mercoledì 23 aprile 2008

I disastri del centrosinistra sulla stabilizzazione dei precari



di Antonio Maglietta - 22 aprile 2008

In tempi non sospetti in Parlamento, nell'ambito della commissione Lavoro della Camera, con riferimento alle due finanziarie del centrosinistra (2007 e 2008), il centrodestra presentò, in entrambi i casi (relazione del 18/12/2006 sulla Finanziaria 2007 e del 27/11/2007 sulla Finanziaria 2008), delle proposte di relazione in cui si evidenziava che, in materia di stabilizzazione dei cosiddetti precari, i testi, oltre ad essere lacunosi ed irrazionali, violavano gli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione poiché non garantivano la parità di trattamento di tutti i cittadini e facevano venir meno la garanzia della validità della selezione. Il 14 febbraio 2007, un'interpellanza urgente presentata da Simone Baldelli e sottoscritta da 60 deputati di Forza Italia, rilevò nel dettaglio tecnico le criticità in materia della Finanziaria 2007 e profeticamente recitava nel dispositivo: «Se il Governo non intende assumere iniziative per correggere al più presto questa normativa che, manifestando possibili profili di incostituzionalità, crea disparità di trattamento, genera difficoltà di natura finanziaria, e comporta problemi di carattere gestionale all'interno del sistema pubblico».

A circa un mese di distanza, il 29 marzo 2007, una mozione presentata dallo stesso autore della precedente interpellanza, e sottoscritta da tutto il centrodestra, il cui dispositivo fu poi in parte accolto, ripropose la questione, sottolineando, tra le altre cose, che: «Dopo anni di blocco e di relative proroghe di graduatorie vi sono oltre 70.000 vincitori di concorso ed altrettanti idonei che potrebbero vantare un diritto maggiore e costituzionalmente legittimo di essere assunti e che, soprattutto, potrebbero rappresentare l'ingresso di energie giovani, motivate e preparate nella pubblica amministrazione, energie indispensabili se si vuole realmente perseguire l'obiettivo della modernizzazione; in ottemperanza al principio di cui all'articolo 97 della Costituzione, l'articolo 36 del decreto legislativo n. 165 del 2001 esclude che la violazione di norme imperative relative a forme contrattuali flessibili da parte delle pubbliche amministrazioni possa in ogni caso dar vita alla trasformazione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro; la diffusione di forme contrattuali flessibili nel pubblico impiego sia stato sostanzialmente un modo per le pubbliche amministrazioni per eludere le norme di legge dirette a contenere il numero dei pubblici dipendenti (attraverso limitazioni al turn over) nonché il vincolo costituzionale del pubblico concorso; l'altro potente incentivo al ricorso a forme flessibili di lavoro anche per soddisfare esigenze ordinarie di funzionamento delle amministrazioni sia stato storicamente rappresentato dalla eccessiva rigidità del lavoro pubblico sia in termini di mobilità, che in termini di orario di lavoro (basti pensare all'incomprensibile penalizzazione dei compensi per il lavoro straordinario che si registra in tutti i contratti collettivi del pubblico impiego), tematiche affidate alla contrattazione con i sindacati, i quali sono del tutto indisponibili sul punto, nonostante il gran parlare di incentivazione della produttività; l'insieme di norme crea una incostituzionale disparità di trattamento in quanto diverse sono le tipologie di lavoratori che possono essere stabilizzate dalle varie amministrazioni senza che tali differenze, abbiano un fondamento razionale; la situazione di confusione è ulteriormente destinata ad aumentare considerata la facoltà per le amministrazioni di individuare i propri precari con regolamento».

Sempre in tempi non sospetti, anche da Ragionpolitica [dall'articolo del 19 dicembre 2006 fino a quello del 16 marzo scorso nel suo piccolo e nel silenzio assoluto dei media, sono state sollevate perplessità in ordine alla costituzionalità e all'opportunità di tali scelte, che non solo tendevano ad affossare il criterio del merito ma anche a ingenerare, tra i potenziali beneficiari della stabilizzazione, speranze che si sarebbero rivelate poi vane. Una doppia colpa del centrosinistra chiara sin dal dicembre 2006, al momento del varo della Finanziaria 2007.

Il 18 aprile scorso, lo stesso Ministro per le Riforme e le Innovazioni nella pubblica amministrazione, Luigi Nicolais, ha dovuto ammettere in una circolare che i criteri delle stabilizzazioni sono «approssimativi» e che «la disciplina in argomento ha determinato come effetto una forte aspettativa in capo agli interessati nonché un condizionamento sulle scelte gestionali degli enti che spesso hanno elaborato il loro fabbisogno di personale per rispondere alle pressioni interne, anche di origine sindacale, che ne sono derivate». In pratica un vero pasticcio. Per evitare il collasso, lo stesso ministro, alla fine della circolare, ha fatto riferimento alle «responsabilità e le sanzioni previste per la violazione delle disposizioni in materia di reclutamento ed assunzioni» ed ha richiamato «gli organi di controllo interno, i servizi ispettivi e gli ispettorati deputati al controllo a verificare periodicamente e comunque nell'ambito delle proprie competenze l'applicazione dei principi e delle disposizioni richiamate con la presente circolare».

Dulcis in fundo, un articolo de Il Sole24Ore di venerdì scorso ha riportato la notizia che lo stesso Dipartimento della Funzione Pubblica del ministero retto da Nicolais, in un parere rivolto all'Avvocatura Generale dello Stato, ha ammesso che le procedure di stabilizzazione introdotte dalla due ultime leggi finanziarie «non sono in linea» con la Costituzione ed in particolare con gli artt. 3 e 97. A questo punto sarebbe fin troppo facile sparare sulla Croce Rossa e ricordare le dichiarazioni propagandistiche del centrosinistra sulla bontà di quell'impianto. Ci basta ricordare che hanno perso le elezioni e che per i prossimi anni non saranno certo loro a decidere sulle dinamiche del pubblico impiego.

Antonio Maglietta

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