venerdì 8 maggio 2009

Immigrazione: UE ed UA devono stringere un patto


di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

giovedì 07 maggio 2009

Un gruppo di immigrati, a bordo di tre distinti barconi, aveva lanciato il 6 maggio un Sos mentre si trovavano a Sud di Lampedusa, in acque internazionali di competenza maltese per quanto riguarda le operazioni di ricerca e soccorso. Dopo un nuovo scontro diplomatico con Malta sulle competenze relative agli interventi di soccorso, da Lampedusa erano salpate tre motovedette italiane che hanno poi raccolto i 227 extracomunitari.

Le trattative tra l'Italia e la Libia hanno poi portato alla decisione di rimpatriare immediatamente i migranti che erano partiti dalle coste nordafricane. Una decisione che ha incontrato il plauso anche del governo maltese. Il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha definito l'accordo con le autorità di Tripoli «una svolta nel contrasto all'immigrazione clandestina», ricordando che il 15 maggio partirà anche il pattugliamento congiunto Italia-Libia.

Secondo quanto si è appreso alla Valletta, Maroni avrebbe comunicato al suo collega maltese Bonnici i dettagli del negoziato condotto con il governo di Tripoli: una linea, quella del rimpatrio immediato, condivisa dai due ministri dopo i recenti scontri diplomatici tra Italia e Malta sul soccorso degli immigrati nel Mediterraneo. Bonnici aveva stemperato i toni della polemica, affermando che i due Paesi dovevano collaborare e avviare iniziative comuni per contrastare il fenomeno dell'immigrazione clandestina, sollecitando anche l'intervento dell'Unione Europea.

E' del tutto evidente che questa nuova azione segna un punto di svolta positivo e fondamentale nelle politiche di gestione delle nostre frontiere, che iniziano a levarsi di dosso lo scomodo abito di ventre molle del Vecchio Continente. E' vero anche, però, che quest'ultima vicenda riporta alla luce due nodi irrisolti e cioè l'ennesimo mancato intervento delle istituzioni comunitarie in situazioni del genere, sia dal lato della repressione del fenomeno dell'immigrazione clandestina, anche attraverso un maggior pattugliamento del Mediterraneo, che da quello della prevenzione con lo strumento della cooperazione economica (ma anche in parte militare e di polizia) con l'Unione Africana, con particolare riguardo ai paesi di provenienza dei clandestini e degli irregolari.

L'adozione dello strumento del rimpatrio «immediato» ha indubbiamente un effetto positivo nel contrasto al fenomeno dell'immigrazione clandestina perché scoraggia le partenze che hanno come destinazione finale o transitoria il nostro Paese. Ma è pur vero che non possiamo limitarci a questo e che non abbiamo le forze necessarie per contrastare da soli un fenomeno così grande. Abbiamo bisogno, quindi, di buone politiche nazionali di gestione delle frontiere, ed in tal senso il governo Berlusconi si sta muovendo bene, ma abbiamo soprattutto l'urgenza che di questo problema se ne occupino anche le istituzioni comunitarie sia nella fase della repressione che, soprattutto, nella fase della prevenzione. E' bene capire, infatti, che non si va da nessuna parte senza un percorso virtuoso, da iniziare il prima possibile, tra Unione Europea ed Unione Africana; possiamo vincere solo piccole battaglie ma non la sfida nel suo complesso se continuiamo così come fatto fino ad ora. Il modello da prendere in considerazione nel rapporto che dovrebbe auspicabilmente instaurarsi tra UE e UA, ovviamente con le necessarie varianti, è quello tra Italia e Albania, che ha portato in tempi ragionevoli alla scomparsa del fenomeno degli sbarchi delle navi piene di disperati, ad una sensibile diminuzione degli albanesi costretti a partire dai luoghi natii per cercare fortuna da noi e ad uno sviluppo economico di un paese che all'inizio degli anni '90 era letteralmente in ginocchio.

La sfida principale non è la diminuzione significativa dei flussi dei clandestini verso il Vecchio Continente, perché quella è una conseguenza, ma cercare di migliorare le condizioni di vita nei luoghi natii di chi è costretto a partire dai territori africani per scappare dalla fame o dalla guerra o, spesso, da entrambe le cose. Non è vero che i flussi di persone in movimento dall'Africa non si possono arrestare perché spesso il motore del mettersi in cammino non è dettato da una libera scelta ma da una costrizione: la fame e la guerra. E allora l'obiettivo da raggiungere è quello di combattere quella costrizione che porta tante persone a mettersi in viaggio dall'Africa verso l'Europa in cerca di fortuna, salvo poi spesso capire che qui da noi non c'è certo l'Eldorado.

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