giovedì 8 aprile 2010

Immigrazione: giro di vite nel Regno Unito



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

mercoledì 07 aprile 2010

Secondo il tabloid britannico Daily Mail, il Regno Unito intende rimpatriare anche gli immigrati comunitari che vivono sul territorio di Sua Maestà, se questi non hanno mezzi di sostentamento. Il progetto pilota partirà dalla cittadina di Peterborough, dove sembra che ci siano diversi gruppi di persone provenienti dall'Est Europa che vivono in accampamenti di fortuna; per il momento sono questo tipo di situazioni estreme che riceveranno attenzione da parte delle autorità. Nell'articolo si fa notare che a rendere possibile il progetto è l'applicazione di alcune disposizioni comunitarie: secondo la Ue, infatti, chiunque può viaggiare e risiedere in qualsiasi paese membro ma non ha diritto di restare in uno di questi paesi per più di tre mesi se non lavora, non studia, o non ha mezzi di sostentamento autonomi.

In Italia, l'ex ministro Livia Turco del Partito democratico, in una mozione in discussione alla Camera, concernente iniziative in materia di politiche migratorie e di integrazione, ha chiesto al Governo di «riconoscere nel piano nazionale alcune azioni prioritarie: contrasto del degrado urbano e del disagio abitativo; estensione dell'educazione e della formazione interculturale; sostegno ai bambini e alle famiglie per l'apprendimento della lingua e della cultura italiana anche da parte degli adulti; accesso ai servizi sociali e sanitari, con particolare attenzione ai gruppi più vulnerabili; sviluppo della figura dei mediatori culturali, anche attraverso l'istituzione di un albo nazionale dei mediatori culturali e delle associazioni di mediazione culturale; inserimento di tempi certi per il rinnovo dei permessi di soggiorno».

Dal punto di vista concettuale l'idea della Turco potrebbe anche essere condivisibile. La lotta alla povertà e il rispetto della dignità umana devono essere i capisaldi di qualsiasi seria politica in materia d'immigrazione. Tuttavia la questione centrale è come si affrontano questi problemi. Semplificando al massimo si potrebbe dire che l'opposizione di centrosinistra vorrebbe aprire le porte del nostro Paese ai flussi d'immigrati, allentando un po' di vincoli, e poi creare un sistema d'assistenza sul territorio per combattere le ricadute sociali di quest'azione; poiché nella maggior parte dei casi si tratta di persone povere, le ricadute sociali non potranno che essere appunto degrado urbano, disagio abitativo e scolastico, uso distorto delle strutture sanitarie (uso improprio del pronto soccorso: «una delle modalità di accesso alle prestazioni sanitarie più diffuse nella popolazione straniera rispetto a quella italiana è rappresentata dal ricorso ai servizi di emergenza, in particolare quello al pronto soccorso» - Istat, Salute e ricorso ai servizi sanitari della popolazione straniera residente in Italia - Anno 2005, 11 dicembre 2008) ecc. E' evidente che una politica del genere porta nel medio-lungo periodo alla creazione di realtà di estremo degrado e disagio, con il rischio che la situazione diventi ancora più incandescente a causa dei malumori della popolazione autoctona. E' proprio in questo quadro, inoltre, che diventano funzionali al sistema quelle politiche di contenimento dei fenomeni distorsivi, provocati da una cattiva gestione dei flussi d'immigrati economici, come quelle del progetto pilota della cittadina di Peterborough nel Regno Unito.

Una sana e razionale politica dei flussi d'immigrati economici, invece, mettendo al centro la persona e non solo il suo lato legato all'economia (la forza-lavoro), dovrebbe valutare l'impatto dell'immigrato ad ampio raggio, prendendo in considerazione le politiche abitative, la sanità, il sistema scolastico ancor prima che lo stesso arrivi sul territorio nazionale. Solo in questo modo, attraverso uno studio preventivo sull'impatto dell'immigrato economico sulla realtà territoriale, si potrà avere un quadro delle reali possibilità del paese ospitante di dare una prospettiva di vita migliore a chi va via dalla propria terra natia per un motivo economico. Allo stesso tempo, inoltre, si potrebbe prevenire in questo modo il crearsi della maggior parte di quelle situazioni di contrasto tra immigrati stanziali e autoctoni, provocate dalle varie forme di disagio che investono sia gli uni che gli altri.

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