lunedì 26 novembre 2007

Venti di crisi sul welfare


di Antonio Maglietta - 24 novembre 2007

La commissione Lavoro di Montecitorio ha terminato di votare gli emendamenti a tutti gli articoli del ddl sul welfare, apportando alcune modifiche significative che hanno provocato un terremoto all'interno del centrosinistra. L'approdo in Aula del provvedimento è previsto per lunedì ed il governo, palesando una crisi tra le varie anime del centrosinistra, ormai irreversibile, ha deciso di porre la questione di fiducia per blindare il testo. Nonostante i vari tentativi fatti nei giorni scorsi per trovare un accordo tra governo e Unione sui «nodi» del ddl, non è stato possibile raggiungere un'intesa e i partiti del centrosinistra si sono mossi in piena autonomia, cestinando il vincolo di coalizione e affrontando a muso duro l'esecutivo.
Le modifiche sui «nodi» del provvedimento, che hanno segnato una profonda ed irrimediabile spaccatura tra riformisti e massimalisti, hanno riguardato:
i lavori usuranti (art. 1, comma 3, lettera b): con un emendamento dei Comunisti Italiani è stata prevista la soppressione del riferimento al decreto legislativo n. 66 del 2003, che sostanzialmente fissava in 80 notti l'anno il dato essenziale per qualificare un lavoro come notturno (testualmente: «In difetto di disciplina collettiva è considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga lavoro notturno per un minimo di ottanta giorni lavorativi all'anno; il suddetto limite minimo è riproporzionato in caso di lavoro a tempo parziale»), delegando di fatto al governo, e in particolare alla commissione istituita presso il ministero del Lavoro, a cui partecipano anche le parti sociali, di definire meglio i benefici pensionistici che riguardano la platea degli usuranti. In sostanza è saltato il tetto sui lavori usuranti - visto che la vecchia formulazione garantiva una sorta di limite di demarcazione - con relativo aumento della spesa pubblica per sostenere l'operazione;
i contratti a termine (art. 11, comma 1, lettera b, capoverso 4-bis): rispetto al testo originario, è stato previsto che l'eventuale rinnovo contrattuale, che non farebbe scattare automaticamente il tempo indeterminato dopo 36 mesi di rapporto lavorativo, anche non continuativi, non potrà comunque avere una durata superiore agli 8 mesi;
lo staff leasing (art. 13 bis): con un articolo aggiuntivo, introdotto con un emendamento dei Comunisti Italiani, è stata prevista l'abrogazione del contratto di somministrazione di lavoro nonostante nel protocollo sottoscritto il 23 luglio non fosse previsto alcun intervento del genere;
il job on call (art. 13 ter): l'uso del «lavoro a chiamata» è stato formalmente abrogato come istituto, ma il suo contenuto di fatto continua a vivere, con una operazione di ingegneria giuridica, anche se limitatamente ai soli settori del turismo e dello spettacolo (anche se, molto probabilmente, in aula ci potrebbe essere una estensione anche a quello del commercio e dei servizi).
Altro dato fondamentale, emerso dopo che il provvedimento era stato modificato in maniera invasiva dalla commissione, è che le parti sociali, che sottoscrissero quel testo insieme al governo, si sono dichiarate profondamente insoddisfatte. Confindustria e Confcommercio hanno alzato giustamente le barricate perché le modifiche apportate al testo danneggiano profondamente il sistema produttivo. E non da meno sono stati i sindacati confederali. Basterebbe ricordare, per capire che non si tratta di una operazione di apposizione di bandierine ideologiche, ma di questioni di merito sia politiche che sostanziali, che Cisl e Uil nel 2002 avallarono tutte le novità introdotte della legge Biagi, compreso lo staff leasing, quando firmarono con il governo Berlusconi il «Patto per l'Italia». E pure chi non firmò quel documento oggi rivendica l'importanza di alcune intuizioni di quella legge, compresa la somministrazione di lavoro. Infatti, come ha ben ricordato Nerozzi della Cgil in una intervista rilasciata giovedì al Riformista, lo staff leasing è un contratto che tutela i più deboli sottraendoli dal cono d'ombra del lavoro nero e, quindi, è stato un errore colossale prevederne l'abrogazione.
Ma quello che è andato in scena in commissione Lavoro ha messo in luce anche qualcosa di più: i partiti della Cosa rossa hanno scavalcato a sinistra i sindacati, dimostrando ai lavoratori che, forse, era possibile tirare ancora di più la corda nelle trattative con il governo per il protocollo sul welfare. L'irritazione dei confederali, probabilmente, è tutta concentrata su questo dato di fatto. Non si sentono solo presi in giro; hanno anche la sensazione di non essere più gli interlocutori privilegiati del governo sui temi del lavoro e delle pensioni, visto che Prodi è disposto a concedere di più ai partiti di lotta e di governo, da cui dipende la sua stessa sopravvivenza, che a loro.

Antonio Maglietta

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