al 31 luglio 2010. Gli sbarchi nel dettaglio:
- sulle coste italiane (-88%):
dal 1° agosto 2008 al 31 luglio 2009: 29.076;
dal 1° agosto 2009 al 31 luglio 2010: 3.499;
- su Lampedusa, Linosa e Lampione (-98%):
dal 1° agosto 2008 al 31 luglio 2009: 20.655;
dal 1° agosto 2009 al 31 luglio 2010: 403.
Chi nell’agone politico critica quell’accordo e ne contesta gli effetti positivi, gridando contro i respingimenti, dovrebbe avere almeno il buongusto di fornire all’opinione pubblica una soluzione alternativa realistica per combattere l’immigrazione clandestina, senza scomodare la fantascienza o saccheggiare il libro dei sogni.
Respingimenti, espulsioni, «barriere» sono strumenti utili nelle politiche di contrasto al fenomeno della clandestinità e la regolazione dei flussi in ingresso? Certamente hanno una loro funzione positiva perché rappresentano dei validi deterrenti che scoraggiano le partenze. Inoltre, è oramai un dato acquisito che lo strumento della cooperazione con i paesi di provenienza e transito degli immigrati è un mezzo molto utile nella dinamica della repressione del fenomeno. Tuttavia non possiamo considerare questi strumenti coma la panacea, poiché sono rivolti a stroncare o ridurre gli effetti e non la causa del problema. Per questo motivo va affrontata con coraggio e decisione proprio quest'ultima: la povertà di queste persone e la mancanza di opportunità nella terra natia. In questo quadro diventa fondamentale alimentare con razionalità e con progetti di lungo periodo la cooperazione allo sviluppo con i paesi di provenienza e transito degli immigrati, evitando che gli aiuti provenienti dal ricco Occidente finiscano in qualche buco nero, e fare in modo che servano realmente ad alimentare l’economia locale, creando così i presupposti per attrarre gli investitori stranieri.
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