mercoledì 1 settembre 2010

La salvaguardia dei confini dall’invasione dei clandestini



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

martedì 31 agosto 2010

Per la salvaguardia dei confini nazionali ognuno fa quello che può. Gli Stati Uniti, per esempio, dal 1994 hanno innalzato una vera e propria barriera lungo il confine con il Messico. La costruzione è frutto di un triplice progetto: il progetto «Gatekeeper», conosciuto anche come «Operacion Guardian» in California, il progetto «Hold-the-Line» in Texas ed il progetto «Safeguard» in Arizona. Si tratta di una vera e propria «muraglia cinese» fatta di lamiera metallica sagomata, lunga più di 3000 km e alta dai 2 ai 4 metri, presidiata da telecamere ed agenti di sicurezza. Recentemente, inoltre, il ministro della Sicurezza Nazionale Usa, Janet Napolitano, ha annunciato che dall’1 settembre, con l'impiego degli aerei senza pilota telecomandati da terra, il governo americano potrà rafforzare ulteriormente il controllo dal cielo di tutto il confine che separa gli Usa dal Messico. I droni aerei partiranno dalla base di Corpus Christi, Texas, e voleranno lungo tutta la frontiera meridionale americana (3200 km).Il 13 agosto scorso, il presidente Barack Obama ha varato una legge approvata dal Congresso grazie al quale gli Stati Uniti hanno investito 600 milioni di dollari sul fronte della salvaguardia dei propri confini meridionali, con l'assunzione di oltre 1.500 guardie di confine in più e l’ausilio complementare dei droni arerei.Molto meno famosa è invece la «barriera» a difesa dell’Europa. Si chiama Frontex, non è un muro ma è l’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea, istituita con il regolamento (CE) n. 2007/2004 del Consiglio del 26 ottobre 2004 (GU L 349 del 25.11.2004). Funziona poco e male e, invece di essere resa efficiente e utile allo scopo prefissato, secondo alcuni paesi del nord Europa andrebbe anche ridimensionata o addirittura soppressa.
Secondo il leader libico Muhammar Gheddafi, in visita nel nostro paese, l’Unione Europea dovrebbe aiutare economicamente la Libia per rendere ancora più efficace la lotta all’immigrazione clandestina ed evitare che le ondate di migranti africani diretti in Europa diventino una marea inarrestabile in grado di sommergere di tanti e diversi problemi il Vecchio Continente. Al netto delle ultime richieste libiche di mettere mano al portafoglio e in controtendenza con l’immobilismo che caratterizza le dinamiche comunitarie in materia di lotta alla clandestinità, l’Italia si è già mossa firmando proprio con la Libia lo scorso anno un trattato che ha già dato buoni frutti nel contrasto del fenomeno. Secondo i dati diffusi il 9 agosto scorso dal Ministero dell’Interno, gli sbarchi sulle coste italiane, nel loro complesso, sono diminuiti in un anno dell'88%. Per il campione concernente le isole di Lampedusa, Linosa e Lampione, si arriva a -98%. I periodi raffrontati sono quelli che vanno dal 1° agosto 2008 al 31 luglio 2009 e dal 1° agosto 2009 al 31 luglio 2010. Gli sbarchi nel dettaglio:
- sulle coste italiane (-88%):
dal 1° agosto 2008 al 31 luglio 2009: 29.076;
dal 1° agosto 2009 al 31 luglio 2010: 3.499;
- su Lampedusa, Linosa e Lampione (-98%):
dal 1° agosto 2008 al 31 luglio 2009: 20.655;
dal 1° agosto 2009 al 31 luglio 2010: 403.
Chi nell’agone politico critica quell’accordo e ne contesta gli effetti positivi, gridando contro i respingimenti, dovrebbe avere almeno il buongusto di fornire all’opinione pubblica una soluzione alternativa realistica per combattere l’immigrazione clandestina, senza scomodare la fantascienza o saccheggiare il libro dei sogni.
Respingimenti, espulsioni, «barriere» sono strumenti utili nelle politiche di contrasto al fenomeno della clandestinità e la regolazione dei flussi in ingresso? Certamente hanno una loro funzione positiva perché rappresentano dei validi deterrenti che scoraggiano le partenze. Inoltre, è oramai un dato acquisito che lo strumento della cooperazione con i paesi di provenienza e transito degli immigrati è un mezzo molto utile nella dinamica della repressione del fenomeno. Tuttavia non possiamo considerare questi strumenti coma la panacea, poiché sono rivolti a stroncare o ridurre gli effetti e non la causa del problema. Per questo motivo va affrontata con coraggio e decisione proprio quest'ultima: la povertà di queste persone e la mancanza di opportunità nella terra natia. In questo quadro diventa fondamentale alimentare con razionalità e con progetti di lungo periodo la cooperazione allo sviluppo con i paesi di provenienza e transito degli immigrati, evitando che gli aiuti provenienti dal ricco Occidente finiscano in qualche buco nero, e fare in modo che servano realmente ad alimentare l’economia locale, creando così i presupposti per attrarre gli investitori stranieri.

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