giovedì 18 febbraio 2010

Sicurezza e integrazione


di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

mercoledì 17 febbraio 2010

I noti fatti di via Padova a Milano, che hanno portato alla morte di un diciannovenne nordafricano, Ahmed El Sayed, e a una notte di guerriglia in quella zona, hanno riacceso il dibattito pubblico sulle tematiche relative all'integrazione. Occorre dire, innanzitutto, che le forze dell'ordine hanno fatto un lavoro esemplare sia nella gestione del focolaio di guerriglia a via Padova, che si era scatenato dopo la morte del giovane, sia nell'immediata opera di presidio massiccio del territorio per stroncare sul nascere il possibile ripetersi di questi atti di violenza contro persone e cose. Non è una questione da poco. La presenza dello Stato in loco, anche e soprattutto in queste situazioni, dev'essere ben visibile e percepita come l'inizio del percorso di pacificazione dopo la parentesi delle violenze.

I fatti in questione hanno scatenato una serie di polemiche da parte di alcuni esponenti politici dei partiti di centrosinistra contro la politica del centrodestra in materia di immigrazione. La principale accusa, in estrema sintesi, è stata quella di pensare solo alla sicurezza e poco all'integrazione. Tralasciando il caso di specie, è bene ricordare che le due questioni vanno insieme e non possono essere affrontate in maniera separata, e che mantenere l'asticella elevata in entrambe le materie non può che portare effetti positivi.

In primis bisogna riempire di significato le parole, perché il rischio concreto è di parlare del nulla. Secondo l'enciclopedia Treccani, con il termine «integrazione» si intende il «processo attraverso il quale gli individui diventano parte integrante di un sistema sociale, aderendo ai valori che ne definiscono l'ordine normativo. Sul piano microsociologico, è una funzione del processo di socializzazione, consistente nella formazione della personalità sociale dell'individuo attraverso la trasmissione dei modelli culturali e di comportamento dominanti, cui provvedono la famiglia, la scuola e i gruppi primari. Sul piano macrosociologico, nell'approccio struttural-funzionalista di T. Parsons, è un prerequisito del sistema sociale, volto ad assicurare legami stabili fra i suoi membri mediante il rafforzamento dei meccanismi di controllo sociale».

Qualsiasi seria politica d'integrazione non può non passare attraverso l'azione della scuola (innanzitutto con il rispetto dell'obbligo scolastico) e degli enti locali (dall'erogazione di servizi specifici come i punti informativi per gli immigrati fino agli interventi della polizia municipale). L'amministrazione centrale dello Stato, a sua volta, nelle sue varie articolazioni e nell'ambito delle azioni di sua competenza, non può certamente mettere in secondo piano il mantenimento dell'ordine pubblico. Cercare di far rispettare le leggi non vuol dire solo reprimere, ma anche difendere i valori che definiscono il nostro ordine normativo e, talvolta, anche iniziare un percorso di integrazione. A Roma un'amministrazione di centrodestra ha fatto chiudere e demolire il campo nomadi più grande d'Europa e trasferito i suoi 600 abitanti in posti più puliti e sicuri: sono state rispettate la legge e la dignità delle persone che vivevano in quel posto, con la prospettiva di una sempre maggiore integrazione sociale da parte di questa gente nel tessuto cittadino. Nei giorni scorsi, inoltre, dopo i noti fatti di Rosarno in Calabria, il governo ha deciso non solo di operare sul piano dell'ordine pubblico, ma anche di varare un piano straordinario di vigilanza nei territori del Meridione più sensibili alle problematiche del lavoro irregolare.

Quando si parla di immigrazione è ovvio che non si può parlare solo di sicurezza, ma è altrettanto scontato che, se non si esplicita bene che cosa si intende per integrazione, ci si ritrova a parlare del nulla e, di conseguenza, a non agire o a farlo male, così come hanno fatto i governi di centrosinistra con la politica delle porte aperte per tutti e l'immobilismo in materia di sicurezza. Nella ricerca di una via italiana nella costruzione di un efficiente sistema d'integrazione, alla luce dei fallimenti nel mondo di tutti i modelli conosciuti, capaci di creare solo tensioni e violenze nella società, occorrerà trovare un ragionevole equilibrio tra sicurezza e integrazione, partendo dal presupposto che entrambe le questioni investono tanto gli italiani quanto gli stranieri che decidono di vivere in maniera stanziale nel nostro paese. La sicurezza pubblica, infatti, è una condizione che consente a tutti (italiani e stranieri) il tranquillo svolgimento delle proprie attività e l'integrazione (nelle intenzioni) dovrebbe essere un patto che si sostanzia in un punto d'incontro dove non si annullano le differenze, si chiede agli immigrati di rispettare la nostra identità nazionale e le regole del nostro ordinamento in cambio della garanzia dell'accesso al lavoro, alla conoscenza e alle prestazioni sociali.

Poi c'è tutta una parte delle dinamiche relative all'integrazione (quelle sul piano microsociologico) dove lo Stato può fare qualcosa (attraverso la scuola) ma non tutto. Il processo di socializzazione, infatti, è un percorso individuale che dipende anche dai gruppi primari.

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