martedì 30 ottobre 2007

La grana dei precari del pubblico impiego

di Antonio Maglietta - 30 ottobre 2007

Domenica sera i capigruppo dell'Unione (o presunta tale) al Senato si sono riuniti per tentare di decidere collegialmente la strategia da adottare per i lavori parlamentari a palazzo Madama sulla Finanziaria 2008, dopo le vistose crepe e le imbarazzanti sconfitte nelle votazioni sul decreto fiscale collegato. Nonostante gli appelli di Romano Prodi ad una maggiore compattezza della coalizione, il vertice è stata l'ennesima occasione per fare polemica e mostrare che la maggioranza parlamentare non c'è più, sia per le vistose assenze dell'Italia dei Valori di Di Pietro e dei Liberal-Democratici di Dini ma, soprattutto, per le richieste dei rappresentanti dei partiti della sinistra radicale, che hanno posto sul tavolo la questione dell'assunzione di tutti i precari del pubblico impiego. Cesare Salvi, capogruppo della Sinistra Democratica, ha chiesto al governo una relazione tecnica per capire l'entità delle risorse necessarie mentre Manuela Palermi, dei Comunisti Italiani, ha candidamente riconosciuto che «quanti siano non lo sa neanche il governo».
Che sui numeri del precariato nella pubblica amministrazione ci sia un grosso punto interrogativo non è certo una novità; il dato è oramai noto ed era già emerso nel corso dell'audizione del 30 maggio scorso del Ministro Nicolais, nell'ambito dei lavori della commissione Lavoro della Camera «Sulle cause e le dimensioni del precariato nel mondo del lavoro». In quell'occasione il Ministro, su precisa domanda, aveva risposto: «Il numero è difficile da definire, innanzitutto perché non tutti intendono il precariato allo stesso modo: molti si considerano precari all'interno della pubblica amministrazione anche se, ad esempio, hanno avuto un contratto a progetto di un anno». Tuttavia il dato certo sul quale si farà riferimento dovrebbe essere quello fornito dal conto annuale della Ragioneria Generale dello Stato, unica fonte conoscitiva ufficiale in materia di pubblico impiego, che comunque parla, in generale, di lavoro flessibile. L'ultimo disponibile registra:
124.283 contratti a tempo determinato;
9.067 interinali;
34.459 lsu;
4.786 contratti di formazione lavoro;
470 contratti di telelavoro.
A questi precari, secondo l'ispettore generale della Ragioneria Generale dello Stato, Giuseppe Lucibello, «si aggiungono i circa 200 mila cosiddetti precari storici della scuola. Con la definizione storici intendiamo i docenti inseriti nelle graduatorie per concorsi e titoli - dalle quali si attinge circa il 50 per cento - e quelli delle graduatorie permanenti della legge n. 124 del 1999, che sono comunque soggetti in possesso di abilitazione, o perché hanno conseguito l'idoneità in base a una procedura concorsuale nelle scuole speciali (cosiddette Ssis) o in analoghi istituti. Le graduatorie permanenti, invece, si compongono di circa 242 mila unità, cui si aggiungono circa 90 mila individuate dalla legge finanziaria con riserva» (estratto dell'audizione del 18 gennaio 2007 in commissione Lavoro della Camera, nell'ambito dell'indagine conoscitiva «Sulle cause e le dimensioni del precariato nel mondo del lavoro»).
Stiamo parlando, quindi, di una potenziale platea di circa 370.000 persone (anche se va detto che stiamo parlando di calcoli fatti in base ai dati del conto annuale 2005), visto che la sinistra radicale associa indistintamente tutta la flessibilità al precariato, senza tener conto del dato temporale, e che il comma 417 dell'articolo unico della scorsa Finanziaria, fortemente voluto proprio dalle stesse formazioni politiche massimaliste, parla in generale di «assunzione a tempo indeterminato di personale già assunto o utilizzato attraverso tipologie contrattuali non a tempo indeterminato». La citata norma è stata poi affossata dallo stesso governo in diverse mosse; la più eclatante è stata la mancata menzione della norma nella direttiva n. 7 del 30 aprile scorso emanata dal Ministro Nicolais, cioè quella che doveva sciogliere i dubbi interpretativi delle amministrazioni pubbliche sull'impianto della Finanziaria 2007 proprio in tema di stabilizzazioni.
La situazione è resa ancora più incandescente dalla presenza di 70.000 vincitori di concorso non assunti, ed altrettanti idonei, che da tempo reclamano giustamente per la mancata firma dell'agognato contratto e che si sentono abbandonati da un governo che li ha fortemente penalizzati quando ha previsto nella Finanziaria 2007, per il biennio 2008-2009 in tema di reclutamento nella pubblica amministrazione, solo 2 assunzioni da concorso, a fronte di ben 4 stabilizzazioni di precari, ogni 10 cessazioni dal servizio. Un vero e proprio schiaffo alla meritocrazia e, secondo alcuni, anche alla Costituzione. Senza contare che nella predisposizione della Finanziaria 2008, il governo non ha tenuto fede agli impegni presi con l'approvazione della mozione n. 1/00137, presentata dall'onorevole Simone Baldelli alla Camera e sottoscritta da altri 26 parlamentari della Casa delle Libertà, con cui si impegnava «ad adottare iniziative urgenti per prevedere anche l'assunzione dei vincitori e degli idonei dei concorsi pubblici, con riferimento alle graduatorie ancora in vigore coniugandola con il processo di stabilizzazione».
Ora, dopo il successo della manifestazione del 20 ottobre, che nonostante i proclami e gli equilibrismi lessicali era chiaramente contro la politica del governo sul tema del lavoro, i partiti della sinistra radicale cercano di passare all'incasso, e forse di rianimare il fondo di cui al comma 417 dell'articolo unico della scorsa Finanziaria, per dimostrare a militanti e simpatizzanti che certo non si sono impigriti sulle poltrone del potere. Su questa richiesta la sinistra della coalizione ha dichiarato esplicitamente che non ha intenzione di cedere, anche perché il contraccolpo in termini di consensi con il loro elettorato di riferimento sarebbe durissimo. La strada, però, è in netta salita perché sul punto non c'è alcun accordo politico con i riformisti della coalizione, che sono preoccupati delle ripercussioni negative sul bilancio e, soprattutto, dei moniti della Banca d'Italia e della Commissione Europea, che più volte hanno criticato l'Esecutivo per l'eccessivo ed improduttivo aumento della spesa pubblica. E' sicuro che nel braccio di ferro qualcuno dei contendenti perderà la faccia e, soprattutto, gran parte dei consensi presso il proprio elettorato di area, ma è ancora troppo presto per dire chi sarà. La posta in palio è pesante e i leaders della sinistra radicale sanno fin troppo bene che, qualora dovessero uscire sconfitti da questa trattativa, o comunque ulteriormente ridimensionati, la loro battaglia ideologica e strumentale sul precariato potrà dirsi definitivamente persa a tutti gli effetti, senza contare che la loro stessa sopravvivenza politica sarebbe messa seriamente a rischio.

Antonio Maglietta

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