lunedì 13 dicembre 2010

Possibili scenari in tema d’immigrazione



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
lunedì 13 dicembre 2010

Secondo il XVI rapporto sulle migrazioni 2010 della Fondazione Ismu ci sono due scenari possibili in un futuro prossimo venturo: rallentamento dei flussi migratori e possibile boom della presenza africana in Italia nel 2030. Se le aree di origine dell'immigrazione verso l'Italia rimarranno quelle di adesso, e cioè se più della metà degli immigrati stranieri continuerà a provenire dall'Est Europa, in tal caso nei prossimi 20 anni i residenti stranieri aumenterebbero a una media di 187mila unità annue, cifra notevolmente inferiore rispetto ai 431mila mediamente registrate negli ultimi sette anni.
Il secondo scenario introduce l'eventualità che la caduta dei flussi provenienti dai paesi dell'est sia interamente compensata da quelli provenienti dall'Africa Sub-sahariana. D'altra parte le premesse per un boom d'immigrati da tale area non mancano, se si considera che gli scenari demografici più accreditati (United Nations, 2008) calcolino che l'Africa Sub-sahariana tra il 2010 e il 2030 avrà un surplus annuo di 15-20 milioni di potenziali lavoratori. Se non saranno pienamente assorbiti dai mercati locali, potranno farsi tentare dalla scelta migratoria ed emigrare, almeno in parte, tanto in Italia quanto nel resto d'Europa.
Tra i due scenari prospettati dal rapporto Ismu quello più realistico sembra essere proprio il secondo. I motivi sono diversi. E' naturale che lo sviluppo economico, seppur tra mille difficoltà, dei paesi dell'Est Europa porterà nel tempo a una riduzione rilevante dei flussi migratori provenienti da quelle zone. E' altrettanto prevedibile, però, che questo vuoto sia riempito velocemente, magari anche con numeri superiori, dai flussi provenienti dall'Africa.
In questo quadro le istituzioni comunitarie e tutti i governi europei dovranno decidere se mettere in piedi da subito un piano per evitare di essere sommersi da questi flussi o se vorranno continuare a vivacchiare pensando che gli eventuali problemi di questi scenari siano solo dei paesi rivieraschi del sud e, quindi, dell'Italia, della Spagna e della Grecia.
A fine novembre il terzo vertice Africa-Unione europea a Tripoli si era chiuso tra qualche divisione e possibili rilanci in tema di cooperazione. Le parole-guida erano state: investimenti, crescita economica, posti di lavoro. Tranne il leader sudanese erano presenti tutti i capi di stato e di governo africani mentre da parte europea ci furono le pesanti assenze politiche dei leader di Francia, Germania e Gran Bretagna, che parteciparono solamente a livello ministeriale. Non si è trattato certamente di un buon segnale.
Oggi l'Africa ha il più grande potenziale mondiale in termini di crescita e questo è un motivo in più che dovrebbe spingere tutti i paesi europei a partecipare in maniera più attiva allo sviluppo economico di quella parte del mondo. Si tratterebbe di una scelta lungimirante e strategica. Lungimirante perché lo sviluppo economico dell'Africa ridurrebbe il numero delle persone pronte a partire verso l'Europa in cerca di un futuro migliore. Sappiamo tutti che il Vecchio Continente, e in primis l'Italia, non si può permettere di essere l'approdo d'imponenti flussi migratori che rischierebbero di far affogare il nostro territorio in un mare di problemi.
Strategica perché l'Europa non può assolutamente lasciare alla Cina e, in parte, anche agli Stati Uniti, di fare la parte del leone nelle partnership commerciali con i paesi africani. I paesi del Vecchio Continente si muovono divisi e questo non è certamente un bene nella concorrenza serrata in corso in Africa con il colosso asiatico e quello americano. Le istituzioni comunitarie dovrebbero organizzare il prima possibile una cabina di regia che indirizzi gli sforzi dei singoli paesi nell'ambito di un piano strategico sul lungo periodo che veda coinvolti sia soggetti istituzionali che privati. La cooperazione allo sviluppo, così come la conosciamo, non va più bene perché spesso ha portato più risultati negativi che positivi. Occorre un maggior coinvolgimento delle imprese che vogliono investire in quei territori su progetti di lungo periodo evitando che i soldi della cooperazione vadano a finire su cose di corto respiro o, peggio ancora, in qualche buco nero.

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