venerdì 24 settembre 2010

L'Istat conferma la stabilità del tasso di disoccupazione in Italia



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

giovedì 23 settembre 2010

Secondo gli ultimi dati dell'Istat, nel secondo trimestre 2010 il numero di occupati (in termini destagionalizzati) è pari a 22.915.000 unità, con un aumento rispetto al trimestre precedente pari allo 0,1%. Rispetto allo stesso trimestre dell'anno precedente la riduzione è stata pari allo 0,8% (-195.000 unità). Il tasso di disoccupazione si attesta all'8,5%, con un +1% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno e un + 0,1% se paragonato al trimestre precedente. Rispetto al secondo trimestre 2009 cresce il numero dei lavoratori autonomi (+0,9%) e diminuisce quello dei dipendenti (- 1,4%). L'aumento degli indipendenti, soprattutto nel Nord, si concentra nel comparto dei servizi alle imprese. La discesa delle posizioni dipendenti si manifesta principalmente nella Pubblica Amministrazione e nell'industria in senso stretto. L'incremento della disoccupazione si concentra soprattutto nel Nord (+115.000 unità), tra gli ex occupati, e al Sud (+112.000 unità), tra chi cerca il primo impiego ed ex inattivi con precedente esperienza, e meno al Centro (+27.000 unità). Il tasso di disoccupazione dei giovani tra 15 e 24 anni raggiunge il 27,9%, con un massimo del 40,3% per le donne del Mezzogiorno. Si conferma, quindi, ma certamente non da oggi, che nascere donna al Sud in Italia significa avere quasi una possibilità su due di essere disoccupata.
I dati Istat su base trimestrale non fanno che confermare tutte le rilevazioni fin qui pervenute, e cioè che il tasso di disoccupazione in Italia è sostanzialmente stabile nel breve periodo e in leggero aumento su base annua, dove il termine «leggero» è dovuto alle proporzioni tra la grande crisi economica mondiale e i suoi limitati effetti sul mercato del lavoro italiano.
Se alcuni commentatori nostrani si degnassero di guardare i numeri degli altri Paesi, si accorgerebbero che secondo i dati Eurostat, riferiti a luglio 2010, il tasso di disoccupazione italiano (8,4%) è sotto quello della media europea (-1,6% se paragonato a quello dell'area euro e -1,2% in confronto al dato medio dell'Europa a 27), meno della metà di quello spagnolo (al 20,03%), meno di quello francese (al 10%) e di non molto superiore a quello della locomotiva tedesca (al 6,9%). La situazione, se paragonata con i nostri partner europei, va ancora meglio se analizziamo l'andamento del dato. Se il tasso di disoccupazione in Italia è sostanzialmente stabile nel breve periodo, in Francia e Spagna è addirittura in aumento (in Germania, in controtendenza con quello che avviene in quasi tutta Europa, è in calo).
Analizziamo la nota dolente della disoccupazione giovanile. Sempre secondo i dati Eurostat, a luglio 2010 in Italia il tasso si è assestato al 26,8%, in Spagna al 41,5%, in Francia al 22,3% e in Germania al 9,2%. Il dato italiano è in costante discesa rispetto ai rilevamenti di maggio (28,5%) e giugno (27,3%). Fatta eccezione per la solita virtuosa Germania, quindi, in Europa (ma anche negli Usa dove è al 18,6%) la disoccupazione giovanile è un grosso problema per tutti. Questo vuol dire che l'Istat non fa che confermare un dato generale e un andamento già noto. Tutti questi numeri, insomma, al netto delle speculazioni politiche, confermano che la crisi economica mondiale morde ancora e fa sentire i suoi effetti sul mercato del lavoro di tutti i Paesi. Poi c'è chi ha reagito meglio (noi e soprattutto la Germania) e chi peggio (la Spagna e la Francia).
Messi da parte lo stracciarsi le vesti e il benaltrismo, l'unica ricetta utile per aggredire la disoccupazione è stimolare l'economia e investire sulle competenze professionali per ridurre il più possibile il disallineamento qualitativo tra domanda e offerta di lavoro. Molti commentatori, infatti, nell'analizzare le dinamiche occupazionali, spesso dimenticano quest'aspetto fondamentale. A riguardo sarebbe molto utile rileggersi i dati del Rapporto Excelsior 2010 di Unioncamere e ministero del Lavoro, che segnalava come, per oltre 147mila assunzioni messe in programma per il 2010, le imprese segnalano serie difficoltà di reperimento, pari quest'anno al 26,7% delle entrate programmate, 6,2 punti percentuali in più del 2009. Non a caso le difficoltà di reperimento, per il ridotto numero di candidati o per la loro inadeguata preparazione, è massimo (48%) per i dirigenti (richiesti comunque in numero contenuto), poco inferiore per le professioni intellettuali, scientifiche e ad elevata specializzazione (35,5%) e per gli operai specializzati (35,2%), mentre si riduce progressivamente per le altre famiglie professionali.

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