sabato 17 settembre 2011

La crisi e la disoccupazione giovanile



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
venerdì 16 settembre 2011

Secondo i dati del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, elaborati da Elan International, società di executive search, l'occupazione giovanile, tra i 15-34 anni, è per il 77% di contratti a tempo indeterminato, mentre il 23% è a tempo determinato. Per quanto riguarda il tasso di disoccupazione giovanile tra i 15-24 anni a livello europeo, tra il 2008-2009, è stato registrato un forte aumento (dal 21,2% al 25,3%), mentre in Italia negli ultimi 10 anni c'è stata una graduale diminuzione.
Secondo l'Employment Outlook 2011 dell'Ocse, «l'impatto della crisi recente sul mercato del lavoro italiano è stato fino a oggi moderato, ma la ripresa è stata lenta». Per l'organizzazione parigina il mercato del lavoro italiano è sempre più duale, con lavoratori in età matura in impieghi stabili e protetti e molti giovani senz'altro sbocco immediato che posti più precari, e la crisi ha colpito duramente i giovani (compresi tra i 15 e i 25 anni): il tasso di disoccupazione giovanile si è attestato al 27,6% nel luglio 2011, uno dei più alti tassi nell'area Ocse. Il tasso di disoccupazione italiano (nella definizione dell'Ilo), ricorda l'Ocse, è cresciuto di 2,5 punti percentuali tra l'inizio della crisi (nel secondo trimestre del 2007) e il primo trimestre del 2010 quando ha raggiunto l'8,5%. «Questo incremento rimane tuttavia inferiore all'aumento medio osservato nell'intera area Ocse - si legge nel rapporto - da allora, però, la ripresa occupazionale è stata alquanto moderata. Il tasso di disoccupazione italiano è sceso di solo mezzo punto percentuale, in linea con l'evoluzione media degli altri paesi Ocse e il recente rallentamento della ripresa economica nell'area euro suggerisce che la disoccupazione italiana rimarrà sopra i livelli precedenti alla crisi per un certo tempo».
Secondo l'organizzazione di Parigi, «nella fase di recessione il tasso di disoccupazione giovanile aumentato di 9,7 punti percentuali, raggiungendo il 28,9% (tasso destagionalizzato) nell'aprile 2010. Da allora i segni di ripresa sono timidi». Inoltre, rileva il rapporto, «il declino della disoccupazione appare dovuto interamente alla creazione di posti di lavoro con contratti a termine o atipici (inclusi i cosiddetti collaboratori), mentre il numero di posti con contratto indeterminato tende ancora a contrarsi».
Insomma la situazione italiana, per quanto riguarda la disoccupazione giovanile, non ha quelle tinte fosche che molti vorrebbe dipingere per soli interessi legati all'opportunità politica del momento. La questione è molto complessa e bisogna valutarla tenendo ben presente alcuni aspetti, in primis il rispetto per tutte le persone, le loro storie e le loro sofferenze legate alla disoccupazione che stanno dietro i numeri e le statistiche. Perché è proprio questo rispetto che deve spingere chi si cimenta nell'analisi di questi temi a cercare di dare un contributo ragionato al dibattito per focalizzare sempre meglio il problema. Sappiamo che il mercato del lavoro italiano ha storicamente e per motivi diversi tre soggetti deboli: giovani, donne e immigrati. Parliamo dei giovani: in questo caso il problema è che nel momento in cui la crisi economica riversa i suoi effetti negativi sul mercato del lavoro, i primi a saltare sono stati i contratti a termine o atipici che, nella stragrande maggioranza dei casi, riguardano i giovani lavoratori. Per quanto riguarda il fatto, invece, che il mercato del lavoro italiano è sempre più duale (da un lato lavoratori anziani superprotetti e dall'altro giovani con poche tutele), sarebbe bene ricordare che la flessibilità è l'unico strumento utile per combattere la disoccupazione. Il passaggio dalla flessibilità al precariato avviene quando non c'è un sistema di ammortizzatori sociali e un mercato del lavoro dinamico.
Il governo, pur zavorrato dal terzo debito pubblico del mondo, si è mosso da un lato tutelando queste persone proprio con gli ammortizzatori sociali con l'istituzione, tra le altre cose, della cassa integrazione in deroga e dall'altro con l'introduzione di misure a sostegno dell'occupazione rientranti nel «Piano di azione per l'occupabilità dei giovani attraverso l'integrazione tra apprendimento e lavoro». Una strategia che, come certificato anche dai dati ufficiali dell'Ocse e del Ministero del Lavoro, relativamente all'impatto della crisi sulle dinamiche occupazionale, ha dato certamente i suoi frutti positivi.
Coloro che criticano sempre a prescindere tutto quello che di buono è stato fatto in questi anni sono gli stessi esponenti del conservatorismo rosso che hanno sempre contestato con durezza qualsivoglia riforma del mercato del lavoro, delle prestazioni a sostegno del reddito e delle pensioni, andata in porto o meno, che aveva l'obiettivo di dare un minimo di serenità ai giovani lavoratori. Quali sono le loro proposte alternative? Nessuno ne sa nulla. Un motivo ci sarà.

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