lunedì 12 settembre 2011

Il polverone rosso contro l’art. 8 della manovra



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
lunedì 12 settembre 2011

La manovra economica è all'attenzione della Camera dei Deputati e tra i punti fondamentali del testo si annovera sicuramente il tanto citato articolo 8 recante «Sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità». Prima di analizzare la questione, bisogna vedere cosa c'è scritto nel disegno di legge: «I contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, compreso l'accordo interconfederale del 28 giugno 2011, possono realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati, a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali, finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all'adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all'avvio di nuove attività».
Cosa c'è scritto di così terribile da scatenare la reazione scomposta della Cgil e del Partito democratico? Secondo il segretario del sindacato rosso, Susanna Camusso, «la nostra Costituzione è basata sull'uguaglianza dei diritti e l'articolo 8 deroga a tutto questo. Non è mai successo nella storia italiana che un governo agisse così violentemente contro libera contrattazione delle parti e contro i sindacati. È una vendetta contro i lavoratori da parte del ministro del Lavoro». E il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, ha aggiunto che l'articolo 8 della manovra, che, di fatto, «cancella i contratti nazionali di lavoro» deve essere abrogato, se necessario, anche con un referendum. Non è stato tenero neanche il capogruppo democratico del Pd nella commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, che ha dichiarato che «la vergogna dell'articolo 8 va cancellata. Più passa il tempo e più appare chiaro il tentativo del governo e del ministro Sacconi di destabilizzare le relazioni industriali e impedire ogni percorso unitario dei sindacati. Togliere di mezzo questa norma è la condizione di partenza per poter ricostruire, su basi nuove, il modello contrattuale e della rappresentanza, come delineato dall'accordo di Cgil, Cisl, Uil e Confindustria del 28 giugno scorso».
Innanzitutto va chiarito che non c'è alcuna libertà di licenziamento perché, come riporta la stessa diposizione in esame, le specifiche intese potranno riguardare, tra le altre cose, le modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite Iva, la trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e le conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio, il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonché fino ad un anno di età del bambino, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di adozione o affidamento. Il testo, insomma, mette una serie di paletti la cui presenza è certamente in contrasto con la vulgata che vuol far credere che questa disposizione dia il via libera ai licenziamenti selvaggi.
Seconda questione. E' verissimo che queste specifiche intese operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie in questione e alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro, fermo restando ovviamente il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro. E' altrettanto vero, però, che la disposizione definisce in maniera chiara i requisiti necessari al contratto collettivo aziendale per derogare alla legge e, com'è giusto che sia, esclude le materie coperte da garanzie costituzionali.
Terza questione. Non è vero, come afferma l'ex ministro del lavoro del governo Prodi, Cesare Damiano, che in questo modo si destabilizzano le relazione industriali perché solo la Cgil nel mondo dei sindacati maggiormente rappresentativi è contraria a questa disposizione e, come è ampiamente noto, l'organizzazione guidata dalla Camusso è da tempo su posizione isolate su tutto quello che riguarda la riforma del mercato del lavoro. E anche nel partito di Damiano ci sono voci, come quella del senatore Pietro Ichino, in parte favorevoli (anche se comunque critiche su alcuni punti) a questa disposizione.
Quarta questione. Non si capisce bene se i vertici della Cgil si fidino o no dei propri rappresentanti territoriali e aziendali o pensino che gli stessi non possano essere in grado di salvaguardare adeguatamente i diritti dei lavoratori. Oppure se la deroga in questione, dando più spazio alle figure sindacali locali, non sia vista come una perdita di potere da parte degli apparati centrali.
Un'altra cosa è certa, oltre al fatto che non ci sarà alcun licenziamento selvaggio: quando si parla di modernizzare il mercato del lavoro, la Cgil e il Partito democratico sono sempre contrari.

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