sabato 3 novembre 2007

Protocollo sul welfare: ancora privilegi per i sindacati



di Antonio Maglietta - 3 novembre 2007

Il famoso protocollo sul welfare, sottoscritto tra governo e parti sociali il 23 luglio scorso, è stato finalmente tradotto in un disegno di legge (A.C. 3178) ed assegnato, in sede referente, alla commissione Lavoro della Camera, prima di approdare in Aula per il voto, per poi essere successivamente trasmesso al Senato. Nel testo del disegno di legge ci sono le note questioni sugli scalini previdenziali, che dovrebbero sostituire lo scalone Maroni per la modica cifra di 10 miliardi di euro, e il provvedimento che prevede che se il rapporto di lavoro tra lo stesso lavoratore e lo stesso datore di lavoro superi la durata complessiva di 36 mesi, per effetto di successione di contratti a termine, e compresi proroghe e rinnovi, lo stesso si dovrà considerare a tempo indeterminato. A tal riguardo è prevista un'eccezione qualora la stipula avvenga, per una sola volta, presso la competente Direzione provinciale del lavoro e con l'assistenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale cui il lavoratore sia iscritto o conferisca mandato. Un vero e proprio regalo ai sindacati confederali visto che lo stesso ruolo di assistenza al lavoratore, in teoria, potrebbe essere rivestito anche da avvocati e consulenti del lavoro, che certo non hanno una sensibilità minore, rispetto ai sindacalisti, sul tema della difesa degli interessi dei lavoratori. A voler pensare male, si potrebbe scorgere nel provvedimento una sorta di aiuto governativo ai sindacati sul versante della fidelizzazione dei giovani lavoratori, i più riottosi, a ragione, a farsi la tessera sindacale. Basterebbe pensare alla questione previdenziale per capire i motivi della disaffezione, con i sindacati che difendono a spada tratta un meccanismo che vede i giovani lavoratori, inseriti nel sistema contributivo, pagare la pensione di chi è in quello retributivo, senza avere la sicurezza di avere un trattamento pensionistico decente.
Secondo i dati forniti dall'Eurobarometro (si veda il grafico), l'età media dei lavoratori italiani iscritti al sindacato è la più alta in Europa: quarantaquattro anni, ben quattro in più della media europea.


Inoltre, quasi il 50 per cento degli iscritti non è un lavoratore, mentre in Francia e Germania, la percentuale è del 20 per cento (dato tratto da Tito Boeri, Agar Brugiavini e Lars Calmfors, The Role of Unions in the Twenty-first Century, Oxford, 2001). Molti iscritti al sindacato, quindi, o sono lavoratori anziani o sono già in pensione. Alla luce di questi dati l'operazione «fonte della giovinezza» sarebbe una vera e propria manna dal cielo per i vecchi sindacati confederali: da Villa Arzilla a Gardaland. Abbiamo visto quindi che i sindacati, grazie all'aiuto del governo, potranno ringiovanire, avere più tessere e quindi ritrovare il sorriso.
Chi piange? Un po' tutti gli altri, ma secondo l'area comunista del centrosinistra a piangere dovrebbero essere i famigerati ricchi (che poi nessuno ha ancora capito a quale livello di reddito considerino una persona ricca). Detto, fatto. L'articolo 5 prevede che, per il solo anno 2008, ai trattamenti pensionistici, complessivamente superiori otto volte al trattamento minimo Inps, non sia concessa la rivalutazione automatica delle pensioni. Inoltre, sempre per il solo anno 2008, tale limite (8 volte il trattamento minimo Inps) è imposto, in generale, anche alla sommatoria del trattamento pensionistico con la rivalutazione automatica. E' un provvedimento di chiara matrice illiberale, inutile sotto il profilo del contenimento della spesa pubblica e, soprattutto, incostituzionale perché palesemente in contrasto con la previsione dell'articolo 3 della Costituzione («Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»).
Il concetto da tenere in considerazione è che, secondo la Carta Costituzionale, tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge senza distinzione di condizioni personali e sociali. La rivalutazione economica delle pensioni non è un atto discrezionale, ma un automatismo, e non rientra neanche nella previsione dell'art. 53 della Costituzione («Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività») che rappresenta, per certi versi, il limite del Legislatore nelle politiche attive di redistribuzione del reddito. Ma cosa è l'articolo 3 della Costituzione dinanzi alle richieste dei partiti dell'area comunista del centrosinistra che chiedono che anche i ricchi piangano, anziché pensare a come dare ai poveri la possibilità di essere ricchi? Nulla, carta straccia. La Costituzione viene citata, e male, solo quando serve, a proprio uso e consumo.

Antonio Maglietta

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