sabato 6 febbraio 2010

Stop alle violenze contro le ragazze che vogliono vivere all’occidentale



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

venerdì 05 febbraio 2010

Il ministro francese dell'Immigrazione, Eric Besson, ha trasmesso nei giorni scorsi un progetto di decreto al premier François Fillon perché sia respinta la richiesta di naturalizzazione di un cittadino marocchino. Il motivo, secondo il quotidiano Le Figaro, è che l'uomo obbliga la moglie ad uscire solo con il burqa, comportamento ritenuto incompatibile già dal Consiglio di Stato con i valori della Costituzione francese.

In Italia, invece, la vicenda della sposa bambina di 13 anni o della 17enne pachistana, maltrattata dalla propria famiglia che non sopportava il suo stile di vita troppo occidentale e le sue amicizie italiane, senza dimenticare i casi agghiaccianti di Hina Saleem e Sanaa Dafani, confermano, se ancora ce ne fosse bisogno, come anche nel Belpaese esistano situazioni pericolose all'interno di alcuni nuclei familiari stranieri dove si vive secondo usi e costumi incompatibili con i nostri valori e le nostre leggi. Si tratta di situazioni pericolose in primis per le potenziali vittime di queste barbarie, spesso ragazzine che hanno come unica colpa quella di voler vivere una vita diversa da quella del modello imposto dai propri genitori.

Gli italiani, infatti, almeno da quello che emerge da alcune ricerche, non sembrano essere preoccupati dalla diversità culturale ma da altro: concorrenza nel mondo del lavoro e criminalità. Secondo la ricerca «Gli atteggiamenti verso l'integrazione sociale degli stranieri», realizzata da GfK Eurisko per l'Osservatorio permanente Giovani editori, gli italiani hanno un atteggiamento abbastanza critico verso la presenza di stranieri, condito per lo più dal timore per l'aumento della criminalità e l'insicurezza nelle città, e «tale atteggiamento tende a migliorare nei segmenti più colti e elitari della popolazione», è altrettanto vero che «i giovani tendono ad essere più critici rispetto ai segmenti adulti». Per il 76% del campione intervistato, infatti, la presenza di stranieri nella città o paese in cui si vive è percepita come «molto o abbastanza numerosa», ma solo il 22% vede in maniera positiva questo fenomeno. Numeri decisamente più negativi di quelli riferiti agli adulti, il 71% dei quali percepisce una folta presenza di stranieri e il 35% ne ha un'opinione positiva. Non sono tanto le differenze culturali e religiose a spaventare i ragazzi, ma la sensazione di aumento dell'incertezza quotidiana (la criminalità) e la precarietà del proprio futuro, soprattutto lavorativo. Per quasi il 60% dei ragazzi intervistati, infatti, gli stranieri sono un problema per le opportunità di lavoro degli italiani, mentre per il 55% ingrossano le fila della criminalità comune.

Contrastare con forza i comportamenti di alcuni stranieri in Italia a danno delle loro consanguinee, quando sfociano in veri e propri atti di violenza, significa difendere le vittime degli abusi, far rispettare il nostro ordinamento e salvaguardare il nostro modo di vivere libero e tollerante da chi vive e vuole far vivere anche gli altri secondo schemi che nulla hanno a che vedere con la nostra cultura.

John Stuart Mill nel trattato Sulla libertà, pubblicato nel 1859, definiva la tolleranza come «libertà di pensare e di sentire, libertà assoluta di opinione e sentimento su qualsiasi tema, pratico o speculativo, scientifico, morale o teologico». Il limite della tolleranza in quest'ottica è dato dalla proibizione di cagionare un danno a qualcuno. Insomma, le differenze possono e devono essere tollerate o riconosciute solo nella misura in cui non violano i diritti fondamentali della persona, né mettono a repentaglio la costituzione stessa della società, la possibilità di una convivenza pacifica tra individui e gruppi eterogenei. Difendere queste ragazze significa anche difendere noi stessi.

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