martedì 14 settembre 2010

Gli italiani di fronte ai fenomeni migratori



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

martedì 14 settembre 2010

Secondo la quarta edizione dell'indagine Doxa «Barometro della solidarietà internazionale degli italiani», presentata a Roma da Focsiv e riferita agli ultimi 12 mesi, l'83% degli italiani (+2% rispetto al 2007, data dell'ultima rilevazione) ritiene che non si possano più accogliere immigrati nel nostro Paese, perché «sono già troppi per le possibilità economiche e sociali di assorbimento dell'Italia». Il 56% (+9% rispetto al 2007) pensa che gli stranieri siano una risorsa economica importante per lo sviluppo del Paese.

La Focsiv è la Federazione di 64 organizzazioni non governative (Ong) cristiane di servizio internazionale volontario, impegnate nella promozione di una cultura della mondialità e nella cooperazione con i popoli dei Sud del pianeta, con l'obiettivo di contribuire alla lotta contro ogni forma di povertà e di esclusione, all'affermazione della dignità e dei diritti dell'uomo, alla crescita delle comunità e delle istituzioni locali. «L'idea che la situazione economica dell'Italia sia tale da non permetterci più di accogliere immigrati, rafforzata dall'opinione che si può ridurre l'immigrazione dalle aree più povere solo aiutando economicamente i Paesi da cui provengono gli immigrati, è fatta propria dal 78% degli intervistati», osserva Focsiv. A contrasto, emerge un 45% di italiani (il 36% nel 2007) che ritiene i flussi «un modo indiretto di aiuto ai Paesi poveri».

In generale, secondo l'indagine, due italiani su tre hanno un atteggiamento inquieto nei confronti dell'immigrazione: «Pur riconoscendo la complessità dei problemi della diseguaglianza tra Nord e Sud del mondo e dei flussi migratori - spiega Focsiv nell'indagine -, gli italiani temono per la propria sicurezza e per il proprio benessere, non arrivando però a richiedere una completa chiusura dell'accoglienza». Il 25% ha un atteggiamento ostile, il 9% aperto.

L'indagine non fa che dimostrare, da ultimo, che le questioni riguardanti l'immigrazione generano inquietudine nella popolazione autoctona ed anche - ma questo esula dallo studio promosso da Focsiv ed elaborato da Doxa - una certa difficoltà di approccio da parte di tutti i governi occidentali che si cimentano con la gestione del fenomeno. Il motivo è presto detto: tutti i grandi modelli d'integrazione sono miseramente falliti e i flussi migratori dai Paesi poveri verso quelli ricchi diventano sempre più imponenti. Che fare? I Paesi che accolgono queste persone devono aiutare a casa propria chi parte dalla terra natia in cerca di una vita migliore, creando le condizioni per lo sviluppo di quel territorio, e al contempo cercare di calibrare i flussi in entrata secondo le reali capacità di accoglienza. Questo vuol dire che il parametro non può essere solo il posto di lavoro, ma anche la casa, i servizi sanitari, quelli socio-assistenziali, la scuola, ecc...

Ci si deve chiedere, per esempio, se un immigrato che arriva in Italia con la sua famiglia e guadagna 800 euro può permettersi di pagare un affitto e, in generale, riuscire a vivere dignitosamente. Proprio perché lo straniero, come giustamente emerge dalla citata indagine, è visto sempre più come una ricchezza, non deve essere sfruttato dai pochi che ci guadagnano in questo sistema (dal datore di lavoro e dal padrone di casa). Senza considerare che i costi sociali di quest'operazione vanno tutti a danno della collettività, e in quest'ultima realtà devono essere considerati sia gli autoctoni che lo stesso immigrato vittima di questa situazione. E allora inserire altri parametri utili per calibrare al meglio l'accoglienza degli stranieri che vengono a vivere nel nostro Paese non è un atto di chiusura, ma di civiltà e di doveroso rispetto nei confronti di queste persone. Senza considerare, inoltre, i benefici per la collettività. Questa, ovviamente, non è la soluzione a tutti i problemi legati all'accoglienza, perché il convivere tra diversi è una cosa difficile di per sé, giacché comporta percorsi personali e collettivi fatti di reciproche rinunce, tolleranza e accettazione stessa della diversità. La diversità è da valorizzare e non da temere. E' questa la vera e interessante sfida culturale: essere fieri e consapevoli delle proprie radici e curiosi e aperti verso l'altro.

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