mercoledì 7 novembre 2007

Il protocollo sul welfare e l'abolizione del job on call

di Antonio Maglietta - 6 novembre 2007

Il disegno di legge delega che recepisce il protocollo sul welfare, all'articolo 13, prevede l'abrogazione del job on call. Il job on call (o contratto di lavoro intermittente) è il contratto mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa secondo i seguenti limiti:
Può essere concluso per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale;
in via sperimentale il contratto di lavoro intermittente può essere altresì concluso anche per prestazioni rese da soggetti in stato di disoccupazione con meno di 25 anni di età ovvero da lavoratori con più di 45 anni di età che siano stati espulsi dal ciclo produttivo o siano iscritti alle liste di mobilità e di collocamento.
E' vietato il ricorso al lavoro intermittente:
Per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
salva diversa disposizione degli accordi sindacali, presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente ovvero presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell'orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente;
da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni.
Nel corso dell'indagine conoscitiva in commissione Lavoro «Sulle cause e le dimensioni del precariato nel mondo del lavoro» è emerso che diversi rappresentanti delle categorie produttive ritengono il job on call uno strumento utile, a differenza di quello che pensano il ministro del Lavoro, Cesare Damiano, e tutta l'area comunista del centrosinistra:
Alberto Bombassei, vicepresidente per le relazioni industriali e gli affari sociali di Confindustria (audizione del 6 febbraio 2007): «I dati confermano come il part-time, così come il job sharing e il lavoro a chiamata, continuino ad essere strumenti messi a disposizione dal legislatore per rispondere a specifiche esigenze, espresse non tanto dalle imprese ma da singole persone che intendono, per propria scelta, conciliare il lavoro e, quindi, una forma di reddito, con altre attività lavorative o scelte di vita, nell'ambito della famiglia, dello studio, dello sport, della cultura o del tempo libero in generale».
Luigi de Romanis, responsabile direzione lavoro della Confcommercio (audizione del 7 febbraio 2007): «Il lavoro a chiamata è molto usato, nel comparto in generale: proprio per questa caratteristica di variabilità della domanda, è ovvio che si tratta di uno strumento utilizzabile. In particolare nel settore del turismo, dove si hanno in singole giornate dei momenti di punta (pensiamo al ristorante, alle feste e quant'altro), il lavoro a chiamata è effettivamente già utilizzato in una certa misura».
Elvira Massimiano, responsabile lavoro e relazioni sindacali della Confesercenti (audizione del 7 febbraio 2007): «L'altro istituto che, come vediamo dall'indagine, viene utilizzato soprattutto nel turismo è il lavoro a chiamata, che risponde ad alcune esigenze di flessibilità del terziario, ma in particolare del turismo. Si tratta, a nostro avviso, di un istituto che ha una sua valenza e che soprattutto, rispetto a categorie quali pensionati e lavoratori-studenti a basso rischio di elusione, deve avere una sua base di conferma. L'altro dato interessante è quello inerente ai co.co.pro, che rappresentano il 12,8% nel terziario: registriamo un calo, rispetto al co.co.co, che copriva il 18,7% nel 2003, mentre nel turismo copre il 3,9%, a fronte di un precedente 6,5%. Si assiste dunque ad un calo dell'istituto, a vantaggio di altri, quali appunto il lavoro a chiamata, che nel turismo sono maggiormente aderenti alle esigenze dell'impresa».
Marina Calderone, presidente del Consiglio nazionale dell'ordine dei consulenti del lavoro (audizione del 7 marzo 2007): «Giustamente, i commercianti hanno messo in evidenza che all'interno del terziario, dei pubblici esercizi, e del settore turistico (soprattutto in Emilia Romagna, che è una delle regioni dove si fa ricorso a quello strumento legislativo), è uno strumento utilizzato. Allora, su questa realtà possiamo eventualmente fare un'analisi. A mio avviso, se devo dare una valutazione come tecnico, dico che il personale interessato sfugge al controllo anche dei consulenti, poiché si tratta di lavoratori che operano soprattutto in piccole e piccolissime realtà, quali possono essere la pizzeria sotto casa, il bar o il ristorante, lavoratori che non hanno mai avuto una tutela contributiva. Allora, dal mio punto di vista, è meglio che, perlomeno per quella giornata di lavoro, il lavoratore abbia una copertura contributiva, assicurativa e antinfortunistica, piuttosto che nulla. Infatti, sono convinta che si tratti di forme lavorative residuali, che possono riguardare magari i giovani che vanno a lavorare il fine settimana per mantenersi gli studi e che quindi, in tal modo, hanno un contatto con il mondo del lavoro e cominciano a capire anche le norme che ne regolano i rapporti. L'alternativa è il lavoro in nero, perché di ciò si tratta».
In pratica, è emerso che il job on call, per alcuni tipi di impiego, rappresenta l'argine contro il «lavoro in nero». Perché, allora, si vuole abrogare l'istituto del lavoro intermittente? La risposta è palese: per puri scopi ideologici e per interessi politici, dettati dalla volontà di accontentare le assurde richieste dell'area comunista del centrosinistra, per mantenere stabile la maggioranza parlamentare e quindi tenere in vita il governo Prodi. Pur di mantenere la poltrona, il presidente del Consiglio e i suoi ministri sarebbero disposti a qualsiasi accordo al ribasso, noncuranti del fatto che, in questo caso, il risultato dell'operazione sarebbe quello di favorire il «lavoro in nero».

Antonio Maglietta

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