martedì 16 ottobre 2007

Prodi tradisce i sindacati


di Antonio Maglietta - 16 ottobre 2007


Romano Prodi ha deciso di tradire i sindacati confederali. A chi gli chiedeva, nei giorni scorsi, se alla fine avrebbe ceduto alle richieste dei massimalisti del centrosinistra sulle modifiche al protocollo sul welfare, rispondeva serafico: «Pacta sunt servanda». Nonostante queste dichiarazioni, il governo ha deciso di modificare unilateralmente parte del contenuto dell'accordo. E non si tratta certo di modifiche di poco conto, come sta cercando di far credere certa stampa «amica»: è saltato il tetto numerico sui lavori usuranti e, soprattutto, viene irrigidito il contratto a termine, per cui, a differenza della prima versione, sarà possibile un solo rinnovo a termine dopo 36 mesi. Certamente si tratta di un vero e proprio schiaffo dato a tutti quelli che avevano appoggiato politicamente il protocollo così com'era. Il ceffone ha colpito soprattutto i sindacati confederali, che avevano sottoscritto quel testo d'intesa ed avevano messo in gioco la loro stessa credibilità per difenderlo a spada tratta.
Dopo aver vinto con percentuali bulgare il referendum tra i lavoratori, i confederali si aspettavano che l'accordo fosse recepito, senza troppi traumi, anche dal Consiglio dei ministri, e quindi tradotto da subito in disegno di legge da presentare in Parlamento (con tutta probabilità alla Camera). Invece no, è successa la cosa che più temevano i leaders della «Triplice»: il sindacato è stato scavalcato a sinistra, con l'aggravante che questo è avvenuto per opera di due partiti della coalizione che sostiene il governo: Rifondazione Comunista e Comunisti Italiani. La conseguenza palese è che i sindacati confederali sono stati delegittimati dai partiti della sinistra massimalista, ma anche dallo stesso Prodi, sotto due aspetti: nel ruolo di difensori degli interessi di tutti i lavoratori e nel titolo di rappresentanti di questi stessi interessi.
A questo punto un lavoratore con simpatie a sinistra potrebbe benissimo pensare che il sindacato sia inutile, o che tratti con la logica del «governo amico», o alla meglio sia inefficiente, perché non è riuscito a strappare un accordo migliore, come invece hanno dimostrato benissimo che si poteva fare i partiti di Franco Giordano e Oliviero Diliberto. E che cosa penserà a questo punto Epifani, leader della Cgil, colui che più si è esposto e più ha rischiato su questa vicenda e per difendere l'accordo (e lo stesso governo Prodi) ha dovuto subire gli strali dei contestatori e la storica spaccatura politica all'interno della sua confederazione da parte della Fiom?
Non è da meno la ripercussione del tradimento di Prodi sul tema della rappresentanza dei sindacati confederali, sulla quale in Italia si dovrebbe fare una profonda riflessione. Oggi la «Triplice», anche alla luce degli ultimi eventi, è davvero rappresentativa degli interessi dei lavoratori attivi, oppure lo è solo dei pensionati, vista anche la composizione dei suoi iscritti? A questo punto è giusto che i sindacati confederali siedano al tavolo delle trattative con il governo, parlando a nome di categorie che non rappresentano, come ad esempio i giovani lavoratori? E se al governo non è bastato il voto quasi plebiscitario dei lavoratori sindacalizzati per legittimare politicamente il protocollo sul welfare, allora che senso ha avuto indire una consultazione referendaria come quella dei giorni scorsi?
Tutto questo, ovviamente, dà per scontato il fatto che un esecutivo serio e degno di questo nome, una volta sottoscritti degli accordi, alla fine cerchi di rispettarli a tutti i costi. Tuttavia, in quest'anno e mezzo di governo di centrosinistra si è promesso, anche solennemente, tutto ed il contrario di tutto per poi fare nulla, o alla meglio la cosa peggiore. Quindi l'ultimo voltafaccia, benché molto grave nell'ottica dei rapporti con le parti sociali, non fa altro che cristallizzare l'assoluta mancanza di credibilità di ci sta governando. Perciò la vera novità non è il tradimento dei patti sottoscritti e la mancanza di credibilità del governo; quella semmai è una conferma. La novità, invece, è che i leaders del centrosinistra, Prodi in testa, pur di restare attaccati alle poltrone non guardano in faccia neanche gli (ex?) amici della «Triplice». Forse dalle parti di Palazzo Chigi, incuranti del fatto che la vicenda rappresenti un colpo mortale alla credibilità degli stessi sindacati confederali, avranno pensato: «Mors tua, vita mea».


Antonio Maglietta

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