sabato 27 ottobre 2007

L'Europa e l'immigrazione qualificata

di Antonio Maglietta - 27 ottobre 2007

Attirare in Europa «cervelli», personale molto qualificato proveniente dai Paesi extraeuropei, garantendo loro un permesso di soggiorno, il rispetto di condizioni minime salariali e la possibilità di ricongiungersi con i propri familiari. E' questa la filosofia della cosiddetta «blue card», la carta blu, la risposta europea alla «green card» statunitense, che il vicepresidente della commissione Ue, Franco Frattini, ha proposto martedì scorso ai suoi colleghi e che dovrebbe costituire un altro tassello nella politiche europee riguardanti l'immigrazione legale.
A differenza della carta verde statunitense, che è permanente, quella europea è più attenta a frenare la fuga dei cervelli, in particolare dall'Africa. Infatti, il rischio da evitare è quello di provocare uno svuotamento del know-how dei paesi del terzo e quarto mondo, minando così alla base ogni possibilità di sviluppo di queste realtà. Inoltre, la carta blu prevede la cosiddetta immigrazione circolare, che consente ad un giovane talento, venuto a lavorare in Europa, di tornare in patria per poi tornare di nuovo in Europa, senza dover ripercorrere di nuovo tutte le procedure per ottenerla.
La proposta della «blue card» intende dare una risposta veloce ed efficace alla crescente domanda di personale altamente qualificato da parte delle imprese del vecchio continente, incoraggiando una mobilità interna fra i Ventisette, ma al tempo stesso non interferendo nella competenza degli Stati membri di decidere il numero totale di immigrati che si desiderano far entrare. Ai lavoratori che sono in regola con un determinato tipo di requisiti, vale a dire l'essere in possesso di un contratto di lavoro, avere un salario superiore ad una soglia minima stabilita dagli Stati dell'Unione Europea e l'avere un alto livello di preparazione professionale, verrà data la blue card, per la durata di due anni, prorogabili per almeno altri due. La carta blu, nelle intenzioni del vicepresidente della Commissione Ue, dovrebbe poi aprire la strada a permessi di soggiorno di più lunga durata rispetto a quelli attuali, consentendo anche ai lavoratori che si spostano da un Paese Ue all'altro di cumulare i periodi di residenza.
I titolari della blue card potranno muoversi liberamente sul territorio Ue e godranno degli stessi diritti dei lavoratori europei, per quanto riguarda la normativa sul lavoro, inclusa la libertà di aderire ad un sindacato. Nella «guerra dei cervelli», soprattutto con Usa e Australia, l'Unione Europea, con questa proposta, intende attirare verso il suo mercato personale molto qualificato, escludendo però chi vuole aprire la sua impresa o vuole lavorare in Europa per un periodo inferiore ai tre mesi. I numeri attuali sono infatti desolanti. Nel 2005 in Europa solo lo 0,9% dei cosiddetti «high-skilled workes» (i lavoratori altamente qualificati) risultava essere extraeuropeo a fronte di un ben 9,9% registrato in Australia, di un altrettanto positivo 7,3% in Canada ed un 3,5% in Usa.
Prima di diventare una realtà, la proposta della carta blu dovrà passare per il tavolo del Consiglio Ue (l'approvazione potrebbe arrivare a dicembre) e al Parlamento europeo, che darà il suo parere. La stessa trafila si preannuncia anche per l'altra proposta di direttiva che mira a uniformare le procedure per la concessione del permesso di soggiorno e di lavoro per i lavoratori extraeuropei, garantendo loro, anche in questo caso, gli stessi «diritti socio-economici» dei lavoratori dei Paesi Ue. Il vicepresidente Franco Frattini ha ribadito che la direttiva «vuole essere solo uno strumento a chi ritiene possa essergli utile, non vogliamo imporre niente». Il riferimento è anzitutto all'Austria, che sulle prime aveva espresso forti dubbi sulla proposta, temendo che la «blue card» potesse servire agli immigrati per chiedere l'ingresso ad esempio in Spagna per poi approdare, grazie agli accordi di Schengen, in Austria. La proposta attuale lascia agli Stati nazionali la possibilità di decidere il numero di lavoratori stranieri che si desiderano far entrare nel Paese, limitando la validità del permesso di lavoro al solo stato membro che emetterà la «blue card», mentre quello di circolazione sarà valido per tutta l'Ue.
E' chiaro che la ratio è quella di rafforzare e uniformare i percorsi legali previsti dalle legislazioni degli Stati membri in tema di immigrazione, senza intaccare gli interessi nazionali. Si tratta di un progetto condivisibile se si pensa che attualmente, soprattutto in Italia, l'immigrazione, dal punto di vista dei profili professionali, è di bassa qualità e questo non aiuta certo il paese ad essere competitivo nell'epoca dell'economia globale di mercato. Se poi, come già sperimentato durante il governo Berlusconi, si intensificassero anche i programmi di cooperazione sulla formazione professionale in loco, con quei paesi maggiormente interessati dal fenomeno migratorio verso il nostro Paese, o comunque verso l'Europa in generale, avremmo fatto sicuramente un ulteriore passo avanti nel soddisfare i molteplici interessi in campo.

Antonio Maglietta

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